Tonio Kröger di Rolf Thiele |
Tonio va al nord fino a Copenaghen, al Tivoli dove vede
occhi azzurri e capelli biondi, mentre lui aveva preso dalla madre un viso dal
taglio meridionale e aveva i lineamenti già profondamente marcati. E si reca in
riva al mare di fronte alla costa svedese dove vede le immagini di Hans ardito
e ben fatto e di Inge, la bionda Inge che rideva in modo petulante, gettava il
capo da un lato e sollevava alla nuca una mano da ragazzina, nulla di
eccezionalmente bello, nulla di eccezionalmente fine (VIII).
Claudia attraversava la sala: una ragazza di statura media
con sweater bianco (ampio pullover sportivo di lana pesante), gonna colorata e
capelli biondo rossicci raccolti in trecce avvolti intorno alla testa. Si
muoveva con passo curiosamente morbido e sinuoso e il capo un poco proteso in
avanti. Si diresse al tavolo dei Russi buoni tenendo una mano nella tasca della
giacca di lana e portando l’altra alla nuca per sostenere e ravvivare i capelli,
Hans osservò la mano: “aveva un che di primitivo e infantile come la mano di
una scolaretta, le unghie tagliate alla bell’e meglio e ai lati la pelle
irruvidita come se avesse avuto il vizietto di rosicchiarle
(La montagna incantata, III Ma certo una donna! ).
Non donne rifatte sui romanzi dunque, cfr, l’invettiva di
Ippolito che considera la saccente pessima tra le donne:
“E' più facile per quello con il quale si è
messa in casa una nullità, che del resto è una donna inutile per la stoltezza. La
saccente poi la detesto - sofh; n de; misw' - 640; che
non stia in casa con me una donna la quale pensi più di quanto a una donna
convenga. Infatti l'operare malvagio Cipride lo fa nascere più nelle saccenti”
Quindi Tonio sente la nostalgia e pensa che ha sempre
lavorato per loro. Avrebbe voluto essere come loro, sposare Inge e avere un
figlio come Hans, vivere e amare in letizia, libero dalla maledizione del
conoscere e dal tormento creativo.
Lui però si era
sviato e doveva danzare la danza dei coltelli dell’arte invece di vivere con
gioia. Scrive a Lizaveta e riconosce che lui era un borghese sviatosi nell’arte
un artista con rimorsi di coscienza. Era nato da un padre nordico riflessivo, scrupoloso
e da una madre bella, sensuale, spontanea, indolente e appassionata.
Tonio amava quella madre bruna e focosa che suonava così bene
il pianoforte e il mandolino ed era lieto che ella non si rammaricasse “della
posizione così strana che egli occupava tra gli uomini”
E la sua coscienza
borghese guardava con sospetto il suo essere artista.
Come artista cerco la bellezza, come borghese cerco l’umano.
Un letterato è anche un poeta se ama l’umano e l’ordinario.
E’ necessario l’amore del quale è scritto che chi ne fosse
privo non sarebbe che un rame risonante o un tintinnante cembalo anche se
sapesse parlare tutte le lingue degli uomini e degli angeli. ( jEa; n tai'" glwvssai" tw'n ajnqrwvpwn
lalw' kai; tw'n ajggevlwn, ajgavphn de; mh; e[cw, gevgona calko; " hjcw'n
hj; kuvmbalon ajlalavzon. Paolo I
Lettera ai Corinzi: 13, 1)
(Paolo Lettera I, ai Corinzi, 3, 18): “si quis videtur sapiens esse inter vos in
hoc saeculo, stultus fiat, ut sit sapiens, Sapientia enim huius mundi stultitia
est apud Deum
jH ga; r sofiva tou kovsmou touvtou mwriva para; tw/`` qew/`/ ejstin
“Il mio più fondo e riposto amore va ai biondi, agli
occhiazzurrini, ai luminosamente vivi, ai felici, amabili ordinari”.
T. Mann ripropone
quella unità umanistica di letteratura e borghesia che era stata il centro
dell’età di Goethe.
Il mondo meridionale della madre rappresenta l’estetismo e
la sensualità senza coscienza e lo scrittore in una certa fase è l’esteta
narcisista che ama in se stesso la madre e la madre in se stesso
Il viaggio in Danimarca è il ritorno al mondo ordinato del
padre borghese. In questo senso Tonio è il degno figlio di Thomas Buddenbrook. La
condizione di questa sintesi è la dura disciplina del lavoro quotidiano. Il
vero artista deve rendere un servizio alla società, non limitarsi a
rappresentare la propria umanità deforme.
