Gli appunti presi il 13 e il 14 giugno del 1981. Ripete, in forma grezza, cose già dette. Si può anche saltare.
In questo capitolo trascriverò gli appunti presi la notte della catastrofe e i due giorni seguenti. Intendo copiarli come li trovo, senza rielaborarne la forma né cucire insieme le pezze letterarie, appoggiate tra le parole, fino a farne dei travestimenti, siccome voglio conservare tutto il pathos doloroso che, pur rintuzzato qua e là con l'ironia, mi costrinse comunque a iniziare questo lungo epos arrivato vicino al termine dopo parecchi anni.
Lo concluderò con il racconto della seconda parte del giorno 15 giugno 1981, quando abbozzai la prima pagina. Nel frattempo io sono passato alla parte dei non più giovani, e la ragazza da quella dei più senz'altro, o se vogliamo dei Manes, i buoni: come incarnazione della carne è morta da anni, ma questo lavoro conserverà qualche cosa della nostra storia lontana. Forse, oltre una vicenda amorosa ricca di casi, la mia opera è riuscita a mostrare alcune immagini della dedalica terra, bella e varia come le femmine umane, nonché diversi aspetti significativi della scuola, della società, dei costumi che si andavano sconciando in quegli anni, e magari pure qualche parvenza della provvida, artistica Mente che regge l'universo e tutto porta a buon fine. Anche la tribolata peripezia di un uomo che cerca sempre, siccome vuole capire, e di una ragazza desiderosa di fama e successo; anche la singola vita di una persona qualsiasi, come sono io. Anzi, è proprio per il sentimento di appartenere all'umanità che ho messo a disposizione di tutti questa storia nella quale, credo, ognuno potrà riconoscere qualcosa di sé.
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Sabato 13 giugno 1981, ore due della notte.
Ifigenia è precipitata a capofitto con l'attore famoso. E' andata a cena con
lui, è salita in camera sua, si è sdraiata nel suo letto, l'ha abbracciato, ma
non l'ha baciato. Che cosa vuol dire? Pedicavitne ille eam?[1] Con
il latino evito le parolacce. Il latino è la lingua del pudore.
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Il nostro rapporto effettivamente era stanco
assai. Non si parlava più, non era interessante per nessuno dei due
l'opinione dell'altro. L'idea di passare due giorni con lei mi metteva
addosso il malumore. Non è stata colpa di nessuno: la tensione (tovno")
era caduta ed è bastato un incontro con un altro perché tutto si afflosciasse
(implodesse? No: è una parola orribile, per giunta di moda; la usano i
cretini incolti che vogliono sembrare intelligenti, profondi e di vaste
letture) nella rovina finale. Questa volta non ho i rimpianti della notte del
15 marzo quando, accompagnata lei a casa, mi ritrovai solo nel mio studio
biancheggiante di luna.
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Tutto il senso di noia e stanchezza che mi
pesavano addosso, dipendevano dal rapporto malato con lei. Oramai ci
affaticavamo a vicenda. Se fossimo andati ancora avanti ci saremmo uccisi con
reciproghe piaghe, come i figli di Edipo. Tutto doveva cambiare, anche
nell'eventualità (remota) che dovessimo tornare insieme come prima (cfr. il Gattopardo).
Non facevo più niente con gioia: nemmeno lo sport, o la scuola. Il sole, il
primo fra tutti gli dei, la fiamma che nutre la vita, il santo volto di luce
(Sofocle), lo annebbiavo con la mia angoscia (Kafka). Ho tagliato la striscia
di cuoio dopo due anni e mezzo. Cordone ombelicale che mi legava a Ifigenia.
Una volta era il laccio della gioia del bello.
Cercano di estrarre quel bambino dal
cunicolo. Sono le sei del mattino. La televisione trasmette sempre il salvataggio
mancato di quella creatura.
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Ricordati e giuralo sullo Stige:
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1) Non devi ingrassare, ossia mangia poco e
fai sport in tutte le stagioni.
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2) Devi continuare a studiare.
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3) Devi ricominciare a scrivere.
