Eschilo dice che ora i ricchi si
coprono di stracci per non sottoporsi alle leitourgivai (servizio pubblico) in particolare
l’onerosa
trihrarciva,
l’equipaggiamento di una nave da guerra.
Dioniso aggiunge che piangono e
dicono di essere poveri poi mangiano pesci che sono cari e sotto i cenci hanno
lana pesante.
Ancora Eschilo: poi hai insegnato a
essere ciarlieri, cosa che ha vuotato le palestre e ha logorato le chiappe (ta; ς puga; ς ejnevtriyen) di
questi giovani. Hai insegnato perfino l’insubordinazione ai marinai. Quando ero
vivo io si limitavano a chiedere la pagnotta ma'zan kalevsai e dire rJuppapai'.
Nei Cavalieri il Coro dice: nessuno dei nostri padri contò i nemici e
noi riteniamo che si debba combattere proi'ka (577) gratis”. Vengono lodati
anche i cavalli i quali addirittura remavano gridando iJppapai' (602). E
invece di erba medica mangiavano i granchi h[sqion de; tou; ς pagouvrouς ajnti; poivaς mhdikh'ς (606)
Anche Dioniso nota l’indisciplina
dei marinai che rispondono e non remano più.
Eschilo allora rincara la dose: Eur
ha messo in scena proagwgouvς, ruffiane (vedi la nutrice di Fedra) e donne che
partoriscono nei templi (Auge madre di Telefo nell’Auge; Creusa nello Ione) o
sorelle che si accoppiano con i fratelli come Canace e Macareo o dicono che
vivere non è vivere (Frisso). Così la
città si è riempita di sottosegretari (uJpogrammatevwn ajnemestwvqh-ajnamestovw, 1084), burocrati,
e di buffoni scimmie del popolo (kai; bwmolovcwn dhmopiqhvkwn, 1085), che
lo ingannano e nessuno corre più con la fiaccola uJp j ajgumnasivaς, per mancanza di esercizio.
Dioniso ha visto uno alle Panatenee
che correva braduvς, kuvyaς, leukovς, pivwn, lento, curvo,
bianco, grasso e rimaneva sempre indietro (uJpoleipovmenoς), pur dandosi da fare. Il
pubblico del Ceramico sulle porte gli dava delle pacche su ventre, reni sedere,
e lui scorreggiando di nascosto (uJpoperdovmenoς) soffiava sulla fiaccola e se la svignava.
Sono finiti dunque la ginnastica l’agonismo e l’atletismo (1090)
Il coro dice che è difficile
decidere. E invita i contendenti a continuare senza temere che gli spettatori
per ignoranza (ajmaqiva,
1109)
non capiscano le loro sottigliezze leptav. Le loro nature già eccellenti fuvseiς kravtistai si sono
affinate parhkovnhntai[1]. Dunque
procedete poiché gli spettatori sono sapienti. Una prospettiva sicura.
Euripide dunque dice che il rivale
è ajsafhvς, oscuro
nella esposizione dei fatti. Quindi chiede a Esch di recitare un prologo
Esch cita i primi 3 versi delle sue
Coefore con l’invocazione a Ermes
ctonio di Oreste tornato ad Argo.
Eur dice che contengono venti
errori per verso ei[kosin aJmartivaς (1131)
Poi ne nota uno sottilizzando, e
Dioniso gli dà ragione
Es allora gli dice che ha bevuto
del vinaccio che non odora di fiori 1150.
I Greci aromatizzavano il vino con
vari fiori come oggi con la resina di pino.
Poi Euripide sottolinea una dilogiva, la
ripetizione di un solo concetto con 2 sinonimi: h{kw ga; r ej" gh'n thvnde kai; katevrcomai (Rane, 1128, v. 3 delle Coefore di Eschilo), sono giunto a
questa terra e ci torno. Euripide sostiene che è la stessa cosa giungere e
ritornare. Eschilo lo nega.
Quindi Euripide reciterà un suo
prologo e farà vedere che non ci sono zeppe, parole riempitive, non
giustificate.
