Procedo con il commento del recentissimo libro di Remo Bodei
Immaginare altre vite
Realtà, progetti, desideri. Feltrinelli, Milano, 2013
Vediamo il
paragrafo Eroi anonimi (pp.
114-116)
“anche nel passato
gli eroi anonimi, specie se defunti, sono stati onorati, non però come singoli.
Ad esempio, nel discorso commemorativo per i morti nel primo anno della Guerra
del Peloponneso, Pericle afferma orgogliosamente che gli ateniesi caduti in
combattimento non hanno bisogno di Omero né di qualcuno che procuri piacere con
i suoi discorsi a scapito della verità: è Atene medesima, con le sue conquiste
per terra e per mare, a lasciare con loro un monumento imperituro[1]”
(pp. 114-115)
L’ orazione funebre raffigura Atene così come sarebbe stata
vista per secoli dagli amanti della classicità.
Per esempio, Cicerone scrive “omnium doctrinarum inventrices Athenas” (Orator, I, 4).
E Dante nel Purgatorio chiama Atene la "villa....onde ogni scienza
disfavilla "(XV, 97 e 99).
Nel quadro di Tucidide "lo Stato è una sorta di armonia
eraclitea di opposizioni fondamentali e necessarie, e si regge sulla loro
tensione e sul loro equilibrio. Le opposizioni elasticamente oscillanti tra
produzione diretta e compartecipazione ai prodotti del mondo intero, tra lavoro
e ricreazione, affari e festa, spirito ed ethos, riflessione e attività,
appaiono in un concerto idealmente equilibrato nel quadro periclèo dello
Stato"[2].
Ripeto e sottolineo una frase dell'epitafio poiché mi sembra
emblematica non solo dell'Atene di Pericle ma di tutta la cultura greca, anzi
di tutta la migliore cultura europea:"filokalou'mevn
te ga;r met j eujteleiva" kai;
filosofou'men a[neu malakiva""(II, 40, 1), amiamo il bello con
semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Torno a Bodei: “Con l’avvento delle masse, l’età
contemporanea ha conosciuto altri eroi collettivi della lotta, incarnazioni in
individui (vivi e non morti) di ideali, talvolta fanatici, di impegno politico
e militare: il citoyen della
Rivoluzione francese, il “compagno” della tradizione socialista e comunista, il
“camerata” del fascismo e del nazionalsocialismo. La loro identità, come sempre
accade, non è riducibile a questa sola appartenenza, che è tuttavia quella che
nel loro tempo viene politicamente fatta spiccare sulle altre e a scapito delle
altre” (p. 115)
Segue una ricapitolazione degli eventi che dalla fine del Settecento in avanti hanno
portato centinaia di milioni di persone a trovare un’identità gregaria nella
Nazione, nel Partito o nella Razza.
“Il punto di partenza di queste vicende può essere
simbolicamente fissato al 20 settembre 1792, giorno della battaglia di Valmy,
nel quale-secondo Goethe[3]-si è
aperta una nuova fase nella storia del mondo” (p. 115).
Si tratta della vittoria di uomini “scalzi e male armati” ma
“spinti dalla passione per i nuovi ideali di libertà e di eguaglianza” su
“eserciti regolari molto più numerosi, disciplinati e agguerriti”.
La mia generazione dava un’interpretazione del genere alla
guerra del Vietnam.
Con questa svolta storica “la vera nobiltà appartiene non a chi la eredita per il solo
fatto di nascere, ma a chi la conquista sul campo di battaglia o nell’arena
politica mediante il coraggio, l’abnegazione, la capacità di preparare il
rovesciamento dell’esistente e di legiferare in favore del popolo” (p. 115)
Vediamo il paragrafo
seguente: Emancipare attraverso il
Terrore.
“Liberare il proletariato (la classe operaia e i contadini)
sollevarlo dall’oppressione e dall’umiliazione, è stato il progetto di tutte le
rivoluzioni socialiste e comuniste del Novecento” (p. 116).