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Intanto questo è il monologo
dell'abbandonato il 13 giugno del 1981 per un attore famoso. Le beffe della
fortuna hanno accumulato in questo giorno di prima estate gli avvenimenti di
un secolo. L’attore famoso di Pavese era Raf Vallone. Il mio rivale è un po'
meglio a onore del vero. Buon segno: diverrò scrittore più bravo e più letto
di Pavese. Se non altro, non ce l'ho con le donne. Non sto soffrendo troppo:
me l'aspettavo, l'avevo messo in conto. Lei non era tipo generoso e capace di
amare. In un primo tempo la lusingava essere l’amante del professore bravo,
lei due volte colpita con note di biasimo in quanto impreparata, ultimamente le
facevo comodo per l'esame di recitazione.
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Mi usava e non voleva darmi niente in
cambio. Anche il sesso faceva malvolentieri. Pensava di non ricevere una
mercede adeguata. Mercede, sì mercede. Mistofori di Caria e Pezetèri[2]. L'armi, qua l'armi: io solo
combatterò, procomberò sol io[3].
Eppure il primo anno eravamo pazzi di gioia, sott'altra luce che l'usata errando[4]. Il
suo sesso, passer, era vivo nel letto, sull'erba, sulla terra, sul
moscone, in automobile, nei cessi dei treni (questo c’è anche in La città delle donne di Fellini) e dei bar. "Lugete, o Veneres Cupidinesque... passer
mortus est meae puellae"[5].
Anche il gallo è morto: non canterà più coccodì, coccodà[6].
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La via all'insù è durata nove mesi. Dopo
l'estate colei era spiritualmente invecchiata: da leggera, agile e spiritosa,
era diventata goffa, pesante, insicura. Una bellezza fradicia di sciagure (Edipo
re, v.1396.). E il commento a questa tragedia quando lo riprendi in mano?
Una cosa alla volta: ora si va in bicicletta.
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E' mezzogiorno. Sono arrivato a Monghidoro
da dove lei mi telefonò a Moena la prima volta che ci andai da quando eravamo
amanti. Temevo che mi tradisse e pure che
mi si attaccasse pessuma ac divorsa inter se mala[7].
E poi?
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Nella chiesa del paese ho pregato: per lei,
che sia felice, vivat valeatque[8]. Temo però che la sua scarsa razionalità la
porti a fare degli errori in pregiudizio della felicità. Non è del
tutto disonesta[9], dal momento che mi ha
parlato. In ogni caso è debole e superficiale. Le piace provocare, stuzzicare,
creare scene per farsi credere importante; mentre al cuore e all'intelligenza
non dà importanza poiché ella difetta di tali qualità. Poi è carente di immaginazione
come l'amasio di Oscar Wilde (De Profundis). Lo capisti bene quando non ti scrisse a
Debrecen: allora si videro i limiti della persona.
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Tu hai bisogno di una donna morale,
sensibile, intelligente. Di fronte a queste qualità supreme, l'età e
l'aspetto esterno passerebbero in secondo piano.
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E' solo mezzogiorno e trentacinque: il
tempo non passa mai, altro che "fugit
irremeabile tempus"! O era piuttosto "irreparabile"? "Nescio, sed fieri sentio et excrucior"[10].
E' da ieri mattina alle sette che non dormo.
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Non aspettare una telefonata da lei: non
volere vederla, poiché potrebbe incantarti. Evitane la baskaniva,
il fascinum o malìa che dire si voglia. At tu destinatus, obdura[11].
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Starai male per un poco, siccome perdi pur
sempre uno scopo nella vita, ma così ti metti in condizione di trovare
l'AMORE che con lei da due anni non c'era.
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Confronta il viaggio a Marina di Ravenna
del giugno del 1979 con quello di ieri: due anni fa la creatura ti aspettava
emozionata e tremante come un uccellino dopo avere chiesto ai suoi amici di andare
via per trovarsi sola con te al momento dell'incontro che fu un volo nelle
tue braccia, "neosso;"
wJsei; ptevruga" ejspivtnwn ejmav"" (come un uccellino rifugiandoti nelle mie
ali, Euripide,
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Troiane, 751).
