Breve premessa
La presente
antologia propone un percorso che passa attraverso autori i quali hanno dato
forma alla concezione amorosa nella cultura europea. Per quanto riguarda la
storia dei costumi, ai testi letterari sono stati affiancati alcuni brani
storiografici. Non è questo certamente uno studio esaustivo, ma può offrire un
filo conduttore in uno dei temi predominanti nelle lettere, nelle arti in
genere, e ancora più in generale nella psiche delle donne e degli uomini di
tutti i tempi. La scelta dei brani è congruente con lo scopo del lavoro che non
è solo didattico ma anche educativo. Il metodo consiste nello scegliere alcuni
argomenti topici che ruotano intorno al grande motivo unificante dell'amore,
illustrarli attraverso testi significativi tradotti integralmente, e commentati
con particolare riguardo alle parole chiave. Gli autori della letteratura greca
costituiscono il nucleo dei temi sviluppati che poi si ampliano attraverso
quella latina e raggiungono il compimento attuale con l'apporto della cultura
europea moderna e contemporanea. Questa ricerca può costituire uno stimolo di
lavoro per i colleghi dei licei italiani e uno strumento proficuo per la
formazione culturale e umana degli allievi. Lo studio è nato per preparare gli
studenti del Liceo Galvani di Bologna dove l'autore, Giovanni Ghiselli, insegna
greco e latino e per fornire strumenti di lavoro agli specializzandi della SSIS
dell'Università dove lo stesso tiene lezioni di Didattica della Lingua e
Letteratura Greca con laboratorio. Il saggio introduttivo espone i criteri
metodologici in maniera dettagliata.
La
fobia dell'amore e del sesso. Apollonio Rodio e Virgilio.
Le Argonautiche, che descrivono
la fase iniziale dell'amore di Medea per Giasone, sono piene di anatemi di
Eros: il dio, quando arriva, mandato dalla madre Afrodite, per costringere
Medea ad amare e aiutare Giasone, è invisibile, sconvolgente (tetrhcwv~,
Argonautiche, 3, 276), come l’assillo (oi\stro~)
che si scaglia sulle giovani vacche[1].
Rapidamente questo dio del dolor prese una
freccia dolorosa: “poluvstonon ejxevlet j
ijovn” (v. 279). La freccia ardeva profonda nel cuore della ragazza,
come una fiamma (flogi; ei[kelon,
v. 287), ed ella consumava l’anima in una dolce afflizione: “glukerh'/
de; kateivbeto qumo;n ajnivh/” (v. 290).
Quindi ardeva in segreto Eros funesto: “ai[qeto
lavqrh/ ou\lo~ [Erw~ ” (vv. 296-297).
Come Giasone appare splendidissimo
al desiderio di Medea, il giovane prestante viene paragonato a Sirio che si
leva alto sopra l'Oceano, bello e splendente però reca sciagure infinite alle
greggi: così il figlio di Esone portava il travaglio di un amore angoscioso
(Argonautiche, 3, vv. 957-961).
L'infelicità è connessa all'amore
prima ancora che questo si realizzi: quando la ragazza si avvia incontro a
Giasone, che è stato salvato da lei e le ha promesso le nozze, la Luna la
osserva e, con parole ambigue tra la simpatia e il dispetto, le dice: il dio
del dolore ("daivmwn ajlginovei"",
4, v. 64) ti ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e
preparati in ogni modo a sopportare, per quanto sapiente tu sia, il dolore
luttuoso.
Questo presunto amore di Medea e Giasone
non dona gioia ai due amanti, anzi produce orrori: dopo che i due scellerati
hanno concordato l’assassinio del fratello di lei, lo stesso autore del
poema rivolge un'apostrofe ad Eros quale latore di infiniti dolori: “ Eros
atroce, grande sciagura, grande abominio per gli uomini ("Scevtli
j [Erw", mevga ph'ma, mevga stuvgo" ajnqrwvpoisin") da te provengono
maledette contese e gemiti e travagli, e dolori infiniti si agitano per giunta.
Ármati contro i figli dei miei nemici, demone, quale gettasti l'accecamento
odioso nell'animo di Medea (oi|o"
Mhdeivh/ stugerh;n fresi;n e{mbale" a[thn)",
Argonautiche, 4, vv. 445- 449).
L'amore sembra legato alla pena da un
vincolo di necessità. Si ricorderà che anche Virgilio apostrofa l’amore come
un dio malvagio : “Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!” (Eneide,
IV, 412).
I stazione
L'importanza di un matrimonio
felice o almeno non troppo infelice. La difficile, ma non impossibile
comprensione dell'adulterio, anzi proprio dell'adultera.
Ettore e Andromaca nel VI dell'Iliade
(vv. 429-432; 440-455) Odisseo e Nausicaa nel VI dell'Odissea (vv.
180-185).
Amore volgare e Amore celeste
in Platone. Tiziano: amor sacro e amor profano. La trasfusione delle anime.
L'intesa è il principio vitale del matrimonio.
La potenza di una coppia solidale. Ovidio e Leopardi.
Primi accenni alla Medea
di Euripide. L'Ulisse di Joyce: amore, matrimonio e adulterio.
L'attrattiva degli occhi: Leopardi, Dante, Petrarca e altri.
L'indulgenza nei confronti
dell'adultera: Joyce, la Yourcenar, Saffo, Carisio di Menandro e Cristo nel
Vangelo di Giovanni.
Condanne dell'adulterio:
Teocrito. Callimaco e Catullo: la chioma di Berenice. La polvere come brutto
segno. Con Catullo l'amore diventa servitium dell'uomo alla domina.
Virgilio e Orazio tentano di assecondare le diverse leggi di Augusto contro
l'adulterio. Queste verranno eluse. L'ipocrisia del despota. W. Reich e la
Psicologia di massa del fascismo. 1984 e la Jiulia di Orwell. La
repressione sessuale, l'adorazione dei capi e il consumismo.
Donne
dell’Iliade e dell’Odissea.
I nuclei dell'Iliade
e dell'Odissea risalgono, nella prima composizione e trasmissione orale,
alla cosiddetta età oscura,
seguìta
all'invasione dorica che, poco prima del 1100
a. C. , abbatté la potenza della civiltà micenea. Nell'ottavo secolo visse Omero
al quale tradizionalmente si attribuisce la più antica redazione scritta dei
poemi epici la cui comunicazione in ogni caso continuò a lungo ad essere orale[2].