Ma si sa che tutte le rivoluzioni si istituzionalizzano e
nell’istituzionalizzarsi quasi sempre degenerano in controrivoluzioni.
Sto pensando anche a quella della mia generazione, alla
rivoluzione culturale del ’68.
“Nell’Unione Sovietica degli anni venti del Novecento il Proletkult (…) esalta il proletariato in
termini estetici e morali, raffigurandolo sfolgorante di bellezza e di forza,
dotato di animo naturalmente generoso e coraggioso, sensibile ai valori della
solidarietà e della cooperazione sociale”.
Più avanti “alle doti dei suoi membri si aggiunge quella di
instancabili lavoratori, che hanno l’eroe eponimo in Aleksej Grigor’evič
Stachanov (p. 116)
Quindi Bodei passa alle utopie. Quelle “tradizionali avevano
lasciato intravedere la felicità e la giustizia in isole remote cui si perviene
per caso o per naufragio. Contenevano però l’avvertenza che la loro perfezione
era irraggiungibile, che si trattava di pietre di paragone per misurare
l’inadeguatezza della situazione storica effettiva rispetto alle aspirazioni
degli uomini”.
Vediamone una, quella dell’ Epodo XVI di Orazio composto
probabilmente dopo che Sesto Pompeo nel 38 a. C. ha ricominciato la sua
guerra sul mare, minacciando di affamare l'Italia. Roma che tanti nemici
esterni non riuscirono a distruggere, prevede cupamente il poeta, "impia perdemus devoti sanguinis aetas "(v.
9), la distruggeremo noi, generazione empia nata da un sangue maledetto, con
riferimento al fratricidio primigenio di Romolo.
Si dovrà volare al di là dei lidi etruschi, verso le isole
felici dell'Oceano. In quei luoghi la terra è generosa, gli animali produttivi,
il clima mite, le donne pudiche, poiché non hanno avuto il cattivo esempio di Medea:"Non huc Argoo[4] contendit remige pinus/neque impudica
Colchis intulit pedem " (vv. 59-60), qua non ha diretto la rotta la
nave con la ciurma di Argo, né la svergognata donna di Colchide vi ha messo
piede.
L'altrove utopico
delle isole beate di Orazio produce pane e vino senza violenza:" Nos manet
Oceanus circumvagus arva beata/Petamus arva divites et insulas,/Reddit ubi
Cererem tellus inarata quotannis/Et imputata floret usque vinea " (Epodi , 16, 41-44), ci attende l'Oceano che gira intorno a campagne
felici, dirigiamoci a quelle campagne e
isole fertili, dove ogni anno la terra dà le messi senza essere arata, e la
vite fiorisce continuamente senza essere potata.
“La svolta, consistente nell’ibridazione tra utopia e
storia, avviene in tappe successive a partire dalla seconda metà del Settecento,
con il romanzo “ucronico” di Louis-Sébastien Mercier L’anno 2440, pubblicato nel 1770, dove la perfezione non è più
posta nello spazio geografico, ma nel tempo, nel futuro.
Una anticipazione di questa “ucronia” si trova nel poema di
Virgilio che proietta l’età dell’oro tanto nel passato remoto del regno di
Saturno quanto nel futuro preconizzato dell’impero di Augusto .
Nell'Eneide la
decadenza delle età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi
delle ricchezze: "Aurea quae
perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic placida populos in pace
regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor[5]
aetas/et belli rabies et amor
successit habendi " (VIII, 324-327), i secoli d'oro di cui si narra
furono sotto quel re[6]: così
reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette l'età
scolorita e la furia di guerra, e l'amore del possesso.
L'età dell'oro , secondo la profezia di
Anchise, ritornerà con Augusto: “ Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet/saecula qui rursus
Latio regnata per arva Saturno quondam" (Eneide VI, vv. 792-793), Cesare Augusto stirpe divina, che
stabilirà di nuovo nel Lazio l'età dell'oro su cui regnò nei campi arati un
tempo Saturno.
