Ieri sera ho visto il film Anita B, in anteprima al
cinema Barberini di Roma.
Uscirà nelle altre sale tra un paio di giorni.
Rispetto al libro di Edith Bruck, Quanta stella c’è nel cielo, Faenza ha attenuato qualche urlo
tragico. Eli, per esempio, è meno cinico e farabutto nel film che nel romanzo. Anita, la ragazza eponima e protagonista, è interpretata
magnificamente da un’attrice molto brava, espressiva, significativa; con la
luce dei suoi occhi e di tutto il volto illumina anche le oscurità degli altri
personaggi e delle stagioni più dolenti. Alcune scene sono di invenzione del
regista e servono appunto a mitigare la cupa drammaticità di certe parti della
storia. Molto bello sono il canto e la danza corale guidati da Moni Ovadia.
Tutti ballano e intonano: “Quando canta il rabbino cantano tutti, quando danza
il rabbino danzano tutti”. In questa coralità scompaiono gli egoismi, le
meschinità e i dolori dei singoli personaggi.
La
compagna di lavoro e amica di Anita del libro è sostituita nel film da un
ragazzo, innamorato di lei. E’ difficile non provare amore per un personaggio
del genere, soprattutto se reso da un’attrice davvero dotata di talento
recitativo come Elin Powell. Lo scrissi nel primo intervento su questo film del
quale allora avevo solo letto la trama: Anita mi fa pensare ad Antigone di cui
Shelley scrisse: “Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono
innamorati di un'Antigone: ecco perché non troveranno mai completa
soddisfazione in un legame mortale!”
Anita
è assimilabile ad Antigone anche per il suo coraggio nel non rinnegare il
proprio passato, per la volontà di capirlo, poi per la tenacia nel difendere e
conservare la propria identità.
Alla
fine del film, la ragazza domanda come possano odiarsi tra loro Ebrei e Arabi
che discendono tutti da Abramo e sono quindi fratelli.
Le
viene risposto che a volte anche i fratelli si odiano. Ebbene, questo film di
Faenza è un invito a deporre l’odio, a
sostituirlo con l’amore, a non lasciarsi prendere dallo sconforto, dal
pessimismo da cinismo come fa Eli, ma a lottare perché prevalga la comprensione e l’amore per la
vita, la fiducia nella vita. Ce lo insegna la ragazzina Anita, curandoci
l’anima. Queste le ultime parole dell’adolescente incinta salita su un camion
che la porterà a Gerusalemme: “Sono contenta perché viaggio verso il passato
con un solo bagaglio, il futuro”.
Il
passato, la sua comprensione, infatti non deve essere una zavorra nel nostro
viaggiare verso il futuro ma un viatico che
renda più consapevole e quindi agevole il percorso, comunque difficile e
bello.
Il
cinena Barberini era pieno. C’era il regista, Edith Bruck, gli attori e tanti
giovani che, come noi vecchi del resto, hanno molto da imparare vedendo questo
il film e leggendo il libro da cui è tratto, libera mente.
giovanni
ghiselli
Bel commento e vero il messaggio di Faenza, uomo peraltro semplicissimo e sorridente che al di là delle accuse di buonismo voleva lanciare quel messaggio e secondo me ci è riuscito senza leziosità e grazie alla grande espressività della giovane attrice!
RispondiEliminaMaddalena