Eduardo Barrón, Nerone e Seneca, 1904 |
Breve
stralcio dal corso sui grandi personaggi della Storia antica che terrò per
l’Università Primo Levi di Bologna tutti i sabati dal primo marzo al 7 aprile 2014
Nerone, per assecondare Seneca, nel 58 propose di abolire
le tasse indirette, il che avrebbe danneggiato i cavalieri appaltatori di vectigalia.
Seneca sognava, in realtà, una specie di diarchia
tra gli organi imperiali e il senato: teneret
antiqua munia senatus (Tacito, Annales,
XIII, 4), fu l’essenza del discorso
programmatico di Nerone, conservasse le
sue antiche prerogative il senato.
Ma l’abolizione dei vectigalia era un piano utopistico, più senecano di Seneca, e il
senato lo ridusse a termini ragionevoli.
I vectigalia
erano affidati alle societates equitum
Romanorum (Tacito, Annales, IV,
6) e quindi l’utopia del 58 era antiequestre.
I senatori temevano la tributorum abolitio (Tac. Ann,
XIII, 50), la scomparsa di tutte le tasse, anche di quelle dirette.
I cavalieri erano uomini d’affari, mercanti, usurai,
pubblicani e anche proprietari fondiari. Poi conductores, appaltatori, delle grandi proprietà agricole
imperiali, in concorrenza con i liberti. Una borghesia affaristica e
prepotente, sia pure meno rozza dei liberti arricchiti. Questi erano la sesquiplebe.
Leggiamo alcuni versi della satira di Vittorio Alfieri
intitolata LA SESQUI-PLEBE [1]
1 Avvocati, e Mercanti, e Scribi, e tutti
2 Voi,
che appellarvi osate il Ceto-medio,
3 Proverò
siete il Ceto de' più Brutti.
31 D'ogni Città voi la più prava parte,
32 Rei disertor delle paterne glebe,
33 Vi
appello io dunque in mie veraci carte,
34 Non Medio-ceto, no, ma Sesqui-plebe.
Il senato era contrario alle largizioni monetarie:
Trasea Peto (costretto poi a uccidersi nel 66) propose ne Syracusis spectacula
largius ederentur ( Annales,
XIII, 49), che non si allestissero spettacoli troppo costosi a Siracusa.
Ma gli altri
senatori lo accusarono di occuparsi di inezie.
Il popolo si lamentava della rapacità degli
appaltatori[2] ;
allora dubitavit Nero an cuncta vectigalia omitti iubēret idque pulcherrimum donum generi mortalium daret (Tacito, Annales, XIII, 50), Nerone fu incerto se
abolire tutte le tasse e fare così il dono più bello al genere umano.
Ma “non era
possibile spezzare i presupposti economici dello stato: ancora qualche mese
prima, l’apostolo Paolo-un giudeo romano, che in questo caso capiva i problemi
dell’impero meglio dell’imperatore Nerone o del senatore Seneca-aveva insistito
con i suoi fedeli di Roma…sulla necessità che si corrispondessero allo stato
così le tasse dirette come le indirette”[3].
Paolo scrive la Lettera
ai Romani alla fine del 57 o ai primi del 58. Dice ai cristiani di Roma:
ogni anima sia sottoposta alle autorità superiori: infatti non c’è autorità se
non da Dio: “ouj
ga;r e[stin ejxousiva eij mh; ajpo; Qeou ', non est enim
potestas nisi a deo” (13, 1). Sicché chi si oppone all’autorità si oppone
all’ordinamento di Dio; e quelli che si oppongono saranno puniti. Dovete
obbedire “a chi dovete le tasse (to; tevlo~ “tassa indiretta”, vectīgal), date le tasse; a chi il
timoroso rispetto (to;n fovbon), date il timoroso rispetto; a chi l’onore, date l’onore”.
“Paolo insiste sulla necessità che i Cristiani siano
soggetti alle autorità romane; e formula il concetto, fondamentale nella storia
dell’impero che omnis potestas a deo”.[4]
“Reddite omnibus debita: cui tributum (fovron) tributum (tassa diretta),
cui vectīgal (tevlo~) vectigal (tassa indiretta
), cui timorem timorem, cui honorem honorem” ( 13, 7)
Paolo
gerarchizza tutto in una prospettiva carismatica.
Comunque la plenitudo
legis, l’adempimento della legge è la dilectio:
“Diliges proximum tuum tamquam te ipsum”
(13, 10), amerai il prossimo tuo come te stesso.
Il senato temeva la dissolutionem imperii : “quippe sublatis portoriis sequens ut
tributorum abolitio expostularetur” 13, 50), infatti eliminati i dazi si
sarebbe richiesta l’abolizione delle imposte dirette[5],
tributa
Siamo nel 58. Il progetto viene respinto, e Nerone,
un poco alla volta, passa dalla clementia
alla severitas.
Al momento del suo avvento aveva invocato l’autorità
dei padri ma dopo il primo periodo, il quinquennium
Neronis, il suo obiettivo è quello di domare i senatori e farne dei grandi
servitori dello Stato.
Del resto la composizione del senato stava
cambiando: l’antica nobilitas si
stava estinguendo. Il celibato e la repressione neroniana, nel 69 aveva ridotto
a 13 il numero di senatori che discendevano dalle antiche famiglie. Venivano
rimpiazzati con Italici e provinciali. Il coronamento delle loro carriere erano
i proconsolati d’Africa e d’Asia e la prefettura di Roma.
Giovanni ghiselli
[1] Le satire furono scritte
fra il 1786 e il 1797.
[2] Cfr. Equitalia.
[3] Mazzarino, L’impero
romano I, p. 220.
[4] Mazzarino, L’impero
romano, I, p. 206.
[5] Invece secondo Cizek Nerone voleva imporre le imposte
dirette anche ai cittadini romani che ne erano esentati (p. 122). Ci sarebbe stato un ribasso dei prezzi, gradito alla plebe.
Lo stato senza tasse non può funzionare , ma un eccesso di tasse soffoca il commercio e impedisce la crescita lavorativa di un popolo .Sono esacerbata perché dopo la tares ho pagato l'imu....io vorrei pagare tasse giuste. Acqua ,gas ,luce e benzina sono gravate da tasse pesanti e stanno diventando un bene di lusso...i prezzi dei prodotti alimentari tendono a salire e bisogna fare la spesa nei magazzini più economici dove la qualità non sempre è garantita , bisogna rivolgersi ai prodotti secchi e surgelati più economici dei freschi ,ma meno nutrienti,,,,oltretutto questo comporta un aumento di costo di alcuni prodotti e tagli di carni economici perché ne è aumentata la richiesta....vedi il prezzo della ali di pollo,,,ovviamente questo si riflette in più tasse sui prodotti economici. Lasciateci almeno i soldi per il caffè.Ciao Giovanna
RispondiEliminaoltre a questa ci sono molte analogie tra nerone e silvione che in questi 20 anni ha distrutto totalmente il poco che ha trovato nel '94
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