La prima redazione della prima pagina di
questo romanzo non soddisfa l'autore né la Musa. Il patto non
scellerato tra i due. La salita sul monte Donato
Lunedì quindici giugno dunque, salutata Ifigenia, tornai nello studio e iniziai questo romanzo. Riempii due facciate
di un foglio protocollo a righe, con la diligenza di un ragazzo che fa un compito
in classe.
Verso le dieci telefonò Ifigenia.
"Hai cominciato il nostro
capolavoro?" Domandò conciliante
"Sì certo. Lo sai che quando ho
preso una decisione, non ci ripenso, almeno non così presto. Ci ho lavorato
tutto il pomeriggio: da quando te ne sei andata fino alle sette e mezzo. Poi
ho fatto un giro in bicicletta sul monte Donato".
Tu vivrai eterna nelle mie pagine: farò che
di Ifigenia resti la fama, se non ti offre premio migliore la volontà dei
fati”[1]. Non
volevo rinunciare a farle da paradigma di serietà operosa.
"Mi fai sentire com'è venuto l'incipit
della nostra storia?".
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"Volentieri” risposi, lusingato dalla
richiesta, come una madre cui fanno una domanda sul figlio neoconcepito e
intanto aggiungono un’occhiata discreta alla pancia dove la nuova creatura,
sebbene ancora invisibile, già vive, si nutre e cresce. Gliela lessi, ma ci
rimasi male: mi sembrò meno accettabile di poche ore prima, quando l'avevo
scritta. Nelle intenzioni doveva essere un preludio che, come quello del Don
Giovanni di Mozart, anticipa in sintesi tutti i temi dell'opera, mentre,
di fatto, era proprio un compitino raffazzonato sebbene pretenzioso e
saccente.
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"Dovrò riscriverla" pensai con
rammarico. Non immaginavo quante volte sarei dovuto intervenire, correggere e
limare; quanti anni sarebbero trascorsi prima di arrivare alla fine. Un tempo
molto più lungo di quello richiesto dalla Smyrna di Cinna[2] .
Pensa lettore che ora ho quasi settant’anni. Però corro sempre i cinquemila
metri, scalo montagne con la bicicletta, i capelli non mi sono diventati
bianchi, forse perché nel frattempo ho
lavorato per l’umanità, mia e degli altri, credendo fortemente in quanto
facevo.
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Ifigenia disse: "Gianni, così io non
divento immortale".
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"Cos'è che non va?" Domandai.
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"Troppe citazioni, troppe e male
assimilate. Devi trovare una stile epico tuo come ne hai elaborato uno
drammatico, pur mentre seguivi da vicino la tragedia greca, e Sofocle in
particolare. Vedrai che la parte mimetica, i dialoghi, ti riusciranno bene
subito. Ma la parte diegetica, la narrazione ancora non va: è confusa e
frettolosa. Ricorda che l'epos è ritardante."
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"Brava! – pensai - E' vero, sono tutte
cose che ti ho insegnato io, ma quale altro allievo le ha imparate al pari di
te? Se non ti rovinano gli istrioni o i borghesi, tu diventi una donna di
raro valore".
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Capii che avevo ancora bisogno di lei, che
poteva aiutarmi a darle l'immortalità. Come ispiratrice e consigliera d'arte era
di grande valore quella ragazza. Non so se l'abbia capito prima di morire, ma
lei mi ha insegnato e dato più di quanto abbia imparato e preso da me.
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"Parliamone guardandoci in faccia, se
ti va. Al telefono mi sento poco
espressivo" dissi.
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"Va bene, però non facciamo tardi
perché domani mattina devo ripassare almeno cento versi dell'Antigone."
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"D'accordo. Io dovrò scrivere di nuovo
questo foglio, e riempirne un altro cercando lo stile epico secondo i tuoi
suggerimenti. Tu prima mi hai criticato in modo ottimo, prezioso per il
nostro capolavoro. Anzi, ti faccio una proposta che spero non troverai oscena
né sconveniente. Pensaci, mentre vengo a prenderti. Tu mi aiuti nella prima
parte del romanzo che ci renderà immortali, per un centinaio di pagine,
finché non avrò trovato il ritmo fluido dell'epos, io ti dò una mano a
ripassare l'Antigone. La traduzione precisa e potente, anche
recitabile, come piace a te, l'ho già tutta pronta".
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"La tua proposta mi piace e mi
conviene. Non devo pensarci. Vieni subito: ti aspetto".
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Faceva caldo. Salimmo sul monte Donato con
la biancaVolkswagen scoperta. Ci sedemmo su una panchina di legno del parco Forte
bandiera deserto. Parlammo del romanzo, dell'Antigone e dell'
esame di recitazione. Ci mettemmo d'accordo sul modo di aiutarci a vicenda.
Ifigenia precisò che voleva essere libera per darsi al teatro.
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"Mi va bene. – risposi - Non ti ho
chiesto di tornare con me; io intanto devo dedicarmi all'opera della mia
vita, poi, quando vorrò una donna, cercherò un amore morale poiché oramai me
ne sento desideroso e capace. Con te, l'altra sera, a Riccione, ho visto che
non mi è concesso nemmeno sperarlo".
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Allora non sapevo che non l’avrei trovato
mai e non capivo che forse non era cosa per me. Ma già avevo capito che
dovevo portare sulle mie spalle il mio destino come Atlante regge sulle
spalle la volta del cielo.
E avevo anche capito che Ifigenia, come
qualche anno prima Helena Sarjantola, come Kaisa, come Päivi[3],
aveva dato alla mia vita un’impronta di bellezza e di gioia che nessuno avrebbe
potuto togliermi mai.