Nel corso dei secoli successivi questi Libri o Bibbie
che costituiscono
"le fondamenta vere e proprie della coscienza"[3]
dei Greci
prenderanno la forma definitiva che ora leggiamo. La lingua usata da
Omero è mista, artificiale e fortemente stilizzata (Kunstsprache
), e quindi presenta forme, talora oltretutto modificate dalla necessità
metrica, di vari dialetti: accanto allo ionico predominante, e più recente,
sussistono vocaboli arcado-ciprioti, che sarebbero derivati dal miceneo
in quanto riconosciute nelle tavolette in Lineare B decifrate da Ventris e
Chadwick nel 1952, inoltre parole eoliche, e pure alcuni atticismi dovuti
alla redazione ateniese pisistratea.
Le donne
omeriche più significative, secondo l'ottica del nostro percorso, sono Andromaca
e Nausicaa.
La moglie di
Ettore significa la sposa innamorata, bisognosa del marito e a lui assolutamente
devota[4]:
nel VI canto dell'Iliade dichiara il suo amore all'eroe troiano,
dicendogli che per lei rappresenta tutti gli affetti e pregandolo di non esporsi
troppo nella guerra sterminatrice:
vv. 429-432
testo greco.
" Ettore, tu per
me sei il padre e la veneranda madre/e anche il fratello,
tu sei pure il mio sposo fiorente;/allora, ti prego, abbi compassione e
rimani qui sulla torre,/non rendere il figlio orfano e vedova la sposa" (vv.
429-432).-ejssi:
forma eolica=ei\.
-povtnia:
è il corrrispondente maschile di
povsi", "sposo". v. 430-parakoivth"
: (“sposo”) formato da
parav
e koivth,
letto. Vedremo che questo è il mobile fondamentale nel nostro percorso.
Tra Odisseo e Penelope che non
si vedevano da venti anni il segno certo, evidente (shvmatj
ajrifradeva, Odissea , XXIII, 225) di riconoscimento
non è, come con Euriclea quello della cicatrice, ma quello del letto comune
agli sposi (eujnh'" hJmetevrh" , del
letto nostro, dice Penelope a Odisseo, v. 226).
Il letto è comunque un mobile
ambiguo.
Vedremo meglio più avanti l'importanza del letto che in alcune tragedie (p.
e. nell'Alcesti e nella Medea di Euripide) costituisce appunto "il
mobile più importante"[5]
della casa; mentre nell'Agamennone di Eschilo significa il
luogo di un agguato:" ma una rete è la
compagna di letto (ajll j a[[rku" hJ
xuvneuno" ), la
complice/dell'assassinio" vv. 1116-1117). In questo caso il letto (eujnhv)
diviene una trappola e la moglie (xuvneuno"
è appunto formato da suvn
ed eujnhv)
è quella che la tende.
La sposa dunque ha una doppia valenza.
In greco si può dire anche
a[loco"
: nello stesso canto
dell'Iliade Andromaca è
a[loco" poluvdwro" (VI, 394) la sposa
dai molti doni, fatti del resto da Ettore, il quale la portò via dalla casa di
Eezione dopo che ebbe dato "muvria
e{dna" (XXII, 472), infiniti regali di
nozze. Ebbene il sostantivo femminile
a[loco"
è formato da
aj-copulativo
+ levco"
, "letto", derivato dalla radice lec-loc-
che dà luogo anche a lovco"
, "imboscata".
Quindi si tratta di un termine dal
doppio senso. In Andromaca prevale quello dell'accoglienza e della protezione,
offerta e richiesta. Altrettanto in Alcesti.
Il contrario, ovviamente in
Clitennestra.
Torniamo a povtnia
del v. 429, aggettivo attribuito a
mhvthr.
Dalla radice indoeuropea *potis
si forma anche il latino potis, e
, "che può", "potente".
L' idea di potenza contenuta dall'epiteto che accompagna le dee o anche, come
qui, le madri, può risalire a una precedente
epoca matriarcale ipotizzata da Bachofen[6]
in maniera talora fantasiosa. Che
la figura femminile sia stata predominante in una fase della storia del resto
"non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il gr.
gunhv
'donna' e l'ingl. queen 'regina'[7].
Vedremo che Andromaca sarà, in due tragedie di Euripide[8],
il tipo della moglie casalinga, silenziosa, sottomessa; è piuttosto nel poema
omerico più recente che si possono trovare residui di matriarcato.
Qualche cosa della non bassa condizione della donna nell'Odissea
si vede già alla fine del primo canto quando, scesa la sera, i proci
tornarono a dormire nelle loro case e pure Telemaco andò a letto, accompagnato
dalla saggia Euriclea che Laerte aveva comprato molto tempo prima, ancora
giovanissima per venti buoi, pertanto doveva essere stata anche bellissima,
e l'aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei nel letto,
ed evitava l'ira della moglie:"eujnh'/
d jouj pot j e[mikto, covlon d j ajleveine gunaikov"" (I, 433).
Nell'Iliade in effetti
Amintore, il genitore di Fenice, dovette pagare caro il tradimento inflitto
alla sposa che gli mise contro il figlio spingendolo a diventare amante
dell'amante del padre il quale poi lo maledì (IX, vv. 450 e sgg.).
Torniamo al VI canto e vediamo la
posizione del marito buono. Seguono sette esametri (433-439) che il filologo
alessandrino Aristarco[9]
espungeva come spuri. Quindo abbiamo la risposta di Ettore.
Testo Greco vv. 440-455.
“A lei allora rispose Ettore
grande, agitatore dell'elmo
:"certo anche a me tutto questo
sta a cuore, donna; ma davvero terribilmente
mi vergogno di Troiani e
Troiane dal lungo strascico,
se come un vile fuggo lontano
dalla guerra;
né il cuore mi
esorta, poiché ho imparato a essere generoso
sempre e a combattere con i primi
Troiani,
cercando di conservare la grande
gloria del padre e la mia stessa.
Io infatti so bene questo
nell'anima e nel cuore:
giorno verrà quando la sacra Ilio
verrà annientata
e Priamo e il popolo di Priamo
dalla buona lancia.
Ma non tanto dolore mi accora per
il futuro dei Troiani
né della stessa Ecuba, né di
Priamo sovrano
né dei fratelli, che molti e
generosi
cadranno nella polvere buttati giù
dai nemici,
quanto per te, quando uno degli
Achei dalla corazza di bronzo
ti trascinerà piangente,
togliendoti libero giorno.
mevga" : (v. 440) la grandezza
di Ettore non è solo quella del "marito buono" e degno, già segnalata e
contrapponibile alla meschinità dell'"eterno marito" di Dostoevskij o il marito
spiaciuto del Parini, o di Flaubert che incontreremo più avanti, ma è pure
quella dell'eroe epico il cui imperativo è "primeggiare sempre".