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Ieri, a Le Grand Hotel di quella caotica e
babilonica spiaggia è arrivata in ritardo, è corsa dentro quella caverna buia
e affollata di schiavi, come quella platonica, ha bisbigliato qualcosa
nell'orecchio di una, poi ti ha detto, con imbarazzo, reticenze e mezze bugie
che era "stata" con l'eterno istrione. Poveretta! Se penso alla
vitalità prepotente e sana di allora, alle attese di felicità con me, e le confronto
con la stanchezza sudata, con il traguardo mortale raggiunto nella camera
dell'Hotel Savioli, provo pena per lei e dispetto per me.
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Ho visto una rana schiacciata sulla strada
della Futa. Eri tu. Una canzone degli anni cinquanta, o primi anni sessanta
faceva così: "l'altra notte, ho
sognato un villaggio sul fiuuuume." Poi andava avanti finché diceva: "Con un dolce sorriso che alludeva all'amor:
ERI TU ".
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Ma tu eri gonfia di libidine, di stupidità,
di ipocrisia, ed eri pronta a farti calpestare da uno peggiore di te, anche
di me. Intanto il bambino caduto nel pozzo scivolava via dalle mani viscide
dei soccorritori, e moriva.
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Due anni fa, dopo il brindisi con la
passerina, il palpitare affrettato del cuore, i sorrisi e le lacrime di
felicità, andammo sulle sdraie a guardare il cielo; e, anche se dicevamo
sciocchezze, ci ascoltavamo a vicenda perché l'uno era meraviglioso e molto interessante
per l'altro, mentre parlava della stagione bella e dell'amore che ci teneva
insieme. Allora io superavo i pregiudizi della mia generazione disgraziata e
della mia famiglia di gente infelice: il veto alla ragazza non illibata, e
proletaria per giunta. Eppure questi fattori hanno contribuito all'insuccesso
finale. Se io fossi stato il tuo primo uomo probabilmente (e me ne vergogno) avrei
avuto maggiori riguardi per te, e forse anche tu per me; una tua situazione
socio-economica più elevata, avrebbe significato una visione meno depressa
del mondo, altre esperienze di vita, argomenti in comune, e una brama meno
struggente da parte tua di soldi, fama, successo. Questa è la tua vera
miseria.
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Credo che se avrò il coraggio di
accoppiarmi un'altra volta, la prossima donna dovrà essere prima di tutto
intelligente e morale, ma avrò un occhio anche per l'educazione della
persona. A proposito, sai che cosa è morale? Favorire la vita.
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La televisione aspetta la morte di quel
bambino.
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E quando con i tuoi sbaciucchiamenti mi
impedivi di vedere il telegiornale, i film, gli spettacoli teatrali? Mi
stancavi e mi spingevi al vagheggiamento di un'altra. Tu te ne accorgevi e
dicevi, non senza qualche ragione: "Per te è una fortuna tutto
questo!". E siccome io, poco lungimirante, non lo capivo, aggiungevi: "Mi
cercherai, e non mi troverai!".
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Com'è vero!
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Adesso ho tempo abbondante e non so che
farmene.
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Ifigenia ha un limite fondamentale: riesce a
comunicare solo con il sesso; tutta la sua vitalità, tutto il suo genio è
concentrato lì. Non è lei che ha la vagina, è la vagina ad avere lei (Otto Weininger,
Sesso e carattere). Tre anni fa per parlare con me volle venire nel
mio letto; ieri sera, per imparare qualcosa dall'attore famoso, l'ha seguito
in camera. Perché mi devono capitare donne cui prude tanto il sesso? Eppure
io gratto “un bel po', ma proprio un bel po'”, per dirla alla pesarese. Fino
a 71 volte al mese durante il primo anno. E ogni volta dicevamo: “se quest’ è
un accident che dio ne manda cent”[12].
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Devo trovare una donna che abbia qualcosa da
dire fuori dall'alcova. Gli esseri umani sanno parlare. Chi è fuori dal logos
è anche estraneo al pathos[13].
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C'è un cielo grigio e afoso. Spero che mi
telefoni. Eppure so che non devo tornare con lei. Ne verrebbe fuori un
rapporto con tutti i difetti di prima, e un'aggiunta di sadomasochismo.
