Il viaggio in
Baviera. Lo Starnbergersee. Il cigno sul lago. Ricordi di Ludwig II. Il
cammino della pietà. La croce.
Il 17 aprile
partimmo per la Baviera, verso i castelli teatrali[1]
di Ludwig secondo.
Alle sette di sera
arrivammo sullo Starnbergersee, il lago della morte del lunatico re[2].
Mancava mezz'ora al tramonto. Il cielo era tutto sereno e pulito. A mano a
mano che il sole calava, l'aria diventava sempre più fredda.
Prendemmo una
stanza in un buon albergo, sulla costa orientale, distante pochi chilometri
dalla croce metallica piantata accanto alla riva, tra le canne palustri, a
segnare il punto dove il sovrano popolare e
demente annegò in 70 centimetri d'acqua. Dopo avere portato i bagagli nella
camera che aveva una grande finestra sul lago, rïuscimmo, e ci fermammo su un
imbarcadero di legno a osservare l'arrossarsi dell'orizzonte. Non c'erano
barche. Il sole si stava coprendo dietro le alture della riva ulteriore. Un
venticello ghiaccio, di primavera abortita, increspava l'acqua e le penne di
un cigno che rabbrividiva davanti alla sponda deserta.
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Ifigenia disse: "Quell'uccello
è lo spirito del nostro amico affogato nella palude dell'odio. Vero Gianni?
Qui fa tanto freddo".
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Eravamo partiti
nella tarda mattinata con un caldo quasi estivo, credendo di trovare la buona
stagione anche sullo Starnbergersee, e i Bavaresi in vacanza lacustre, in
costume da bagno. Invece l'aria scorticava la faccia. Tuttavia volli aspettare
il momento dell'annidarsi del dio per rivolgergli una muta preghiera:
"Fai che questo nostro difficile amore possa durare eterno; fammi
scrivere qualche cosa di bello, di grande, di buono. Non lasciarmi morire a quarant'anni
sdentato, ingrassato, sconciato come il monarca desideroso e incapace di
arte". Mi vennero in mente alcune frasi[3]
del sire demente: "Il regalo
più grande che un re possa fare al suo popolo è arricchirgli lo spirito ".
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"Anche io
vorrei potenziare l'anima degli studenti e dei miei futuri lettori",
pensai.
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"Un uomo non vuole essere ridotto al livello di un animale; non sarà
mai appagato dal materialismo".
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Non era un
alienato clinico Ludwig, era estraneo e ostile al mondo borghese.
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Guardavo
Ifigenia. Voleva fare l'attrice. Avrebbe condiviso la sorte della volgare
mima che aveva osato insultare il pudore dicendo al sovrano: "Fare l'amore per noi attori è molto
semplice: basta un
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gesto?". Allora non potevo
saperlo. Speravo di no, anzi, credevo che la mia giovane donna valesse molto più del sesso che offriva.
Andammo a cena. Mangiammo bene, e con gusto, siccome digiuni dalla mattina.
Poi tornammo sulla riva del lago per vedere la croce del re annegato il 13
giugno del 1886. Novantacinque anni
più tardi Ifigenia sarebbe sparita in una palude di degradazione dopo
avere percorso sentieri putridi [4].
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Ma questo devo
raccontarlo più avanti, alla fine della storia.
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Ci incamminammo
per una via sghemba che costeggia la riva orientale. Avevamo stabilito di
andare in pellegrinaggio al luogo della morte per acqua del nostro fisher king[5]
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Percorremmo circa
un chilometro di strada asfaltata, poi questa gira a sinistra salendo su un
colle boscoso e allontanandosi dalla sponda che noi invece volevamo seguire,
attirato dai Mani del
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povero sire. Il
cammino della pietà[6]
era sbarrato da una rete metallica alta e sottile, non facile a scavalcarsi.
Procedevamo lungo l'ostacolo cercandovi un buco per passare di là. Finalmente
lo trovammo. Come in Grecia, sull'autostrada, quattro mesi più tardi, quando
la tragedia oramai si era conclusa nelle acque contaminate della moribonda
Riccione. Oltre la barriera forata c'è un bosco fitto, segnato soltanto da un
esiguo sentiero.
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Gli alberi erano
ancora privi di fronde: la luna, passando tra i rami deformi, faceva cadere a terra una luce incerta che chiazzava di bianco
le foglie cadute là sotto, morte e marcite perché dalla
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putrefazione
risorgesse la vita. L'insieme era inquietante.