“D’altra parte il marito ahi
quanto spiace
E lo stomaco move ai dilicati
Del vostr’orbe leggiadro abitatori
Qualor de’ semplicetti avoli
nostri
Portar osa in ridicolo trionfo
La rimbambita fe’, la pudicizia
Severi nomi!” (Parini, Il
mattino, vv. 267-272)
Pèra dunque ch’ha te nozze
consiglia (v. 308)
Il modello dell'uomo eroico che, avido di
gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille.
Il figlio di Tetide, come gli altri protagonisti dell'Iliade ,
il poema epico che presenta il grado eroico dell'esistenza umana, passa la vita
in un continuo cimentarsi e gareggiare.
Il motto del combattente omerico è "aije;n
ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"(
VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i
padri ai figli ( nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al
v.784, Peleo ad Achille).
Nietzsche fa di questo aspetto agonistico
con volontà di primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi:
"Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più
antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva
sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato
un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo
l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica,
lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna"[10].
Alla nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella della mente.
Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn
te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[11],
a essere dicitore di parole ed esecutore di opere.
Eros si
associa a Eris Chi si
intende non poco di schermaglie e battaglie amorose è Ovidio.
Negli Amores scrive:"Militat
omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans
"(I, 9, 1-2), è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra;
Attico, credimi, ogni amante è un soldato
ejmoiv…mevlei
: (v. 450) è il motto dell'uomo morale.
Don Milani in L'obbedienza non è più una
virtù scrive:"Su una parete
della nostra scuola c'è scritto grande-I CARE -. E' il contrario esatto
del motto fascista-Me ne frego-" (p. 34).
-aijdevomai:
(v. 444) questo verbo e l'intera espressione di Ettore quella che Dodds
definisce Culture of shame, "Civiltà di vergogna" . In
essa "il bene supremo non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel
possesso della timhv, la pubblica
stima...La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di
Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica,
aijdwv": aijdevomai Trw'a"[12],
dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli
occhi aperti"[13].
Medea ammazza i figli per non
essere derisa dai Corinzi quale donna debole, donna abbandonata.
.-qumov"
: (v. 444) è in Omero "ciò che
provoca le emozioni...In molti punti quando si parla della morte è detto che
il qumov"
abbandona l'uomo...Sappiamo che quest'organo determina anche i movimenti del
corpo, ed è quindi naturale dire che esso, nel momento della morte, abbandona le
ossa e le membra coi loro muscoli...La gioia ha generalmente sede nel
qumov"...Inoltre
è generalmente il qumov"
che fa agire l'uomo...Se qumov"
è in genere la sede della gioia, del piacere, dell'amore, della compassione,
dell'ira e così via, dunque di tutti i moti dell'animo, tuttavia può trovar
sede talvolta nel qumov"
anche la conoscenza...Quando si dice che qualcuno sente qualcosa,
kata; qumovn,
qumov"
è in questo caso un organo e noi possiamo tradurre la parola con "anima", ma
dobbiamo tenere presente che si tratta dell'anima soggetta alle "emozioni".
Però anche qumov"
verrà in seguito a determinare una funzione (e allora potremo tradurre la parola
con "volontà" o "carattere") e anche la funzione singola: dunque anche
quest'espressione ha un significato più esteso di quanto non abbiano le nostre
parole "anima" e "spirito". Nel modo più chiaro appare ciò nell'Odissea
(IX, 302) dove Ulisse dice:
e{tero" dev me qumo;" e[ruken:" un
altro qumov"
mi trattenne", e qui dunque qumov"
si riferisce a un particolare moto dell'animo"[14].
Con
qumov"
sono composte le parole che designano due delle tre parti dell'anima nella
Repubblica di Platone:
qumoeidhv"
è l'elemento irascibile
che deve essere alleato con il
logistikovn,
la componente razionale, nel
presiedere all' ejpiqumhtikovn,
l' elemento appetitivo, la parte
maggiore e la più insaziabile di ricchezze (441e).-
.-ajrnuvmeno"
: participio di a[inumai
“cerco di mantenere” Lo stesso verbo nella medesima forma si trova nel Proemio
dell'Odissea a proposito del protagonista il quale " soffrì molti dolori
sul mare nell'animo suo,/cercando di salvare la sua vita (h[n
te yuchvn) e il ritorno dei compagni."(vv.
4-5).
Più concretamente "l'uomo" del secondo poema antepone la vita a tutto il
resto. Non per niente Nietzsche ha trovato in alcuni versi dell’Odissea
il ribaltamento della sapienza silenica:" Così gli dèi giustificano la
vita umana vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza
sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé
desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al
dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si
potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di
tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire
comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille
dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le
foglie, per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del
più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a
giornata[15].
Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così
impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il
lamento si trasforma in un inno in sua lode"[16]
vv. 448-449 giorno verrà
quando la sacra Ilio verrà annientata
e Priamo e il popolo di Priamo
dalla buona lancia.
Polibio
nel XXXVIII libro delle sue Storie ricorda che Scipione
emiliano assistendo alla distruzione di Cartagine[17]
sia scoppiato in lacrime e, pensando come la fortuna di ogni città cambi
invariabilmente, abbia citato questi due versi , quindi all'amico
storiografo che lo interrogava abbia risposto facendo il nome della sua patria
per la quale temeva quando rifletteva sul rapido destino delle cose umane.-
v. 453 La polvere (
kovniς,
lat cinis ) i fratelli cadranno nella polvere
La polvere nella letteratura
antica è segno di aridità, sterilità e morte.
Nell'Agamennone
di Eschilo la polvere è definita "assetata sorella del fango" (vv. 494-495) .
Platone attribuisce alla polvere e all'aridità significati negativi: nel
mito di Er della Repubblica le anime che vengono dal viaggio millenario
sottoterra sono "mesta;" aujcmou' te
kai; kovnew"" (614d), piene di
squallida aridità e di polvere.
Nel carme
66 di Catullo, i versi di
biasimo dell'adulterio (79-88) aggiunti alla Chioma di Berenice di Callimaco
associano la polvere all'impurità delle spose infedeli:"sed quae se impuro
dedit adulterio,/ illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis ", ma se
qualcuna si concede all'impuro adulterio, ah la polvere leggera beva inutilmente
i doni cattivi di quella (84-85).
Pure nell'Oedipus
di Seneca il morbo del cielo (Fecimus coelum nocens , abbiamo
reso funesto il cielo, si autoaccusa Edipo, v.36) si riflette nell'aridità della
terra:"Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirce; tenuis Ismenos
fluit,/et tingit inopi nuda vix undā
vada "(41-44), l'acqua ha
abbandonato i fiumi e il colore le erbe, e Dirce è secca; come un rigagnolo
scorre l'Ismeno e con l'onda senz'acqua bagna a stento il letto vuoto.
