sesta parte del Percorso sull’ amore nei classici
Il trucco e
il lusso delle donne e degli uomini.
Senofonte e
Platone. Cosmetica e ginnastica.
Eracle al
bivio. La Virtù non è truccata; la moglie adultera di Eufileto sì.
Ovidio
approva il cultus contrapposto alla rusticitas . Socrate non si
lavava.
La via di
mezzo di Seneca.
Un saggio di
La Penna. Properzio è contrario agli ornamenti e al trucco ma non all'eleganza
della cultura letteraria e musicale di Cinzia. I modelli femminili di Properzio
non sono romano-arcaici ma si trovano nella natura o nella mitologia greca.
Tibullo è più
vicino al paradigma femminile arcaico e vorrebbe che Delia fosse come la
Lucrezia di Collatino.
Orazio è poco
sedotto dai modelli arcaici, eppure avverte i pericoli della modernità. Pirra è
simplex munditiis, semplice nell'eleganza (Ode I, 5).
La semplicità
elegante per Cicerone, Tolstoj, Proust. Marziale la chiama prudens
simplicitas. I tentacoli protesi di sentimentalità della borghese Ermelinda
Tuzzi (Diotima) di Musil. La bellezza elegante della moglie di Mecenate non fa
vacillare il suo fidum pectus (Ode II, 12).
Le mode e i
costumi cambiano in fretta: la Sempronia di Sallustio e la Licimnia-Terenzia di
Orazio.
Ovidio quale
magister del gioco erotico per uomini e donne. L'irrisione aperta della
rusticitas . Le esortazioni indecenti della lena .
Il gioco
sofistico serve a coonestare l'adulterio. Il discorso ingiusto delle Nuvole
di Aristofane. Fedra, Penelope ed Elena nelle Heroides di Ovidio. Elena
nelle Troiane di Euripide. L'audacia e la facondia contro il rusticus
pudor. Il rozzo pudore: Ovidio e Parini. Il marito: “ahi quanto spiace!”.
Rusticus est nimium: Charles Bovary e
Pavel Pavlovič.
Il trucco dei vecchi in Ovidio e in Pirandello.
Il
ribaltamento del mito dell'età dell'oro in Ovidio.
La rubiconda
sposa di Ovidio e la tanghera di Saffo.
Ovidio in
polemica libertina con il regime augusteo.
Il
rusticus Tibullo. Il dibattito dei tempi di Catone attualizzato nella Roma
augustea. Ovidio contro l'etica di Catone, di Sallustio e del principato. La sua
interpretazione dell'età dell'oro contrapposta a quella di Esiodo. L'elogio del
cultus nell'Ars Amatoria e quello del luxus nei
Medicamina faciei . L'orbis di Tacito. Il luxus senatorio
viene stroncato dall'avvento, nel 69 d. C. , di una borghesia pecuniosa ma
parca. La preoccupazione di Tiberio per la crisi economica dell'Italia:
"quod
vita populi Romani per incerta maris et tempestatum cotidie volvitur
". Il luxus della aristocrazia
senatoria determinava un continuo "drenaggio" di metalli preziosi verso l'estero
. Il tramonto del lusso annunciato dal settimanale L'Espresso nel febbraio del
2002.
Ovidio nell'Ars
amatoria è più cauto e, come già Cicerone, come poi Seneca, all'uomo
consiglia l'equilibrio tra la mundities e la robustezza.
Lo stile
aristocratico della semplicità e della neglegentia sui . Petronio. La
condanna dell'affettazione e l'elogio della noncuranza. Castiglione,
Schopenhauer, Manzoni, Dostoevskij, Tolstoj (e Cicerone), Proust e Musil.
Lo stile
dell'incedere. Ciascuno deve fare quanto gli si addice. Il mito di Er spiega la
sofferenza: non si deve recalcitrare al destino.
Lo stile
del ridere. Il riso in Ovidio in Dostoevkij. La volgarità di Trimalchione. La
semplicità elegante in Orazio e in Ovidio.
"Ci sono dei vestiti femminili così belli, che
si vorrebbe lacerarli"[1].
Gran virtù della donna per Iscomaco dell'
Economico di Senofonte è la capacità dell'ordine ("tavxi"",
VIII, 3) che per gli uomini è la cosa più utile e bella. Non è invece
apprezzato il trucco poiché per gli umani il corpo umano al naturale è la
cosa più gradevole:"oiJ a[nqrwpoi
ajnqrwvpou sw'ma kaqaro;n oi[ontai hJvdiston ei'jnai"(X,
7). I mezzi della cosmetica dunque sono inganni ("ajpavtai",
X, 8) che oltretutto non reggono alla prova della convivenza.
Anche l'altro socratico, Platone,
considera la cosmesi non un'arte, ma una prassi irrazionale, la forma di
adulazione che sta sotto (uJpovkeitai),
si sostituisce, alla ginnastica, per quanto riguarda la cura del corpo, come la
culinaria è subordinata alla medicina. La cosmesi ("hJ
kommwtikhv") dunque è "kakou'rgov"
te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;" kai; ajneleuvqero""(Gorgia
, 465b), malvagia e fallace, ignobile e servile, poiché inganna attraverso
l'apparenza i colori, la levigatezza e i vestiti, in modo da far trascurare la
bellezza naturale che si ottiene con la ginnastica, mentre con i cosmetici ci
appiccichiamo una speciosità esterna.
Sicché Iscomaco consiglia alla moglie di
tenersi in esercizio affaccendandosi nei lavori domestici. Infatti quelle che
stanno sempre sedute con solennità si espongono ai giudizi come quelle
agghindate e ingannatrici (ta;"
kekosmhmevna" kai; ejxapatwvsa"",
Economico , X, 13).
Nei Memorabili (II, 1, 21-34)
Senofonte riferisce, attraverso Socrate, la favola esemplare di Eracle al
bivio attribuita a uno scritto del sofista Prodico di Ceo.
Intanto il bivio stesso ha un significato e
addirittura un'anima:" un ambiente fisico reale-sorgente, primavera, albero,
crocicchio- è animato…Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle
nostre anime…La vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche
psicologia, allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci
il tuo mondo "[2].
Poi sul bivio ci sono due femmine umane con
aspetti e con anime diverse. Anche l'aspetto e l'abbigliamento sono psicologie
Le due donne parlano all'eroe giovinetto
incerto sulla via da prendere indicandogli ciascuna una strada. La prima vuole
adescare l' adolescente con la promessa di una vita facile e piacevole. Questa
femmina è morbida, prosperosa, quasi opima, truccata nel colorito sì da avere
l'aria di apparire più bianca e più rossa del naturale (kekallwpismevnhn
de; to; me;n crw'ma w{ste leukotevran te kai; ejruqrotevran tou' o[nto" dokei'n
faivnesqai, II, 1, 22) impettita più
del conveniente, con gli occhi aperti, e con una veste dalle quali lampeggiava a
tutto spiano la sua bellezza ("
ejsqh'ta de; ejx h'J" mavlista hJ wJvra dialavmpoi",
II, 1, 22); inoltre si osservava spesso con compiacimento: guardava se qualcun
altro la guardasse e spesso si volgeva alla sua ombra. Costei dagli amici
viene chiamata Eujdaimoniva,
Felicità, ma dai detrattori, Kakiva,
Vizio (II, 1, 27).
Viceversa la donna virtuosa, la Virtù
personificata, avvisa Eracle che gli dèi niente di buono concedono agli uomini
senza fatica e impegno.
Ella era di natura nobile, ossia pura, pudica,
modesta, vestita di bianco (ejsqh'ti
de; leukh'/' , II, 1, 22). Il colore
bianco è presente in entrambe: il biancore naturale è un segno positivo,
luminoso: infatti leukov"
è imparentato etimologicamente con il latino lux, lucis ; con l'inglese
light e il tedesco Licht che significano appunto "luce".
Ecco dunque una tipica disposizione maschile,
o maschilista, avversa al trucco delle donne.
Questo infatti può costituire un indizio di
grilli per la testa: il buon Eufileto, il marito cornuto di Lisia ebbe
l'impressione che il volto della moglie adultera fosse truccato ("
e[doxe dev moi, w'j a[ndre" , to; provswpon
ejyumuqiw'sqai, ossia coperto di
yimuvqion,
una specie di biacca), sebbene il fratello le fosse morto da nemmeno trenta
giorni, ma non disse niente lo stesso ( 14).
Un'adultera di mia conoscenza si metteva le
calze a rete per dare un segnale di disponibilità.
C'è del resto anche un'opinione favorevole al
trucco , ed è quella di Ovidio.
il poeta "donnaiolo" nel poemetto sui
cosmetici per le donne li legittima poiché "culta placent "(
Medicamina faciei femineae[3],
v. 7) , ciò che è coltivato piace, e nell'Ars
Amatoria afferma che è proprio l'eleganza a fargli preferire l'età moderna
all'antica, presunta aurea:"prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor:
haec aetas moribus apta meis" (III, 121-122),
i tempi antichi piacciano ad altri, io mi
rallegro di essere nato ora dopo tutto: questa è l'età adatta ai miei gusti, non
perché, continua il Sulmonese, terre mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed
quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas priscis
illa superstes avis " 127-128), ma
perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella rozzezza
sopravvissuta agli avi antichi.
Un cultus che include la coltura del
corpo e dello spirito.
"Ordior
a cultu[4]
. Così Ovidio inizia, dopo il lungo proemio, la precettistica riservata alle
donne nel terzo libro. Cultus , riferito come qui alla vita della
donna, indica più o meno la "cura della persona" e quindi la
"raffinatezza"[5].
Mazzarino,
menzionando gli autori favorevoli alla tecnica, indica Ovidio, "un poeta, non
uno storico", nel quale si trova "una reazione al diffuso concetto di
decadenza, ed una esaltazione del progresso tecnico[6],
evidente, secondo lui, nell'attività industriale e commerciale sopravvenuta nel
suo tempo (l'età di Augusto)[7].
In fondo, si può dire che per l'uomo antico l'idea del progresso tecnico vive
accanto a quella di decadenza; e talora è soffocata da questa, e talora, invece,
emerge e predomina, senza che questo "dualismo" implichi contraddizioni di
notevole importanza"[8].
Ad alcuni anche ipotecnologici può riuscire
più simpatica questa posizione del poeta lascivus
[9]
che quella del maestro ateniese, il superuomo dell'etica, i cui
detrattori dicevano, tra l'altro, che non si lavava!
Aristofane fa dire a Strepsiade che
nessuno degli uomini del pensatoio di Socrate per economia si è mai fatto
tagliare i capelli o si è unto il corpo o è andato nel bagno a lavarsi:"oujd&
eij" balanei'on h'jlqe lousovmeno"" (Nuvole
, del 423, v. 837). il Coro degli Uccelli (del 414) più specificamente
qualifica Socrate come a[louto"
(v. 1553), non lavato.
Né si può dire che questa eccessiva
trascuratezza sia approvata o addirittura ricercata da ogni filosofo: Seneca
biasima tale moda seguita soprattutto da cinici e stoici e consiglia a Lucilio
di evitarla:"asperum cultum et intonsum caput et neglegentiorem barbam et
indictum argento odium et cubile humi positum et quidquid aliud ambitionem
perversa via sequitur evita" (Epist. , 5, 1), evita una mancanza di
cura ferina e la testa incolta e la barba troppo trascurata e l'odio dichiarato
all'argenteria e il giaciglio posto a terra e tutto il restante apparato che
segue l'ambizione per una via distorta.
Per Seneca è auspicabile la via di mezzo:"non
splendeat toga, ne sordeat quidem" (5, 3), non brilli la toga, ma neppure
sia sudicia. Gli atteggiamenti estremi possono riuscire "ridicula et odiosa"
(5, 4).
Il proposito del filosofo stoico è vivere
secondo natura:"Nempe propositum nostrum est secundum naturam vivere: hoc
contra naturam est, torquere corpus suum et faciles odisse munditias et
squalorem adpetere et cibis non tantum vilibus uti sed taetris et horridis.
Quemadmodum desiderare delicatas res luxuriae est, ita usitatas et non magno
parabiles fugere dementiae. Frugalitatem exigit philosophia, non poenam ; potest
autem esse non incompta frugalitas" (5, 4-5), evidentemente il nostro
progetto è vivere secondo natura: è contro natura questo tormentare il proprio
corpo e odiare l'eleganza a portata di mano, e cercare lo squallore e fare uso
di cibi non solo a buon mercato ma disgustosi e ripugnanti. Come è segno di
dissolutezza desiderare le raffinatezze, così è segno di pazzia evitare i beni
comuni e procurabili a prezzo non grande. La filosofia reclama la misura non la
tortura; del resto la misura può essere non disadorna. In ogni modo, se è
stupido chi valuta un cavallo dalla sella e dalle briglie, è stupidissimo chi
giudica l'uomo dall'abbigliamento o dalla condizione sociale che ci sta attorno
come un abito:"stultissimus est qui hominem aut ex veste aut ex condicione,
quae vestis modo nobis circumdata est, aestimat " (47, 16).
A. La Penna, del quale seguirò
diverse indicazioni contenute in un saggio del 1978, mette in relazione
la scelta di Ovidio con quelle di Properzio e Tibullo[10].
"Ora Properzio, il raffinato
callimacheo, resta abbastanza fedele a un ideale femminile che sarebbe
semplicistico definire arcaizzante, ma che del modello arcaico conserva un
aspetto essenziale, il rifiuto del cultus. La bellezza perfetta
è quella più vicina alla natura. Non è tra le sue elegie più felici, ma è
tra le sue più celebri, quella (I 2) che sviluppa il concetto riassunto nel
verso sentenzioso (8):"nudus Amor formae non amat artificem "[11]
. Aggiungo la mia traduzione a questa e alle prossime citazioni: "Amore nudo
non ama la bellezza artefatta". Per quanto riguarda il greco e il latino ho dato
e darò sempre traduzioni mie siccome "la traduzione è l'operazione più esaltante
dal punto di vista della mobilitazione delle forze intellettuali"[12].
Queste mie potranno essere confrontate con le tante altre presenti nei manuali o
con quelle dei professori delle classi dove il mio lavoro verrà impiegato:"il
fatto che il testo sia aperto, che l'interpretazione sia un problema e che la
traduzione abbia molte 'uscite', questo insegnatelo ai giovanotti", raccomanda
Canfora[13].
Quindi La Penna
cita i primi sei versi di questa elegia (I, 2) collocata "subito dopo quella che
a modo suo fa da proemio...Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo/et
tenues Coa veste movere sinus,/aut quid Orontea crines perfundere murra,/teque
peregrinis vendere muneribus,/naturaeque decus mercato perdere cultu,/nec sinere
in propriis membra nitere bonis? ", a che giova, vita mia, venire con i
capelli adorni, e muovere flessuosità delicate in drappo di Coo, o cospargere i
capelli di mirra dell'Oronte, e venderti a doni stranieri, e sciupare lo
splendore della natura con il lusso comprato, e non lasciare che le membra
brillino della propria bellezza?.
