Honestum, virtus,
officium, gloria sono concetti romani.
Pavqo" per i Greci è una limitazione dell’attività del
soggetto, ma Cicerone traduce con perturbatio che invece corrisponde a tarachv, ed
evita pure una traduzione letterale di ajpavqeia
usando tranquillitas animi.
Il romano rispetto al greco dà maggiore importanza alla
volontà che al pensiero. Il greco nell’interpretazione di un atto si chiede che
cosa abbia pensato chi agisce, il romano che cosa abbia voluto (così come noi
italiani). Il romano parla di benevolentia (con il velle), che in
greco è eu[noia
con il nou'".
La
proaivrei", la scelta diviene voluntas. Cicerone però fu
alquanto rispettoso dei termini greci. Per esempio usa atomus (f.) che
in Lucrezio non si trova.
Varrone traduce pavqo" con passio,
Seneca con adfectus.
Augusto voleva ripristinare gli antiqui mores e gli antiqui
viri. Già Ennio aveva scritto: moribus antiquis res stat Romana virisque
(fr. 367). Citato da Cicerone in De republica V, 1 con il commento che
questo verso vel brevitate vel veritate tamquam ex oraculo quodam mihi esse
effatus videtur. Cleomene III aveva capito ch il costume dei padri non
poteva rinascere se non lo si coniugava con la modernità, e Augusto capì che lo
stesso scopo si poteva raggiungere attraverso il connubio dell’antico con la
filosofia stoica. In questa restaurazione fu aiutato oltre che da Livio che con
la sua storia volle illustrare la forza morale della romanità antica, anche da
Virgilio e da Orazio. Virgilio e Orazio avevano seguito le lezioni
dell’epicureo moderato Sirone. L’epicureismo moderato offriva ai discepoli beni
non tanto diversi da quelli dei maestri della Stoà.
Del resto i due poeti non si limitavano a cercare la pace
interiore ma volevano anche essere educatori del popolo. A Orazio piaceva molto
Aristippo di Cirene (435 - 366) di cui lo attirava il motto e[cw, oujk e[comai,
habeo, non habeor. Del resto lo stesso carpe diem ha un che di cirenaico.
Nelle prima delle sei Odi romane in strofe alcaiche (27 a.
C.) del III libro Orazio si proclama Musarum sacerdos (III, 1, 3) ma
egli è anche rappresentante del logos
Egli si rivolge alla
gioventù che richiama al sentimento dell’onore e della responsabilità di essere
cittadini romani, dell’urbs che gli
dèi hanno scelto come signora del mondo. L’ode III, 1 insegna la sobrietà e la
frugalità. Chi desiderat quod satis non ha paura di perdere i raccolti
(25). Qui c’è un motivo epicureo, quello contro il lusso e lo spreco.
L’ode III, 2 parla
della virtus: dulce et decorum est
pro patria mori (13), Il sacrificio per la patria dischiude le vie del
paradiso, come nel Somnium Scipionis.
La virtù che schiude il cielo reclūdens caelum disprezza con ala
fuggitiva le riunioni volgari e la terra intrisa d’acqua coetusque vulgaris
et udam spernit humum fugiente penna.
In III, 3 Orazio parla della iustitia una virtù nella
quale furono saldi Polluce ed Ercole che nutriranno Augusto di nettare. Bacco
con la iustitia aggiogò al suo carro le tigri. Polluce Eracle e Dioniso
dunque si sono conquistati l’accesso alle rocche ignee (arces igneas)
del cielo
Già Perseo aveva spiegato alcune divinità sostenendo che gli
uomini riconoscenti hanno tributato onori divini ai loro grandi benefattori e
sono menzionati proprio Eracle i Dioscuri e Dioniso, Analogo il pensiero di
Cicerone in Tusc. I 27. I Romani però
giunsero all’oggettiva divinizzazione, Si può pensare a Romolo - Quirino. Poi
il Divus Iulius e in Orazio il Divus Augustus (Carm. III
5, 2 - 3: praesens divus habebitur - Augustus)
Roma è più forte nel disprezzare l’oro non trovato, e
collocato meglio quando la terra lo nasconde piuttosto che ammucchiarlo per gli
usi umani con la destra che rapisce ogni oggetto sacro omne sacrum rapiente
dextra (ode III, 3, 49 - 52). La cisi viene dalla brama smisurata di
ricchezze, un male da scongiurare.