Questa mattina all'alba, mentre cercavo di addormentarmi, mi veniva in mente
la sua espressione da bambina quando avvicinava il naso a uno dei miei occhi,
me lo faceva chiudere, quindi rideva contenta. Poi diceva: "Tanto, tanto
caro". Pazza, figliola, monella. (Thomas Mann, La montagna incantata).
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Sembra incredibile che la libidine
trasformi una persona così radicalmente: lei, la mia creatura che amavo, pater
ut gnatos diligit , non ut vulgus amicam[14], ieri con aria
dura e imbarazzata, ha evitato il contatto con me siccome ne aveva trovato
uno più prestigioso. Il vecchio trombone soffiando a perdifiato nella sua tartarea
tromba (Tasso), l'ha tratta nel precipizio con sé (Virgilio). I miei suoni
più sommessi sono stati presi per segnali di debolezza e languore. Ha pensato
che non sono un vincente, e tanti saluti!
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In uno sprazzo di ottimistica fiducia, o di
piaggerìa, mi chiese un monologo. L'avevo iniziato così:
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Arrivammo sullo Starnbergersee al
tramonto. Ci fermammo nell'albergo più vicino alla croce di Ludwig. Credevamo
di trovare l'estate poiché eravamo partiti con il caldo, invece il lago si
stava oscurando nel freddo, e un cigno rabbrividiva sull'acqua increspata da
un vento gelido. Pensai allo spirito malato del sire.
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La notte aveva sepolto il cielo con
l'ombra (Eneide, VI). La sala da pranzo era piena di borghesi soddisfatti,
poiché si mangiava bene e il servizio era buono. Parlavamo del
lunatico re, delle sue stravaganze, della sua solitudine immensa, della sua
morte: con simpatia poiché detestava anche lui la canaglia borghese, e con enfasi,
siccome non avevamo altro da dirci.
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Dopo cena camminammo lungo il lago per un
sentiero sprofondato tra grandi alberi ancora spogli ma capaci di oscurare la
luce incerta di una luna tenue. Cercavamo la croce. Avevo paura. La notte
aveva tolto colore alle cose, alla mia pelle e al suo volto. Si sentivano
cagne ululare nell'ombra (Eneide, VI).
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Sotto questo abbozzo, poche sere fa,
scrissi: "ti amo, ti amo". Poi guardai Ifigenia che mi fissava e
rispose: "anche io, tanto!"
Però non è una gran cosa: al massimo può
servirmi come materiale grezzo per un capitolo sul viaggio in Baviera. Ieri,
quando mi ha detto, histrionali studio[15],
che veniva dalla camera di quello, la mia faccia deve avere assunto l'aspetto
di un teschio svigorito (Odissea, XI). Infatti colei mi guardava anche
con pena.
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L'istrione decrepito per una sera potrà
averti parlato di teatro meglio di me, ma le considerazioni che facevamo
insieme osservando e leggendo, non le farai né con lui, né con altri: il nostro
prossimo viaggio in Grecia ci avrebbe suggerito riflessioni e discorsi vivi,
intelligenti; avrebbe offerto dialoghi belli al capolavoro che progettavamo.
Non è poi vero che non si parlava.
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La spinta in avanti che mi hai dato tu, non
l'ho mai ricevuta da nessuna donna. Päivi mi ha motivato "solo" a
studiare. Tu a vivere e a scrivere. Vedo che comincio a farlo con maggiore
obiettività e che il risentimento lascia il posto alla comprensione. Però non
mi devo intenerire troppo: ieri lei mi ha inferto un grossa mazzata nella
testa. Se mi rialzerò sarà merito solo della mia vitalità faustiana, o, detto
in maniera meno letteraria, da gatto randagio.
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Sono a Pesaro al mare, il mare mio. Nel
giugno di due anni fa Ifigenia era a Modena, e io temevo che mi tradisse, o
non mi amasse abbastanza, e spasimavo per una sua telefonata.