Parte dalla sua Antigone che inizia affermando Edipo
prima era un uomo felice (eujdaivmwn)
Dioniso controbatte che invece era kakodaivmwn fuvsei, disgraziato
per natura. Era condannato già prima di nascere.
Eur recita il verso 2 che qualifica
Edipo ei\t
j
ajqliwvtatoς brotw'n, poi il
più disgraziato, rilevando il capovolgimento a farmakovς.
Es replica che Edipo è sempre stato
infelice: appena nato, d’inverno, lo esposero in un coccio (ejn ojstravkw/), poi oijdw'n tw; povde, gonfio
nei piedi, andò da Polibo, poi da giovane sposò una vecchia e[peita grau'n e[ghmen
aujto; ς w]n neovς (1193)
che per giunta era sua madre e alla fine ejxetuvflwsen auJtovn, si
acciecò.
Dioniso ironicamente dice sì felice
come gli strateghi delle Arginuse (che dopo la vittoria vennero condannati a
morte a furor di popolo).
Esch dice che basta un lhkuvqion, un’ampollina
per distruggere i prologhi di Euripide. Prologhi composti in modo che dentro
può starci tutto: una pelliccetta, una boccetta, una borsetta, 1200
Euripide recita tre versi di suoi
prologhi, ed Eschilo mette la zeppa lhkuvqion ajpwvlesen perse la
boccetta.
Il terzo verso dalla Stenebea dice oujk e[stin o{stiς pavnt janh; r
eujdaimonei', 1217 (cfr. Medea
1228-1230), se nato bene non ha vita, se in umil sorte…
Es: perse la boccetta
Poi dal Frisso: Cadmo figlio di Agenore, lasciata Sidone un giorno
Es perse la boccetta. - Frisso è il
ragazzo che arrivò nella Colchide sull’ariete dal vello d’oro
Quindi Euripide cita il primo verso
dell’Ifigenia in Tauride
Pevloy oJ Tantavleioς ejς Pi'san molw; n (1)
qoai'sin i{ppoiς… (2)
Es: lhkuvqion ajpwvlesen
Dioniso dà a Euripide il consiglio
di comprare la boccetta ma il drammaturgo insiste con il Meleagro e la Melanippe.
Dioniso insiste dicendo che le
boccette crescono nei prologhi di Euripide come gli orzaioli negli occhi (w[sper ta; su'k [2]j
ejpi; toi'sin ojfqalmoi'ς 1247)
Il Coro a questo punto celebra Es
chiamandolo “il signore Bacchico”to; n bakcei'on a[nakta (1259).
Eur ribatte parodiando l’oscurità
dello stile ampolloso di Eschilo con un’accozzaglia incomprensibile di versi.
Dioniso vuole andare in bagno
poiché con tutti quei travagli dice tw; nefrw; boubwniw' (1280) sono
gonfio nei reni.
Eur continua la parodia della
lirica eschilea inzeppandola con toflattovqrat toflattovqrat tra un
verso e l’altro, trallalallera, trallalallà. Denuncia l’uniformità ritmica di
Eschilo.
Eschilo risponde che non voleva
cogliere i fiori dallo stesso prato di Frinico sacro alle Muse. (I poeti sono
api, la loro opera miele)
Eur invece, continua il rivale, raccatta
da tutto: dalle puttanelle (ajpo; pornidivwn, 1301) dagli scòli-canti
conviviali- di Melèto (l’accusatore di Socrate che fu anche poeta tragico), dalle
melodie carie per flauti ajpo; qrhvnwn, dai canti funebri e da quelli
conviviali (skolivwn[4]).
Es chiede prima la lira per
parodiare il rivale, poi dice che per quella roba basta una che batta le
nacchere da sola (pou' jstin hJ toi'" ojstravkoi" au{th krotou'sa; (1305).
Chiama la Musa
di Euripide ed entra una fanciulla nuda di cui Dioniso dice che una volta non
faceva la lesbica oujk ejlesbivazen, ou[ (1307), nel senso che la musa di Euripide
è una puttanella eterosessuale.
CONTINUA
Nessun commento:
Posta un commento