Scena di attori comici che danzano Villa di Cicerone a Pompei |
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Da
Euripide questi autori invero non hanno preso solo il realismo delle situazioni
ma anche elementi strutturali come il Prologo che, recitato spesso da una
divinità o da un elemento personificato della natura, informa sull'antefatto
del dramma, o anche alcuni aspetti del contenuto quali l'interesse per i fatti
amorosi, le vicende familiari, la psicologia dei personaggi, e il linguaggio
naturalistico, non lontano da quello parlato. Ora diamo qualche notizia su
Filemone e Difilo, quindi passeremo a Menandro e ad uno dei suoi testi.
Filemone era originario di Siracusa dove
nacque intorno al 360 a. C. ma passò quasi tutta la vita ad Atene dove morì
quasi centenario. Quintiliano (Institutio
Oratoria, X, 1, 72) ci informa che spesso fu preferito a Menandro, ingiustamente
dai critici del suo tempo, ma più tardi, con il consenso di tutti, meritò di
essere considerato secondo: "Philemon,
qui ut prave sui temporis iudiciis Menandro saepe praelatus est, ita consensu
tamen omnium meruit credi secundus ".
Di
questo autore ci sono arrivati una sessantina di titoli e numerosi frammenti. Ricordiamo
tre titoli di drammi utilizzati da Plauto: l' [Emporo", il Mercante da cui deriva il Mercator, lo Qesaurov", il
Tesoro, modello del Trinummus (I tre
soldi)
E il Favsma, il Fantasma, modello della Mostellaria (la commedia del fantasma: mostellum).
Plauto
ha poi derivato le Bacchides dallo Di; ς ejxapatw̃n di Menandro, “Colui che inganna due volte”.
Il
Favsma è
forse di Menandro
Leopardi
nello Zibaldone (pp. 41 - 42) indica,
insieme con altri testi, un frammento di Filemone come esempio del fatto che
"il ridicolo degli antichi comici... consistea principalmente nelle cose, e
il moderno nelle parole... quello degli antichi era veramente sostanzioso, esprimeva
sempre e mettea sotto gli occhi per dir così un corpo di ridicolo, e i moderni
mettono un'ombra uno spirito un vento un soffio un fumo. Quello empieva di riso,
questo appena lo fa gustare e sorridere, quello era solido, questo fugace... quel
de' greci e latini è solido, stabile, sodo, consiste in cose meno sfuggevoli, vane,
aeriformi, come quando Luciano nel Zeu; " ejlegcovmeno"
paragona gli Dei sospesi al fuso della Parca ai pesciolini sospesi alla canna
del pescatore. Ed erano i gr. e lat. inventori acerrimi e solertissimi di
queste immagini, di queste fonti di ridicolo e ne trovavano delle così
recondite, e nel tempo stesso così feconde di riso ch'è incredibile come in
quel frammento di Filemone comico".
Leopardi
si riferisce al fr. 79 Kock, vv. 10 - 16 dello Stratiwvth", dove Filemone stabilisce un
paragone tra un convitato che scappa inseguito dagli altri dopo avere arraffato
un boccone ghiotto, e una gallina che fugge tenendo nel becco qualche cosa di
troppo grande per essere inghiottita, e viene incalzata da un'altra che vuole
strapparle il cibo. Insomma "quel motteggiare era più consistente più
corputo, e con più cose che non il moderno".
Difilo
nacque intorno alla metà del IV secolo a Sinope sul Ponto da dove si trasferì
presto ad Atene. Morì a Smirne, sulla costa ionica dell'Asia minore agli inizi
del III secolo. Ci sono arrivati una sessantina di titoli e frammenti meno
numerosi ma più estesi di quelli di Filemone. Una delle sue commedie aveva come
protagonista la poetessa Saffo corteggiata
da Archiloco e Ipponatte.
Plauto
nei Commorientes imitò i Sunapoqnhvskonte",
coloro
che vogliono morire insieme, dramma dal quale Terenzio tradusse "verbum de verbo " parola per parola
un "locus ", una scena, che
Plauto lasciò "integrum "
intatta, e per questo poté essere inserita, con una contaminatio, negli Adelphoe
(Prologo, vv. 9 - 11) del resto ricavati dagli jAdelfoiv di Menandro.
Plautus
cum latranti nomine (Casina, 34) utilizzò Difilo
anche per il Rudens (La gomena, ma
non si conosce il titolo del modello) e per la Casina la sua ultima commedia, del 185. Càsina è la ragazza del
caso, derivata dai Klhrouvmenoi, (Coloro che tirano a sorte). Anche la Vidularia (La commedia del baule, vidulus, è modellata su una commedia di
Difilo, Scediva, la
Zattera.
Occupiamoci
quindi di Menandro. Visse fra il 342 e il 292 sempre ad Atene, da dove non
volle mai allontanarsi nonostante inviti di potenti come Tolomeo I Sotèr che lo
chiamò alla corte di Alessandria. Fu discepolo di Teofrasto, il successore di
Aristotele nella direzione della scuola peripatetica, dal quale ricavò una
buona preparazione filosofica e forse alcuni suggerimenti dai Caratteri, trenta schizzi di tipi umani,
ciascuno con una inclinazione predominante: la rusticità, l'adulazione, la
superstizione, la diffidenza; abbiamo menzionato questi quattro titoli non a
caso ma perché corrispondono ad altrettanti protagonisti eponimi di commedie di
Menandro il cui debito del resto non va molto oltre la denominazione, siccome
nel poeta i caratteri hanno uno sviluppo ben più ampio, e poiché l'interesse
per la psicologia umana era diffuso nell'epoca tra pensatori di scuole diverse.
