Ieri sera Roberto Faenza era a Linea notte, l’ultimo TG3 della giornata.
Ha detto che Anita B. è uscito solo in poche sale
poiché i gestori temono che contenga una
geremiade di lamenti già sentiti sulla tragedia dei campi di sterminio. Il
regista ha replicato a tale pregiudizio dicendo che il suo film è un messaggio
di giustizia, di ottimismo e perfino di gioia.
Scrivo questo nuovo pezzo sull’argomento per confermare le
parole di Faenza e aggiungere che la storia di Anita, splendidamente
interpretata dall’attrice Eline Powell, è pure ricca di poesia, che come
sappiamo è madre della storia[1].
D’altra parte la Memoria, che Anita non vuole perdere, che
nessuno deve perdere, è madre delle Muse che le generò con Zeus[2]
nella Pieria, bellissima base
dell’Olimpo[3],
perché portassero sollievo agli affanni di noi mortali. Esse godono delle feste,
e della gioia del canto.
Le nove figlie di
Mnemosine e del padre Cronide
intrecciano belle danze guizzando con agili piedi, e la nostra vita
senza le Muse dalla dolce voce, cioè senza la poesia, è grigia, incolore, se
non addirittura indegna di essere vissuta da parte di noi umani dotati di
parola.
Ebbene, il film di Faenza è opera poetica e invece di infondere affanni, come pensano
pregiudizialmente alcuni che non l’hanno visto, suscita energia morale e
speranza in chi lo vede. La ragazzina
infatti esce maturata e rinforzata dall’esperienza di dolore cui i
nazisti, e le successive circostanze l’hanno sottoposta. Anita non si lascia
togliere la curiosità e la gioia della vita, siccome ha capito dai suoi
carnefici, i vari aguzzini incontrati
dopo la perdita dei genitori nei campi di sterminio, che il male subìto
non deve incistirsi nell’anima facendola
ammalare e morire con nuove formazioni maligne, ma va capito e trasformato in
tanta luce di comprensione. Una luce continuamente irradiata dal volto dell’ottima attrice che la
interpreta. Un volto speciale, specialmente espressivo e significativo. Alle
violenze subite da tanti agenti del male, compreso il suo amante che, dopo averla messa incinta, cerca
di imporle l’aborto, Anita reagisce con l’intelligenza e l’amore del grande
bene che è la vita. Un messaggio del
genere, il bene che si oppone al male e lo supera, si trova più o meno in tutti i film di Faenza, ma
questo ultimo lo presenta con forza particolare. La giovane viene aiutata a
sviluppare il senso del bene che ha dentro di sé da alcune persone buone che
incontra: un compagno di lavoro, la donna che la sottrae alle grinfie del carnefice
che vuole costringerla ad abortire, e il medico che le salva il bambino e le
offre il viatico per il lungo viaggio della speranza in una vita
non sfavorevole a lei e alla sua creatura. L’idea del bene è il fine più
alto di ogni sapere[4]
ma non può svilupparsi in un deserto di persone buone. E’ forte, ma ha bisogno
di aiuto per prevalere.
Non manca una bella scena corale, di canti e di danza, che
spira un sentimento di solidarietà e di identità culturale rafforzata. Il
corifeo è Moni Ovadia il quale, in questo e in altri momenti, aiuta la ragazza
a capire che non deve avere paura, né, tanto meno, vergognarsi della propria
storia di persecuzioni subite.
Queste infatti sono vergognose solo per chi le infligge. Chi
le subisce senza lasciarsi annientare, senza perdere l’amore per la vita, la
gioia di vivere, la volontà di conoscere e fare il bene, può invece esserne
fiero.
Credo che questo bel film vada visto dai giovani poiché ne
possono trarre indicazioni per la loro crescita in termini umani e per
quell’aspetto cruciale del loro sviluppo che è la definizione dell’identità.
giovanni ghiselli
P. S.
Presenterò il film Anita
B. di Faenza il 27 gennaio nel liceo Gianbattista Vico di Corsico
il 4 febbraio nella
biblioteca Scandellara di Bologna.
Faenza ha ragione!
RispondiEliminaE prima di giudicare il film farebbero meglio a vederlo, visto che non contiene alcuna accusa né autocompatimento per la shoah, ma dà uno spaccato verosimile di quel che deve essere stata a quel tempo la ripresa dei "salvati", volendo citare Primo Levi, che dovettero ricostruire la propria vita combattendo per non farsi annientare né dal ricordo né dai sensi di colpa né dal rito colletivo di cancellazione della memoria che comunque vissero un po' tutti, ebrei sopravvissuti compresi.
E' una grande lezione di vita!
Maddalena
Credo che le esperienze della vita maturino le nostre qualità più profonde , chi è buono diviene più buono e chi è cattivo più cattivo. La cancellazione della memoria non si limita alla shoah....trovatemi scuole primarie e secondarie dove si parli di Ustica o di Piazza Fontana o dell'Italicus o di Aldo Moro o della morte accidentale di un anarchico...nessuno vuole ricordare o capire o cercare giustizia. Si va avanti senza seppellire il passato e biancheggiano le ossa sotto l'urlo degli avvoltoi....perché spingere nelle sale cinematografiche una pellicola che è un inno alla memoria e al bisogno di rinascere dalle proprie esperienze più forti e più saldi? Ciao Giovanna
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