Casablanca. Gli straccioni mentali, i
pezzenti pazzi. I 4 aprile del 1979, del 1980 e del 1981. Lo scambio
dei biglietti amorosi. Una gran confusione.
Il pomeriggio del primo aprile 1981 aggiunsi un filo alla brevetela della mia vita studiando lo Zibaldone
per fare lezione alla abilitanda. Dopo cena andammo a vedere Casablanca in un cineclub. La piccola sala era gremita di
giovani che mi fecero venire l'angoscia. La maggior parte
constava di straccioni mentali: gente priva di lovgo"[1]
e di
quel pathos intelligente che è un elemento della ragione.
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Quei beceri comunicavano a furia di spinte,
di urli, di rutti, di parole e luoghi comuni triviali. Riaccompagnando
Ifigenia a casa dissi: "Mi strazia vedere gioventù fatta di tali mostri
tristi e violenti.
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L'afasia iraconda di questi pezzenti pazzi
prelude a tempi bui, forse a una tirannide dell'incultura e dell'intrallazzo,
forse ai massacri feroci dell'intolleranza". Quella non capì nulla e
rispose: "Gianni, non fare di nuovo tali discorsi vani; non dire parole
così poco belle; rimani allegro come nei momenti migliori di questi ultimi
giorni!".
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Le promisi che avrei cercato di essere
lieto. A casa però pensavo con tetra malinconia che il mio messaggio
umanistico stava passando di moda: gli adolescenti avrebbero assistito con scetticismo
e distacco sempre maggiore al mio lavoro educativo che coltiva le facoltà del
logos e del pathos, mentre confuta quanti uomini e donne preferiscono vivere
come le belve, proni e obbedienti al ventre sfacciato.
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"Bombardati dalla propaganda antiumana
che li vuole consumatori di prodotti inutili e brutti – riflettevo -, i
ragazzi perdono interesse per la nobiltà dello spirito che mi preme
insegnare. Temo di non riuscire, anche perché non ho una compagna capace e
desiderosa di condividere il mio
impegno quotidiano per arrestare questa immensa degradazione morale e
culturale. Ifigenia anzi vuole inserirsi nel sistema che nega o sperpera
l'anima. Temo che voglia acchiappare il successo attraverso la scorciatoia
dei vizi".
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Mi sentivo minacciato dal caos e circondato
dal nulla. Pensai ancora una volta che per conservare qualcosa dell'ordine
aggredito dal guazzabuglio, dovevo scrivere un grande romanzo che rendesse
significative per molti le vicende di quel periodo di trapasso da una cultura
di altruismo a quella dell'ignoranza fondata sull'egoismo parassitario. Che
ne parlassi a Ifigenia oramai non aveva più senso: quella era affamata di
rinomanza, denaro e affermazione proprio nel mondo guasto del quale io volevo denunciare il marciume.
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Il 4 aprile temevo la pioggia. Due anni
prima, la ragazza mi aveva insegnato la credenza popolare che se piove quel
giorno poi il tempo rimane cattivo per mesi: si infradicia tutta la primavera
e una parte dell'estate. Nel 1979 piovve. La sera verso il tramonto il cielo
si oscurò a occidente; allora promisi a Ifigenia che con la mia forza mentale
avrei tenuto in rispetto fino a mezzanotte e un
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minuto la canaglia ringhiante delle nuvole
nere. Ma alle dieci la giovane donna telefonò dicendo che suo marito sapeva
tutto di noi; allora la mente, terrorizzata dalla prospettiva di un legame
contrario alla natura mia, e presoffrendo i due anni venturi, crollò: le nubi
dilagarono, si squarciarono, e su Bologna imperversò un diluvio notturno.
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Il 4 aprile del 1980 eravamo a Padova, ospiti di Stefania che faceva una
delle sue scene: beveva, piangeva, rideva, gridava. Una gran confusione.
Piovve a dirotto. L'aria fu irritata dal tuono e da
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una convulsione di venti selvaggi.
Balenavano le spire infuocate dei fulmini, e i turbini facevano girare la
polvere[2] . In effetti le primavere seguenti furono mézze.
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Il 4 aprile del 1981 lei era andata a
Verona, in gita scolastica con i suoi allievi. Il cielo si oscurò ma non
piovve. "Presagio di estate felice", pensai. Il 6 arrivò una cartolina. C'era scritta una
banalità che mi fece piacere: "Mi manchi tanto, ci vediamo
tra poche ore. Ifigenia". Prima di partire era passata da
casa mia, senza trovarmi, siccome ero a Pesaro. Le avevo lasciato un biglietto:
"Cara cocca, scusa se vado via
così inopinatato e misterioso, ma la zia Tina, come Geronimo, è impazzita di
nuovo[3]
. Ieri ho pensato ogni bene di te. Se ne hai voglia, allenati con la
bicicletta: così, presto ci
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andremo
insieme. Ciao amore. Gianni.
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Al ritorno avevo trovato un messaggio suo: "Caro amore mio, ti ringrazio di tutto,
della tua ospitalità e del resto. Mi dispiace moltissimo non vederti questa
sera. Comunque domani, se è una
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bella
giornata, andiamo a scuola in bici, oppure ci troviamo dai Greci. Oggi mi sei
mancato molto, molto, ma con tranquillità. Sono tanto felice di amarti così,
e voglio darti il meglio di me stessa. Ti adoro tesoro. Ciao. Ifigenia
".
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Da queste parole sembra che ci amassimo,
che ci volessimo bene, che ne fossimo sicuri. Invece una gran confusione.
"L'eco del tuono mugghia, le spire del fulmine balenano ardenti, i
turbini fanno girare la polvere, le onde del mare con aspro frastuono confondono
i cammini degli astri. O memoria, o culto della mia donna, vedi che, a torto
o a ragione, io soffro"[4] .
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giovanni ghiselli
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Il 31 gennaio questo blog compirà un anno. Gli auguro di
continuare così.
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