Goethe il Dichterfürst,
il principe dei poeti della Germania guglielmina è il suo modello.
Goethe quale esponente
dell’età borghese è un saggio atto di una conferenza tenuta il 18 marzo del
1932 a Berlino nella Accademia prussiana delle Arti.
Goethe incarna una Bildung
(die) che riunisce in sé cultura e natura, una sintesi tra arte e scienza. Il
mondo degli zingari dionisiaci nel Meister
è il punto di partenza di una progressione culturale.
In Goethe c’è il culto del tempo che utilizza ogni minuto
come i Seneca
Vindica te tibi et
tempus (…) collige et serva (1, 1) Omnes horas complectĕre (1, 2) Omnia, Lucili,
aliena sunt, tempus tantum nostrum est (1, 4) sera parsimonia in fundo est.
(Seneca, Ep. 1, 5)
Un vecchio che voglia lavorare non può lasciarsi distrarre
per piacere ad altri. Se lo fa, non piacerà affatto ai posteri. Cfr. Seneca: “Secessi non tantum ab hominibus sed a rebus,
et in primis a meis rebus: posterorum negotium ago (Ep. 8, 2)
Ogni superfetazione o esaltazione poetica è aliena dal suo
stile che cerca la più limpida fusione tra Eros e Logos. La parola non è in lui
ampollosa, altisonante, solenne, sacerdotale o patetica.
Lo spirito del reale diceva G. è il vero reale. Il suo
contrasto con Schiller è simile all’opposizione tra la plasticità omerica di
Tolstoi e l’irrealismo apocalittico di Dostoevkij. Chi non congiunge l’estrema
sensibilità a un’eccezionale resistenza sarà esposto a continue malattie. La
vitalità del genio sta in questa sintesi tra sensibilità e resistenza.
La poesia deve offrire sanità e affermazione di vita. Goethe
schernisce la poesia da ospedale dei contemporanei.
Egli vi oppone la poesia tirteica che agguerrisce per
vincere le lotte della vita. I francesi sono dei pedanti poiché non sanno
uscire dalla forma, mentre i tedeschi amano la morte (cfr. Tacito) G. ama la
vita e ama l’ordine, disprezza la stupidità e l’oscurantismo.
La gentaglia umana, scrive nel Meister, nulla teme quanto la
ragione, mentre dovrebbe avere paura della stoltezza. Ho dovuto apprendere la
grandezza con la fatica.
Mann definisce Goethe, Schopenhauer, Wagner e Nietzcshe le stelle
fisse della nostra giovinezza, la coscienza di cui siamo orgogliosi poiché ogni
coscienza di derivazione nello spirito è aristocrazia: l’artista deve avere una
provenienza, deve sapere da dove deriva!
Cfr, Eschilo e Callimaco
La coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si
trova già negli autori antichi: Eschilo[1]
diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}" ta; " auJtou' tragw/diva" temavch ei\nai e[legen
tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[2]);
Callimaco[3]
afferma: "ajmavrturon oujde; n ajeivdw"[4],
non canto nulla che non sia testimoniato
Goethe insegna a
sottrarsi alla roba morta, al fradicio sentimentalismo filisteo per amare
quanto è vivo.
Vero è pure che T. Mann ha scritto che l’artista è abituato
a rappresentare la propria vita in simboli e conduce, come un principe, un’esistenza
simbolica, di rappresentanza. Quidi è triviale ciò che è comune
Nel Tristan del
1903 si chiarisce fino all’esasperazione caricaturale l’opposizione tra sanità
borghese e lo pseudo artista dilettante.
Spinell è un’oggettivazione caricaturale della malattia
della decadenza, il puro pseudo artista buffone e ciarlatano, mentre la sanità
borghese, anche troppo sana, trionfa alla fine nel faccione rubicondo del piccolo
Klöterjahn. Spinell denigra il marito sano della donna tisica come ghiottone
plebeo, Ercole da fiera e il figlio creatura nerboruta e sciocca dal normale
funzionamento amusuicale; mentre l’uomo sano squalifica il finto artista come
tartufo bislacco (matto).
L’Ercole ghiottone si trova nella commedia Busiride di Epicarmo e nell’Alcesti di Euripide. In questa tragedia
il ghiottone Ercole salva la vita di Alcesti che il marito ospitale e
beneeducato aveva mandato a morire in vece sua
Tristano è ambientato in un sanatorio “La quiete”. Spinell è
pure chiamato poppante putrefatto.
Bologna 29 ottbre giovanni ghiselli
FINE
Giovanna Tocco
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