Properzio
insomma ama Cinzia al naturale:"Crede mihi, non ulla tuae est medicina
figurae " (v. 7), credimi, non c'è bisogno di correzione per la tua
bellezza.
"il cultus
femminile-continua La Penna- rientra in quell'allargamento dei consumi che
richiede e favorisce importazioni dannose dalle provincie e dall'estero,
specialmente dall'area orientale:"peregrina munera, mercatus cultus " .
La polemica contro gli ornamenti e il trucco è un vecchio
tovpo" della letteratura erotica
antica, ma la vitalità che gli ridà Properzio si scorge anche dal legame con
l'antica e sempre attuale polemica romana contro il lusso, che spesso fa
tutt'uno con la polemica contro le influenze greche e orientali" (p. 183).
Tuttavia "il fascino di Cinzia dipende molto proprio dalla sua modernità,
dall'eleganza del portamento, dalla grazia nella danza, dalla cultura
letteraria e musicale, tutte cose che possono anche conciliarsi con
la mancanza di trucco, ma che ci portano lontano dalla natura[14]
e stanno meglio con la raffinatezza del cultus...Del resto il modello
femminile romano agrario-arcaico ha ben poco fascino su Properzio prima delle
elegie romane[15].
Nell'elegia dove vuole dimostrare che "nudus Amor formae non amat artificem
" egli cerca esempi probanti dapprima nella bellezza spontanea della natura
(I 2. 9-14), poi nella mitologia greca (15-24): non cerca esempi nella
Roma arcaica o nella Sabina. Anche i modelli di fides e pudor
li cerca nella letteratura e nella mitologia greca. In questo resta fedele a
Catullo: quando Catullo, nella chiusa del carme 64, storna con orrore gli occhi
dalla società romana contemporanea con i suoi odi feroci e la distruzione di
ogni valore morale, non li rivolge, come faranno Sallustio o Livio, verso la
società romana arcaica, ma verso il mito greco, verso il tempo in cui gli dèi
frequentavano gli uomini ricchi di pietas ." (p. 184).
Tibullo
invece è "più attaccato al modello femminile arcaico". E' esemplare di
tale propensione "il famoso quadro di vita domestica che egli sogna mentre giace
malato a Corcira e che fa da chiusa all'elegia I 3 (83 sgg.) : Delia, rimasta
fedele al poeta lontano, ha accanto a sé la vecchia madre, "sancti pudoris
custos " (custode del sacro pudore); al lume della lucerna la madre fila e
racconta favole; una giovane schiava fila anche lei" (p. 185).
In effetti
questo del poeta nato nel Lazio rurale sembra il quadro presentato da Tito
Livio per illustrare la virtù di Lucrezia : i giovani parenti del re
Tarquinio la trovarono:"nocte sera deditam lanae inter lucubrantes ancillas
in medio aedium sedentem " (I, 57, 9), a notte inoltrata, intenta alla lana,
tra le ancelle che lavoravano a lume di candela, seduta in mezzo alla casa. Il
desiderio di Tibullo insomma sarebbe che Delia fosse come questa sposa
esemplare. Però " da altre elegie del I libro sappiamo che la cortigiana Delia
si adatta poco al modello; da altre del II libro sappiamo che ancora meno vi si
adatta la volubile Nemesi" (p. 185). Tibullo dunque si trova a disagio nella
metropoli, eppure " una parte notevole della sua poesia è radicata nella vita
galante di Roma". Walter Pater nel primo capitolo[16]
del suo Mario l'epicureo (del 1885) mette in rilievo la sussistenza, nel
poeta di Delia e Nemesi, della "primitiva e più semplice religione patriarcale,
la religione di Numa…Tracce di tale sopravvivenza si possono cogliere, al di là
degli atteggiamenti meramente artificiosi della poesia pastorale latina, in
Tibullo, che ci ha conservato molti particolari poetici delle antiche
consuetudini religiose di Roma:"At mihi contingat patrios celebrare Penates/reddereque
antiquo menstrua thura Lari"[17]
così invoca con serietà non simulata. Qualcosa di liturgico, nella ripetizione
di una formula consacrata, come parte del rito sacrificale per il compleanno, si
può rintracciare in una delle sue elegie. Il focolare, da una scintilla del
quale, secondo una versione dell'antica leggenda, sarebbe miracolosamente nato
il bimbo Romolo, era ancora propriamente un altare"[18].
Quindi La Penna
passa a Orazio "che, specialmente in amore, è poco sedotto da modelli
arcaici. Pirra è simplex , ma simplex munditiis "[19],
semplice nell'eleganza.
Si tratta di
un'eleganza semplice eppure ricercata o per lo meno voluta.
L'aggettivo
simplex qualifica la bellezza essenziale anche nell'Ode I 38 dove
Orazio dichiara il suo odio per lo sfarzo dei Persiani:"Persicos odi, puer,
adparatus....Simplici myrto nihil adlabores/sedulus curo " (vv. 1 e 5-6),
non voglio che tu ti affatichi con zelo ad aggiungere alcunché al semplice
mirto. L'eleganza semplice è prescritta da Isocrate nello scritto parenetico (di
autenticità non certa, del 380 a. C. ca) A Demonico[20]:"Ei\\nai
bouvlou ta; peri; th;n ejsqh'ta filovkalo", ajlla; mh; kallwpisthv""
(27), cerca di essere nel tuo abbigliamento elegante ma non ricercato.
Sentiamo il
Conte: "Simplex munditiis è un ossimoro, perché i due termini hanno
associazioni di significato opposte, la semplicità e la ricercatezza (munditia
)...Come ha detto bene Romano, "il concetto classico di semplicità
nell'eleganza è scolpito in questo ossimoro che potrebbe essere assunto come
motto del programma stilistico di Orazio"[21].
La semplicità
elegante del resto è anche distintiva dello stile di Orazio. Lo si può ricavare
anche da queste parole di Nietzsche :"Non ho mai provato, fino ad oggi,
in nessun poeta, lo stesso rapimento artistico che mi dette, fin dal principio,
un'ode di Orazio. In certe lingue quel che lì è raggiunto non lo si può neppure
volere. Questo mosaico di parole in cui ogni parola come risonanza, come
posizione, come concetto fa erompere la sua forza a destra, a sinistra e sulla
totalità, questo minimum nell'estensione e nel numero dei segni, questo
maximum , in tal modo realizzato, nell'energia dei segni-tutto ciò è
romano e, se mi si vuol credere, nobile par excellence . Tutto il resto
della poesia diventa in paragone qualcosa di troppo popolare-nent'altro che
loquacità sentimentale"[22].
Anche
Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando
pone le basi del galateo nel De Officiis
[23] ": quae
sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris
bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea
munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et
inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut
in plerisque rebus, mediocritas optima est " (De Officiis , I, 130),
viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell'aspetto deve
essere conservata mediante il bel colore dell'incarnato, il colore con gli
esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un'eleganza non fastidiosa né
troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza contadinesca e incivile. La
semplicità insomma non è rozza, sprovveduta e inopportuna ma voluta e
conquistata. Marziale la chiama prudens simplicitas (X, 47, v. 7)
semplicità accorta e la considera uno dei mezzi che abbelliscono la vita (vitam
quae faciant beatiorem , v. 1))
Lo stesso
criterio deve essere adottato nel vestire, nel quale, come nella maggior parte
delle cose la via di mezzo è la migliore. Lo stesso, abbiamo visto, affermerà
Seneca.
Vediamo qualche
esempio moderno: Tolstoj ci insegna che anche un abbigliamento
sofisticato e un'acconciatura elaborata non devono far vedere la preparazione
che sono costati, anzi devono apparire semplici: si tratta della " rosea Kitty"
a un ballo in Anna Karenina:" Benché la toilette, la pettinatura e tutti
i preparativi per il ballo fossero costati a Kitty grandi fatiche e riflessioni,
ora, nel suo complicato abito di tulle con il trasparente rosa, ella entrava
nel ballo in modo così semplice e disinvolto da parere che tutte quelle
roselline, quelle trine, tutti i particolari della toilette non fossero costati
né a lei né ai suoi familiari nemmeno un istante d'attenzione, come se fosse
nata in quel tulle, in quelle trine, con quell'alta pettinatura, con la rosa
e le due foglioline in cima"[24].
La naturalezza è
il segno dell'eleganza della signora di Guermantes nella Ricerca di Proust:"Ciascuno
dei suoi abiti m'appariva come un ambiente naturale, necessario, come la
proiezione di un aspetto particolare della sua anima"[25].
Insomma:" Ars
casu similis" (Ars amatoria , III, 155), l'arte sia simile al caso.
Vediamo ora
invece un esempio di stile evidentemente pensato, quasi voluto e preteso
nella borghese Diotima di Musil che accolse Ulrich, il protagonista del
romanzo, "con il sorriso indulgente della donna di valore che sa di essere anche
bella e deve perdonare agli uomini superficiali di pensare sempre prima di tutto
a quello…Diotima era la maggiore delle tre figlie di un professore di scuola
media senza beni patrimoniali…Da ragazza ella non possedeva che il proprio
orgoglio , e poiché non possedeva nulla di cui essere orgogliosa, era in
fondo null'altro che una correttezza raggomitolata su se stessa con tentacoli
protesi di sentimentalità "[26].
Tale tensione spaventa il maschio:" egli vedeva se stesso come un vermicello
nocivo attentamente contemplato da una grossa gallina" (p. 89).
Torniamo a
Orazio visto da La Penna: "Il quadro più fascinoso del modello femminile
"moderno" è stato dipinto proprio da Orazio: è il quadro della bellezza elegante
della moglie di Mecenate" (p. 185). L'autore allude all'Ode II 12 dove la
giovane e splendidissima Licimnia è ricordata mentre danza e gareggia di spirito
senza dedecus e senza che il suo fidum pectus (v. 16), il cuore
fedele, vacilli.
Giorgio
Pasquali utilizza, con altri indizi, questa ode per sostenere che "ai tempi
di Augusto matrimoni d'amore dovevano avvenire, se proprio una lex Iulia,
citata dal giureconsulto Marciano (Dig. 23, 2, 19) proteggeva i figli e
le figlie contro l'arbitrio del padre che non volesse senza giusta ragione
consentire a un matrimonio da essi desiderato. La relazione tra Mecenate e
Terenzia sono descritte da Orazio stesso non diverse dalla vita comune di due
amanti. Il poeta conferma a Mecenate che la Musa volle che egli dicesse il canto
di lei, i suoi occhi fulgidi, il petto fido agli amori mutui: II 12, 13 me
dulcis dominae Musa Licymniae/cantus, me voluit dicere lucidum/fulgentis oculos
et bene mutuis/fidum pectus amoribus "[27].
E' la quarta delle sette strofe asclepiadee prime che formano l'ode. Le tre
precedenti contengono la recusatio, il rifiuto dell'epos storico e della
poesia di argomento mitologico, generi per i quali l'autore non è portato.
Vediamo la traduzione di questi versi con i quali il poeta entra in medias
res : a me la Musa ha imposto dolci canti per Licimnia signora, che io dica
degli occhi splendidamente brillanti e del cuore santamente fedele al reciproco
amore.-dulcis= dulces.- fulgentis (= fulgentes) oculos : si
ricordi la scheda sugli occhi. Licimnia è Terenzia, la moglie di Mecenate.
Sentiamo ancora Pasquali " Di lei il poeta vanta non solo la prontezza di
spirito nel conversare, ma la grazia che, fanciulla, aveva dimostrato nel
danzare, sia pure non motus ionicos ma balli più adatti a una ragazza di buona
famiglia, la quale danzando pensi solo a compiere un dovere religioso: quam
nec ferre pedem dedecuit choris/nec certare ioco nec dare brachia/ludentem
nitidis virginibus sacro/Dianae celebris die " (vv. 17-20) , per lei non fu
sconveniente muovere il passo alle danze né gareggiare con lo spirito né porgere
le braccia mentre giocava alle vergini eleganti nel giorno sacro a Diana assai
festeggiata. "Avrebbe cent'anni prima un poeta romano osato lodare abilità di
tal genere in una donna?, in una fanciulla?"[28].
Su Mecenate e
la sua irreprensibile moglie tutt'altra testimonianza dà Seneca, quando il
potente patrono della cultura era morto da diversi decenni:"Feliciorem
[29] ergo tu Maecenatem
putas, cui, amoribus anxio et morosae uxoris cotidiana repudia deflenti, somnus
per symphoniarum cantum ex longiquo lene resonantium quaeritur?"[30],
consideri dunque più fortunato Mecenate, che, agitato da passione amorosa e
addolorato per il quotidiano rifiuto di una moglie capricciosa, cerca il sonno
per mezzo di canti accompagnati da strumenti musicali che suonano dolcemente da
lontano?
Le mode e i
costumi cambiano rapidamente, quem ad modum temporum vices , quasi come
le stagioni: la danza e lo spirito praticati dalla Sempronia di Sallustio,
nemmeno cinquant'anni prima, erano considerati "instrumenta luxuriae
"strumenti di lussuria:"litteris Graecis, Latinis docta, psallere saltare
elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt"(Bellum
Catilinae , 25), sapeva di greco e di latino, suonare, danzare più
elegantemente di quanto si convenga a una donna per bene, e molte altre arti che
sono strumenti di lussuria.
Del resto gli
stessi strumenti possono essere usati con fini diversi, perfino opposti:
Sempronia aveva tradito la fede (fidem prodiderat) un valore, si è visto,
che appartiene all'ambito erotico, giuridico e morale. Vedremo che non dissimile
da questa donna "malamente" evoluta è la Poppea di Tacito.
"Orazio osa di
più, esalta le arti che essa sa adoperare per aguzzare e per irritare l'amore o
diciamo pure la sensualità del marito: flagrantia detorquet ad oscula
cervicem, aut facili saevitia negat, quae poscente magis gaudeat eripi, interdum
rapere occupet" (vv. 25-28), volge il collo ai baci ardenti, o con affabile
crudeltà nega quelle carezze che gode di lasciarsi strappare più di chi le
chiede e talvolta è la prima a strappare?
"Le parole
ultime ricordano il pignus dereptum lacertis aut digito male pertinaci
[31], salvo che il poeta
parla forse qui con più franchezza della moglie dell'amico e protettore che non
facesse colà della puella indeterminata. L'avrebbe fatto se il matrimonio
di Mecenate non fosse stato un matrimonio d'amore? L'abisso che in civiltà
primitive si apre tra l'amore e il matrimonio, era colmato, si vede bene di qui,
nell'età augustea"[32].
Non che
Orazio non avverta i pericoli della "modernità". Egli nelle odi civili "alle
seduzioni della matura virgo , presto moglie adultera, contrappone la
severa madre sabina che fa lavorare duramente i suoi figli (Carm. III 6.
17-44); non dico che si tratta di preoccupazioni fittizie: la società, per
evitare la rovina, doveva arrestare la corruzione; Orazio, però, si trovava a
suo agio in un altro mondo, dove per salvarsi non c'era bisogno di tornare al
rigore arcaico"[33].
