Un giovane mesce il vino a Dioniso (Museo del Louvre, Parigi) |
Frinico
comico nelle Muse, del 405, svolgendo
un tema simile a questo definisce Sofocle mavkar, eujdaivmwn, dexiovς, beato
felice, fortunato[1]. Sofocle veniva riportato
sulla terra.
Agatone
ajgaqo; ς poihthvς è morto
in Macedonia.
Restano
solo rimasugli, ciarle, canti di rondinelle (celidovnwn mousei'a) e lobhtai; tevcnhς, corruttori dell’arte (lwvbh, offesa,
lwbavw).
Manca
un vero poeta che faccia suonare una parola nobile (rh'ma gennai'on, 93). Seguono
versi di Euripide parodiati, per esempio il v. 889 delle Baccanti daro; n crovnou povda (il lento piede del tempo, che gli
dèi occultano); Dioniso cita crovnou povda (v. 100).
Dioniso
ne va più che pazzo maivnomai (103). Per Eracle invece tali parole di Euripide sono
chiacchiere (kovbala), roba
detestabile
Poi
Bacco chiede a Eracle di insegnargli la strada che fece quando andò a prendere
Cerbero. Chiede dove siano i porti (livmenaς) le panetterie (ajrtopwvlia) i
bordelli pornei'a, le
fermate, i crocicchi, le fontane (krhvnaς), strade, città. Alloggi dove ci sono
meno cimici.
C’è
specularità tra io mondo terreno e quello infero.
La
via più breve, dice Eracle è il suicidio: corda e sgabello per impiccati. Poi
c’è to; kwvneion, la
cicuta.
Dioniso:
ma è gelata e intirizzisce gli stinchi (Rane,
125-126)
Cfr.
il Fedone 118 quello che gli aveva
dato il veleno, risalendo con la mano dal piede al ventre, faceva vedere come
Socrate si raffreddava e irrigidiva: “ejpedeivknuto o{ti yuvcoitov te kai; phvgnuto”.
Cfr. anche Enrico V (1599) con la morte di Falstaff
raccontata dall’ostessa: “So a’bade me
lay more clothes on his feet: I put my hand into the bed and felt them, and
they were as cold as any stone; then I felt to his knees, and so upward, and
upward, and all was as cold as any stone” (II, 3, 20-25)
Eracle:
allora vai al Ceramico dove c’è una torre alta, ci sali sopra e ti butti giù (kavtw)
Allora
Eracle racconta il suo viaggio. Si arriva a un grande lago, poi si sale su una
barchetta dove un gevrwn nauvthς, un vecchio barcaiolo, ti traghetterà
per due oboli (cfr. la Morte a Venezia[3] e il ramo d’oro
dell’Eneide).
Due
oboli era il compenso medio degli Ateniesi, quindi Eracle dice che l’uso degli
oboli laggiù lo portò Teseo v. (143)
Dentro
ci sta chi offese l’ospite xevnon hjdivkhse, o chi ha inculato un ragazzo
senza pagarlo h}
pai'da kinw'n tajrguvrion uJfeivleto -uJfairevw, sottraggo- chi ha picchiato la
madre o il padre, chi ha giurato falso ejpivorkon o{rkon w[mosen-o[mnumi- (150) e
il drammaturgo che commette plagio da Morsimo, scadente poeta tragico.
Aristofane
(nelle Nuvole) ed Eupoli (nei Battezzatori) si accusarono a vicenda di
plagio.
Nelle
Eumenidi di Eschilo è sottolineato il
tokevwn sevbaς.
Nelle
Supplici il codice tripartito
prescrive il rispetto di genitori, ospiti e la venerazione degli dèi.
Nell’Eneide i peccatori sono nel Tartaro
Hic
quibus invisi fratres, dum vita manebat
pulsatusve parens, et fraus innexa clienti
aut qui
divitiis soli incubuere repertis
nec
partem posuere suis (quae maxima turba est)
Quique ob
adulterium caesi quique arma secuti
Impia nec
veriti dominorum fallere dextras
Inclusi
poenam expectant (VI, 608- 613)
Dioniso
ci metterebbe anche chi ha imparato la pirrica (danza in armi) di Cinesia[5] (156).
