Lo Stoà di Attalo |
Polibio scrisse di Scipione che aveva condotto la vita in
perfetta coerenza e in piena armonia con se stesso. (p. 542)
Polibio XXXI 25 8: “Skipivwn kata; pavnta trovpon oJmologouvmenon kai;
suvmfwnon eJauto;n kataskeuavsa" kata; to;n bivon” Scipione foggiando
se stesso in ogni verso come accordato e armonioso nella vita, in circa cinque
anni si creò la fama di uomo rigoroso e temperante .
Il circolo era formato da Scipione, Panezio, Lelio detto sapiens, i suoi generi Gaio Fannio e
Quinto Muzio Scevola l’Augure, Quinto Elio Tuberone, nipote di Scipione, Publio
Rutilio Rufio, e Scevola il Pontefice, nipote dell’Augure. Poi altri come
Spurio Mummio, Furio Filo, e il giurista Marco Manilio. Il poeta Lucilio era
vicino a questo circolo e scrisse che la virtus consiste nel potere
giudicare rettamente il valore delle cose pretium persolvere verum quis in
versamur, quis vivimus rebus potesse e nel sapere che cosa è bene, giusto,
utile, onesto, e che cosa è male
Virtù è mettere al primo posto gli interessi della patria,
poi quello dei genitori e al terzo i nostri. Riflette anche lui lo spirito di
Panezio. Essere nemico degli uomini cattivi e sostenitore dei buoni.
Commoda praeterea patriai prima putare,
deinde parentum, tertia iam postremaque nostra. (Esametri).
La teologia delle persone colte si separò dalla religione
della massa per la quale il Pontefice Scevola difese la religione di Stato.
Del resto accettò la teologia tripartita di Panezio
Scevola il Pontefice trattò tutto lo ius civile in
un’opera di 18 libri
Accanto allo ius
civile si era formato lo ius gentium
che regolava i rapporti giuridici con gli stranieri. L’eterna legge del logos
degli Stoici suggerì ai Romani la dottrina del diritto naturale fissato dalla
natura razionale per tutti gli uomini. Da questo diritto naturale presero le
mosse i giuristi dell’età imperiale. Ulpiano (170 - 228) si differenziò
estendendo il diritto naturale a tutti gli esseri viventi: “ Iuris praecepta
sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere. Iuris
prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti
scientia” Dig. I, 1, 10).
Ulpiano è uno dei
cinque giuristi che hanno avuto più considerazione nel periodo imperiale.
Inoltre, le sue opere furono ampiamente impiegate nella redazione del Digesto di Giustiniano.
Contro la difesa della lettera della legge fatta da Scevola,
l’oratore Crasso propugnava l’aequitas che si affermò dando vita alla
massima summum ius summa iniuria. Già nell’Heautontimorumenos:
“ius summum saepe summast malitia”IV, 5, v. 796). Lo dice lo chiavo Siro
a Cremete.
Il sentimento etico
deriva dalle suggestioni della Stoà.
Cicerone nel De officiis scrive che nascono
dei torti da cavilli (calumnia) e da una troppo scaltra ma capziosa
interpretazione della legge: summum ius summa iniuria (I, 33).
La Stoà influì anche sulla linguistica. Il latino non aveva
ancora una forma definitiva e anche motivi pratici portavano a riflettere sulla
morfologia e l’ortografia. Fondatore della linguistica latina fu considerato
Lucio Elio Stilone che ebbe tra i discepoli anche Varrone e Cicerone. Stilone
subì l’influenza di Panezio. Cercò una posizione conciliativa tra l’analogia e
l’anomalia.
Varrone nel De lingua ltina (su 25 libri abbiamo i
libri dal V al X con molte lacune) parteggiò per l’analogia. Ci sono arrivati
anche i tre libri del De re rustica.
La grammatica scolastica risale al 100 a. C. la tradizione
alessandrina, cioè l’analogia a poco a poco prevalse.
La stoà offrì un
aiuto nel momento della crisi morale. Chi non trovò rifugio nelle religioni
orientali fece appello alla filosofia. Catone aderì ostentatamente allo
stoicismo.
Il suo nipote e genero Bruto non ne approvò il suicidio. Ma
poi si suicidò anche lui. Giustificò il proprio suicidio citando un distico di
una tragedia di Euripide, dei versi pronunciati da Eracle:
w\ tlh'mon ajrethv, lovgo" a[r j h\sq j
a[llw", ejgw, de; se
wJ" e[rgon h[skoun: su; d j a[r j ejdouvleue" tuvch/ (Cassio
Dione, Storie, 47, 49), o misera
virtù, non eri altro che un nome, mentre io ti perseguivo come un fatto reale;
ma tu eri asservita al caso
La virtù che egli
avrebbe voluto attuare agendo era solo un vuoto nome, una schiava della Tuvch.