Passiamo a
Ovidio. In questo poeta la tragedia amorosa diventa lusus , e
il dio doloroso, o piuttosto il demone del dolore, il "daivmwn
ajlginovei""[34],
che porta Medea alla sofferenza e alla follia infanticida, diventa un dio ludico
nelle mani del tenerorum lusor amorum[35],
cantore dei teneri amori. Eros è un demone anche secondo l'opinione di Diotima
nel Simposio platonico ma un Daivmwn mevga"
, un Demone grande, che, come tutto ciò che è demonico è intermedio tra divino e
il mortale (202e). Chi è sapiente in questo è un uomo demonico continua Diotima
(203a) e Ovidio, aggiungo io, si intende di Amore come di un demone piacevole e
giocoso.
"Il suo, dunque,
sarà un lusus ricco di raffinatezza e di eleganza, pervaso di sottile
ironia nei confronti dei predecessori"[36].
Amore come dio giocoso appare già in Anacreonte che nel fr. 5 D. rappresenta
Eros chiomadoro mentre con una palla purpurea colpisce il poeta, ormai vecchio,
e lo invita a giocare con una fanciulla dal sandalo variopinto; il gioco del
resto non esclude la tristezza poiché la ragazza di Lesbo critica la chioma
oramai bianca dello spasimante anziano e rimane a bocca aperta davanti a
un'altra. Eros che vuole giocare a palla viene ripreso da Apollonio Rodio: nelle
Argonautiche Afrodite promette al figlio che, se farà innamorare Medea
di Giasone, gli regalerà una palla fatta di cerchi dorati che lanciata lascia
nell'aria un solco splendente, come una stella (III, v. 141). Allora il
fanciullo pregava la madre di dargliela subito (v. 148).
Alla fine dell'Ars
Amatoria leggiamo:"Lusus habet finem...Ut quondam iuvenes, ita nunc, mea
turba, puellae/inscribant spoliis Naso Magister Erat " (III, 809 e 811-812),
il gioco è finito...Come una volta i giovani, così ora le ragazze, mio seguito,
scrivano sulle prede Nasone Fu Il Maestro. Di questo magistero amoroso impartito
ai giovani, maschi e pure femmine, il poeta dovrà pentirsi e dolersi: nei
Tristia scritti in esilio (11-12 d C.) ricorda che duo crimina lo
hanno mandato in rovina: carmen et error (II, 207); l'error è uno
sbaglio, mai chiarito, nei rapporti del poeta con l'imperatore che ne è rimasto
offeso e il carmen turpe è Ars Amatoria per la quale Ovidio
viene accusato di essersi fatto maestro di immondo adulterio:"arguor obsceni
doctor adulterii " (II, 212).
Il lusus
si è capovolto in dolore tragico: viceversa nel Macbeth la tragedia
dell'assassinio del re diviene parte del grande gioco tragico del potere:"There's
nothing serious in mortality, All is but toys", (II, 3), non c'è più niente
di serio nella vita mortale, tutto è un giocattolo. Nella tragedia subito
precedente, Re Lear
[37],
Gloucester cui sono stati strappati gli occhi come vile gelatina (III, 7)
attribuisce con sarcasmo tale atteggiamento ludico agli dèi monelli:"As flies
to wanton boys, are we to the gods, They kill us for their sport " , come
mosche per ragazzi capricciosi siamo noi per gli dèi: ci ammazzano per loro
passatempo. E' un'amara sconsacrazione del divino il cui archetipo si può
trovare nell'Oreste[38]
del "sacrilego" Euripide, quando Apollo chiarisce che i numi si sono serviti
della bellezza di Elena per causare morti eliminare dalla terra l'oltraggio
dell'eccessiva abbondanza dei mortali (vv. 1640-1642). La stessa spiegazione si
trova nel prologo dell'Elena[39]
dove la protagonista spiega che a suscitare la guerra tra gli Elleni e i Frigi
infelici furono i disegni di Zeus che volle alleggerire la madre terra della
massa numerosa dei mortali (vv. 37-40).
L'Ars
amatoria (in distici elegiaci) costituisce una precettistica erotica in tre
libri: nei primi due il poeta fa il maestro d'amore agli uomini, nel terzo alle
donne.
Questa raccolta
a sfondo didascalico fu completata nell'1 o nel 2 d. C, come i Remedia amoris
e i Medicamina faciei femineae.
"La disinvoltura
con cui la materia viene trattata indica il distacco che si è consumato nei
confronti della precedente esperienza elegiaca. Il protagonista degli Amores
[40] è anticonformista,
spregiudicato, libertino, impertinente: e poiché non prende sul serio la morale
tradizionale romana, e neanche fa dell'amore un mondo di valori nuovi e
alternativi rispetto a quelli dominanti nella tradizione e nella società, tutto
per lui diventa un lusus elegante e raffinato. L'esito naturale di
questa nuova interpretazione dell'elegia sarà la didascalica amorosa dell'Ars
amatoria e dei Remedia amoris costruiti per gioco sul modello della
poesia didascalica seria, questi trattati si proporranno esplicitamente di
insegnare l'uno il codice erotico della società galante, gli altri gli antidoti
contro la seduzione insegnata"[41].
A questa nota
del Conte aggiungo cosa scrive La Penna mettendo di mio la
traduzione del latino e, quando è necessario, altro commento .
"E' in Ovidio
che troviamo l'irrisione aperta della rusticitas , è Ovidio che della
negazione della rusticitas fa un aspetto essenziale del suo mondo
galante. In alcuni casi egli ci presenta la negazione in modo ambiguo",
attribuendola a personaggi poco attendibili. "Per esempio, una contrapposizione
fra le formosae audaci di oggi e le sporche sabine delle origini di Roma
è elaborata da una lena[42]
nel suo discorso esortativo (Am. I 8. 39 sgg.):Forsitan inmundae Tatio
regnante Sabinae/noluerint habiles pluribus esse viris;/nunc Mars externis
animos exercet in armis,/at Venus Aeneae regnat in urbe sui./Ludunt formosae:
casta est quam nemo rogavit;/aut si rusticitas non vetat, ipsa rogat ",
forse le sporche Sabine sotto il regno di Tazio non avranno voluto essere
disponibili per più uomini; ora Marte tiene occupati gli animi in guerre
straniere, ma è Venere che regna nella città del suo Enea. Le belle si
divertono: è casta quella cui nessuno ha fatto proposte; oppure se non lo
impedisce la selvatichezza, è lei che fa le proposte.
E ovviamente non
sono sempre proposte decenti.
Seneca, notando
la diffusione dell'adulterio nel De Beneficiis
[43] , ripropone
l'idea contenuta in casta est quam nemo rogavit con altre parole
sarcastiche e sdegnate:"Argumentum est deformitatis pudicitia" (III, 16,
3), la pudicizia è indizio di bruttezza. Su questo torneremo più ampiamente in
seguito.
"Altrove-continua
La Penna-negli Amores è la stessa impostazione di giuoco sofistico che
toglie aggressività all'irrisione della rusticitas : cito, per esempio,
un passo di III 4 (37 sgg.), l'elegia dove si vuole dimostrare che è meglio
lasciare le puellae senza sorveglianza: Rusticus est nimium quem
laedit adultera coniunx ,/et notos mores non satis Urbis habet,/in qua
Martigenae non sunt sine crimine nati,/Romulus Iliades Iliadesque Remus "
(p. 186). Aggiungo la traduzione e un poco di commento.
E' davvero rozzo quello che una moglie
adultera offende e non conosce bene i costumi di Roma nella quale i figli di
Marte non sono nati senza colpa, Romolo figlio di Ilia e il figlio di Ilia Remo.
Che cosa vuol
dire "giuoco sofistico? ". Significa non riconoscere alcun valore oltre il
successo e utilizzare la parola in ogni modo per conseguirlo: in questo caso
chiamare in causa gli dèi per avallare licenza e trasgressione sessuale. E'
quello che fa il Discorso Ingiusto nelle Nuvole di Aristofane
quando consiglia a Fidippide: se ti sorprendono in adulterio, rispondi al
marito che non hai fatto niente di male, e poi imputa l'accusa a Zeus, di'
che anche lui è più debole di amore e delle donne ( "kajkei'no"
wJ" h{ttwn e[rwtov" ejsti kai; gunaikw'n", v.1081). Il riferimento è ai
tanti adultèri di Zeus che possono coonestare quelli del giovane allievo
istruito dall' a[diko" lovgo". "La
sofistica ne approfitta, raccogliendo dal mito gli esempi sfruttabili nel senso
della dissoluzione e relativizzazione naturalistica ch'essa fa di tutte le norme
vigenti. Se la difesa in giudizio tendeva in passato a provare che il caso era
conforme alle leggi, ora si attacca la legge e il costume stesso, cercando di
dimostrarli manchevoli"[44].
Del resto anche
nella poesia erotica greca e latina chi ama si appella topicamente agli amori di
Zeus. Per esempio nell'VIII idillio di Teocrito il bovaro Dafni canta:"
w\ pavter w\ Zeu', ouj movno" hjravsqhn: kai; tu; gunaikofivla"" (vv.
59-60), o padre Zeus, non mi sono innamorato solo io: anche tu sei amante delle
donne.
Il Discorso
ingiusto delle Nuvole dunque si volge al ragazzo e "lo invita a
riflettere come il risolversi per la sophrosyne
[45] implichi la rinuncia
a tutti i piaceri dell'esistenza. E per giunta sarà indifeso quando, per le
"necessità di natura", faccia un passo falso e non sia in grado di difendersi.
"Se sei in buoni termini con me, lascia pur libero corso alla natura, salta e
ridi, non ritenere nulla biasimevole. Se sei accusato d'adulterio, nega ogni
colpa e appellati a Zeus, che non sapeva tener testa neanche lui ad Eros
e alle donne. E tu, uomo mortale, come dovresti esser più forte d'un dio?".
E' la stessa argomentazione che, in Euripide, quella d'Elena o della
nutrice nell'Ippolito . Essa culmina in ciò che il Logos Ingiusto, con la
lode della propria morale rilassata, suscita le risa del pubblico e dichiara poi
che quanto è praticato dalla gran maggioranza del rispettabilissimo popolo è
impossibile sia vizio"[46].
Ma torniamo a La
Penna e al tema della rusticitas :" Non solo le goffe e rozze sabine, ma
anche eroine greche fanno le spese della satira contro la rusticitas
. Per esempio, sarebbe interessante vedere come vengono trattate nelle opere
erotiche di Ovidio Penelope, Andromaca, Tecmessa. Mi limito a un solo esempio: è
Penelope stessa a dirci che cosa pensa di lei il suo raffinato ed esperto
marito (Her. I. 77 sg.) : Forsitan et narres quam sit tibi rustica
coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes " (p. 186), forse a lei[47]
racconti quanto sia rozza tua moglie, la quale soltanto alla lana non permette
di essere ruvida.
"Ma nel mito
greco si possono trovare ben altre figure femminili adatte a simboleggiare e a
proclamare il libero e raffinato gusto moderno. In un'eroina del genere è
trasformata la tragica Fedra, che interpreta a suo modo il passaggio dal regno
di Saturno al regno di Giove: quello fu il regno della pietas e della
rusticitas , questo il regno della libertà e del piacere (Her. 4. 131
sgg.): Ista vetus pietas, aevo moritura futuro,/rustica Saturno regna tenente
fuit;/Iuppiter esse pium statuit quodcumque iuvaret/et fas omne facit
fratre marita soror " (p. 187), questa vecchia bontà destinata a morire in
futuro, c'era quando Saturno governava rozzi regni; Giove stabilì che fosse
buono tutto quanto piaceva e rende del tutto naturale che la sorella sia sposata
al fratello. La cretese innamorata ovviamente scrive a Ippolito per convincerlo
a soddisfare i suoi desideri come del resto fece il toro con sua madre, Fedra:"
Flecte, ferox animos: potuit corrumpere taurum/mater: eris tauro saevior ipse
truci? " (vv, 165-166), piega superbo i tuoi sentimenti: mia madre poté
sedurre un toro: sarai tu più feroce di un toro tremendo?
E' questo il
mito, irriso da Ovidio, delle Cretesi sporcaccione, nato,
probabilmente, quando i guerrieri micenei, poco dopo la metà del secondo
millennio, invasero Creta e videro le raffigurazioni di donne troppo libere e
discinte rispetto ai loro canoni.
"Paride, per
riguardo di Elena, non tratta Sparta come la lena trattava le sabine di
Tazio, ma la ritiene indegna della bellezza di Elena (Her. 16. 191 sgg.):
Parca sed est Sparte, tu cultu divite digna;/ad talem formam non facit iste
locus;/hanc faciem largis sine fine paratibus uti/deliciisque decet luxuriare
novis./Cum videas cultus nostra de gente virorum, qualem Dardanias credis habere
nurus? "[48]
, ma Sparta è scarsa, tu sei degna di ricca raffinatezza; a tale bellezza non si
addice questo luogo; a quest'aspetto si confà l'uso di vesti infinitamente
copiose e abbondare di delizie mai viste. Vedendo l'eleganza degli uomini della
nostra gente, quale credi che abbiano le ragazze troiane?
Questo fu uno
degli argomenti, o dei pensieri, che spinsero Elena all'adulterio secondo Ecuba
la quale, nelle Troiane di Euripide, accusa la maliarda di avidità non
solo sessuale: la moglie di Menelao
fu attirata dallo splendore di Paride:
tanto da quello della bellezza quanto da quello delle ricchezze che il principe
troiano portava con sé e che possedeva a Troia dove l'oro scorreva a fiumi.
A Sparta, infatti, le rinfaccia la vecchia
regina, vivevi con poco ("mivkr j e[cousa",
v. 993) e abbandonata la famiglia sperasti di sommergere nel tuo fasto ("h[lpisa"
katakluvsein-dapavnaisin", vv. 995-996)
la città dei Frigi dove l'oro scorreva . Infatti non ti bastavano le dimore di
Menelao per trasmodare nei tuoi lussi ("tai'"
sai'" ejgkaqubrivzein trufai'"", v.
997: il verbo accusa Elena di u{bri"
, il peccato dei Greci)
Questa è la requisitoria della regina dolente
che conclude con una richiesta di condanna a morte.
Torniamo ai suggerimenti di Ovidio.
'L'ambiguità giocosa investe, naturalmente, anche l'Ars amatoria...Il
pudor è bandito come rusticus , almeno da una certa fase in
poi della strategia di conquista della donna"[49]
. Del resto è pur vero che "la strategia amorosa si sa adoperare soltanto quando
non si è innamorati"[50].
Ovidio consiglia al corteggiatore l'audacia e
la facondia che sarà nutrita dalla forza del desiderio: è il rem tene verba
sequentur di Catone trasferito in campo erotico:"fac tantum cupias,
sponte disertus eris " (Ars Amatoria , I, 608), pensa solo a
desiderarla, e sarai facondo senza sforzo. Per la conquista parlare è decisivo:
la parola audace e suadente metterà in fuga il rusticus Pudor :"
Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor:
audentem Forsque Venusque iuvat ", I, 605-606), è già tempo di parlarle;
fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.