Ricordo un giorno che pioveva a dirotto. Veniva giù acqua calda. Ero con Ezio
e Alfredo davanti al cinema Odeon: aspettavamo l'inizio di un film del
festival pesarese. Loro mangiavano pane e salame; io telefonai a casa per avvertire
che non rientravo. Rispose la zia Rina. Disse con disappunto che aveva
chiamato una ragazza, tale Ifigenia. Tripudio. Danza (pirrica? No, meglio
salica) sotto la pioggia che divenne aurea, come quella di Danae; mi
impregnai di gioia solo per quell'avviso di telefonata: vedevo cadere dal
cielo fili d'oro sulla strada e sui tetti della città.
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Rivediamo la scena del Grand Hotel di
Riccione. Ifigenia non c'è e i suoi conoscenti che mi conoscono, mi evitano.
A mezzanotte e un quarto è già chiaro come stanno le cose. Poi lei arriva con
volto scuro, freddo, quasi ostile. Viene dalla camera del famoso il quale
l'ha convinta del fatto che un attore non deve avere identità né morale. E'
roba da piccolo borghesi. Se c'è gente moralisticamente immorale è proprio la
borghesia feroce. "Una classe che non ha esitato a scatenare il
fascismo, il razzismo, la guerra, la disoccupazione"[16].
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I princìpi estetici e morali sono così
assenti dalla vita dei più che la gente, quando ne parla, lo fa per dirne
male o per riderne. Io sto solo perché prendo sul serio sia l'onestà sia la bellezza; che questa sia
mercificabile, quella ridicola, sono luoghi comuni di una lurida
società capovolta: “Mutatus ordo
est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta”, è mutato l'ordine
naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito (Seneca,
Oedipus, vv. vv. 366-367). Ifigenia quando era più morale e voleva
insegnarmi a essere buono, era splendidissima, felice e cominciava a rendere
felice anche me.
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Purtroppo l'ho compreso tardi, quando lei
oramai non lo capiva più, sicché siamo stati quasi sempre sfasati.
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Il mare è ventoso. Non è piacevole starci.
Ma l'aspetto deve tenere, e l'abbronzatura è l'altro grande cosmetico, oltre
la ginnastica di Platone. E’ una delle giornate più lunghe: quasi quanto il
Bloom's
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day[17].
Sto cercando di immaginare la telefonata che farà, se la farà, questa sera alle otto. Starà sulle sue, come
se l'offesa fosse lei. E' la tattica delle donne quando la fanno
grossa all'uomo e, nondimeno, vogliono continuare a sfruttarlo. Sorprendile
una volta con le mutande abbassate, e non te lo perdonano più (Joyce, appunto).
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Ora devi abituarti alla mancanza di lei.
L'abitudine anestetizzerà il dolore (Proust). Eppure quello di oggi non lo
dimenticherò mai; nel ricordo lo accoppierò con le grida di aiuto di Alfredo.
Tanta pena però non deve ricadere su femmine umane innocenti: ricordalo! Non fare come le cretine che odiano
tutti gli uomini, siccome hanno ricevuto dei torti da uno o da dieci o
da cento maschi. Del male che ci siamo fatto a vicenda, siamo responsabili soltanto
noi. Ce n’è stato abbastanza di male! (Ecuba
di Euripide). Devo rendere eterni questi avvenimenti. Assomigliano alla
storia del genere umano: dall'età dell'oro con allegre esplosioni di sperma
quando non esisteva la guerra né la miseria ed eravamo vicini agli dei (Mahabharata),
all'età del ferro, l’era della compiuta peccaminosità (Fiche), nella quale
tutti usano e odiano tutti. Presto gli uomini avranno i capelli bianchi fin dalla
nascita (Esiodo). Devo accrescere
l'intensità delle percezioni di chi mi legge.
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Le tre viole che raccolsi il 15 marzo dunque
erano i tre mesi che ci restavano ancora. E le altre tre? Ancora tre mesi?
Solo se saranno funzionali al romanzo. Quando l'amavo, prendevo i suoi
difetti per altrettanti pregi: l'insicurezza per mitezza, mentre quella è
feroce; la mancanza di profondità per semplicità e naturalezza, mentre è
artefatta quasi fino alla volgarità (cfr. "rozza e affettata" di
Manzoni). Scambiavo i suoi nervi spezzati per sensibilità fine, la sua
disponibilità a fare sesso per sensualità; il disordine mentale e
l'insufficienza dell'educazione per spontaneità. Forse mi aveva colpito anche
una certa somiglianza con mia madre e con mia sorella. All'inizio cercavo di
frequentarla poco, siccome non aveva granché da dire ("non spazia
molto" diceva Fulvio), ma una domenica che non telefonò, sentii una
stretta al cuore. Una necessità ansiosa di vederla (Proust, Swann per
Odette).