Già nel primo libro
del poema Giove profetizza il rinnovamento dei tempi dovuto all’impero e senza fine e alla pace stabiliti da Augusto:
“imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno…mecum fovebit/Romanos rerum dominos
gentemque togatam Aspera tum positis mitescent saecula bellis,/cana Fides et
Vesta, Remo cum fratre Quirinus/iura dabunt; dirae ferro et compagibus
artis/claudentur Belli portae; Furor impius intus/saeva sedens super arma et
centum vinctus aënis/post tergum nodis fremet horridus ore cruento” (Eneide, I, 279 sgg.), ho assegnato un impero senza fine. Anzi la
dura Giunone con me favorirà i Romani signori del mondo e la gente vestita di
toga[7]…allora,
deposte le guerre, diventeranno miti le età feroci, e la Fede veneranda e
Vesta, e, con il fratello Remo, Quirino daranno le leggi; le atroci porte della
guerra verranno chiuse con stretti serrami di ferro; l'empio Furore dentro,
seduto sopra le armi crudeli, e legato dietro la schiena con cento nodi di
bronzo, fremerà orribile nel volto insanguinato.
Un futuro già preannunciato nella la IV Bucolica[8] dove
si legge che sta per iniziare una nuovo
ciclo di età (saeclorum ordo , v. 5) coincidente con la nascita di un puer
(v. 8), con il ritorno di Astrea, la vergine dea della Giustizia ( iam redit et Virgo, v. 6), con la
restaurazione dei Saturnia regna (v. 6), e con l’avvento di una nova
progenies, una stirpe nuova (v. 7) e il cambio che la gens aurea darà a quella ferrea
(v. 8 e v. 9).
Qui c'è l'attesa della seconda età dell'oro, che giungerà
alla perfezione quando il misterioso puer
sarà arrivato all'età virile: allora ogni terra produrrà tutto da sola,
senza subire violenza dall'uomo, le dure querce suderanno roridi mieli, il mare
sarà libero dalle navi, mentre gli animali nocivi periranno, quelli utili
verranno liberati, e, per quanto riguarda la donna-madre ella dovrà
sorridere al puer simbolo della
rinascita, chiunque egli sia. Infatti il bambino privato del sorriso dei
genitori non potrà mai raggiungere l'eccellenza.
Nel Carmen saeculare[9] ” l’età dell’oro è già sulle
soglie del presente.
Orazio celebra il nuovo secolo di
prosperità e virtù morali ritrovate: "Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire
Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[10], già
la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa
tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.
Torniamo a Immaginare
altre vite.
“Le conseguenze, per ora soltanto sul piano
dell’immaginazione, sono enormi. Infatti, se la perfezione e la felicità delle
società umane vengono situate nell’avvenire, ciò significa che possiamo
iniziare già nel presente una lunga marcia di avvicinamento a esse. Questo
spostamento dallo spazio al tempo, dall’utopia all’ucronia, s’intreccia con la
storia enunciata da Rousseau all’inizio dell’Émile
secondo cui l’uomo nasce buono ed è la società che lo
corrompe. I Giacobini ne trarranno la conclusione che, se la società è
corrotta, la colpa non deve più essere attribuita alla natura malvagia
dell’individuo (frenata sotto San Paolo, che scrive sotto Nerone, dalle
autorità che vengono tutte da Dio[11]), ma
alle istituzioni stesse. Solo una rivoluzione politica potrà quindi estirpare
l’ingiustizia e restaurare la primitiva bontà dell’uomo, promuovendone la
felicità.
Si apre così la strada alle rivoluzioni moderne di
ispirazione socialista e comunista, che legano ucronia e storia e pongono la meta finale delle vicende umane nella società
senza classi. Secondo una previsione che pretende di essere scientifica (e non
utopica o cronica), con il raggiungimento di questo traguardo si restaurerà la
bontà originaria dell’uomo, eliminando le ragioni stesse della conflittualità e
dando a ciascuno secondo i suoi bisogni” (Immaginare
altre vite, p. 117).
