Justitia et pax osculatae sunt Pinacoteca Tosio Martinengo, Brescia fotografia di Giovanni Dall'Orto |
22 ottobre 2017 a
Pesaro
“Che ne so, sarai lesbica!”
Eravamo arrivati al 30 luglio del 1979. Rinnovo l’abolizione
del tempo, dello spazio, e passo al 31 luglio di quell’anno lontano. Un forte
risucchio, forse del destino stesso, mi riporta a Debrecen, a quell’estate quando
peparavo il futuro con il meditare, impiegando la riflessione come ventre di
donna, perché nascesse qualche cosa di nuovo, creando attraverso il pensiero.
Di mettere al mondo un figlio di carne con quella compagna
malsicura non era il caso. Il compito era un altro: assecondare il demone mio,
il destino stesso, altrimenti sarei stato un guscio vuoto, uno spettro sia pure
abbronzato, un’esteriorità logora, priva di significato.
Ora che sono vecchio mi ritrovo con l’io aperto all’indietro,
verso il passato intendo, cercando prefigurazioni, analogie in modo da formare
una visione coerente e bella che giustifichi la mia esistenza dandole un senso
o per lo meno un verso. Quando affondiamo le radici nel tempo carichiamo la
nostra vita di significati.
Quel giorno dunque facevo raffronti con le tre finlandesi
del mio passato amoroso e pensavo che dopo di loro non avevo più incontrato
donne tanto fini, espressive, ricche di senso negli sguardi e nelle parole
piene di coscienza, cultura, serietà e pure ironia. Helena dal seno profondo,
dalle bianche braccia, era bruna, bella e sicura di sé, in un certo senso
maestosa; Kaisa dagli occhi azzurri, era graziosa, colta e appassionata, Päivi
era splendidamente chiomata di rosso, istruita, intelligente e decisa.
Significavano anche senza parlare. Quando parlavano, ogni parola conteneva
un’idea e faceva pensare. Perdute loro, prima di Ifigenia, avevo trovato misere
cose, gusci vuoti appunto e avevo rischiato di svuotarmi anche io di ogni
sostanza buona. Il mallo di Ifigenia era ancora da aprire. Dopo tanti surrogati
di donne volevo una femmina umana autentica.
Verso sera, sazio di ricordi e pensieri, andai a correre i
5000 metri allo stadio, pregando il dio Sole al tramonto di farmi capire
qualcosa.
Mi chiedevo se l’ultima amante che non scriveva lettere, non
telegrafava, non si faceva trovare al telefono, pensasse purtuttavia che il
nostro rapporto era favorevole allo sviluppo di entrambi, che la disciplina, la
tenacia, il metodo mio potevano dare un ritmo, segnare una via ai suoi impulsi
forti, però intermittenti, sporadicamente anche geniali, ma poco chiari e quasi
sempre privi di uno scopo adeguato alle capacità, le sue e le mie.
Tentavo la prova dei cinque chilometri in meno di venti
minuti.
Correvo impiegando gran parte della mia lena. Il respiro si
affrettava e aggiungeva lucidità alla mente. Già dopo il primo chilometro
percorso in 3 minuti e 55, pensavo che quanto stavo facendo in quella vacanza
estiva a quasi trentacinque anni era parte del culto dovuto a me stesso se volevo
piacere alla vita che mi piaceva molto, più di ogni cosa. Correvo
metodicamente, leggevo, non perdevo tempo con persone sciocche, insignificanti.
Volevo potenziarmi nel corpo e nella mente. Dovevo coltivare dentro di me il
seme vitale, farlo crescere, e per questo ci volevano un amore non malsicuro e
una grande energia. In favore della vita dico che mi avrebbe contraccambiato
attraverso una donna della mia levatura.
Intanto l’amabile luce dell’infaticabile dio dal volto
gioioso illuminava la sera. A metà percorso mi domandai dove volevo arrivare.
Una volta Ifigenia, che mi aveva osservato compiaciuta mentre correvo, disse
che avevo l’aria di inseguire l’immortalità. No, non volevo diventare un dio,
non potevo, ma un educatore di grande formato sì, un suscitatore di energie
mentali e morali nei ragazzi, spesso bellicosi, maneschi, disordinati, e nelle
ragazze più sensibili, intricate e riflessive. Più simili a me tutto sommato.
Una volta Claudio disse “Gianni non è un uomo, è una donna, ha la sensibilità
di una femmina”. Gli chiesi come mai allora mi piacessero tanto le femmine
umane. “Che ne so - fece - sarai lesbica!”.
Replicai che, senza pretese, volevo solo conferire al
divenire il carattere dell’essere. “Battuta da femmina intellettuale - replicò
lui - la più insopportabile di tutte”.
La strenua danza in onore del dio al tramonto era intanto
arrivata a metà in meno di dieci minuti.
giovanni ghiselli
Giovanna Tocco
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