Nella Waste land di Eliot si
legge:"I will show you fear in a handful of dust " (v. 30), in un pugno
di polvere vi mostrerò la paura.
D'Annunzio ambienta il dramma
La città morta (del 1898) "Nell'Argolide "sitibonda" presso le
rovine di Micene "ricca d'oro" dove Bianca Maria "tenendo tra le mani un libro
aperto-l'Antigone di Sofocle- legge con voce lenta e grave" (I, 1).
Ettore dunque è immerso nella
civiltà di vergogna e fa gran conto della sua reputazione di eroe che del resto
è pure la sua identità: egli, come Achille, come Aiace, cerca l'onore (timhv
) la cui perdita per il campione omerico è la tragedia massima.
Il compenso che il prode si aspetta in cambio
dell' ajrethv
dimostrata obbedendo a obblighi impegnativi fino al sacrificio, è un
riconoscimento in termini di onore: la
timhv
negata è una tragedia per il valoroso che si è distinto in battaglia:
Achille si rifiuta di combattere constando che l'uomo codardo e il valoroso sono
tenuti nello stesso onore:" ejn de;
ijh'/ timh'/ hjme;n kako;" hjde; kai; ejsqlov""[18].
Allora sua madre implora Zeus di onorargli il figlio:"tivmhsovn
moi uiJovn"[19],
onora mio figlio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore di
genti Agamennone lo disonorò ("hjtivmhsen"[20])
.
L’onore e il disonore della donna stanno nel
letto (cfr. Euripide, Medea: “La donna infatti per il resto è
piena di paura- sostiene-e vile davanti a un atto di forza e a guardare
un'arma;-ma quando venga offesa nel letto,-non c'è non c'è altro cuore più
sanguinario. ( o[tan d j ej~
eujnh;n hjdikhmevnh kurh'/-ouj e[stin a[llh frhvn miaifonwtevra)vv.
263- 266).
Generoso come difensore troiano è
stato il figlio di Priamo e pure buon marito che rispetta e ama la moglie. Meno
rispettoso della sua è Agamennone il quale, sempre nell' Iliade
, afferma di preferire a Clitennestra Criseide in quanto la schiava-amante non
le era inferiore "per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere"
(I, 115).
Nell'Agamennone di Eschilo anzi pare che sia stato questo amore
ancillare troppo elogiato a mettere in moto il risentimento della moglie
legittima:"kei'tai gunaiko;" th'sde
lumanthvrio",-Crushivdwn meivligma tw'n uJp j jIlivw/"(vv.
1438-1439), giace a terra il distruttore di questa donna,/la delizia delle
Criseidi sotto Ilio , grida Clitennestra dopo l'assassinio dello sposo.
Non bassa comunque è la situazione della sposa troiana.
Particolarmente significativo
dell'alta condizione della donna nell'epos omerico, è il consiglio che
Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: il naufrago deve chiedere aiuto non al re
ma alla regina sua madre se vuole vedere il dì del ritorno (vv. 310-315).
"La posizione sociale della
donna non fu mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del
periodo cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è
onorata dal popolo come una dea. Ne compone i litigi col suo presentarsi e
determina le decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio[21].
Per ottenere di ritornare ad Itaca con l'aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro
suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in primo luogo al padre di lei, al Re,
ma abbraccia implorando le ginocchia della sovrana, ché decisiva è la
benevolenza di questa per far esaudire la preghiera[22].
Quanta sicurezza nel contegno della stessa Penelope, così sola e abbandonata, di
fronte allo sciame dei pretendenti che tumultuano protervi: ella infatti può
sempre contare sul rispetto assoluto della sua persona e della sua dignità di
donna[23].
I modi cortesi dei nobili signori con le donne del loro ceto è prodotto di
un'annosa cultura e di un'alta educazione sociale. La donna è rispettata e
onorata non solo quale essere socialmente utile, come nella famiglia contadina
secondo l'insegnamento d'Esiodo[24],
né solo quale madre della prole legittima, come nella borghesia greca
posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto, fieri del proprio albero
genealogico, la donna debba avere importanza quale genitrice di un'eletta stirpe[25].
Essa è la rappresentante e la custode d'ogni elevato costume e tradizione.
Questa sua dignità spirituale influisce anche sul comportamento amoroso
dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea , che rappresenta in tutto idee
morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto
notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e
onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il
poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò
un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita
la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte,
ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto"[26].
Nel VI canto dell'Odissea Ulisse augura a Nausicaa quello che secondo lui
è il bene più grande che le possa capitare. Versi 180-185 in greco.
Traduzione.
"A te gli dèi concedano tanto quanto tu desideri nel tuo cuore,/un uomo (a[ndra)
e una famiglia e la concordia degli animi (oJmofrosuvnhn,
181) vi diano/nobile: infatti non c'è nulla di più forte e prezioso (kreĩsson
kai a[reion) di questo,/di quando concordi (oJmofronevonte)
nei pensieri reggono la casa/l'uomo e la donna: molto dolore per i malevoli,/e
gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro"(vv.
180-185 ). - a[ndra
: ho preferito tradurlo con "uomo" invece del tradizionale "marito".
Tanti mariti infatti non sono uomini cfr. Dostoevskij, Parini)
Una donna non potrebbe augurarsi un marito che non fosse anche un uomo, e in
effetti tanti mariti sono uomini apparenti. Ecco perché Temistocle dei
due pretendenti alla mano della figlia scelse quello che era un uomo a quello
ricco dicendo: preferisco un uomo senza denaro al denaro senza uomo[27]
e[fh zhteĩn
a[ndra crhmavtwn deovmenon mãllon
h] crhvmata ajndrovς.
Disse che cercava
Similmente la Giovanna amata da Federigo degli Alberighi, riconosciuta la
grandezza dell'animo di quell'uomo che aveva perso tutto il suo patrimonio per
corteggiarla, volle sposarlo dicendo:"ma io voglio avanti uomo che abbia bisogno
di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d'uomo"[28].
Del resto poi lo sposo prescelto divenne pure "miglior massaio".
- oJmofrosuvnhn:
indica lo stesso modo di sentire e pensare che è imprescindibile per l'accordo
di una coppia; anzi, quando c'è questa condizione invidiabile, nessuna
opposizione, nessun incidente, può sciuparla o mortificarla. In questo caso
l'amore non è volgare. Non solo: tale similitudine e concordia di anime (oJmov"
e frhvn)
arriva alla fusione reciproca o alla trasfusione dell'una nell'altra.