Seneca nel De Beneficiis (64 d. C.)
segnala alcuni aspetti della corruzione del suo tempo derivata
dall'ingratitudine: tra questi la moda della dissoluzione dei vincoli
matrimoniali, la sparizione pudicizia femminile e la complicità dei mariti:"Coniugibus
alienis ne clam quidem sed aperte ludibrio habitis, suas aliis permisere.
Rusticus, inhumanus ac mali moris et inter matronas abominanda condicio est,
si quis coniugem suam in sella prostare vetuit et vulgo admissis inspectoribus
vehi perspicuam undique " (I, 9, 3), dopo che si sono presi gioco delle
mogli altrui, neppure di nascosto ma palesemente, hanno concesso le proprie
agli altri. E' rozzo, incivile, di cattiva educazione, e tra le matrone la sua
qualità è aborrita se una ha vietato a sua moglie di esibirsi nella portantina e
di farsi portare in giro da tutte le parti bene in vista per essere osservata
pubblicamente.
Analoga considerazione fa
Parini (1729-1799) quando
attribuisce un siffatto disprezzo del pudore, e della fedeltà matrimoniale, ai
nobili satireggiati nel suo poema:" D'altra parte il Marito ahi quanto spiace,/
E lo stomaco move ai dilicati/Del vostr'Orbe leggiadro abitatori,/Qualor de'
semplicetti avoli nostri/Portar osa in ridicolo trïonfo/La rimbambita Fe', la
Pudicizia,/Severi nomi!" (Il Mattino , vv. 292-298).
L'audacia quale mezzo ottimo per indurre
all'adulterio viene messa al primo posto da Rodolphe Boulanger, il seduttore
carnale di Emma Bovary:" Cominceremo, e con audacia, è sempre il mezzo più
sicuro"[51]
.
Anche in questo romanzo il marito, Charles
Bovary, è una figura contraria all'eleganza, un individuo che tanto "spiace",
oltretutto a sua moglie la quale non si sente trattenuta ai vincoli imposti dal
pudore coniugale:"La conversazione di Charles era piatta come un marciapiede, vi
sfilavano le idee più comuni nella loro veste più ordinaria, senza suscitare la
minima commozione, d'allegria o di sogno. Lo diceva lui stesso, non aveva mai
provato la curiosità, durante il suo soggiorno a Rouen, di andare a sentire a
teatro gli attori di Parigi. Non sapeva nuotare, né tirar di scherma, né usar la
pistola, un giorno non seppe neppure spiegare alla moglie un termine
d'equitazione che lei aveva trovato in un romanzo. E un vero uomo, invece, non
avrebbe dovuto conoscer tutto, eccellere in ogni attività, essere in grado,
insomma, d'iniziare la propria donna alle violenze della passione, alle
raffinatezze della vita, agli innumeri misteri? Non insegnava nulla Charles, non
sapeva nulla Charles, non immaginava nulla Charles: credeva che lei fosse
felice, ma lei gliene voleva per tutta quella tranquillità imperturbabile, per
tutta quella pacifica pesantezza, per tutta quella stessa sazietà di cui era
l'origine" (p. 34).
Un uomo rozzo assai: quando la moglie bella,
insoddisfatta, poco affettuosa e cortese, è viva e convive con lui, egli non si
accorge dei tradimenti, e dopo il suicidio di lei, leggendo le sue lettere,
spiandola dopo che è morta, si offende a morte:"Rusticus est nimium
quem laedit adultera coniunx" (Amores III, 4, 37), è davvero rozzo
quello che una moglie adultera offende: "C'eran tutte le lettere di Léon. Questa
volta nessun dubbio era più possibile! Le divorò sino all'ultima riga, frugò in
ogni angolo, in ogni mobile, in ogni tiretto, dietro i muri, singhiozzando,
urlando, smarrito, impazzito. Scoprì una scatola, la sfondò con un calcio. Il
ritratto di Rodolphe gli balzò davanti, tra un disordinato profluvio di messaggi
d'amore" (p. 279).
Fa coppia con questo L'eterno marito
(1871), Pavel Pavlovic, di Dostoevskij:"Un individuo simile nasce e si
sviluppa unicamente per ammogliarsi e, una volta ammogliato, per trasformarsi
unicamente in un'appendice della moglie, anche quando egli abbia una personalità
sua, ben determinata. La proprietà essenziale di un simile marito è quel certo
ornamento. Egli non può non essere cornuto, così come il sole non può non
risplendere, però non soltanto non ne sa mai nulla, ma non potrà mai saperlo per
le leggi medesime della natura…E a un tratto, in modo del tutto inatteso, Pavel
Pavlovic si fece con due dita le corna sulla fronte calva, e ghignò piano, a
lungo. Rimase così, con le corna e ghignando, per mezzo minuto almeno, guardando
Vel' caninov[52]
negli occhi in una specie di ebbrezza della più perfida insolenza"[53].
Rusticus est nimium,
anche questo.
Ancora a proposito dell'Ars Amatoria ,
La Penna cita "forma sine arte potens " (III, 258), la bellezza è una
potenza senza artifici, ma, fa notare, "tutta l'opera si colloca al di là della
natura, dell'istinto, anche della sensualità, ed esalta l'efficacia dell'usus
e del cultus . Grazie all'usus le donne non più giovani
perpetuano il loro fascino (Ars II 675 sgg.) e vincono la lotta contro
il tempo inesorabile (677): Illae munditiis annorum damna rependunt " (p.
187), quelle con l'eleganza compensano i danni del tempo. E, aggiunge Ovidio,
con i trattamenti di bellezza fanno in modo di non sembrare vecchie:"et
faciunt cura, ne videantur anus " (678). E' anche l'usus del resto,
l'esperienza, che rende appetibili le non più giovanissime:"utque velis,
Venerem iungunt per mille figuras:/invenit plures nulla tabella modos"
(679-680), e, purché tu lo voglia, fanno l'amore componendo mille figure; nessun
quadro ha trovato più posizioni.
Certamente si potrebbe contrapporre a queste
anus restaurate e navigate la vecchia signora di Pirandello la
quale "coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e
poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili" fa ridere con
l'avvertimento "che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia
rispettabile signora dovrebbe essere"[54].
Questo dell'anziano spennellato e miserevole è un vero e proprio
tovpo"
pirandelliano: si trova pure nella signora
Popònica delle pagine iniziali dell'Esclusa e nella poesia Dal fanale
a proposito di un vecchio che "nero-rossi, qual pel di faina,/si ritinge i
capelli" come fanno quelli che danno la tinta "al canuto, imbecillito
affetto/della vita".
Ma Ovidio quando scrive l'Ars Amatoria
non è così intristito. "La trattazione del libro dedicato alle donne", il
terzo, "incomincia, dopo il lungo proemio, con una specie di inno al cultus
(Ars III 101-128). Il passo è celebre...Senza cultus non
avremmo i frutti della terra, il vino e le messi. La forma , la bellezza,
è dono divino; è il cultus che dà la bellezza anche a chi non l'ha. Si
obietta che le donne dei tempi antichissimi non ricorsero al cultus : è
perché i mariti, duri soldati, erano rozzi, senza gusto. La rudis simplicitas
caratterizzò la Roma arcaica; ma nunc aurea Roma est , e alla
splendida Roma di oggi, coi suoi superbi edifici, corrisponde meglio il
cultus . Si colloca qui la più esplicita professione di modernità lanciata
da Ovidio (121 sg.) : Prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor:
haec aetas moribus apta meis "
[55],
le anticaglie piacciano agli altri, io mi compiaccio di essere nato solo ora:
questa è l'età adatta ai miei gusti.
E' un ribaltamento del mito dell'età
dell'oro: il presunto "paese guasto" è più piacevole e gradito del "mondo casto"[56].
Anche all'inizio dei Medicamina faciei
Ovidio proclama:"culta placent " (v. 7), piace ciò che è curato: i
palazzi, la terra, la lana, le donne.
La Penna poi indica "qualche altro passo
interessante del III libro dell'Ars dove la polemica contro il gusto
arcaizzante ritorna in forma satirica. Ecco il quadro dell'incessus
rozzo (303 sg.): illa, velut coniunx
Umbri rubicunda mariti,/ambulat, ingentis[57]
varica fertque gradus " (p. 189),
quella cammina come la moglie rubiconda di un marito umbro, e procede a grandi
passi con le gambe divaricate. E' questo un rusticus…motus (vv. 305-306)
che fa scappare gli uomini (fugatque viros, v. 300).
La goffaggine dei movimenti ricorda la
tanghera di Saffo la quale rimprovera un'allieva, forse Attis, di
provare attrazione per una persona inelegante:
" Affascina la
tua mente quale tanghera (ajgrwi?ti"
) che indossa una veste da tanghera/e non è capace di sollevare gli stracci
sopra le caviglie?" (fr. 61 D.).
Lo stile eletto
infatti è per Saffo il valore fondamentale, e senza questa base non può esserci
bellezza né gioia, anzi c'è l'abisso dell'insignificanza. Aristocratica è la
classe di provenienza di Saffo, aristocratica l'educazione impartita alle
allieve, ma niente è nobile quanto la natura, la quale è più aristocratica di
qualsiasi società feudale basata sulle caste.
Torniamo alla
guida di La Penna:"Non è detto che Ovidio, rievocando questa moglie
rubiconda dell'antico contadino umbro, pensasse, per contrasto, alla severa
madre sabina rievocata da Orazio: certo il contrasto è gustoso. Ci sono nelle
opere erotiche parecchi altri indizi più chiari di satira e parodia
dell'arcaismo etico del regime augusteo...Qui non è il caso di entrare in
dettagli; basta vedere come importanti motivi nazionali della poesia di
regime sono distorti con elegante parodia. Per esempio, la discendenza dei
Romani da Venere attraverso Enea, celebrata da Virgilio, serve per riaffermare
che Roma è la città dove la dea dell'amore dispiega tutta la sua potenza (Ars
I 60): mater in Aeneae constitit urbe sui
[58].
Tra gli amanti
infedeli è menzionato Enea, che causò la morte di Didone; e tuttavia egli "famam
pietatis habet " (Ars III 39): giocosa polemica con Virgilio che
aveva giustificato il suo pio eroe. Anche gli elogi del cultus vanno
letti nel contesto della polemica libertina col regime...Con Augusto...la
società romana guariva dalla crisi tornando al modello etico arcaico,
caratterizzato dalla pietas , dall'industria , dalla limitazione
dei consumi, ecc. Questa concezione "catoniana" della crisi e della sua
soluzione veniva raccordata abbastanza bene con una concezione soteriologica e
messianica di più vasta risonanza: ritorno dell'età dell'oro..." (p. 190).
Si può
illustrare questa affermazione con alcuni versi dell'elegia programmatica di
Tibullo (1,1):" Divitias alius fulvo sibi congerat auro/et teneat culti
iugera multa soli,/quem labor adsiduus vicino terreat hoste,/Martia cui somnos
classica pulsa fugent:/me mea paupertas vita traducat inerti,/dum meus adsiduo
luceat igne focus./ Ipse seram teneras maturo tempore vites/rusticus et
facili grandia poma manu;/nec spes destituat, sed frugum semper acervos/praebeat
et pleno pinguia musta lacu. " (vv. 1-10), altri ammassi per sé ricchezza
d'oro giallo e possieda molti iugeri di terra coltivata, ma lo spaventi un'ansia
continua per l'avvicinarsi del nemico, e la tromba di Marte fatta suonare gli
cacci il sonno: me il possesso di poco faccia passare una vita tranquilla,
purché il mio focolare brilli di un fuoco sempre acceso! Io stesso pianterò
tenere viti nella stagione opportuna da contadino e grandi alberi da frutto con
mano esperta; e la speranza non mi deluda ma mi offra sempre mucchi di grano e
mosto denso nel tino ricolmo.-somnos…fugent:
la mancanza di sonno può essere causata dalla guerra o dall'ambizione. Il
tiranno è caratterizzato dall'insonnia. Edipo re vedendo il popolo di
Tebe tormentato dice
"Sicché non da un sonno, mentre dormivo, mi svegliate;/ma dovete sapere che
molto io ho lacrimato di già/e molte strade ho percorso con gli errori della
mente" (vv. 65-67). Il
re è insonne non solo per la sollecitudine che il capo deve al popolo
sofferente ma anche perché, al pari di Macbeth (II, 2), ha ucciso
il sonno con i suoi delitti. Nell'Edipo a Colono (vv. 621-622) il
protagonista vicino alla "consolazione metafisica" afferma che sarà il suo
freddo cadavere a dormire.
Nella tragedia di Shakespeare l'assassino del
re dopo l'uccisione di Duncan crede di sentire una voce che grida:"Sleep no
more! Macbeth does murder sleep" non dormire più, Macbeth
uccide il sonno "The death of each day's life, sore labour's bath, balm of
hurt minds "(II, 2) , la morte di ciascun giorno della vita, bagno
ristoratore dei travagli della vita, balsamo per le anime afflitte. Espressioni
non dissimili in Leopardi quando sostiene che senza questo ristoro
non si sopporterebbe la vita:"Tal cosa è la vita, che, a portarla, fa di bisogno
ad ora ad ora, deponendola, ripigliare un poco di lena, e ristorarsi con un
gusto e quasi una particella di morte"[59].-
-dum…luceat:
proposizione condizionale con sfumatura restrittiva.
Qui come si
vede essere rusticus (v. 8) non è un difetto; non è nemmeno un ostacolo
all'amore poiché più avanti "il poeta contadino si trasforma in poeta innamorato
(il passaggio avviene mediante l'immagine dell'abbraccio notturno con la sua
donna al riparo dall'ostile mondo esterno, vv. 45-48). E, al v. 57, compare
Delia. A lei il poeta consacra la propria esistenza, lasciando ad altri, in
primo luogo al patrono Messalla, la gloria della guerra"[60].
Vediamo i versi dell'abbraccio nel luogo rustico e protetto:"Quam iuvat
immites ventos audire cubantem/et dominam tenero continuisse sinu.//aut, gelidas
hibernus aquas cum fuderit Auster,/securum somnos igne iuvante sequi " (I,
45-48), quanto mi piace udire dal letto i venti furibondi e stringere la signora
dal morbido seno, Oppure, quando l'Austro tempestoso versa gelide piogge
abbandonarsi senza preoccupazioni ai sonni favoriti dal fuoco. Ecco una
rusticari gradevole.
Sul rapporto
guerra-amore torneremo più avanti; ora notiamo che nella IV delle Heroides
Fedra viceversa scrive a Ippolito che la grazia di Venere e la rusticitas
sono inconciliabili:"si Venerem tollas rustica silva tua est " (v.
102), se togli di mezzo Venere la tua selva è selvaggia.
La Penna procede
ricordando alcuni aspetti del dibattito svoltosi nel 195 a. C. sull'abrogazione
della legge Oppia . Abbiamo già visto la posizione di Catone che si opponeva al
lusso e alla libertas femminile da lui intesa come licentia
(Livio, XXXIV, 2, 11-14).