Torniamo
al racconto di Eracle: poi vengono gli iniziati oiJ memuhmevnoi[6] tra uno
spirar di flauti aujlw'n pnohv (154) e una luce bellissima fw'ς kavlliston, come
qui w[sper
ejnqavde[7].
Là
vedrai tiasi beati di uomini e donne e un gran battere di mani krovton ceirw'n poluvn (155).
Xantia
prova a ribellarsi per non portare i bagagli.
Dioniso
vede un morto portato da becchini e gli chiede di portare i bagagli: quello
vorrebbe due dracme, Dioniso gliene promette una e mezzo (9 oboli, una dracma=6
oboli.) e lui: piuttosto torno in vita, alludendo forse all’Achille dell’XI
dell’Odissea (489 sgg,) o alla vita
grama in Atene
Xantia
riprende il bagaglio
Dioniso
dice cai'r
j w\ Cavrwn
3 volte (v. 184). Forse allude alla sordità di Caronte oppure è una parodia di
preghiera. C’è un rapporto fonico tra i due termini e pseudoetimologico
contrastante.
Caronte
non vuole prendere il servo, a meno che abbia fatto la battaglia navale per le
carni (peri;
tw'n krew'n,
191, le loro carni che hanno salvato e quelle da mangiare che potevano giungere
dopo la vittoria: la battaglia delle Arginuse (406) aveva salvato Atene dal
blocco e dalla fame)
Xantia
dice che non ha combattuto perché era malato di occhi
Allora
correrai intorno al lago periqrevxei-peritrevcw- th; livmnhn kuklw/, 193
Caronte
dice a Dioniso (chiamandolo gavstrwn, pancione, 200) di sedersi al remo e lo
fa remare sodo proquvmwς. Sentirà
canti meravigliosi di rane-cigni (batravcwn kuvknwn qaumastav, 207). Parodia
di ippocentauri e altri animali fantastici presenti nei miti. Cfr. Pace 181 con ipposcarabeo iJppokavnqaro".
Il
coro secondario delle rane comincia a fare il suo verso, il canto libero della
natura
Dioniso
cerca di fare tacere il coax, ma
quelle dicono che continueranno come nei bei giorni di sole o quando feuvgonteς o[mbron- cfr. imber-imbrem (246), fuggendo
la pioggia nel fondo ejn buqw'/ intonano un’acquatica aria di danza. Le rane stanno
in fondo come la verità.
In
La pioggia nel pineto “la figlia/ del
limo lontana/ la rana/ canta nell’ombra più fonda” 90-93
Leopardi
Le ricordanze: “ascoltando il
canto/della rana rimota alla campagna” 12-13-
In
Teocrito, Le Talisie la rana canta thlovqen 140, da
lontano
CONTINUA
[3] Dove Aschenbach invece non paga il
gondoliere ribaltando il paradigma mitico
[5] Un poeta
ditirambografo che viene sbeffeggiato con lazzi in quanto incredibilmente
magro. Nel 400 si adoperò per fare togliere il coro alla commedia.
Infatti
nelle Ecclesiazuse del 391 il coro
non partecipa all’azione ma canta ejmbovlima, intermezzi lirici tra scena e scena.
Anche nel Pluto del 388 manca la
parabasi
[7] Nella Medea di Euripide il Coro nel III
Stasimo canta beati gli Erettidi ajei; dia; lamprotavtou baivnonteς aJbrw'ς aijqevroς, che vanno
sempre attraverso un etere luminosissimo deliziosamente.
Nell’Inferno, Dante dice a Brunetto Latini:
“Là su di sopra, in la vita serena/rispuos’io lui, “mi smarri’ in una
valle/avanti che l’età mia fosse piena” (XV, 49-51)
Giovanna Tocco
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