Nel Simposio di Platone, Pausania distingue l'amore volgare,
figlio di Afrodite Pandemia, da quello celeste, figlio di Venere Celeste
appunto; ebbene l'amante volgare (oJ
ejrasth;" oJ pavndhmo" ) si innamora
piuttosto del corpo che dell'anima (oJ
tou' swvmato" ma'llon hj; th'" yuch'" ejrw'n,
) e non è costante, poiché ama una cosa che non è costante: non appena
appassisce il fiore del corpo, vola via lontano, disonorando le sue parole e le
sue promesse; quello invece che si entusiasma per un carattere nobile ne resta
innamorato per tutta la vita , poiché si è fuso con qualche cosa di stabile
( ejrasth;" dia; bivou mevnei,
a{{te monivmw/ suntakeiv" 183e-sunthvkw).
Tiziano
dipinse nel 1514 un'opera neoplatonica che raffigura Amor sacro e amor
profano in due donne, una vestita e una quasi nuda; ebbene la Venere
volgare è quella vestita e adorna di effimeri orpelli terreni, mentre la
svestita rappresenta la Venere Celeste: la sua nudità infatti significa la
bellezza eterna, universale, e la verità filosofica, mentre una fiamma tenuta
alta nella mano sinistra simboleggia l'amor di Dio.
Il dipinto, a olio su tela, si trova a Roma nella Galleria Borghese.
Infatti, rimanendo sulla pittura italiana del Cinquecento, ne La scuola di
Atene
[29]
di Raffaello, dove sono raffigurati i maggiori filosofi dell'età
classica, Platone con la mano destra indica il cielo e Aristotele la terra.
Il passaggio dall'uno all'altro amore viene sentito e dichiarato dal passionale
Dimitri Karamazov:"questo amore mi tortura, mi tortura!...Prima,
mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso
tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono
diventato un uomo!"[30].
Esiste una versione latina di questa trasfusione di anime che, pur se prelude a
un tradimento, e quindi, dentro il contesto, può far pensare a una "cinica
autoironia"[31]
del narratore, rievoca in endecasillabi faleci una notte d'amore, omosessuale
oltretutto, comunque con una delicatezza e una profondità degna della migliore
poesia amorosa latina:"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus.
haesimus calentes/et transfudimus hinc et hinc labellis/errantes
animas. valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon,
79), che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. ci stringemmo ardenti e
ci trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. addio, affanni
mortali. così io cominciai a morire.
Si tratta di una mezza nottata di amore tra Encolpio e Gitone che però
viene sottratto a Encolpio da Ascilto iniuriae inventor…oblitus iuris umani
(79)
Anche quando non si arriva alla fusione, l'accordo e l'intesa
costituiscono la forza e la coesione inscindibile della coppia.
Nell'Andria di
Terenzio, Panfilo, parlando con Miside, la serva dell'amata Glicerio, le
chiede di riferire alla padrona che non la abbandonerà mai:" conveniunt
mores. Valeant/ qui inter nos discidium volunt: hanc nisi mors mi adimet
nemo "(696-697), i nostri caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi
benedire quelli che vogliono una rottura tra noi: questa non me la strapperà
nessuno tranne la morte.
Del resto il termine discidium , dal verbo scindere , significa lo
spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo teso
in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium
implica il volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.
Similmente Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore,
rivelarsi, intendendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le
quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale,
perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale...L'intesa,
ecco dunque il principio vitale del matrimonio"[32].
Analoga riflessione si trova in Svevo:"Se il giovine ama la
ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[33].
- krei'sson
(182) comparativo di solito
collegato ad ajgaqov"
( da una radice ajgaq-
imparentata con il tedesco gut e l'
inglese good ) ma formato sulla radice
krat-/kret-/kart-che
si trova in kravvvvvvvvvvvvto",
"potenza". Indica quindi una superiorità in termini di forza.
In effetti una coppia solidale è una potenza.
Leopardi
nella Storia del genere umano sostiene che il massimo della felicità e
della forza amorosa è concessa da "Amore, figliuolo di Venere Celeste". E
spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più gentili
delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio;
diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili
e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto
nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine.
Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un
medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché
pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non
gli consente di compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che
nasce da tale beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina.
A ogni modo, l'essere pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata
condizione fosse in alcuno uomo ai migliori tempi".
L'altro comparativo (a[reion,
v. 182) anch'esso collegato ad
ajgaqov", è formato sulla radice
ajr(e)-
che si trova anche in ajrethvv ,
"virtù".
A proposito di questa graduatoria, che considera quale "cosa più bella"
l'accordo con il compagno o la compagna, possiamo utilizzare la favola
ovidiana di Filemone e Bauci che, dopo avere accolto e ospitato
piamente nella loro casetta agreste Giove e Mercurio respinti da altri abitanti,
empi del luogo[34],
ottengono in premio la possibilità di vedere esaurito un desiderio. Ebbene i due
vecchi sposi si consultano, quindi Filemŏne
esprime il desiderio comune: essere sacerdoti custodi del tempio degli dèi e
di morire nello stesso momento " poscimus, et quoniam concordes egimus
annos,/auferat hora duos eadem, nec coniugis umquam/busta meae videam neu sim
tumulandus ab illa" (Metamorfosi , VIII, 708-710), vi preghiamo,
poiché abbiamo passato concordi tanti anni, che la stessa ora ci porti via
insieme, né io veda mai la tomba della mia sposa né debba essere sepolto da lei.
Passando al Novecento, l'Ulisse di Joyce impiega tale
tovpo"
quando Leopold Bloom "Abbassa gli occhi al volto e alla figura di Stephen ", lo
osserva con amore paterno e gli fa un augurio:"Il viso mi ricorda la sua povera
mamma. Il profondo seno bianco....Una ragazza. La miglior cosa che possa
capitargli"[35].
Il verbo oJmofronevonte
( v. 183) è participio presente duale non contratto (=oJmofronou'nte)
da oJmofronevw
riprende la oJmofrosuvnh
del v. 181.
Odisseo dunque insiste sulla concordia affettiva e mentale. Egli comunque non
si innamora della ragazza:"Bisogna prendere congedo dalla vita come Odisseo da
Nausicaa-benedicendola, più che restandone innamorati"[36].
Snell
parte da oJmovfrwn
di Iliade XXII, 263 e nota che " L'Odissea conosce due derivati
da questa parola: il nome
oJmofrosuvnh, cioè la condizione di
avere la stessa mente, e il verbo
oJmofronevein, "avere la stessa mente".
Entrambi si trovano nel canto VI (vv. 180 sgg.)[37].