"Il dibattito
dei tempi di Catone non era certo inattuale nella Roma augustea, e ciò avrà
pesato nell'indurre Livio a dargli tanto rilievo. L'etica del principato,
come tutti sanno, ostentava una certa ispirazione catoniana; essa si
riconosceva bene nel comportamento che Sallustio...attribuiva agli avi (Cat.
9. 2):" in suppliciis deorum magnifici, domi parci "[61].
Ma la stessa età augustea offriva anche, in teoria, senza parlare della realtà,
modelli etici diversi: proprio uno dei maggiori artefici del regime, Mecenate,
si presentava e veniva presentato come l'uomo tanto energico nella vita pubblica
quanto ben disposto agli agi e ai piaceri nel meritato ozio che succede e
precede le fatiche dello stato...In modo sottile, brillante, dunque, Ovidio
cancella il ritorno ai prischi costumi; e implicitamente
cancella...l'interpretazione della storia romana dopo le guerre puniche come un
processo di decadenza. Il cultus , anche se accordato con lo
splendore della Roma augustea...sembra piuttosto frutto di un progresso lungo,
di inizio non recente, che ha cancellato a poco a poco la rusticitas
arcaica...Ovidio nella celebrazione del cultus data nel III dell'Ars
[62] sembra risentire del
concetto, e dell'entusiasmo, della pienezza dei tempi. Esiodo, chiuso
nella concezione ciclica, vorrebbe non essere nato nell'età in cui vive, cioè
nell'età del ferro, la più feroce e infelice di tutte (Opere 174
sg.)...Quando Ovidio proclama con entusiasmo "ego me nunc denique
natum/gratulor ", sembra contrapporsi all'antico vate di Ascra: non
escluderei un'allusione, anche se non sono sicuro: Esiodo è poeta ben presente
nella poesia augustea, ovviamente noto a Ovidio" (p. 195).
Di età del ferro
parla Ovidio nelle Metamorfosi in questi termini
cercal I, 127
sgg. e Seneca nel De ira II 8 Foscolo La terra è una foresta di belve febbraio
99
Che la decadenza
sia iniziata con la caduta di Cartagine e con la fine della paura dei nemici e
particolarmente del metus punicus lo afferma appunto Sallustio nel
Bellum Catilinae :"Sed ubi …Carthago aemula imperii Romani ab stirpe
interiit, cuncta maria terraeque patebant, saevire fortuna ac miscere omnia
coepit. Qui labores, pericula, dubias atque asperas res facile toleraverant, iis
otium divitiaeque, optanda alias, oneri miseriaeque fuere. Igitur
primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit:
ea quasi materies omnium malorum fuere
"(10), ma quando…Cartagine, rivale del popolo romano, fu distrutta dalle
fondamenta, tutti i mari e le terre erano aperti, la fortuna cominciò a
incrudelire e a sconvolgere tutto. Quelli che avevano sopportato con facilità
fatiche, pericoli, situazioni incerte e difficili, per questi l'ozio e la
ricchezza, beni desiderabili in altre circostanze, furono motivo di peso e di
miseria. Pertanto prima crebbe il desiderio di denaro, poi di potere: quelle
passioni furono per così dire l'esca di tutti i mali.
Il concetto torna nel Bellum Iugurthinum
:" Nam ante Carthaginem deletam...metus hostilis in bonis artibus civitatem
retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea quae res secundae
amant, lascivia atque superbia, incessere" (41), infatti prima della
distruzione di Cartagine…il timore dei nemici conservava la cittadinanza nel
buon governo. Ma quando quella paura tramontò dagli animi, naturalmente quei
vizi che la prosperità ama, la dissolutezza e la superbia apparvero.
E'
l'imperialismo moralistico di Sallustio:
le conquiste dunque non devono soffocare l'antica virtù: quella per cui i
giovani desideravano più le armi e i cavalli da guerra che puttane e banchetti:"magisque
in decoris armis et militaribus equis quam in scortis atque conviviis
lubidinem habebant "( Bellum Catilinae, 7). L'impero infatti si
conserva facilmente con i mezzi con i quali lo si è dapprima conquistato:"
nam imperium facile iis artibus retinetur, quibus initio partum est (2).
Un'altra
contrapposizione di Ovidio a Esiodo, in particolare al proemio della Teogonia
, viene individuata nel proemio dell'Ars Amatoria dove l'autore
"non si proclama ispirato da Apollo e dalle Muse...la fonte della nuova opera è
l'esperienza:"usus opus movet hoc
[63]; in base
all'esperienza egli canterà il vero ("vera canam ", 30) (e in questo
credo che Ovidio non si contrapponga più ad Esiodo, ma gli si accosti).
L'unica divinità che viene invocata è Venere"[64]
.
La proclamata
pratica del vero risente non direi tanto di Esiodo, cui le Muse dell'Olimpo si
presentarono con queste parole : noi sappiamo dire molte menzogne simili al
vero, ma sappiamo, quando vogliamo anche far sentire la verità[65],
quanto piuttosto della lezione storiografica di Tucidide che "legiferò" non
solo per gli storiografi. Polibio che ripete formule tucididèe potrebbe
sottoscrivere queste parole di Ovidio:"usus opus movet hoc: vati parete
perito;/vera canam " (Ars I, 29-30), l'esperienza fa nascere
quest'opera: obbedite al poeta esperto; canterò fatti veri.
La dea è
indicata come il nume che ha designato nel poeta il maestro artista, pilota e
auriga dell'amore:" me Venus artificem tenero praefecit Amori;/Tiphys et
Automedon dicar Amoris ego " (Ars Amatoria , I, vv. 7-8), Venere mi
ha preposto a foggiare il delicato amore; io sarò chiamato il Tifi[66]
e l'Automedonte[67]
dell'Amore.
Un altro
encomio del cultus si trova nei primi versi dei Medicamina faciei
.
"L'elogio
del cultus collocato all'inizio dei Medicamina faciei
esalta più ampiamente che quello collocato nel III libro dell'Ars
l'importanza del cultus nella lavorazione della terra, nel mutamento
delle condizioni naturali. Segue l'elogio del cultus in quanto dà
splendore e lusso alle abitazioni e all'abbigliamento (7-10): Culta placent:
auro sublimia tecta linuntur;/nigra sub imposito marmore terra latet;/vellera
saepe eadem Tyrio medicantur aëno;/sectile deliciis India praebet ebur "
(p. 198), le cose curate piacciono: gli alti palazzi vengono coperti d'oro[68];
la terra nerra rimane nascosta sotto il marmo sovrapposto; spesso anche la lana
è tinta con una caldaia di Tiro; l'India offre al lusso avorio intarsiato.
I versi
successivi contrappongono "con disprezzo, anche se temperato dalla comicità, la
rusticitas dei tempi antichi" al lusso moderno:"Forsitan antiquae Tatio sub
rege Sabinae/maluerint quam se rura paterna coli,/cum matrona, premens altum
rubicunda sedile,/adsiduo durum pollice nebat opus,/ipsaque claudebat, quos
filia paverat, agnos,/ipsa dabat virgas caesaque ligna foco " (Medicamina
faciei, vv. 11-16), forse le antiche Sabine sotto il re Tazio preferirono
curare i campi paterni piuttosto che se stesse, quando la sposa, seduta
arrossata sull'alto sgabello, filava con pollice instancabile il suo duro
lavoro, e lei stessa chiudeva gli agnelli che la figlia aveva portato al
pascolo, lei stessa metteva verghe e legna fatta a pezzi sul focolare.
Le antiche
sabine erano delle contadinone prive di grazia.
Tutt'altra
posizione nei confronti dei Sabini è quella di Tito Livio che elogia
l'educazione severa e rigida di quel popolo "quo genere nullum quondam
incorruptius fuit" (I, 18, 4), del quale mai alcuno anticamente fu più
austero. Un epigramma di Marziale (XI, 15) comprende entrambe queste
posizioni: il poeta afferma di avere scritto anche chartae austere
leggibili dalla moglie di Catone e dalle Sabine qualificate come horribiles
(vv. 1- 2).
Subito dopo
Ovidio nei Medicamina faciei " torna ai tempi moderni per giustificare
pienamente il bisogno di cultus da parte delle puellae ; e
non si tratta di abbigliamento a buon mercato" (p. 199) : At vestrae matres
teneras peperere puellas:/vultis inaurata corpora veste tegi,/vultis odoratos
positu variare capillos,/conspicuam gemmis vultis habere manum;/induitis collo
lapides oriente petitos,/et quantos onus est aure tulisse duos "
[69], invece le vostre
madri hanno partorito fanciulle delicate: volete che il corpo sia coperto da
veste intessuta d'oro, volete mutare con l'acconciatura i capelli profumati,
volete avere una mano che colpisce lo sguardo con i gioielli; mettete al collo
perle cercate in oriente e all'orecchio due così grandi che è faticoso reggerle.
Le donne non si
possono biasimare per questo, tant'è vero che la moda del lusso è stata
accolta anche dagli uomini:"Nec tamen indignum: sit vobis cura placendi,/cum
comptos habeant saecula vestra viros./Feminea vestri potiuntur lege mariti,/et
vix, ad cultus, nupta, quod addat, habet " (vv. 23-26) tuttavia non è
disdicevole: abbiate pure cura di piacere, dal momento che la vostra generazione
presenta uomini eleganti. I vostri mariti si impossessano della consuetudine
femminile e la sposa ha appena qualcosa da aggiungere alle loro ricercatezze.
"Qui il
cultus si presenta chiaramente come lusso; Ovidio non si preoccupa di
porre limiti; certamente sa, anche se non si preoccupa di esporcelo, quali spese
il cultus comporta e quale attività commerciale presuppone: materie
prime o prodotti rifiniti vengono dalle provincie o dal lontano oriente; anche
nel corso della trattazione (che, com'è noto, si riduce per noi a poche decine
di versi[70])
le provenienze esotiche sono talvolta indicate[71]:
si direbbe, insomma, che Ovidio accetta in pieno l'espansione dei consumi e
l'economia mercantile in cui essa si colloca"
[72].
Sul lusso dei
primi anni dell'impero e sulla svolta impressa dall'esempio di Vespasiano
vediamo l'opinione di Tacito il quale applica l'idea polibiana del ciclo (ajnakuvklwsi"
/orbis ) all'economia e
alle mode: con l'avvento di Vespasiano (69 d. C.) termina il tempo del luxus
delle splendidissime famiglie senatorie, un ciclo iniziato "a fine Actiaci
belli "(Annales , III, 55) , dalla fine della guerra di Azio, il 31
a. C.
Il primo
imperatore flavio infatti era "praecipuus adstricti moris auctor...antiquo
ipse cultu victuque " (Annales , III, 55) principale promotore di
vita austera...egli stesso di antica semplicità nel mangiare e vestire,
addirittura simile ai comandanti antichi se non ci fosse stata l'avaritia ("prorsus,
si avaritia abesset, antiquis ducibus par ", Historiae , II, 5).
Tacito vuole cercare le cause di questo mutamento ("causas eius mutationis
quaerere libet ", Annales , III, 55) che fu graduale e variamente
motivato, ma ebbe il principale auctor in Vespasiano . Infatti la
cortigianeria verso l'imperatore, e il desiderio di imitare tale modello, ebbero
maggior valore che la pena minacciata dalle leggi suntuarie e la paura:"Obsequium
inde in principem et aemulandi amor validior quam poena ex legibus et metus
". Sappiamo da Omero, Esiodo e dalla tragedia greca che i costumi, virtù, vizi e
perfino malattie del capo si riverberano sulla sua terra per una sorta di
responsabilità collettiva.
Però c'è
un'altra causa, forse più vera, certo più misteriosa, ed è quella del ciclo:"
:"Nisi forte rebus cunctis inest quidam velut orbis, ut quem ad modum
temporum vices ita morum vertantur "(Annales , III, 55), a meno che
per caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le
stagioni, così si volgano le vicende alterne dei costumi. Delle Historiae
di Tacito ci sono arrivati 5 libri, l'ultimo dei quali mutilo. Raccontano i
fatti che vanno dal 1° gennaio 69 alla rivolta giudaica del 70. Il V libro
contiene un lungo excursus sulla Giudea.
Gli Annales,
composti negli anni successivi al 111 d. C., dovevano continuare l'opera di
Livio: il titolo dei manoscritti Ab excessu divi Augusti echeggia il
liviano Ab urbe condita. Dell'opera che doveva andare dalla morte di
Augusto a quella di Nerone ci sono arrivati i libri I-IV, un frammento del V e
parte del VI con gli avvenimenti dalla morte di Augusto (14 d. C.) a quella di
Tiberio (con una lacuna per gli anni 29-31); inoltre i libri XI-XVI con il regno
di Claudio, dal 47, e quello di Nerone fino al 66.
Su questo
argomento è interessante la riflessione di Santo Mazzarino :"L'idea
tacitiana del "ciclo" economico dal 30 a. C. al 68 d. C. è, in fondo, un nuovo
dono del pensiero filosofico alla storiografia antica: all'"anaciclosi"
polibiana, che si applica alle forme costituzionali, si aggiunge così un
similare concetto di orbis , applicato all'economia. Questo concetto
del luxus senatorio stroncato...dall'avvento, nel 69 d. C. , di una
borghesia "pecuniosa" ma parca, basterebbe a fornire taluni elementi essenziali
per una storia sociale del periodo dal 69 d. C.-l'anno di Galba, Otone,
Vitellio-fino a tutta l'età flavia: del periodo, insomma, che Tacito aveva
trattato nelle Historiae "[73].
La
pericolosità di un'economia di consumi fondati sulle importazioni viene rilevata
da una lettera al senato di Tiberio
.
Già nel 16 d. C. c'era stata una seduta del
senato durante la quale avevano parlato a lungo contro il lusso un ex console e
un ex pretore "decretumque ne vasa auro solida ministrandis cibis fierent,
ne vestis serica viros foedaret " (Annales , II, 33), e fu proibito
che venissero fatti vasi d'oro massiccio per servire i cibi in tavola e che
vesti di seta deturpassero gli uomini. Poi però Asinio Gallo[74]
parlò in senso contrario dicendo che i senatori e i cavalieri, come stanno
davanti per posti a teatro, cariche, dignità, devono anche potersi procurare i
mezzi che recano sollievo all'animo e benessere al corpo. "Facilem adsensum
Gallo sub nominibus honestis confessio vitiorum et similitudo audientium dedit
" , diede un facile consenso a Gallo l'ammissione dei vizi sotto nomi onesti e
la complicità degli ascoltatori. "Adiecerat et Tiberius non id tempus
censurae nec, si quid in moribus labaret, defuturum corrigendi auctorem",
Tiberio aveva aggiunto che non era quello il momento di un giudizio critico e
comunque se i costumi avessero vacillato non sarebbe mancata l'autorità di una
riforma.