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Ma cosa fa ora la disgraziata, randagia
sulla spiaggia babelica? Manca mezz'ora alla sua telefonata: voglio caricarmi
d’ira per non lasciare che mi faccia del male, se mi trova rilassato. Sono
stanco di questa storia caotica. Devo darle una forma e un significato con il
metodo mitico (Eliot) e la rielaborazione letteraria. Ifigenia-Elena di
Troia; Ifigenia-Ifigenia; Ifigenia-Desdemona. Con Menelao, Paride, Achille,
Agamennone, Otello. "Your wife, my lord;
your true and loyal wife"[18].
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Qui sulla spiaggia ventosa un giorno del
luglio del '79 vennero Danilo e la moglie da Romano di Ezzelino. Ho le foto. Ifigenia
è una bellezza; Danilo è ubriaco perfino in fotografia. "Bevevano i nostri padri? bevevano le
nostre madri? E noi che figli siamo beviam beviam beviamo! ".
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Si rovinerà quel ragazzo, ma non con le
donne. Ma quali ragazzi? Ci stiamo avviando ai quaranta, l'età cupa dei vinti
(Gozzano? Sì). Poi la vecchiaia, "l'orrida vecchiaia dai denti finti e
dai capelli tinti", sempre Gozzano. La casta Susanna (Ifigenia, si fa
per dire) in mezzo ai vecchioni aveva addosso qualcosa di primitivo e di
bello: una pelle di cerbiatto. Danilo era ubriaco fradicio, eppure sbavava
per lei: "che bea putèa, cara
da dio!". Io pure, dentro di me, sebbene avessi un'aria quasi compunta.
Gesuita, pretificato istrione! (Joyce).
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Ieri la ragazza era una calcolatrice
spietata. Ha perso, o non ha mai avuto, la primitività, dote che nell'arte
dei commedianti è decisiva (T. Mann, Doctor Faustus). Al telefono
cercherà di blandirmi per farsi aiutare a preparare l'esame. "Quanto sei
bello, quanto sei buono, morale e ottimo a scrivere: bravo! bravo! arcibravo!"[19].
Vada a dirlo al guitto prometeico; si faccia aiutare da quel titano sfuggito
alla scitica rupe! "Faccia il nostro grande attore, grande attrice pure
te!”[20].
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Diventerà morale quando sarà del tutto
infelice, se non è del tutto scema. Manca
mezz'ora. Vado a casa.
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Mancano dieci minuti. Sono molto innamorato
e infelice. Potremmo rimetterci insieme se lei dicesse che ieri sera non è tornata da lui siccome ama me. Dio
fai che sia così. Io amo quella ragazza con tutti i suoi difetti, e lei ama
me nonostante tutto. Le otto meno quattro. Il sole si è nascosto da poco
dietro uno spigolo del tetto della casa di fronte. Ora salgo con i piedi sul
tavolo per cercare di vederlo e pregarlo. Non sono riuscito a rivederlo. Brutto
segno, ma lo prego lo stesso.
|
Ha telefonato. E' finita. Ha detto che sono
una gran persona e che devo continuare a coltivarmi: leggendo, ricordando,
parlando e scrivendo. Ma lei per qualche tempo deve stare sola. Fine della storia.
Era gentile e amichevole. Ora sono più calmo. Tre anni buttati via per un
abbaglio. Si accorgerà presto quanto sia falso quel mondo e quanto di
autentico ci fosse nel nostro amore. Nel mio di sicuro. Starà peggio di me
poiché fare il male, è male più grande che subirlo: "mei'zon mevn
famen kako;n to; ajdikei'n, e[latton de; to; ajdikei'sqai" (Platone, Gorgia, 509c). Sono
fiero del fatto che non l'ho mai umiliata come lei me, ieri sera.