Questi ideali sono stati seguiti da alcuni personaggi e
molti eroi anonimi con “grandezza e nobiltà”.
Bodei indica come
esempio “il personaggio del detenuto politico Markel Kondrat’ ev, descritto da
Tolstoj in Resurrezione. Un operaio
che cerca per sé e per la sua classe la liberazione e la punizione degli
oppressori attraverso la conoscenza: “Gli spiegarono che la conoscenza dava
tale possibilità, e Kondrat’ ev si dedicò con passione ad acquisire
conoscenze”. Trovato in possesso di libri proibiti lo arrestarono, ma non smise
di acquisire conoscenze: “Adesso studiava il primo volume (del Capitale) di Marx e custodiva quel libro
nel sacco con grande cura, come un tesoro preziosissimo”[12].
Allorché la situazione politica divenne difficile, anche la Rivoluzione russa,
al pari di quella francese, fece ricorso alla violenza istituzionalizzata” (p.
118). Bodei quindi ricorda il Terrore del regime sovietico e alcuni tra
gli orrori del periodo staliniano.
“Nel Terrore si racchiude il mysterium tremendum della politica, il potere di dare la morte in
nome di vere o presunte superiori esigenze di salvezza della comunità in
momenti di emergenza: salus populi
suprema lex esto!” (p. 120).
Nella storia romana troviamo l’esempio di un console, Tito
Manlio Torquato, il quale, durante la
guerra contro i Latini[13] ,
fece giustiziare il proprio figliolo che aveva disobbedito a un ordine, per timore che, qualora la
trasgressione fosse rimasta impunita, la disciplina militare ne sarebbe stata
inficiata.
In questo caso è la disciplina
la suprema lex.
Riporto le parole dell’accusa: “ tu, T. Manli, neque
imperium consulare neque maiestatem patriam veritus, adversus edictum nostrum
extra ordinem in hostem pugnasti, et, quantum in te fuit, disciplinam
militarem, qua stetit ad hanc diem Romana res
solvisti "[14] tu,
Tito Manlio, senza riguardo per il comando dei consoli e per l'autorità
paterna, hai combattuto il nemico contro le nostre disposizioni, fuori dallo
schieramento, e, per quanto è dipeso da te, hai dissolto la disciplina
militare, sulla quale sino ad ora si è fondata la potenza romana.
Più avanti, durante la seconda guerra sannitica (326-304),
il dittatore Lucio Papirio si trova a dover affrontare un fatto analogo: il
maestro della cavalleria Fabio aveva attaccato e sconfitto i nemici contro un
suo ordine, e, quando, su richiesta del condannato appellatosi al popolo, il caso
fu portato a Roma, il dictator disse :
"polluta semel militari disciplina non miles centurionis, non centurio
tribuni, non tribunus legati, non legatus consulis, non magister equitum
dictatoris pareat imperio, nemo hominum, nemo deorum verecundiam habeat.."(VIII,
34), una volta corrotta la disciplina militare, il soldato non obbedirebbe
all'autorità del centurione, il centurione a quella del tribuno, il tribuno al
luogotenente, questo al console, il maestro di cavalleria agli ordini del
dittatore, nessuno avrebbe più rispetto degli uomini, nessuno degli dei.
Questa volta tuttavia
fu trovata una scappatoia: il popolo e i tribuni della plebe chiesero la grazia
supplicando, e il dittatore la concesse senza del resto assolvere il reo: "Non
noxae eximitur Q. Fabius, qui contra edictum imperatoris pugnavit, sed noxae
damnatus donatur populo Romano, donatur tribuniciae potestati precarium non
iustum auxilium ferenti " (VIII, 35), non è sottratto alla colpa Quinto
Fabio, che ha combattuto contro l'ordine del comandante, ma condannato per la
colpa, deve il perdono alle preghiere del popolo romano, deve il perdono alla
potestà tribunizia che gli porta un aiuto di preghiere, non di diritti.