Odisseo augura a Nausicaa[38].....Anche
qui le parole greche cercano di spiegare, un pò laboriosamente e a fatica, che
Odisseo ha in mente più che la comunione convenzionale, qualche cosa di
intimo e caloroso; anche qui, tuttavia, è conservato il modo di vedere
primitivo: si tratta del comportamento pratico verso amici e nemici. Quando
parla di unanimità, Omero si riferisce sempre a una comunità consacrata per
tradizione: famiglia, consiglio e assemblea, esercito e gruppo di combattimento;
in questa"unanimità", dunque, alcuni individui danno uno speciale contenuto ai
legami comunitari tradizionali, ma non fondano forme sociali nuove"[39].
Quanto ai nemici di chi ama (
dusmenevessi , i maldisposti v.
184), costoro sono i produttori e i mercanti delle cose inutili o nocive che
uomini e donne devono comprare per gratificarsi compensando, male, l'incapacità
di amare.
Concludo il commento ai versi omerici con
l'esordio del discorso di Aristofane (445 ca a. C.-388) nel Simposio
platonico che è un elogio incondizionato del dio Eros: è il dio che più ama
gli uomini (qew'n filanqrwpovtato",
189d), ")
poiché è il loro soccorritore e il medico di quei mali, una volta guariti i
quali, ci sarebbe grande felicità per il genere umano:"
ejpikourov" te w]n tw'n ajnqrwvpwn kai;
ijatro;"
touvtwn
w|n ijaqevntwn megivsth
eujdaimoniva a}n tw`/ ajnqrwpeivw/ gevnei ei[h
(189d).
Quindi Aristofane procede spiegando la potenza
(th;n duvnamin)
di questo dio. Una potenza, abbiamo visto riconosciuta da Leopardi che pure si
sentì negata "anche la speme"[40].
Nella letteratura europea ha avuto più spazio la calunnia, la quale identifica
l'amore con il male, che questa grande verità dell'Aristofane di Platone.
Questo luogo dell'Odissea viene ripreso da Euripide nel prologo
della Medea , pur con un arretramento di posizione: la salvezza più
grande, afferma la nutrice, accontentandosi di un bene minore, sta nel fatto
che la donna non sia in disaccordo con l'uomo:"
h{per megivsth givgnetai swthriva-o{tan
gunh; pro;" a[ndra mh; dicostath'/"
(vv. 14-15). Ma sappiamo che nemmeno questo viene concesso alla maga della
Colchide e all'eroe tessalo.
Ricorro ancora a Joyce per indicare una possibilità di accordo
salvifico, perfino della stima e dell'amore dovuti all'attrazione e
all'ammirazione, anche in condizioni difficili, addirittura in presenza e con
coscienza dell'adulterio :" Molly dà dei punti a tutte. E' il sangue del
sud. Moresco. Anche la forma, la linea. Mani cercavano le opulente. Fa un po' il
paragone con quelle altre. Moglie chiusa in casa, segreto di famiglia. Mi
permetta di presentare la mia. Ed ecco che ti tirano fuori qualcosa
d'indefinito, non sai come chiamarla...Come l'uomo e la donna. Calamita e
acciaio. Molly e lui[41]....Perché
io? Perché eri così diverso dagli altri[42]...la
loro compagna più bruna con non so quale fascino nella sua posa, Nostra
Signora delle Ciliegie, con un grazioso orecchino formato da due di esse,
per dare risalto alla calda tinta esotica della pelle in delicato contrasto
con il fresco frutto ardente[43]".
Certamente non piccola parte dell'inclinazione verso la persona amata dipende
dall'attrazione fisica:" Mia moglie
è , per così dire spagnola, a metà per meglio dire...Ha il tipo spagnolo.
Piuttosto scura, una vera bruna, nera di capelli. Io, per quel che mi
riguarda, sono fermamente convinto che il carattere dipende dal clima"[44].
Una convinzione questa, un tovpo" ,
già presente in Erodoto. Il capitolo finale
delle Storie (IX, 122) contiene un monito attribuito a Ciro, il
fondatore dell'impero persiano. Alcuni sudditi gli avevano proposto di
trasferire il popolo dei Persiani dalla loro terra "piccola, scabra e montuosa"
in un'altra "migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re dei Medi
Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di solito nascono
uomini molli ("filevein ga;r
ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;" a[ndra" givnesqai",
IX, 122, 3): infatti non è della stessa terra produrre frutti meravigliosi e
uomini valenti in guerra. Sicché i Persiani si allontanarono desistendo, vinti
dal parere di Ciro, e preferirono comandare abitando una terra infeconda
piuttosto che essere servi di altri coltivando pianure fertili. Questo
passo finale dell'opera di Erodoto trova una certa corrispondenza nello scritto
del Corpus Hippocraticum[45]
Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn,
Sulle arie, le acque, i luoghi di probabile paternità ippocratica[46].
Entrambe
le opere infatti affermano che c'è una "unità indissolubile" tra la terra, il
clima, gli uomini e "le forme della loro esperienza umana…[47]".
C'è pure in Joyce come si è visto.
Si diceva dell'importanza dell'attrazione
fisica. Il richiamo visivo è più profondo quando viene dagli occhi.
Il legame di coppia, anche il più
spirituale, riceve il primo e basilare impulso dall'attrazione fisica. Atena
rende Odisseo più attraente affinché Nausicaa, vedendolo, se ne innamori:"Atena,
prole di Zeus, lo rese più grande a vedersi e più robusto (meivzonav
t j eijsidevein kai; pavssona
), e dal capo folti fece scendere i capelli, simili ai fiori del giacinto
(Odissea , VI, 229-231).
La somiglianza più alta dell'essere umano è quella con gli dèi immortali. La
consegue Odisseo in seguito all'intervento di Atena Nausicaa dice alle
ancelle:" prima in effetti mi sembrava davvero essere uno volgare (ajeikevlio"
) , ma ora assomiglia agli dèi (nu'n de;
qeoi'si e[oike) che abitano l'ampio cielo ( Odissea , VI, vv.
242-243). Questa similitudine con dio costituisce per la creatura dotata la
più alta forma di identificazione, il massimo della sua identità: "quando è
privo di ogni charis, l'essere umano non assomiglia più a nulla: è
aeikelios . Quando ne risplende, è simile agli dei, theoisi eoikei .
La somiglianza con se stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si
manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso
i mortali una costante, fissata una volta per tutte. Tra i due poli opposti del
non rassomigliare a nulla e del rassomigliare agli dèi, essa si situa in
posizioni variabili a seconda del prestigio o della celebrità di cui uno gode,
della paura e del rispetto che uno ispira...La grazia e la bellezza del
corpo, facendo vedere chi siete, danno la misura della vostra time, della
vostra dignità o della vostra infamia".
