Ulisse travestito da mendicante di fronte a Penelope rilievo in terracotta proveniente da Milo |
Tornamo alla poesia civilizzatrice di Eschilo
Museo ha insegnato le cure delle malattie (ejxakevseiς novswn)
e gli oracoli (crhsmouvς), Esiodo gh'ς
ejrgasivaς, i lavori della terra, le stagioni dei frutti karpw'n w{raς (1034) e le arature, Omero
gli schieramenti, il valore guerresco e gli armamenti degli eroi (tavxeiς
ajretavς oJplivseiς ajndrw'n).
Insomma la poesia come educatrice e civilizzatrice.
Orazio nell’Ars poetica scrive:
“silvestris homines sacer
interpresque deorum
Caedibus et victu foedo deterruit Orpheus
Dictus ob hoc lenire tigris rabidosque leones
Dictus et Amphion, Thebanae conditor urbis,
Saxa movere sono testudinis et
prece blanda
ducere quo vellet. Fuit haec
sapientia quondam,
publica privatis secernere, sacra
profanis,
concubitu prohibere vago, dare
iura maritis,
Oppida moliri, leges incidere
ligno.
Sic honor et nomen divinis vatibus atque
Carminibus venit. post hos insignis Homerus
Tyrtaeusque mares animos in
Martia bella
Versibus exacuit: dictae per
carmina sortes,
et vitae mostrata via est, et
gratia regum
Pieriis temptata modis, ludusque
repertus
Et longorum operum finis, ne
forte pudori
Sit tibi Musa lyrae sollers et
cantor Apollo (391-407)
Gli uomini delle selve distolse dalle stragi e dal cibo orrendo il
santo e interprete degli dèi Orfeo, detto per questo che ammansiva le tigri e i
rabbiosi leoni.
Si disse anche di Anfione, fondatore
della città di Tebe, che muoveva le pietre con il suono della cetra e con dolce
preghiera le conduceva dove volesse. Fu questa un tempo la sapienza: separare
il pubblico dal privato, il sacro dal profano, distogliere dagli accoppiamenti
sregolati, imporre i doveri ai coniugi, e fondare città, incidere le leggi nel
legno. Così l’onore e la fama giunse ai divini poeti e alla poesia. Dopo questi
si distingue Omero e Tirteo con i versi stimolò il coraggio virile alle guerre
di Marte: gli oracoli vennero dati in versi, e fu mostrata la via della vita, e
il favore dei re fu cercato con le melodie delle Pieridi e si inventò la festa
culturale e la pausa delle lunghe fatiche. Allora non accada che ti sia di
vergogna la Musa
abile nella lira e Apollo cantore.
Foscolo I Sepolcri 9-. 96
“Dal dì che nozze e tribunali ed
are
Diero alle umane belve esser
pietose
Di sé stesse e d’altrui, toglieno i
vivi
All’etere maligno ed alle fere
I miserandi avanzi che Natura
Con veci alterne a sensi altri
destina”
228-229
Me ad evocar gli eroi chiamin le
Muse
Del mortale pensiero animatrici
In Le Grazie sono le Chariti a incivilire i
figli della terra duellanti a predarsi.
E i vincitori d’umane carni
s’imbandian convito.
Videro il cocchio e misero un
ruggito,
palleggiando la clava”.
Eschilo menziona Lavmacoς h{rwς tra i
guerrieri educati da lui. Forse è una palinodia rispetto al sbeffeggiamento di
Lamaco negli Acarnesi e nella Pace. Lamaco era morto in Sicilia nel
413.
Eschilo poi si vanta di non avere
creato Fedre e Stenebèe povrnaς, né mai un’ ejrw'san gunai'ka (1043)
Manzoni nel Fermo e Lucia (1823) scrive “di amore ce n’è seicento volte di più
di quanto sia necessario alla conservazione della nostra riverita specie. Io
stimo dunque opera impudente l’andarlo fomentando con gli scritti. Non si deve
scrivere di amore in modo da far consentire l’animo di chi legge a questa
passione”.
Euripide ribatte: “certo, in te non
c’era nulla di Afrodite”.
Eschilo: mhde; g j ejpeivh (1045), non
sia mai. Su te e sui tuoi invece si è buttata di peso, tanto da distruggerti[1].
Alla dea Afrodite che, fin dal
primo verso[2] dell'Ippolito di Euripide, si presenta come divinità possente e non
senza fama, la nutrice di Fedra attribuisce una forza d'urto ineluttabile: "
Kuvpri"
ga; r ouj forhto; n h]n pollh; rJuh'/-revw" (v. 443), Cipride infatti
non è sostenibile quando si avventa con tutta la forza.
Dioniso gli fa: tu stesso sei stato
colpito (aujto;
ς ejplhvghς) da
quello che hai creato per delle altre.
Eur: che male fanno le mie Stenebee?
Esch: hai spinto donne oneste mogli
di onesti ad avventure con i tuoi Bellerofonti che le ha portate a kwvneia pivnein (1051), bere
cicute
La storia di Fedra è reale dice Euripide
Ed Esch: sì ma il poeta il male
deve nasconderlo ajll jajpokruvptein crh; to; ponhro; n to; n ge poihthvn 1053, non
metterlo in scena.
Ai bambini insegna il maestro, agli adulti il
poeta.
E noi dobbiamo assolutamente dire
cose oneste (crhsta;
levgein).
Euripide: e tu che vieni con i
Licabetti[3] (m. 277)
e le altezze del Parnaso[4], mentre
bisognerebbe parlare da uomini fravzein ajnqrwpeivwς (1057) non con parole pesanti
come montagne!
Eschilo: concetti e pensieri grandi
devono partorire parole grandi 1059
Tu invece hai vestito di cenci (rJavkia) i re perché
diventassero oggetto di compassione (ejleinoiv).
Invero il travestimento cencioso si
trova già in Omero (Odissea IV, 244
ss.) dove Odisseo si trasforma in pezzente e si ferisce anche, per introdursi a
Troia, secondo il racconto fatto da Elena.
Euripide scrisse il Telefo con il re di Misia che si
traveste da mendicante.
CONTINUA
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