Bodei conclude il paragrafo con la storia atroce relativa a
una donna accusata di essere nemica del popolo “per la sola appartenenza a una
istituzione ecclesiastica, una suora venne arrestata ‘per atteggiamenti
controrivoluzionari e per sabotaggio’ nel 1937. La deportarono a Kolyma, nel
Circolo Artico” dove le inflissero torture raccapriccianti e una fine atroce:
“Non le permisero di dormire. Quando svenne, le versarono addosso dell’acqua
gelida e la obbligarono a rimanere sull’attenti nella pozzanghera. Il ghiaccio
le incollò i piedi alla terra (…) Quella sera le altre donne della squadra
dovettero abbattere il suo corpo con l’ascia. Gli occhi erano ancora aperti”[15]. (Immaginare altre vite, p. 120)
Giovanni Ghiselli
Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/ è arrivato a 129751
[1] Cfr. Tucidide; II,
41.
[2]Jaeger, Paideia , 1, p. 687.
[3] Cfr. J. W. Goethe, Incomincia la novella storia (Campagne in Frankreich), Sellerio,
Palermo 1981, pp. 64-66.
[5] Nell’Oedipus di Seneca la Tebe ammorbata dagli scelera del re è colpita
dall’aridità, dalla siccità e pure dallo scolorimento che significano sterilità
e morte: "Deseruit
amnes humor atque herbas color,/aretque Dirces; tenuis Ismenos fluit,/et tingit
inǒpi nuda vix undā vada "(Oedipus, vv.41-43),
l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce; l'Ismeno
scorre vuoto, e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi. La malattia
toglie umore e colore alla vita prima di annientarla: "Il sole della peste
stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia" A. Camus, La peste, p.
87.
[6] Saturno (cfr. redeunt
Saturnia regna di Bucolica IV, v.
6) che diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium , "his quoniam latuisset tutus in oris
" (Eneide, 8, v. 323), poiché
era rimasto latitante sicuro in queste contrade.
[7] La toga è la divisa del
romano in pace, è "quell'indumento così fortemente marcato, dal punto di
vista dell'identità e dell' "appartenenza" romana, da costituire una
vera e propria "uniforme de la citoyennetè" (. F. Dupont, La vie quotidienne du citoyen romain sous la
république, Hachette, Paris, 1989, p. 290) .La toga costruisce il corpo del
cittadino alla maniera di una veste rituale…". (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 345).
[8] Scritta nel 40 a. C., l’anno del consolato di Asinio
Pollione. Il puer potrebbe essere suo figlio, oppure l’auspicato figlio di
Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano, i quali si sposarono per sancire
l’accordo di Brindisi in quell’anno. Poi nacque una bambina.
[9] Del 17 a. C.
[10] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre
endecasillabi saffici e da un adonio.
[11]
Paolo scrive la Lettera ai Romani
alla fine del 57 o ai primi del 58. Dice ai cristiani di Roma: ogni anima sia
sottoposta alle autorità superiori: infatti non c’è autorità se non da Dio: “ouj ga;r e[stin ejxousiva eij mh; ajpo; Qeou',
non est enim potestas nisi a deo” (13, 1). Sicché chi si oppone all’autorità si
oppone all’ordinamento di Dio; e quelli che si oppongono saranno puniti. Dovete
obbedire “a chi dovete le tasse, date le tasse; a chi il timoroso rispetto,
date il timoroso rispetto; a chi l’onore, date l’onore”…Paolo insiste sulla
necessità che i Cristiani siano soggetti alle autorità romane; e formula il
concetto, fondamentale nella storia dell’impero che omnis potestas a deo”. ( Santo Mazzarino, L’impero romano, I, p. 206).
[12] L. Tolstoj, Resurrezione,
cit., pp. 423-424
[13] 340-338 a. C.
[15] G. Steiner, Proofs
and Three Parables, Faber & Faber Inc. , London 1992, tr. It. Il correttore; Garzanti, Milano 1992, pp. 52-53.
Si veda anche V Šalamov, I racconti di
Kolyma, Einaudi, Torino 1999.
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