L'imperatore nel 22 d. C. viene avvisato dai
senatori, a loro volta messi in guardia dagli edili, sul fatto che che le leggi
suntuarie erano disprezzate e i prezzi delle derrate alimentari aumentavano di
giorno in giorno. Il lusso infatti traboccava senza freno e lo sfarzo di mense
e di orge aveva addirittura suscitato il timore che il principe, uomo di antica
parsimonia, prendesse provvedimenti troppo duri (" ne princeps antiquae
parsimoniae durius adverteret ", Annales , III, 52). Tiberio
rispose che l'imperatore aveva compiti più importanti che quello di
proibire il lusso; che cosa del resto avrebbe dovuto cominciare a proibire per
tornare al costume antico? ville enormi? , moltitudini di schiavi di tante
razze? vasellame d'oro e d'argento? meraviglie di statue e dipinti?, vesti
portate senza distinzione da uomini e donne e
quella mania femminile che, per le pietre
preziose fa passare il denaro a popoli stranieri o nemici (promiscas
viris et feminis vestis[75]
atque illa feminarum propria, quis lapidum causa pecuniae nostrae ad externas
aut hostilis gentis tranferuntur ?
, III, 53).
E' il problema del drenaggio della
disponibilità monetaria e della crisi economica dell'Italia.
Il fatto davvero grave però era che l'Italia
non bastava a se stessa, poiché la terra non veniva più coltivata, e il suo
sostentamento dipendeva dalle importazioni:
"Externis victoriis aliena, civilibus etiam nostra consumere didicimus.
Quantulum istud est de quo aediles admonent! quam, si cetera respicias, in levi
habendum! at hercule nemo refert quod Italia externae opis indiget, quod vita
populi Romani per incerta maris et tempestatum cotidie volvitur " (Annales
, III, 54), con le vittorie esterne abbiamo imparato a consumare i beni altrui,
con le civili anche i nostri. Che piccola cosa è questa di cui mi avvisano gli
edili, quanto se si guarda ad altre più serie, deve essere considerata di poco
conto! ma per Ercole nessuno ricorda che l'Italia ha bisogno di mezzi che
vengono da fuori e che la vita del popolo romano si aggira ogni giorno tra i
rischi del mare e delle tempeste.
Già Augusto temeva che le campagne rimanessero
non coltivate a causa dell'ozio della plebe e decise di abolire le distribuzioni
frumentarie:"quod earum fiducia cultura agrorum cessaret "
[76],
poiché confidando in queste la gente trascurava la coltivazione dei campi.
Tuttavia l'imperatore non perseverò nel proponimento.
"Una grande crisi scoppiò nel 33 d. C. : i
latifondi coltivati da schiavi rendevano impossibile una qualunque concorrenza
da parte di piccoli proprietari; questi si erano indebitati, ricorrendo a
prestiti di latifondisti senatori, sebbene ai senatori fosse proibita l'usura…Ne
derivò la rovina di molti piccoli proprietari, i quali svendevano i campi per
pagare i debiti"[77].
I grandi latifondi erano
poco seguiti e fatti coltivare non
intensivamente dai proprietari assenteisti.
Sentiamo M. Rostovzev durante il I sec.
d. C. sotto gli imperatori Giulii e Claudii :" Le tenute di media
estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di vendita e vennero
acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi ultimi naturalmente
desideravano di semplificare la gestione delle loro proprietà, e, paghi di
ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano dare la loro terra ad
affittuari e produrre prevalentemente grano". La "mancanza di vendita" di molti
prodotti italici era dovuta alla "emancipazione economica delle province…le
condizioni del mercato peggioravano di giorno in giorno a misura che si svolgeva
la vita economica delle province occidentali…A questo mutamento s'accompagnò il
crescente raccogliersi della proprietà rurale nelle mani di pochi ricchi
proprietari"[78].
La politica finanziaria di Tiberio ebbe questa
tendenza:"lotta contro il rialzo dei prezzi; e d'altra parte, proprio per questa
sua moderatio nei riguardi degli ottimati, esitazione e anzi rinunzia a
prendere rigidi provvedimenti contro il lusso delle
dites familiae nobilium aut claritudine
insignes[79]
. Dalle nuove esigenze fu particolarmente incoraggiato il commercio con l'India,
come chiaramente attestano i reperti numismatici di questa regione. In queste
condizioni, il lamento che la moneta pregiata prendesse la via dei mercati
stranieri (pecuniae nostrae ad externas aut hostiles gentes transferuntur
) restava una protesta platonica, e denunziava un "drenaggio di oro" a cui
Tiberio stesso dichiarava di non poter porre rimedio"[80].
In ogni modo "Questa idea della crisi
economica dell'Italia domina il pensiero di Tacito, e dà ad esso toni di
tristezza profonda: infatti, la ritroviamo in un passo degli Annali, XII,
43, meritatamente celebre[81]:"at
hercule olim Italia legionibus longiquas in provincias commeatus portabat, nec
nunc infecunditate laboratur, sed Africam potius et Aegyptum exercemus,
navibusque et casibus vita populi Romani permissa est ", eppure, per Ercole,
una volta l'Italia mandava vettovaglie per le legioni in province lontane, né
oggi la terra soffre di sterilità, ma noi preferiamo far coltivare l'Africa e
l'Egitto, e la vita del popolo romano è affidata ai rischi della navigazione.
"Il luxus della aristocrazia senatoria
determinava un continuo "drenaggio" di metalli preziosi verso l'estero, ché
proprio merci orientali dovevano soddisfare quel luxus. Ciò è stato
opportunamente sottolineato dallo storico Tacito"[82],
come abbiamo visto sopra.
In conclusione le spese eccessive dei ricchi
non erano viste di buon occhio dal regime imperiale che comunque tenne, fino a
Vespasiano (69 d. C.), imperatore praecipuus adstricti moris
auctor (Annales , III, 55), una
posizione di tolleranza e attesa guardinga.
Possiamo
aggiungere che espressioni polemiche contro il lusso, con l'alta
valutazione dell'interiorità, si trovano anche nelle Epistulae di
Seneca scritte negli ultimi anni della vita del filosofo, poco prima della
fine del regno di Nerone (54-68 d. C.):" cibus famem sedet, potio sitim
extinguat, vestis arceat frigus, domus munimentum sit adversus infesta temporis.
Hanc utrum caespes erexerit an varius lapis gentis alienae, nihil interest:
scitote tam bene hominem culmo quam auro tegi " (8, 5), il cibo calmi la
fame, la bevanda spenga la sete, i vestiti tengano fuori il freddo, la casa sia
una difesa contro le ostilità del tempo. Non importa se questa l'abbiano
costruita delle zolle erbose o marmi di vario colore importati da genti
straniere: sappiate che l'uomo viene coperto altrettanto bene da un tetto di
paglia che da uno d'oro.
Il tramonto del lusso viene proclamato in
questi giorni (febbraio 2002) da un articolo del settimanale L'Espresso
:" Forse le torri. Forse la guerra, quelle donne sotto il burka, quei bambini
sotto le bombe. Forse i no global…Forse, semplicemente, non se ne poteva più.
Comunque, c'è passata la voglia del lusso. Meglio: quella del lusso a 18 carati,
obeso, imbarazzante…Il vero lusso è sentirsi eredi di qualcosa…è continuità,
appartenenza, tradizioni…i libri che si hanno in casa da anni, non l'ultimo
bestseller…le città italiane come Gubbio, non le Seychelles. Un lusso fatto di
buone maniere, segreto"[83].
Torniamo a Ovidio. Nell'Ars amatoria[84]
, nota ancora La Penna, "l'atteggiamento è più cauto" e la celebrazione
"dell'aurea Roma e della modernità è accompagnato dal rifiuto delle
grandi ricchezze, del lusso smodato: la Roma augustea corrisponde ai gusti
d'Ovidio perché ha eliminato ogni traccia di rusticitas , non perché vi
affluiscono l'oro e oggetti preziosi o perché i ricchi Romani hanno grandi e
splendide ville sul mare (Ars III 123-126) : non quia nunc terrae
lentum subducitur aurum/lectaque diverso litore concha venit,/non quia
decrescunt effosso marmore montes,/nec quia caeruleae mole fugantur aquae "
(p. 200), non perché ora alla terra si sottrae il duttile oro e arrivano perle
pescate in mari opposti, non perché decrescono i monti per le cave di marmo, né
perché le acque azzurre vengono respinte dai moli, ma perché, come abbiamo già
visto, cultus adest…nec mansit rusticitas (vv. 127-128).
Ovidio dunque " nelle sue oscillazioni poco
tormentate si ferma alla proposta di un cultus misurato che eviti
gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per
l'uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda
simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars I 505 sgg.): l'ideale
virile è un equilibrio fra la mundities e la robustezza data dagli
esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur
corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga . Dunque, né
rusticitas né effemminatezza"[85].
L'eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio; la toga stia bene
e sia senza macchie. Inoltre i denti siano senza tartaro (careant rubigine
dentes, Ars, I, 513), i piedi abbiano calzari della loro misura (mentre l'
a[groiko"
del IV dei Caratteri di Teofrasto ha la scarpa più larga del piede), il
taglio di barba e capelli sia buono, le unghie siano ben limate et sint sine
sordibus (517), senza sporcizia, non ci siano peli nella cavità delle
narici, non ci siano cattivi odori nel fiato né addosso alla persona. "Cetera
lascivae faciant concede puellae/et si quis male vir quaerit habere virum "
(521-522), il resto lascia che lo facciano le donne lascive e chi, uomo
presunto, desidera possedere un uomo.
Questa consigliata all'uomo, al maschio, è la
via di mezzo suggerita, come abbiamo già visto, pure da Cicerone e da Seneca.
Lo stile della neglegentia.
Subito sopra, sempre a proposito degli uomini,
Ovidio scrive: "Forma viros neglecta decet; Minoida
Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat
bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria,
I, vv. 507-510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la
figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie;
Fedra amò Ippolito e non era gran che curato; Adone avvezzo alle selve era
oggetto d'amore di una dea.
Lo stile della neglegentia è in ogni
caso quello dell'aristocrazia. Il
fascino e l'eleganza sono luce ed emanazione della persona. Vediamo come hanno
cercato di raffigurarli alcuni scrittori europei.
La studiata disinvoltura , la
neglegentia sui , la noncuranza
(apparente) di sé come mancanza di affettazione, e "apparenza" di
naturalezza, quali virtù supreme dello stile vengono attribuite da Tacito a
Petronio, uomo erudito luxu dalla voluttà raffinata, elegantiae
arbiter , maestro di buon gusto alla corte di Nerone il quale infatti :"nihil
amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset",
niente considerava bello e fine in quel fasto se non quanto Petronio gli avesse
approvato.
Petronio
approvava l'apparenza della semplicità:" Ac dicta factaque eius
quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in
speciem simplicitatis accipiebantur" (Annales , XVI, 18), le sue
parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa
noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.
Sembra un manifesto del dandy antico[86],
e in effetti il raffinato autore del Satyricon , Petronius Arbiter
, probabilmente la stessa persona, considera la propria opera caratterizzata da
una straordinaria simplicitatis opus " (132). semplicità "novae
Insomma, come
nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "le negligenze sue sono
artifici" (II, 18). Questo stile della semplicità ricercata è adottato anche dal
seduttore di Madame Bovary :"si scusò di essere anche lui così
trascurato. Nel suo modo di vestirsi era quel miscuglio di trasandataggine e di
ricercatezza in cui la gente, di solito, crede di intravedere la rivelazione di
un'esistenza eccentrica, le sfrenatezze del sentimento, le tirannie dell'arte,
il perpetuo disprezzo delle convenienze, insomma quanto può sedurre o
esasperare" (p. 113).
La condanna
dell'affettazione è molto diffusa nella cultura europea. Ne do qualche
esempio.
Baldassarre
Castiglione ne Il cortegiano (del 1516) dice che il gentiluomo deve
fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo
quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode" (I, 17). Egli deve
schivare "quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la
affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una
certa sprezzatura", ossia una studiata disinvoltura, "che nasconda
l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza
pensarvi" (I, 26). Parimenti la perfetta gentildonna "Non mostri inettamente di
sapere quello che non sa, ma con modestia cerchi d'onorarsi di quello che sa,
fuggendo, come s'è detto, l'affettazione in ogni cosa" .
Anche A.
Schopenhauer (1788-1860) negli Aforismi sulla saggezza della vita
prescrive di evitare l'affettazione:"Si deve...mettere in guardia di fronte a
qualsiasi affettazione. Questa provoca in ogni caso il disprezzo, in primo
luogo perché è un inganno...in secondo luogo perché rappresenta un giudizio di
condanna pronunciato da una persona su se stessa, volendo essa in tal caso
apparire ciò che non è, e mostrarsi di conseguenza come migliore di quanto essa
sia. L'affettazione di una qualità e il pavoneggiarsi con questa
costituiscono una confessione spontanea della sua mancanza. Se uno si fa
bello di un qualche pregio, sia poi esso coraggio, erudizione, spirito, arguzia,
fortuna presso le donne, ricchezza, posizione elevata, o qualunque altra cosa,
si può dedurre da ciò che a lui manca qualcosa proprio in ciò di cui si vanta:
a chi infatti possiede realmente in modo completo una qualità, non verrà mai in
mente di metterla in mostra e di affettarla, e se ne starà ben tranquillo a
questo proposito"[87].
Il conte
Alessandro Manzoni conosce bene la regola dell'affettazione/sprezzatura.
Nell'Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del "buon
secentista" definendolo"rozzo insieme e affettato..Ecco qui: declamazioni
ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella
goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in
questo paese". Quindi la decisione di "rifarne la dicitura". Viceversa, per
quanto riguarda lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei
personaggi invitati dal conte zio per dare un'impressione di potenza al padre
provinciale:"gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un
intendimento sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo
casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza
nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini
famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e
rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[88].
Una nobile
semplicità si trova in Anna Karenina del conte Tolstoj:" Levin
riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempe calma e
naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con
un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri
e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore"[89]
.
Già Cicerone
quando insegna le buone maniere nel De Officiis raccomanda in generale "quae
sunt recta et simplicia " (I, 130), come abbiamo visto, e, per quanto
riguarda la conversazione, consiglia proprio lo stile che Tosltoj attribuisce
alla sua adultera:"maximeque curandum est, ut eos, quibuscum sermonem
conferemus, et vereri et diligere videamur ...Deforme etiam est de se
ipsum praedicare, falsa praesertim, et cum inrisione audentium imitari militem
gloriosum " (I, 136, 137), e soprattutto bisogna stare attenti a mostrarsi
rispettosi e affettuosi con quelli con i quali parleremo....indecoroso è anche
dire bene di se stesso, soprattutto falsamente, e imitare il soldato
millantatore in mezzo allo scherno di quanti ci odono.
Dostoevskij
ne I fratelli Karamazov considera l'affettazione segno di cattiva
educazione: Alioscia sebbene affascinato da Gruscenka " si domandava con
un'oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione perché ella
strascicasse le parole a quel modo e non parlasse in tono naturale.