14 giugno, domenica. I grandi dolori
insegnano grandi cose e non vanno evitati. Il tw'/ pavqei mavqo" di Eschilo[21] è vero, e anche la ferita che fiorisce
in tanta luce di Hesse[22].
Ifigenia mi ha dato l'occasione per scendere nelle profondità della mia
anima, per indagare me stesso, “ejdizhsavmhn ejmewutovn[23]",
come Eraclito. Per il famoso in fondo non provo rancore: è un vecchio in
cerca di riscontri della propria vitalità, uno anche simpatico. Se sono più intelligente
e morale di lui, dagli imbrogli di questa notte posso trarre di più. E'
giunto il momento di una maggiore profondità e incisività in tutto quello che
faccio. E' finito il tempo di fare "solo" belle lezioni
scolastiche.
|
15 giugno 1981 ore 14. Ultimo giorno di
scuola e fine con Ifigenia. E' durata esattamente i tre anni della sua
supplenza al liceo. L'aveva messo in conto, e forse anche io. Una Debrecen
lunga tre anni.
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Poco fa ci siamo congedati: Búcsú est[24].
Era molto carina e commossa: quasi quanto le finniche sui treni azzurri che
le riportavano ai laghi azzurri. Quelle piangevano; Ifigenia ha detto di
sperare che un giorno potremo tornare insieme.
|
Anche io lo spero, ma adesso devo scrivere
il mio capolavoro. Cominciare da quei giorni radiosi del '78, ultimo anno di
rapporti umani vivaci per quanto ho potuto vedere, e arrivare a questo giugno
doloroso, non solo per me credo, facendo incursioni nel passato, fino agli
anni Sessanta, anche Cinquanta quando ero fanciullo e non avevo ancora visto
l’inizio delle mie gioie. Tanto meno la fine[25].
Devo scrivere perché Ifigenia me ne crede capace, poi per trarre qualche cosa
di buono da tanto dolore. Immagini luminose dal buio di questo tempo peggio
che brutto: squallido e insignificante.
|
giovanni ghiselli
P. S.
Il blog è arrivato a 144587 lettori. Entro il solstizio
sarete più di 150 mila.
[1] Che
l’abbia sodomizzata il famoso? Cfr. Catullo, Carmi, 16, 1: "Pedicabo
ego vos et inrumabo".
[4] Cfr.
Leopardi, Il pensiero dominante, vv. 103-104.
[5] Cfr.
Catullo, Carmi, 3, v. 1 e v. 3, Piangete Veneri e Amorini, è morto il passero
della mia ragazza.
[6] Canzone.
Studentesca. La cantavamo a Debrecen in lingue diverse. Negli anni della
Sarjantola, di Kaisa e di Päivi. Bei tempi.
[7] Sallustio,
Bellum Catilinae, 5. Vizi orribili e opposti tra loro.
[8] Viva
e stia bene. Cfr. Catullo, Carmi, 11, v. 17.
[9] Col senno di adesso: in seguito ne avrei trovate
altre molto meno oneste.
[10] Fugge
il tempo non percorribile all'indietro, irrecuperabile. Non lo so, ma sento che
accade e mi tormento, Cfr. Catullo, Carmi, 85, v. 2.
[11] Ma
tu risoluto, tieni duro. Cfr. Catullo, Carmi, 8, v. 9.
[12] Si dice a Pesaro quando si brinda festeggiando un
successo.
[13] “Il
pathos in tal senso è una potenza in sé stesso legittima dell’anima, un contenuto
essenziale della razionalità e della volontà libera” (G.W.F. Hegel, Estetica,
Tomo I, p. 306, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1978).
[15] Cfr.
Tacito, Annales, 16. Con libidine da istriona, o meglio, per l'istrione.
[16] Don
Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa.
[18] Shakespeare, Otello, IV, 2. Vostra moglie, mio
signore, la vostra fedele e leale moglie… Si
fa per dire.
[19] Cfr. Don
Giovanni, Da Ponte-Mozart, I, 15.
[20] Cfr. Don
Giovanni, Da Ponte-Mozart, I, 9.
[23] Ho
indagato me stesso.
[24] Sera
dell'addio, l'ultima del mese di Debrecen
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