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"Hai ragione – confermò –, io adesso
non voglio l'amore: non ne ho la disponibilità mentale; l'unica cosa che mi
interessa davvero è fare l'attrice. Questo è lo scopo; il resto è un mezzo
più o meno utile e interessante, ma sempre soltanto uno strumento. Tuttavia, se
con tali limiti può piacermi un uomo, quello sei tu. Adesso anzi mi è venuta
una voglia tremenda di fare l'amore; a te va?"
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Ce l'avevo anche io una voglia terribile.
Forse il nuovo progetto di lavoro comune aveva risvegliato la fiamma della
passione erotica. Oppure era stato il chiarimento del quale avevamo bisogno entrambi. Del resto Ifigenia aveva ancora i
calzoni corti che le lasciavano scoperta buona parte delle
splendidissime cosce. Fatto sta che la desideravo con forza. Però non potevo
accettare la sua proposta subito, poiché dovevo salvare la mia dignità di
uomo abbandonato e ripreso probabilmente solo per il capriccio di una sera
sciroccosa. Era bene resisterle almeno un pochino. Civettare facendole una
promessa di coito non garantita. Pensai che i ruoli dei due sessi nel
corteggiamento si erano invertiti rispetto agli anni sessanta quando avevo
cominciato la carriera amorosa.
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Ifigenia intanto mi accarezzava il volto
renitente e cercava di baciarmi la bocca che, pur senza arretrare, restava
chiusa.
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"Ma Gianni, tesoro, io ti amo!" Aggiungeva.
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Dopo qualche secondo di quella resistenza
mal pertinace[4], con cui volevo salvare
la faccia, accettai le sue iniziative; poi anzi le presi io stesso: le
accarezzai il florido seno, le cosce sode, fin le natiche opime, e tutta la
bella carne che oggi è sparita da questa terra con mio eterno rimpianto.
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Ci
stringemmo con forza, poi ci staccammo.
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Dissi:"Ifigenia, io ti amo ancora, però
non ti voglio più tanto bene[5].
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Il mio non è un amore morale. E'
un'inclinazione estetica e un desiderio carnale".
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Avrei continuato a ripetere il concetto con
espressioni prese a prestito, poiché non riuscivo ad afferrarlo bene con la
mente, né a renderlo intero con poche parole mie; nel pomeriggio infatti
avevo scritto una pagina di tale stile: imitativo e bolso; il correre zoppo di
chi non sa camminare[6], e
volevo esercitarmi ancora, parlando.
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La ragazza però me lo impedì interrompendomi
con giusta impazienza.
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"Ho capito – disse – l'ho anche già
sentito, almeno da Catullo, ma dietro, nella tua testa infarcita ci saranno
altri autori. Sei troppo libresco, non solo quando scrivi ma anche quando
stai per fare l'amore. Pensaci più tardi.
Adesso andiamo a casa: nel nostro grande letto. L'amore vince tutto"[7].
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Meravigliosa istriona! Posava e citava
anche lei. Quando mai siamo stati naturali noi due?
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Mentre ci stavamo muovendo per andare a
scambiarci piacere, Ifigenia aggiunse, non senza tristezza: "Gianni,
però io non vorrei che questo nostro essere amanti-amici comportasse un calo
della tua stima per me".
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"Non lo so, non ne sono sicuro, non
credo" risposi mentendo solo a metà, poiché se da una parte il mio
apprezzamento di lei dopo la notte di Riccione era calato, dall'altra mi
accingevo a chiudermi in casa per migliaia di giorni con l'intento di rendere
eterna la sua giovinezza che già cominciava a sfiorire. Ifigenia sarebbe
stata un fiore di ieri o un fiore reciso nel giorno remoto del compimento di
questo lavoro.
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Dopo tale pensiero potei baciarla e dirle: "Io
comunque ti amo, ti adoro, ti venero".
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Prima di entrare
nell'auto guardai la scena notturna.
giovanni ghiselli
Il blog è arrivato a
145403 lettori. Helena , Kaisa, Päivi e Ifigenia non sono morte del tutto e non
lo saranno più: non omnes morientur.
[1] Cfr. Foscolo, Dei Sepolcri, 246-247
[2] Cfr. Catullo, Carmi,
95, 1-2: "Zmyrna mei Cinnae nonam
post denique messem/quam coepta est nonamque edita post hiemem", la Smirna del mio Cinna dopo nove estati
e nove inverni da quando è iniziata, finalmente è venuta alla luce.
[3] Storie già raccontate e presenti nel blog. Sono
belle.
[4] Cfr. Orazio, Odi ,
I, 9, 23-24: "Pignusque dereptum
lacertis/aut digito male pertinaci", e il pegno strappato alle
braccia o al dito che debolmente resiste.
[5] Cfr. Catullo, Carmi,
72, 7-8: "Qui potis est? – inquis
- Quod amantem iniuria talis/cogit amare magis, sed bene velle minus",
come è possibile? chiedi. Poiché un'offesa del genere costringe l'amante ad
amare di più, ma a voler bene di meno.
[6] Cfr. Svevo, Una vita:"Non
aveva egli in mano la prova palmare di quella vanità, in quel romanzo, un
dettato della vanità in persona, dal concetto generale tronfio e vacuo alla
singola frase enfatica, il volo di chi non sa camminare?" Pag.149, Dall'Oglio, Milano, 1938
[7] Cfr. Virgilio, X Bucolica,
69: "Omnia vincit Amor, et nos
cedamus amori", Amore vince tutto, anche noi arrendiamoci
all'amore.
tu Gianni non sei padre solo del tuo romanzo ma, anche dei tanti alievi ,che come me, ti stimano e seguono la opera tua.Questo capitolo trasmette emozioni forti,davvero,si sente il brivido della creazione.Con affetto Giovanna Tocco
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