Evidentemente, lo faceva perché trovava bella quella pronuncia strascicata e
quella sdolcinata e forzata attenuazione delle sillabe e dei suoni. Certo, non
era che una cattiva abitudine di dubbio gusto, la quale testimoniava
un'educazione volgare e una volgare comprensione, acquisita sin dall'infanzia,
delle convenienze e del decoro"[90].
Del principe
Myskin, L'Idiota , Aglaja viceversa dice a Nastasja Filippovna:"Vi devo
anche dire che mai, in vita mia, avevo incontrato fino a quel momento un uomo
simile a lui per nobiltà e semplicità d'animo, e per fiducia illimitata.
Udendo le sue parole, capii che chiunque volesse potrebbe ingannarlo, ed egli,
per giunta, lo perdonerebbe"[91].
La
semplicità e la negligenza fanno parte dello stile nobile.
Nei
Guermantes di Proust, che costituiscono quasi il codice
dell'aristocrazia redatto da un borghese, si legge che "i nobili fraternizzano
più volentieri coi loro contadini che coi borghesi"[92].
Il raffinato Saint-Loup appariva di un'eleganza " libera e trascurata"[93]
che si adattava perfettamente a "quel corpo, non opaco e oscuro…ma limpido e
significativo". Un corpo attraverso il quale " le qualità tutte essenziali
dell'aristocrazia …trasparivano, come si manifesta in un'opera d'arte la
industre ed efficace potenza che l'ha creata, e rendevano i movimenti di quella
corsa leggera…intellegibili e pieni di grazia come quelli di un cavaliere su un
fregio architettonico"[94].
Si può avvicinare a questa descrizione quella che Plinio il giovane dà di
Aciliano che propone come sposo per la figlia di un amico:"Est illi facies
liberalis, multo sanguine, multo rubore suffusa; est ingenua totius corporis
pulchritudo" (I, 14), ha una faccia nobile, inondata di molta vita e molto
colore; è schietta la bellezza di tutto il corpo.
Addirittura
i tratti del volto di questi aristocratici suggeriscono una parentela antica con
la natura :"il naso a becco di falco e gli occhi penetranti" sono
"caratteristici...di quella razza rimasta così speciale in mezzo a un mondo in
cui non si è confusa e resta isolata, nella sua gloria divinamente ornitologica:
perché essa sembra nata, in un'età favolosa, dall'unione d'una dea con un
uccello"(p. 82). Quindi l'autore descrive i loro atti per mostrare quanto essi
fossero naturali, eppure "graziosi come il volo d'una rondine o l'inclinazione
della rosa sul suo stelo" (p. 475). Il
Guermantes nel dare la mano "che si dirigeva verso di voi all'estremità di un
braccio teso per tutta la sua lunghezza, aveva l'aria di presentarvi un fioretto
per una singolar tenzone; e quella mano era insomma a una tal distanza da quel
Guermantes in quel momento che, quand'egli inchinava poi la testa, era
difficile distinguere se salutasse voi o la propria mano (p. 481).
Manifestazione di intelligenza era la parola salata, "giacché
lo spirito dei Guermantes giudicava i discorsi prolungati e pretenziosi, sia nel
genere serio sia nel burlesco, come un segno della più insopportabile
stupidità"(p. 498). Più avanti ( p. 534) Proust nota " l'abitudine…dei nobili
che fraternizzano più volentieri coi loro contadini che coi borghesi". E
ancora:" quel famoso lusso… non era soltanto materiale…[95]ma
anche un lusso di parole cortesi, di atti gentili, tutta un'eleganza verbale
alimentata da un'autentica ricchezza interiore"(p. 590). I gran signori,
insomma, "sono quasi le sole persone dalle quali si può imparare come dai
contadini: la loro conversazione si adorna di tutto ciò che riguarda la
terra, le abitazioni come erano abitate una volta, le antiche usanze, tutto ciò
che il mondo del denaro ignora profondamente"(p.595).
Ecco un apprezzamento della rusticitas.
In All'ombra
delle fanciulle in fiore Proust scrive che la signora di Villeparisis
giudicava severamente alcuni pur grandi scrittori come Balzac e Victor Hugo
"proprio perché avevano mancato di quella modestia, di quel ritegno, di
quell'arte sobria...di quelle qualità di moderazione nel giudizio e di
semplicità, in cui le avevano insegnato che risiede il valore vero"(p. 308).
Saint-Loup
aveva innanzitutto il pregio della naturalezza che si vedeva fino negli abiti "di
un'eleganza disinvolta, senza nulla di 'pretenzioso' né di 'compassato',
senza rigidità e senza appretto." Quel giovane ricco era apprezzabile" per il
modo negligente e libero che aveva di viver nel lusso, senza 'puzzare di
soldi', senza darsi arie di importanza"; il fascino della naturalezza si trovava
"perfino nell'incapacità che Saint-Loup aveva conservata...d' impedire al
proprio viso di riflettere un'emozione"(p. 334). Si vedeva in lui "l'agilità
ereditaria dei grandi cacciatori...il loro disprezzo per la ricchezza" la quale
serviva solo per festeggiare gli amici. Ma, continua l'autore:" vi sentivo
soprattutto la certezza o l'illusione che avevano avuto quei grandi signori di
essere 'più degli altri' e grazie alla quale non avevano potuto lasciare in
legato a Saint-Loup quel desiderio di mostrare che si vale 'quanto gli altri',
quella paura di sembrare troppo premurosi che rende così rigida e goffa la più
sincera amabilità plebea"(p.337).
Saint Loup aveva "un modo di concepire le
cose per il quale non si fa più conto di sé e moltissimo del 'popolo'; insomma
tutto l'opposto dell'orgoglio plebeo (p. 351). Suo zio Palamède "in ogni
circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma
immediatamente gli snob lo imitavano"(p. 351).
Questo dunque è il nobile proustiano, dotato,
per natura si direbbe, di stile e fascino; più avanti però l'autore riduce la
portata della sua ammirazione e smonta tanta naturalezza, almeno in parte
apparente o almeno esibita, affermando che" Di fronte a quella d' un
grande artista, l'amabilità di un gran signore, per quanto affascinante essa
sia, ha l'aria di una mimica d' attore, di una
simulazione. Saint Loup cercava di piacere, Elstir amava dare, darsi"(p.
431).
L'elogio
della "magnifica negligenza" si trova anche nel grande romanzo di Musil
:" Una casta dominante rimane sempre un poco barbarica...Erano invitati insieme
in residenze campestri, e Ulrich notò che vi si vedeva sovente mangiare la
frutta con le mani, senza sbucciarla, mentre nelle case dell'alta borghesia il
cerimoniale con coltello e forchetta era rigidamente osservato; la stessa
osservazione si poteva fare a proposito della conversazione che quasi soltanto
nelle case borghesi era signorile e distinta, mentre negli ambienti
aristocratici prevalevano i discorsi disinvolti, senza pretese, alla maniera dei
cocchieri. Le dimore borghesi erano più igieniche e razionali. Nei castelli
patrizi d'inverno si gelava; le scale logore e strette non erano una rarità, e
accanto a sontuose sale di ricevimento si trovavano camere da letto basse e
ammuffite. Non esistevano montavivande né bagni per la servitù. Ma, a guardar
bene, c'era proprio in questo un senso più eroico, il senso della tradizione e
di una magnifica negligenza!"[96].
Il conte Leinsdorf, promotore della grande Azione Patriottica, l'Azione
Parallela "del "popolo" pensava fermamente che fosse "buono"…era fermamente
convinto che il vero socialismo concordava con le sue opinioni…E' chiaro come il
sole che soccorrere i poveri è un dovere cavalleresco, e che per la vera nobiltà
non c'è poi una così gran differenza tra un fabbricante e un suo operaio"[97].
Il motto che
riassume questo stile potrebbe essere l'affermazione di Pericle:
"filokalou'mevn te ga;r met&
eujteleiva" kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Tucidide, II, 40, 1). in
effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Più avanti
Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne
negata dalle guerre civili: a causa di queste
("dia; ta;" stavsei""),
fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la
semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:"kai;
to; eu[hqe" , ou'J to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh"
(III, 83, 1). Sembra l'elogio funebre della nobiltà che è anche, forse
soprattutto, semplicità, ingenuità e schiettezza.
Torniamo a Ovidio/ La Penna, allo stile
dell'incedere, e avviamoci a concludere questo sesto capitolo.
"L'incessus cafonesco della donna, che
fa pensare alla moglie rubiconda del contadino umbro, va evitato, ma senza
adottare l'incedere troppo molle di alcune donne di città dalle tuniche fluenti
(Ars III 301 sgg.)"[98]
.
Vediamo i versi che dipingono la femmina
troppo flessuosa e teatrale:"Haec movet arte latus tunicisque fluentibus
auras/accipit, extensos fertque superba pedes " vv. 301-302), questa muove i
fianchi con abilità e prende aria nella tunica ondeggiante, e porta avanti i
piedi allungandoli con superbia.
Il modo di camminare fa parte dello stile:"
discite femineo corpora ferre gradu:/est et in incessu pars non contempta
decoris "(vv. 298-299), imparate a portare il corpo con passo femminile:
anche nel modo di incedere c'è una parte non disprezzabile dello stile bello.
Decor è formato su decet , quindi significa che il bello stile può
variare, siccome è quanto si addice a ciascuna persona o situazione, come il
greco prevpon.
A questo
proposito si può citare Cicerone:" :"nihil decet invita Minerva, ut aiunt,
id est adversante et repugnante natura ", De Officiis , I, 110,
niente si addice contro il volere di Minerva, cioè se la natura è contraria o si
oppone. Non ci si deve opporre alla natura universale, tanto meno alla propria.
Poco più
avanti si legge:"id enim maxime quemque decet, quod est cuiusque maxime suum
"(I, 113), a ciascuno si addice più di tutto ciò che è più personale.
Più in
generale, secondo il mito platonico di Er, molti di noi dopo la morte
dovranno tornare su questa terra e a un certo punto saremo invitati a sceglierci
un'altra vita, un demone, ossia un carattere e un destino, e di tale scelta
rimarremo responsabili. Dice infatti Lachesi, la vergine figlia di Ananche:"oujc
uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (Repubblica
, 617 e), non sarà il demone a sorteggiare voi, ma voi sceglierete il demone. E
subito dopo :"aijtiva eJlomevnou",
la responsabilità è di chi ha fatto la scelta. Una scelta condizionata solo
dalle vite passate. Aiace per esempio si scelse la vita di un leone per il
ricordo del giudizio delle armi, Agamennone quella di un'aquila per avversione
al genere umano. Odisseo, guarito da ogni
ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo
privato e tranquillo ("bivon ajndro;"
ijdiwvtou ajpravgmono"", 620c). Qual è
il nesso con il nostro discorso? Che noi tornati sulla terra dobbiamo fare
quello che si addice a noi, essere coerenti con quella scelta, dimenticata per
avere bevuto l'acqua dell'Amelete. Se recalcitriamo al nostro destino soffriamo.
Durante la vita terrena "ci resta accanto un
compagno, una specie di angelo custode o spirito guida: il Daimon, il modello
del nostro destino, che in qualche modo ci aiuta e indirizza al compimento di
quella scelta che inizialmente proprio noi avevamo fatto, ma che abbiamo
dimenticato. Poiché il mito di Er, come lei accennava prima, è alla base del suo
Codice dell'anima…Lei ha citato uno dei miti sul perché esiste il dolore: il
Daimon ci mette di fronte le richieste del destino e noi recalcitriamo"[99].
E' un'osservazione questa che, anzi, risale addirittura all'Odissea :
Zeus nel primo canto parla agli dèi raccolti nella sala e afferma che gli uomini
incolpano ingiustamente i numi per i loro dolori:":"da noi infatti dicono
che derivano i mali, ma anzi essi stessi/per la loro stupida scelleratezza hanno
dolori oltre il destino ( uJpe;r movron,
vv. 33-34)".
Movro" è la parte (mevro"
) che ci hanno assegnato o che ci siamo scelta, o che c isiamo meritata (cfr.
mereo) per questa rappresentazione della vita umana.
Questo non significa che ci si debba lasciar
andare a tutti gli impulsi.
Per quanto riguarda l'aspetto, assecondare il
proprio demone significa assomigliare a lui e, quindi, a se stessi;
recalcitrando invece uno diviene
ajeikevlio" ,
ajeikhv" ,
non somigliante (eijkov"
), sconcio:" Quando è privo di ogni charis , l'essere umano non
assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è simile agli
dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se stessi, che costituisce
l'identità di ciascuno e si manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di
tutti, non è dunque presso i mortali una costante, fissata una volta per tutte"[100].
Lo stile del ridere.
Chi lo crederebbe? Le ragazze imparano anche
il modo di ridere, cercando pure con questo aspetto di accrescere la loro
avvenenza:"Quis credat? Discunt etiam ridere puellae, /quaeritur atque
illis hac quoque parte decor " ( Ars III, vv. 281-282). Ovidio dà
delle indicazioni che si riassumono nel v. 286:"sed leve nescioquid
femineumque sonet ", comunque (il ridere) esprima un non so che di delicato
e femminile. Quelle che si lasciano andare alla sghignazzata rischiano la
sguaiataggine :"ut rudit a scabra turpis asella mola " (v. 290), come la
brutta asinella raglia dalla ruvida macina. Questo verso realmente ruvido rende
fonicamente il riso sgraziato della ragazza asina.
Marziale commenta questa parte dell'Ars
notando che il poeta di Sulmona ( precisamente Paelignus ) aveva
consigliato di ridere:"ride si sapis, o puella, ride "(II, 41), ridi
ragazza, se hai giudizio, ridi, ma non a tutte le ragazze:"sed non dixerat
omnibus puellis " Infatti una tal Massimina che ha tre denti deve mettersi
addosso espressioni tristi, frequentare donne in lutto e distrarsi solo con le
Muse tragiche. Dunque:"plora, si sapis, o puella, plora ", piangi ragazza
se hai giudizio, piangi.
Sul significato del riso dà indicazioni
interessanti pure Dostoevskij il quale del resto ritiene che tale
espressione dell'uomo non sia pensata e quindi ne sveli il carattere "
Intendo dire soltanto che chi ride come chi dorme non sa, per lo più che viso
abbia. Un gran numero di uomini non sa affatto ridere. D'altronde, non vi è
niente da sapere è un dono, e non si può elaborarlo...Certi caratteri sono
difficili a capirsi, ma basta che l'uomo si metta a ridere sinceramente, e tutto
il suo carattere si rivela con evidenza. Soltanto persone di doti superiori e
felici possono avere l'allegria comunicativa, cioè irresistibile e bonaria. Non
parlo di doti intellettuali, ma del carattere individuale. Quindi, se volete
conoscere un uomo, la sua anima, penetrate non il suo silenzio o le sue parole,
il modo in cui piange o si agita pervaso da nobili idee, ma osservatelo a fondo
quando ride. Se l'uomo ride bene, vuol dire che è un uomo buono. Tenete conto
anche delle minime sfumature: occorre, per esempio, che il riso dell'uomo non
sembri in nessun modo sciocco, pur essendo allegro e bonario. Appena osserverete
una minima traccia di sciocchezza nel riso, è indubbio che l'uomo ha
intelligenza limitata, ancorché non facesse altro che enunciare grandi idee. Se
il suo riso non è sciocco, ma l'uomo vi sembra ridicolo, sappiate che egli è
privo del senso della propria dignità! O almeno questo senso gli manca
parzialmente. O infine, se quel riso è comunicativo, eppure vi sembra volgare,
sappiate che la natura dell'uomo è volgare, e tutto quello che prima avete
osservato in lui di nobile e di superiore è volutamente falso, o
involontariamente imitato, e che quell'uomo dovrà in seguito assolutamente
cambiare in peggio, si occuperà di cose "utili", lasciando, senza scrupoli, da
parte le idee nobili, come aberrazioni e slanci giovanili"[101].