Infatti si sono voluti trovare in Menandro influssi anche di Epicuro, suo
coetaneo e compagno di efebia. Particolarmente sarebbe epicureo il v. 734 di L'arbitrato:
"non
si occupano dunque di noi gli dèi? ", ma non è sicuro che l'apertura del
Giardino epicureo (306 a. C.) sia antecedente a questa commedia che pure risale
alla maturità artistica di Menandro.
Le influenze più consistenti in ogni caso
derivano dal Peripato come viene indicato dallo studio di A. Barigazzi: "La formazione spirituale di Menandro "
del quale riferiremo alcune affermazioni esaminando le commedie. Menandro ne
compose più di cento, ma sino alla fine del secolo scorso conoscevamo solo un
migliaio di frammenti e 758 Massime (Gnw'mai) monostiche,
forse nemmeno tutte autentiche. Molto nota è la sentenza "oJvn oiJ qeoi; filou'sin
ajpoqnhvskei nevo" ", fortemente pessimistica, usata
da Leopardi (il quale nello Zibaldone 3487
definì l'autore "principe" della commedia nuova) come epigrafe del
Canto Amore e Morte in questa
traduzione:
"
Muor giovane colui ch'al cielo è caro".
Assai più significativo della visione
menandrea del resto è il fr. 484 Kö che fa: "wJ" cariven e[st j
a[nqrwpo", a]n a[nqrwpo" h/\”
"che
cosa gradevole è l'uomo quando è uomo davvero!".
Dai
primi del Novecento in avanti sono stati scoperti papiri che hanno permesso una
discreta conoscenza di Menandro: un fortunato reperimento del 1905 portò alla
luce cinque commedie le cui lacune non impedivano la comprensione generale. La
più estesa e nota è l'Arbitrato ([Epitrevponte"); altre
tre si chiamano la Ragazza di Samo, la
Tosata e l'Eroe; la quinta è tuttora senza titolo.
Nel
1958 è stato pubblicato un codice con una commedia intera, Duvskolo", il Misantropo, che cercherò di rendere
familiare ai miei studenti. Ancora più di recente sono state trovate parti
dello Scudo, di L'uomo di Sicione e di altre commedie, ma non voglio proseguire con
l'elenco.
Menandro non ebbe successo in vita, come
attesta il verso di Marziale (V,
10, 9): "rara coronato plausere
theatra Menandro ", raramente i teatri applaudirono Menandro vincitore.
Il poeta ebbe comunque coscienza del proprio
valore, tanto che, secondo la testimonianza di Aulo Gellio (Noctes Atticae XVIII, 4) una volta
domandò al più fortunato Filemone: "cum
me vincis, non erubescis? ", quando mi vinci non arrossisci dalla
vergogna?, e da morto fu tanto considerato dagli autori latini che Ovidio, ritenendolo
principe e padre della commedia nuova e delle sue figure fisse, ebbe a scrivere
(Amores, I, 15, 17 - 18):
"dum fallax servus, durus pater, improba lena/
vivent
et meretrix blanda, Menandros erit ", finché ci sarà lo
schiavo ingannatore, il padre severo, la ruffiana disonesta e la cortigiana
adulatrice, ci sarà Menandro.
In effetti abbiamo visto che il commediografo
ateniese venne utilizzato tanto da Plauto quanto, soprattutto, da Terenzio che
Cesare chiamò " o dimidiate Menander
", Menandro dimezzato, e che prese dal modello greco non solo
l'intreccio e le scene di quattro delle sei commedie a noi pervenute (Andria, Eunuchus, Adelphoe, Heautontimorumenos) ma anche la più
celebre delle sue sentenze umanistiche
"homo sum: humani nil a me alienum puto
" (Heaut. 77), sono uomo: niente
di ciò che è umano non mi riguarda. E' questo un verso ideologico e programmatico per entrambi gli autori.
Altro
tema considerato tipico della commedia menandrea è quello amoroso: Ovidio, poeta
mulierosus, donnaiolo, e lascivus, sensuale, seppure non "desultor amoris ", saltimbanco
dell'amore, come tiene a precisare lui stesso (Amores, I, 3, 15), trova in Menandro un predecessore e un maestro: "Fabula iucundi nulla est sine amore Menandri
(Tristia, II, 369): ", nessuna
commedia del piacevole Menandro è senza amore.
L'amore prende vari aspetti: il più comune è
quello dell'affetto che, per esempio, provano reciprocamente Carisio e Panfile,
gli sposi di L'arbitrato, ma c'è
anche la gelosia di Polemone per Glicera in La
tosata e un ricordo dello stupro subito dalla stessa Panfile.
Un amore del resto non contaminato dalla
volgarità: Plutarco nella Comparatio
Aristophanis et Menandri elogia la decenza e il decoro di Menandro in
confronto alla volgarità di Aristofane.
continua
Interessante.Giovanna Tocco
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