Cfr. Leopardi, Bruto minore del 1821: “stolta virtù”
v. 16
Varrone seguì in sostanza la Stoà. Nelle Antiquitates rerum
humanarum et divinarum prese da Scevola la trilogia tripartita di Panezio:
c’è la religione dei poeti, quella naturale e razionale dei filosofi e quella
politica e civile utile per il governo.
Da Posidonio, Varrone
aveva appreso la legge della degenerazione e da buon laudator temporis acti
la utilizzava per mettere in bella luce la Roma antichissima. Già Posidonio
aveva rilevato che anche presso i Romani antichi, come presso gli Ebrei, c’era
un culto aniconico e Varrone asserisce con prove che Tarquinio Prisco per la
prima volta nell’anno 170 di Roma aveva commissionato a un artista etrusco una
statua di Giove.
Nelle Satire Menipee di Varrone il tema più diffuso è
la nostalgia del buon tempo antico. La sua teologia è il panteismo stoico. Citò
Posidonio: Dio è il pneuma dotato di ragione che compenetra tutto
l’essere. Per i Romani può essere Iuppiter, il dio che raccoglie in sé tutti
gli spermatikoi;
lovgoi, i germi di tutte le singole cose future. Questo non esclude la
fede popolare.
Varrone fu un erudito, non un filosofo, ma oome Erudito
influenzò la cultura romana e le Antiquitates divinae si imposero come
l’opera classica sulla religione, tanto che autori cristiani come Tertulliano e
Agostino lo considerarono un’autorità nel campo della teologia romana.
Cicerone da giovane a Roma seguì Filone che lo conquistò
allo scetticismo dell’accademia, poi nel 79 seguì ad Atene le lezioni di
Antioco e si convertì alla sua filosofia
Antioco di Ascalona (Άντίοχος Ascalona, 120 a.C. – Siria, 67 a.C.) di origine siriana, è considerato il fondatore
della cosiddetta Quinta Accademia.
Discepolo e avversario di Filone
di Larissa, ultimo scolarca dell'Accademia di Atene, ma anche di Dardano e
Mnesarco, entrambi seguaci dello stoicismo, insegnò ad Alessandria d'Egitto, in Siria e ad Atene, dove ebbe
come allievo attorno al 79 a.C. Cicerone, grazie al quale parte delle sue dottrine è giunta
fino a noi.
Antioco si stacca nettamente dalla
corrente scettica, che aveva caratterizzato l'Accademia platonica fin dai tempi di Arcesilao,
grazie ad una teoria della conoscenza a base
prevalentemente sensistica, certamente influenzata dallo stoicismo,
ma che, attraverso una mediazione aristotelica, si ricongiunge alla dottrina
platonica delle idee.
L'etica di
Antioco, invece, pur partendo da una base terminologica stoica, si avvicina più
alle dottrine peripatetiche confutando la tesi stoica dell'autosufficienza
della virtù.
Cicerone è un eclettico e sullo Stato
segue il modello platonico, non senza quello polibiano. Per i problemi concreti
del presente ricorreva a Panezio.
Per esempio che la base dello Stato
non è lo ius formale ma la iustitia fondata sullo ius naturale.
Solo l’uomo politico che opera per il bene del suo popolo realizza la virtus
suprema che sopravvive alla morte.
Nel 45 gli morì la figlia Tullia e
l’oratore trasse conforto dalla filosofia; per giunta costretto alla inattività,
pensò di servire il suo popolo presentando la filosofia greca in veste latina.
Si rendeva conto infatti di non essere un filosofo creativo. Né voleva legarsi
a un sistema dogmatico. Voleva iniziare i Romani alla filosofia, Procedeva con
metodo eclettico, scegliendo volta per volta. Riabilitò l’Accademia nuova di
Carneade e Filone. Escluse invece l’epicureismo il cui edonismo e utilitarismo
gli ripugnavano e pure il quietismo che rifiutava ogni servizio prestato alla
società. Rifiutò il rigorismo e l’astrattezza della Stoà.
Nel secondo libro del De natura
deorum, Cicerone espone la teoria paneziana della pronoia che ha
dato forma perfetta a tutto il cosmo.
Nella
mantica Cicerone vedeva poco più che una superstizione : nel De natura
deorum (I, 71) scrive che un aruspice non può incontrare un altro aruspice
senza ridere.
eujdoxiva Cruciali sono i versi con i
quali Andromaca accusa i Greci di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav - tiv
tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion;
(eziologia - discorso sulle cause764 - 765), o Greci inventori della barbarie,
perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? Ammazzare un
bambino per paura di suo padre è la viltà e la barbarie più grande che ci sia.
Giovanna Tocco
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