Nel romanziere russo le espressioni e gli atti esterni dell'uomo sono sempre
indicazioni dello stato dell'anima. "Mi chiamano psicologo,-dice egli stesso,-
non è vero: io sono soltanto un realista nel senso più alto , cioè
dipingo tutte le profondità dell'anima umana"[102].
Ma oramai è davvero tempo di concludere il
nostro capitolo sul cultus tornando alle indicazioni di La Penna.
" Vesti troppo costose, specialmente purpuree,
vengono sconsigliate alle donne eleganti (Ars III 169 sgg.): Quid de
veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio murice, lana,
rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est census
corpore ferre suos? " (p. 201).
Aggiungo la traduzione e un poco di commento.
Che devo dire della veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che
rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori
a prezzo più basso, che pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?
Potremmo rispondere che l'esibizione che puzza
di soldi è il furor tipico del liberto arricchito scandalosamente, come
Trimalchione, il " signore tre volte potente" il quale viene descritto al
suo ingresso nella sala del banchetto con indosso un pallio scarlatto e un
fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al collo con frange pendenti da
una parte e dall'altra.
" Habebat etiam in minimo digito sinistrae
manus anulum grandem subauratum " (Satyricon , 32), inoltre
portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato, da cavaliere;
nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro ma cosparso
come da stelline di ferro "et ne has ostenderet tantum divitias, dextrum
nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo
", e per non mettere in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio
destro ornato da un braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con
una lamina brillante, "deinde pinna argentea dentes perfodit " (33),
quindi si stuzzicò i denti con una stecca d'argento.
La parola chiave armilla è
sottolineata dall'aggettivo allitterante aurea , e, con l' anulum
grande nel mignolo della sinistra ricorda l'infamia della Tarpea di
Livio la quale chiese ai Sabini, come prezzo del suo tradimento, gli
ornamenti della loro mano sinistra:" aureas armillas magni ponderis brachio
laevo gemmatosque magna specie anulos " (I, 11, 8), braccialetti d'oro di
gran peso al braccio sinistro e anelli gemmati di grande bellezza. Livio
condanna la slealtà e l'avidità di Tarpea raccontandoci che la vergine figlia
del custode della rocca, Spurio Tarpeo, fu uccisa dai Sabini che le gettarono
addosso scuta…pro aureis donis, invece degli aurei doni gli scudi, troppo
pesanti questi.
Petronio mette alla
berlina questa figura grottesca di arricchito, e pure Ovidio è lontano
dall'approvare l'ostentazione del lusso.
La radice del biasimo dello sfoggio dei
metalli preziosi si può trovare nella Repubblica di Platone dove
Socrate sostiene che non necessitano di oro e argento terreno i
guardiani che ce l' hanno divino nell'anima, e che non è lecito mescolare e
contaminare l'uno con l'altro:"diovti
polla; kai; ajnovsia peri; to; tw'n pollw'n novmisma gevgonen"(417a),
poiché molti empi misfatti sono avvenuti per la moneta corrente nel volgo. Un
riflesso di questa affermazione, da ascrivere al
tovpo" che biasima la ricchezza come
fonte di infelicità, si trova nella Germania di Tacito:"Argentum et
aurum propitiine an irati dii negaverint dubito" (5), l'argento e l'oro non
so dire se glieli abbiano negati gli dèi favorevoli oppure ostili.
"Anche senza portare altre prove, credo di
poter affermare che questo è il gusto dominante dell'Ars amatoria, benché
nella valorizzazione del cultus essa tocchi la punta più avanzata: un
equilibrio diverso da quello dell'oraziano simplex munditiis , ma pure in
qualche modo simile, lontano dalla rozzezza arcaica[103],
ma anche al di qua del lusso fastoso e insolente
di molti ricchi romani di oggi. Questa specie di classicismo è dettato nello
stesso tempo dal gusto e dalla preoccupazione, quasi dalla paura, che suscita
l'ampliamento incontrollato dei consumi".
Questa conclusione del saggio di La Penna mi
sembra appropriata pure per i nostri tempi.
Note:
[1] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 22 maggio 1941.
[2] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 96.
[3] Uscito verso l'1 d. C,
[4] Ars amatoria , III, 101.
[5]
Conte-Pianezzola, Il libro della letteratura latina,
Edizione Modulare, 8, Le Monnier, Firenze, 2001, p. 513.
[6] Cfr. nel mio Storiografi Greci (Loffredo,
1999) la scheda Sfiducia nella tecnologia che porta "sviluppo senza
progresso" (pp. 140-143).
[7] Ov. A. A. III, 121 sgg.
Ovidio nell'Ars amatoria dice che preferisce il presente(Prisca
iuvent alios (III, 121), le età antiche piacciano ad altri, poiché
esso è più raffinato: quia cultus adest (III, 127) e ha perso
quella rozzezza (rusticitas illa , III, 128 ) tipica del
passato.
[8]
S. Mazzarino, Il Pensiero Storico Classico ,
Laterza, Bari, 1974, I, p. 16.
[9] Quintiliano, Institutio oratoria , X, 1,
88.
[10] Nato a Gabii o a Pedum , nel Lazio
rurale fra il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il
suo nome ci è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie.
Sono sicuramente e autenticamente tibulliani i primi due che cantano
l'amore per due donne, Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti
divisero in due parti è un' antologia di vari autori, compreso Tibullo.
Quintiliano lo definisce tersus atque elegans maxime…auctor (Institutio
oratoria , X, 93), l'autore più elegante e raffinato, nel campo
dell'elegia dove i latini possono sfidare i Greci.
[11]
A. La Penna. Fra teatro, poesia e politica romana ,
Einaudi, Torino, 1979, p. 183.
[12] L. Canfora, Di fronte ai classici, p. 52.
[13] Op. cit. p. 53.
[14] Questa affermazione è contraddittoria con quanto
detto poco sopra (p. 183) e subito sotto. Non è male far notare ai
giovani queste sviste degli autori dal nome grande e comunque, per molti
versi, bravi.
[15] Quelle del IV libro (del 16 a. C.) che contiene
episodi della storia romana arcaica.
[16] Intitolato La religione di Numa.
[17] I, 3, 33-34. A me tocchi di celebrare i Penati
patrii e di offrire incensi mensili all'antico Lare.
[18] W. Pater, Mario l'epicureo , pp. 1-2.
[19] Odi I, 5, 5.
[20] Di autenticità non certa, del 380 a. C. ca.
[21]
G. B. Conte, Scriptorium Classicum 3, Le Monnier,
Firenze, 2001, p. 22.
[22] Crepuscolo degli idoli, pp. 124-125.
[23] Del 44 a. C.
[24] L. Totstoj (1828-1910), Anna Karenina (del
1877), p. 80.
[25] M. Proust, I Guermantes, p. 153.
[26]L'uomo senza qualità , p. 87 e p. 91.
[27] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 488.
[28] G. Pasquali, Orazio lirico, p. 488.
[29] Rispetto a Regolo indicato come documentum
fidei, documentum patientiae, (De providentia , III, 9)
modello di lealtà e resistenza.
[30] De providentia, III, 10, composto negli
ultimi anni di vita del filosofo
[31] Ode I, 9, 23-24, il pegno strappato alle
bracciao al dito che resiste appena.
[32]G. Pasquali, Orazio lirico, p. 489.
[33] La Penna, op. cit., p. 185.
[34]Apollonio Rodio, Le Argonautiche , IV, 64.
[35] Tristia, IV, 10, 33.
[36]P. Fedeli, Lo spazio letterario di Roma antica,
1, 156.
[37] Del 1605
[38] Del 408 a. C.
[39] Del 412.
[40] In distici elegiaci. Composti tra il 18 e il 15
a C. in 5 libri, poi rielaborati e ridotti a tre, intorno all'1 a. C.
[41]G. B. Conte, Scriptorium
2, p. 164.
[42] Una mezzana, illa monebat/ talia (Amores,
I, 8, 21-22), lei dava tali consigli.
[43] Del 64 d. C.
[44]W. Jaeger, Paideia 1,
trad. it. La Nuova Italia, Firenze, 1978, p. 630.
[45]
castità.
[46]
W. Jaeger, op. cit., p. 631.
[47] Ossia alla straniera che ti tiene peregrino
amore , v. 76, lo stesso tipo relazione, si ricorderà, che Deianira
rinfaccia a Eracle in Heroides IX, 49.
[48]
La Penna, op. cit., p. 187.
[49]
La Penna, op. cit., p. 187.
[50] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 24
ottobre 1940.
[51] G. Flaubert, Madame Bovary
(del 1857), p. 108.
[52] Questo è l'eterno amante.
[53] F. Dostoevkij, L'eterno marito, p. 39 e p.
65.
[54] L'umorismo , Garzanti, Milano, 1995, p.
173.
[55]
La Penna, op. cit., p. 188.
[56] Cfr. Dante, Inferno , XIV, 94 e 96.
[57] =ingentes.
[58]
La madre si è fermata nella città del suo Enea.
[59] Cantico del gallo silvestre .
[60] G. B. Conte-E. Pianezzola,
Il libro della letteratura latina, Edizione Modulare, 8, Le
Monnier, Firenze, 2OO1, p. 459.
[61]
Splendidi nel culto degli dèi, economi in casa. Riferisco
anche una nota interessante del libro di La iPenna (n.1 della p. 193
citata nel testo):" Il rapporto che si stabilisce in questa teoria tra
fasto pubblico e austerità privata, presenta qualche analogia col
rapporto della teoria machiavellica, che è già teoria antica, fra
immoralità politica e moralità privata; ma non so se l'analogia sia mai
stata teorizzata esplicitamente.
[62]
P. e. i vv. 121 e sgg. citati sopra.
[63]
V. 29, è l'esperienza che fa nascere quest'opera.
[64] La Penna, op. cit., p. 198.
[65] Esiodo, Teogonia , vv. 27-28.
[66]
Il pilota della nave Argo.
[67]
L'auriga di Achille.
[68]
Nel III dell'Ars Amatoria si legge:"Simplicitas
rudis ante fuit, nunc aurea Roma est/et domiti magnas possidet orbis
opes " (vv. 113-114), la rozza semplicità è del passato, adesso Roma
è d'oro e possiede le grandi ricchezze del mondo sottomesso.
[69] Medicamina faciei, vv. 17-22.
[70]
Abbiamo 100 versi dei Medicamina faciei femineae .
[71] 9 Tyrio ; 10 India ; 21 oriente
; 51 Libyci ; 74 Illyrica ; 82 Attica ; 94
Ammoniaco .
[72]
La Penna, op. cit., p. 199.
[73] Il Pensiero Storico Classico , II, 2, p.
82.
[74] Figlio di Asinio Pollione, console nel 40 a. C.,
cui Virgilio dedicò l'VIII Ecloga e Orazio l'Ode II 1,
come vedremo più avanti, fu console nel'8 d. C. Cadde in disgrazia agli
occhi di Tiberio del quale aveva sposato la prima moglie Vipsania,
figlia di Agrippa. Fu accusato di adulterio con Agrippina, altra figlia
di Agrippa e vedova di Germanico e morì in prigionia nel 33 d. C.
[75]
In tessuto trasparente di Coo che abbiamo visto menzionato
da Properzio (I, 2, 2). Lo è pure da Seneca (ad Luc. 122)
[76] Svetonio, Vita di Augusto, 42.
[77] S. Mazzarino, L'impero romano I, p. 148.
[78]
M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero
romano, pp.115 sgg.
[79] Tacito, Annales , III, 55, le famiglie
ricche dei nobili o distinte nel segnalarsi.
[80] S. Mazzarino, L'impero romano I, p. 147.
[81] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico,
III, p. 458.
[82] S. Mazzarino, L'impero romano, I, p. 222.
[83] Rivoluzione di lusso di V. Parmi, L'Espresso, 21
febbraio 2002.
[84] Il III libro risale allo stesso periodo (verso l'
1 d. C.) dei Medicamina faciei cui Ovidio accenna ai vv. 205 e
sgg.
[85]
A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana ,
p. 201.
[86]
" Seneca nel De vita beata elogia un'altra forma,
del tutto psicologica, di noncuranza, la fortunae neglegentia
(I, 4, 5), quella della fortuna, quale viatico per la libertà dai
piaceri e dai dolori, padroni assai capricciosi e prepotenti.
[87]
A. Schopenhauer, Parerga e paralipomena , trad. it.
Adelphi, Milano, 1973, Tomo I, p 617..
[88] I promessi sposi , capitolo XIX.
[89] Trad. it. Garzanti, Milano, 1965, pp 703 e 704.
[90] Trad. it. Bietti, Milano, 1968, p. 208.
[91] Trad. it. Garzanti, Milano, 1973, p. 719.
[92] Trad. it. Einaudi, Torino, 1978, p. 534.
[93] M. Proust, I Guermantes, p. 96.
[94] M. Proust, I Guermantes, p. 448.
[96] L'uomo senza qualità , p. 269. Per una più
ampia trattazione del tema "Che cosa è aristocratico", vedi il mio
Mu'qo" kai; lovgo", p.
cercal.
[97] R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 84.
[98]
A. La Penna, Fra teatro, poesia e politica romana ,
p. 201
[99] James Hillman, Il piacere di pensare.
conversazione con Silvia Ronchey, pp. 53-54.
[100] J. P. Vernant, Tra mito e politica, p.
210.
[101]
F. Dostoevskij, L'adolescente (del 1875) , trad. it.
Garzanti, Milano, 1981, p. 477.
[102]
D. Merezkovskij, Tolstòj e Dostojevskij , tra. it.
Gius. Laterza e figli, Bari, 1982, p. 146.
[103]
Naturalmente anche in Orazio c'è corrispondenza,
soprattutto nel rifiuto dell'arcaismo, fra la poetica e il gusto della
vita. Vale anche la pena di ricordare lo stile che Ovidio (Ars
III 479 sg.) raccomanda alla puella per le lettere agli amanti:
parole eleganti, ma non rare né troppo raffinate:"Munda sed e medio
consuetaque verba, puellae,/scribite: sermonis publica forma placet
", ragazze, scrivete parole eleganti ma del frasario comune e correnti:
il linguaggio usuale piace. La nota è di La Penna, la traduzione mia.
Nessun commento:
Posta un commento