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Ifigenia aveva
paura. Sentivo che le tremava la mano. Camminammo in silenzio per dieci
minuti, mentre il sentiero non accennava a calare sul lago; anzi ci stava
portando in direzione della Votivkapelle. "Cappella
perigliosa", secondo la mia intimorita compagna. A un tratto disse: "Torniamo
indietro: qui potrebbero ucciderci".
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"Ma no – ribattei
- chi vuoi che ci faccia del male? Siamo giovani e in buona salute. Poi non
c'è proprio nessuno, a parte Ludwig che ci ama, come noi amiamo lui. Ci
protegge da ogni pericolo. Dai, arriviamo alla croce del nostro amico! Oramai
sarà vicinissima. Siamo venuti qui apposta!"
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"Ma possiamo
tornarci domani mattina con il sole" piagnucolò l'impaurita, cercando di
abbracciarmi per intenerirmi e immobilizzarmi .
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"No - risposi
respingendola con decisione - prima, mangiando, abbiamo deciso che bisognava
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venire alla croce
di notte, per smaltire il cibo, e per espiare i nostri peccati. Dobbiamo
arrivare laggiù: se no è tradimento. Se tu hai cambiato idea, torna indietro
da sola!"
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La ragazza riprese
a seguirmi tacendo. Dopo qualche minuto il sentiero cominciò a scendere, poi,
finalmente, dal bosco nebbioso di nera paura[7], sbucò nella riva, terminando sul grande catino dove dilagava bianchissima
la luce lunare. Tirammo un sospiro di sollievo. Giungemmo davanti alla croce,
a pochi metri da lei. Brillava nel chiarore del cielo e dell'acqua che lo
rifletteva.
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L'apprensione si
dissipò. "Affogare è una bella
morte: non si resta sfigurati!"
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Pregammo lo
spirito inquieto del caro sovrano, per l'amore e per l'arte. Anche lì c'era
un cigno. La sua piccola testa, muovendosi verticalmente, adagio, sembrava
annuire alle nostre richieste.
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Tornammo in albergo.
Cominciò ad annuvolarsi. Facemmo l'amore con qualche difficoltà. Prima di
dormire, mi alzai per osservare l'aria buia e
l'acqua nera, sempre più increspata dal vento. Ricordai che da
ragazzino sognavo di viaggiare con una bella ragazza, di passare giorni nel sole e notti nel
letto con lei. Mi domandai se stessi ancora sognando quel sogno o lo stessi
vivendo, non tanto bello, nella mia vita reale.
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Il cigno
dell'imbarcadero non c'era più. Probabilmente nell'oscurità della notte
lacustre rimaneva quell'unico uccello araldicamente
posato vicino alla croce per non lasciare solo il suo re nel tetro mondo
abbandonato dalla vergine luna e da tutte le stelle, i pensieri d’oro
che la notte manda ai mortali.
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giovanni ghiselli
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[1] Thomas Mann, Doctor Faustus, trad. it. Mondadori,
Milano, 1980, p. 278.
[3] Sono citate, a memoria,
dal film di Visconti Ludwig II.
[4] Cfr. Odissea, XXIV,
10 dove Ermes conduce giù per putridi
sentieri (kat
jeujrwventa kevleuqa) le ombre dei proci
vinti da Ulisse
[5] Re pescatore, è un personaggio della leggena del
Graal.
[6] Cfr. Euripide, Andromaca,
vv. 1125-1126, dove Neottolemo viene lapidato dalla pretaglia delfica quando si reca al santuario per
consultare l'oracolo.
[7] Cfr. Virgilio, Georgiche,
IV, 468: "et caligantem nigra formidine lucum". E' il bosco dove si addentra Orfeo, in cerca della sposa
Euridice.
Quando i sogni dell'infanzia si avverano non sempre li riconosciamo e non sempre sono quello che vorremmo anche da grandi...paragonare i sogni alla realtà è un poco come spegnere le stelle nel cielo. Se da una parte realizzare un sogno è un 'esperienza meravigliosa a volte ci lascia un poco vuoti..come prima di un viaggio quando pieni di dubbi non vorremmo più partire . Realizzare un sogno un poco lo uccide e subito lo si vuole rimpiazzare con un'altra meta,un altro sogno,un altro viaggio. Chissà che non si sia noi stessi il sogno di un bambino....ciao Gio
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