In III 4 Orazio si
dichiara uomo delle Muse vester Camenae. Le Muse lo hanno protetto fin
da bambino quando si smarrì sul monte Vulture in Apulia e si addormentò: le
colombe lo coprirono con delle foglie e lo salvarono dal morso dei serpenti. Le
Muse ispirano lene consilium a
Ottaviano. La forza bruta priva del lene consilium va in rovina: quella
dei Titani fu domata dai fulmini di Giove.
L’orrenda turba dei Titani non prevalse: Giove la sterminò fulmine
caduco (44). Ebbe anche timore Giove quando il Pelia fu posto sull’Olimpo
oscuro da Oto ed Efialte. Ma nulla poterono costoro o Tifeo o Encelado scalatore
audace di tronchi divelti. Nulla poterono contra sonantem Palladis aegida (57) Questi ribelli vennero sepolti sotto
l’Etna.
Vis consili expers mole ruit suā (III, 4, 65) la forza priva di senno
implode sotto la propria mole, mentre gli dèi stessi portano avanti la forza
regolata
Geme la terra gettata
sui suoi mostri: Tifeo, Encelado, sotto l’Etna, Tizio incontinente cui rode il
fegato un avvoltoio messo a guardia della libidine (aveva tentto di violentare
Diana) amatorem trecentae - Pirithŏum cohibent catenae (79 - 89)
trecento catene trattengono Piritoo in cerca di amore (tentò di rapire
Persefone)
La V ode del terzo libro celebra la virtù di Attilio Regolo
e il suo patriottismo, il suo onore. Tornando dal barbaro carnefice diede un
esempio.
La VI e ultima ode romana biasima la corruzione presente:
gli dèi non venerati hanno colmato l’Italia di sciagure: di multa neglecti
dederunt - Hesperiae mala luctuosae (III, 6, 7 - 8). La famiglia e la
stessa stirpe sono in pericolo. La sposa inter mariti vina, iuniores quaerit
adulteros (24 - 25) e nemmeno sceglie a chi donare i suoi amplessi in
fretta nelle tenebre
Il marito poi è
d’accordo (non sine conscio marito) se la invita un comandante di nave
spagnola dedecorum pretiosus emptor che compra a caro prezzo il disonore.
Eppure la gioventù romana sconfisse Pirro e Annibale rusticorum mascula
militum proles (37 - 38) maschia stirpe di soldati agresti esperta a a
rovesciare la zolla con le zappe sabine, sabellis docta ligonibus versare
glaebas, et severae matris ad arbitrium, a un comando della madre
severa, pronta a trasportare tronchi quando il sole allunga le ombre sui momti.
Il tempo corrompe:
l’età dei padri fu peggiore di quella degli avi e forse noi daremo progeniem
vitiosiorem.
Queste odi dunque presentano le aspirazioni del nuovo regime:
il rifiuto delle ricchezze superflue, il valore in guerra formatosi attraverso
una vita semplice e rude, la condanna del lusso e della corruzione sessuale, il
bisogno di ordine politico. La mens solida è l’aretè stoica che
garantisce il dominio del logos. “si fractus illabatur orbis,/impavidum
ferient ruinae”, (III, 3, 7 - 8) se il mondo infranto crolla, le rovine lo
colpiranno senza spaventarlo. E’ l’uomo giusto, e forse ai Romani si mostrava
l’immagine di Catone suicida.
Virgilio, l’epicureo, si converte all’immortalità dell’anima
perché Anchise nell’Averno possa mostrare al figlio i futuri eroi di Roma. C’è
la concezione di Posidinio e la metempsicosi. E c’è la fede nella volontà
divina che guida il popolo romamo alla grandezza. Questa volontà è il fatum stoico come nell’ode di Orazio
III, 3. La eijmarmevnh
che si identifica con la provnoia e può essere chiamarta Iuppiter.
Enea non è certo un
filosofo stoico, si chiama pius,
poché come lo stoico Cleante accoglie nella propria volontà quella divina e
intende realizzare i decreti della provvidenza. Infatti l’eJmarmevnh
degli Stoici non vuole portare a un’inerzia fatalistica; essa chiede all’uomo
la sua collaborazione. La missione imperiale di Roma dunque venne giustificata
da Panezio e Posidonio, quindi consacrata da Orazio e Virgilio.
La Stoà fu la filosofia più e meglio congeniale ai Romani.
Servì a fare rivivere gli ideali etici antichi e fu utile come medicina
dell’anima.
Fine del I volume di La Stoa di Max Pohlenz presentata e
commentata da giovanni ghiselli
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