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martedì 21 gennaio 2014

La scuola corrotta nel paese guasto. VII capitolo, terza parte



Bagno Vignoni

La gita scolastica a Bagno Vignoni. Avere qualcosa soltanto per sé non basta.Perché dalla putredine rinasca la vita[1]. L'attentato al guitto dai capelli tinti. Il biglietto confortante.

Il 30 marzo andai nel senese in gita scolastica con la mia quarta ginnasio. Osservavo gli allievi con occhio sano, cioé senza volere nulla in cambio della simpatia che provavo per loro. Quando fummo entrati in un convento, un vecchio frate mi venne vicino e mi parlò sottovoce: disse che detestava prima di tutti i confratelli, poi i Toscani in generale, e infine tutta l'umanità. Ne parlava con odio convinto.
"Haud proinde in crimine incendii quam  odio humani generis convicti sunt."[2] Appena il maledicente si fu allontanato, si avvicinò un secondo religioso per  consigliarmi di non dare importanza a quanto aveva detto l'altro: era noto come "fra' pazzo".
Pernottammo in un albergo isolato in mezzo alla campagna fiorita e affumicata da un vapore caldo che emanava da una vasca termale. Lo strano posto si chiama Bagno Vignoni. Sembrava una notte afosa di estate matura. Prima di cena i ragazzini correvano intorno alla piscina fumosa sparendo e riapparendo con lieto rumore tra le nuvole nate dall'acqua.
Pensavo: "Sono felici di stare insieme poiché hanno qualcosa da dire e da fare in comune: giocare, studiare, contrapporsi agli adulti. In questi ultimi anni è venuta meno una vita politica e culturale. Quando avranno finito il liceo, ciascuno rimarrà solo se allora, nel 1985, non ci sarà stato un rinnovamento in Italia. Si cercheranno un partner per riprodursi, e, dopo la  laurea, intorno al 1990, un impiego, una casa, e altre cose accessorie. Ma avere qualcosa soltanto per sé non può dare gioia. La vita apolitica, egoista invece che impiegata per il bene comune, non è pienamente umana e non è felice. L'impolitico, diceva Pericle, noi lo consideriamo non tranquillo ma inutile[3] .

Finito il liceo Mamiani di Pesaro, io quasi morivo, siccome non sapevo adattarmi a un vivere senza bellezza, generosità, eroismo. Non sopportavo la prospettiva miserrima di  vivacchiare  soltanto per intascare uno stipendio, per spenderlo e per riprodurmi.
Sono stato aiutato dal movimento del ’68, poi  dai miei educatori, gli auctores qui spesso citati che mi hanno autorizzato a diventare me stesso. Se non fossi riuscito a calarmi, come un attore, nelle storie grandi e meravigliose degli scrittori maestri e amici, sarei imputridito.
La scuola  nella gestione dei più è un'istituzione di tedio e di morte spirituale. Vuole allevare impiegati utili all’eterno perpetuarsi dei luoghi comuni. La maggior parte dei professori si annoia, riempie di tedio i ragazzi e mortifica le loro anime. Per me insegnare è interessare, ravvivare, educare.
In una fase della mia vita ho trovato più interessante il mio dolore tragico che lo studio mnemonico. Ho indagato me stesso[4], e ho sofferto fino a non poterne più di soffrire, fino a volere studiare per gli alunni migliori i paradigmi e i manuali sì, ma in vista della bellezza di Omero e degli altri accrescitori di vita i quali mi hanno illuminato la strada. Fino a questa splendidissima donna, e, presto spero, al romanzo che mi farà chiamare maestro dai buoni. Per vivere intensamente in mezzo agli uomini bisognerebbe avere uno scopo comune con loro. Così andava nell'Atene di Eschilo, così a Bologna, a Roma, a Praga, a Parigi, a Pechino nel '68". Questo pensavo.

Verso le nove telefonai due volte a Ifigenia. La prima non si sentiva niente; la seconda mi diede l'angoscia.
Dissi: "Oggi mi sei mancata tanto".
"Anche tu mi sei mancato questa mattina".
"Ho capito" feci e la salutai. Pensavo: "Ha detto ‘questa mattina’. Vuol dire che non le sono mancato nel pomeriggio, quando ha visto Gennaro". Sapevo che era stata a lezione di danza.
Uscii dall'albergo, pieno di pena. Sembrava di sentire i grilli e le rane cantare nella campagna fiorita. Invece era lo stridere delle garrule tubature e il gorgoglìo della superficie bollente. Le fanciulle camminavano, i ragazzini si rincorrevano intorno all'acqua dal fiato fumoso. Feci il giro anche io, più volte, aspettando presagi. L'aria di Marzo era calda e appiccicosa come quella di luglio in una città della pianura padana o della puszta ungherese. Mi aspettavo che i fiori durante la notte divenissero frutti maturi, poi marci, che cadessero a terra con tutte le foglie, quindi dalla putredine si rigenerasse la vita, in un volgersi vorticoso delle stagioni, in una ridda frenetica.
Tornato in albergo, sentii dire che avevano sparato al guitto divenuto presidente degli U.S.A. L'avevano solo ferito. "Sarà stato un sicario pagato da un potentato economico e finanziario cui la farsa dell'istrione dai capelli tinti non giova. Se la mia compagna capisse qualcosa di politica, potremmo parlarne. Ma quella pensa soltanto a se stessa. E io penso troppo a lei". Andai a letto accompagnato da questi pensieri, senza conforto.
Passai male anche il secondo giorno di gita. Osservavo la vasca che vomitava sempre fumo rovente. Sulla superficie acquorea sbocciavano, si gonfiavano, si rompevano, poi si riformavano, gorgogliando, a miriadi, le bolle d'aria, come nell'anima mia i pensieri vani. Pochi giorni prima Ifigenia mi aveva detto: "Abbiamo davanti una nebbia che ci oscura il mondo".

La sera, appena arrivato a Bologna, le telefonai. Disse che le ero mancato tanto e che per sentirsi meno lontana da me era stata a casa nostra dove aveva lasciato un messaggio. Corsi subito a
leggerlo. Diceva: "31/3/81. Gianni, ti amo sempre di più e non vedo l'ora di rivederti per poterti baciare e parlare. Ti adoro, tua Ifigenia. Se non ci sentiamo prima, ti auguro una buona notte
e sogni felici ".

Ne trassi qualche conforto.

giovanni ghiselli

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[1] Cfr. Antifonte sofista hj shpedw;;n e[mbio~ gevnoito (I libro della Verità)
[2] Tacito, Annales, XV, 44:  vennero ritenuti colpevoli non tanto del crimine dell'incendio quanto di odio per l'umanità. Si riferisce ai Cristiani condannati dal regime di Nerone dopo l'incendio di Roma del 64 d. C.
[3] Cfr. Tucidide, Storie,  II, 40.
[4] Cfr. Eraclito ejdizhsavmhn ejmewutovn, fr. 126 Diano

1 commento:

  1. forse stiamo tutti diventando impolitici e inutili.se passa la riforma elettorale di R. di sicuro i tuoi ex alunni(compresa me ) sono cittadini inutili.ma siamo ancora cittadini?basta politica,non mi fa bene. Preferisco l'amore e continuo a leggere....ciao. Giovanna

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