Viceversa:"A volte capita che
anche gli uomini tentino di fare ciò che gli dèi possono realizzare facilmente,
ma in peggio, quando cercano di distruggere nel cadavere di un nemico odiato
ogni rassomiglianza del morto con lui stesso. Oltraggiando il suo corpo,
sfigurandolo, strappandogli la pelle, smembrandolo, lasciandolo imputridire al
sole o divorare dagli animali, si vuol far scomparire ogni traccia della sua
figura e della sua antica bellezza per non lasciare di lui che orrore e
mostruosità. Oltraggiare - cioè imbruttire e disonorare a un tempo si dice
aeikizein , rendere aeikes o aeikelios , non simile "[48].
ajeikivzw,
ajeikhvς , ajeikevlioς
Per comprendere questa riflessione
bisogna ricordare che ajj -eikhv" è
formato sulla radice eijk-/oijk-/ijk-
come e[oika, "sono simile", quindi
significa "indegno" e "dissimile", ossia, secondo Vernant, indegno di se stesso
e dissimile da se stesso.
Gli occhi
L'attrattiva particolare degli occhi. Il
legame dello sguardo con l'amore. Oculi sunt in amore duces . Gli occhi
come simbolo dei genitali.
Per risalire verso gli archetipi di questa considerazione ci fornisce alcune
indicazioni Leopardi.
L'importanza capitale degli occhi
nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di Recanati nello
Zibaldone :"Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero
bow'pi"
(bowvpido")
cioè ch' ha occhi di bue .
La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo
sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del
bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze
donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di
bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in
sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per
tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di
gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa
grandezza... Dalle quali cose deducete
1°.Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza
umana, e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E
che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali);
e però quanto più son grandi, tanto maggiore apparisce realmente
l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è
vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché
sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e misura di vita"(2546-2548).
In effetti Dafni, l'innamorato del
romanzo di Longo Sofista nota che gli occhi di Cloe erano "megavloi
kaqavper boov""
[49], grandi come quelli di una
giovenca.
Il nesso tra lo sguardo e la brama
amorosa viene evidenziato da Teocrito[50]
quando, nell'Epitalamio di Elena , fa lodare la bellezza della sposa di
Menelao da un coro di fanciulle spartane le quali mettono in rilievo che il
desiderio è suscitato soprattutto dagli occhi di lei: "wJ"
JElevna, ta'" pavnte" ejp j o[mmasin i{meroi ejntiv", come
Elena nei cui occhi risiedono tutte le seduzioni (XVIII, 37).
Gli occhi infatti lanciano strali
amorosi e pure li ricevono, talora con profonde ferite.
Saffo[51]
nel frammento 2 D. lamenta la perdita dell'uso della lingua e degli occhi
colpiti da paralisi in seguito alla visione dell'amata : "appena infatti ti
guardo per un momento, allora non / è permesso più che io dica niente /
ma la lingua mi rimane spezzata… / e con gli occhi non vedo nulla (v 7-9 e
v. 11).
Catullo[52],
traducendo l'ode della poetessa greca, denuncia con spavento la
totale afonia e l'oscuramento visivo che nasce da un'occhiata amorosa: "nam
simul te, / Lesbia, aspexi, nihil est super mi / postmodo vocis, / lingua sed
torpet… geminā teguntur-lumina nocte. " (51, 6-9, 11-12), infatti appena ti
vedo, Lesbia, non mi rimane nemmeno un filo di voce in bocca, ma la lingua si
paralizza... gli occhi si coprono di una doppia notte.
Più avanti vedremo l'insieme di
queste due liriche e le commenteremo da un' altra visuale.
Quale attrattiva di Cinzia ha
catturato Properzio[53]
per sempre se non gli occhi? La prima elegia dei quattro libri del "romano
Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis
miserum me cepit ocellis " (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me
infelice con i suoi occhi; una cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi
neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: / Cynthia prima fuit,
Cynthia finis erit " (I, 12, 19-20), io non posso amare un'altra né
staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà l'ultima.
Vedremo che la fedeltà del poeta,
nella sua immaginazione, andrà oltre la morte.
Gli occhi, ribadisce più avanti
Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra
amorosa:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).
Dagli occhi parte la ricerca
amorosa anche secondo Ovidio[54],
poeta tutt'altro che incline a suggerire la fedeltà eterna.
Il Sulmonese che consiglia di
usare l'argomento "tu mihi sola places" come mezzo di seduzione, fa
scattare l'operazione erotica dallo sguardo scrutante dell'uomo il quale deve
individuare e mettere nel mirino la preda adatta, ossia non impossibile:"elige
cui dicas " tu mihi sola places". / Haec tibi non tenues veniet
delapsa per auras; / quaerenda est oculis apta puella tuis" (Ars
amatoria
[55], vv. 42-44), scegli una cui
dire: "tu sola a me piaci". Questa non ti verrà incontro scendendo per i soffi
leggeri dell'aria; con i tuoi occhi devi cercare la ragazza adatta.
Nell'esordio poetico degli
Amores
[56] , e con il tono del
lusus ironico di derivazione callimachea, lontano comunque dal pathos
di Catullo e di Properzio, Ovidio aveva scritto:"Non mihi mille placent,
non sum desultor amoris" ( I, 3, 15) a me non ne piacciono mille, non
sono un saltimbaco dell'amore.
L'ironia porta al lettore l'eco
rovesciata di questa affermazione.
Nella Vita Nuova di
Dante[57]
si ritrovano gli occhi della donna mirabile che ingentilisce l'oggetto dei suoi
sguardi: "Ne li occhi porta la mia donna Amore, / per che si fa gentil ciò
ch'ella mira/ (cap. XXI, sonetto Ne li occhi porta, vv. 1-2).
"dico sì come
questa donna riduce questa potenzia in atto secondo la nobilissima parte de li
suoi occhi", commenta l'autore stesso.
La potenza dello sguardo di lei del resto
può anche avere effetti paralizzanti, non senza vaghi echi catulliani :"ov'ella
passa, ogn'om ver lei si gira,/e cui saluta fa tremar lo core,/sì che, bassando
il viso, tutto smore,/…" (Ne li occhi porta, vv. 3-5. Gli echi
catulliani sono più evidenti nel sonetto Tanto gentile del XXVI
capitolo:" Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand'ella altrui
saluta, / ch'ogne lingua deven tremando muta, / e li occhi no l'ardiscon di
guardare… Mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà per li occhi una
dolcezza al core" (vv. 1-4, 9-10).
Sant' Agostino personaggio del Secretum
di Petrarca, ricorda a Francesco
[58] la pericolosità dello
sguardo femminile: se contemplare un bel corpo infiamma la lussuria, un leggero
volger d'occhi risveglia l'amore che si era assopito: "spectata corporis
species , luxuriam incendit; levis oculorum flexus, amorem dormitantem
excĭtat " ( III, 50). E’ un dialogo di tre giorni tra Tetrarca e
Agostino. I peccati di Francesco sono l’amore per Laura e il desiderio della
gloria. (1358). Francesco confessa “l’amarissimo gusto delle ricadute”.
Il
tovpo" dell'amore ispirato solo o
soprattutto dagli occhi si trova anche in Pene d'amore perdute di
Shakespeare[59]
: Biron in preda a un amore "pazzo come Aiace" cerca di resistergli
per non finire ammazzato come una pecora, ma nella donna che lo ha stregato,
Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile: "Oh, ma il suo occhio... per la
luce del giorno, se non fosse per il suo occhio io non l'amerei; sì, per
i suoi due occhi!... Dagli occhi delle donne io traggo questa dottrina:
essi scintillano senza posa di un vero fuoco prometeico, e rappresentano
i libri, le arti, le accademie che mostrano, contengono e alimentano il mondo
intiero; senza di loro nessuno può eccellere in cosa alcuna" (IV, 3).
Sicché l'amore viene attivato e tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con una una lettera di Guy
de Maupassant (1850-1893) :"
Vorrei, soprattutto, rivedere i vostri occhi, i vostri due occhi. Perché il
nostro primo pensiero è sempre per gli occhi della donna che amiamo? Come ci
ossessionano, come ci rendono felici, o infelici, questi piccoli enigmi
chiari, impenetrabili e profondi, queste piccole macchie blu, nere o verdi,
che senza cambiare forma né colore, esprimono, volta a volta, l'amore,
l'indifferenza e l'odio, la dolcezza che placa ed il terrore che agghiaccia più
di tante parole in eccesso e meglio dei gesti più espressivi"[60].
Gli occhi delle donne che ci attirano
non sono solo delle cose belle
secondo
Proust
(1871-1922) insomma non sono
soltanto materia:"Se pensassimo
che gli occhi di una ragazza come quella non sono che una brillante rotella di
mica, non saremmo così avidi di conoscere e di unire a noi la sua vita. Ma
sentiamo che quel che riluce in quel disco pieno di riflessi non è dovuto
unicamente alla sua composizione materiale; che sono, ignote a noi, le
nere ombre delle idee che quell'essere si fa a proposito delle persone e dei
luoghi che conosce…le ombre, anche, della casa in cui rientrerà, i
progetti ch'essa fa o altri han fatti per lei; e soprattutto che è lei, con
i suoi desideri, le sue simpatie, le sue repulsioni, la sua oscura e incessante
volontà"[61].
Anche Svevo (1861-1928) ha capito che l'attrazione più forte
esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei suoi occhi: "Quand'egli le parlò,
essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia così luminosi, che
il mio povero principale ne fu proprio abbattuto…Non so se a questo mondo vi
siano dei dotti che saprebbero dire perché il bellissimo occhio di Ada
adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse perciò un vero organo per
guardare le cose e le persone e non per sbalordirle"[62].
T. Mann (1875-1955)
spiega, a ragione, che l'amore è
suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del volto, e in questo degli
occhi, siccome significativi del carattere della persona: "C' era stato uno
spazio non più lungo di due palmi fra il suo viso e quello di lei, quel
viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo, una forma che gli piaceva
come null'altro al mondo, una forma esotica e piena di carattere...ciò
che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli occhi, quegli occhi
sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente affascinante,
occhi d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti lontani, che, a
volte, con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a vedere, potevano
oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[63].
Molto più avanti[64]
si legge :" Quando il desiderio carnale...s'è fermato sopra una persona con un
determinato viso, allora si parla d'amore. Io non desidero soltanto il suo
corpo, la sua carne; anzi dico che se nel suo viso qualche cosa anche piccola
fosse diversamente conformata, probabilmente non desidererei più neppure il suo
corpo...Questo dimostra che amo l'anima sua e l'amo con l'anima. Poiché
l'amore per il viso è amore spirituale".
Gli occhi sono comunque legati all'amore e al sesso
Gli occhi che Edipo si colpisce da solo sono, secondo Freud, il simbolo
dei genitali:"l'accecamento con cui Edipo si punisce dopo aver scoperto
il proprio crimine è, a quel che testimoniano i sogni, un sostituto simbolico
dell'evirazione"[65].
"Si deve tenere presente che, nella mitologia classica, gli occhi presentano
spesso un legame con l'amore e con la sessualità, e in particolare con i
genitali maschili: numerose sono le rappresentazioni vascolari di falli con
occhi. Forse il gesto dell'autoaccecamento di Edipo racchiude anche un
significato di simbolica castrazione, di autopunizione per i delitti
sessuali commessi. Infliggendo una punizione ai suoi occhi, Edipo punisce la
parte del suo corpo che si è macchiata di colpa nei confronti della madre"[66].
Torniamo a Joyce e al tema dell’adulterio.
Leopold Bloom tira fuori la foto di Molly per mostrarla a Stephen, il
giovanotto che era "di gran lunga il meglio di tutto il mazzo", e gliela
illustra così:"Mrs. Bloom, mia moglie la prima donna
[67]
...E poi diceva che il ritratto era bello, il che, si dica quel che si vuole,
era vero, per quanto attualmente ella fosse decisamente più grossa "
[68].
Tornato a Itaca, ossia a casa, in Eccles Street 7, Ulisse- Bloom si pone
una serie di domande rispondendosi da solo. E dice a se stesso che il letto non
deserto ma occupato dalla moglie presenta questi vantaggi :"La rimozione della
solitudine notturna, la qualità superiore della calefazione umana (femmina
matura) a quella inumana (bottiglia dell'acqua calda), lo stimolante del
contatto mattutino...[69]"
e qualcos'altro.
Meglio una moglie adultera quindi che la
bottiglia dell'acqua calda. "E poi?
Egli baciò i tondi molli gialli aulenti meloni del sedere, su ciascun tondo
melonoso emisfero, nel loro molle solco giallo, con oscura prolungata
melonaulente osculazione" (p. 979).
Nell'ultimo capitolo Molly-Penelope
sembra contraccambiare, se non altro, la simpatia del marito e minimizza
l'importanza dell'adulterio che non basta a eliminare un'intesa profonda.
Il pensiero della donna torna sempre al suo Ulisse cui vorrebbe offrire
un'occasione per ristabilire dei rapporti sessuali normali:"Ill just give him
one more chance"; gli porterà la colazione a letto, si vestirà davanti a lui
per eccitarlo:" Ill put on my best shift and drawers let him have a good
eyeful out of that to make his micky stand ", mi metterò la mia camicia
migliore e le mutande, facciamogli vedere qualche cosina in modo da fargli
rizzare il cinci[70]…è
tutta colpa sua se sono un'adultera come diceva quello là in loggione. Oh
quanto chiasso se fosse tutto qui il male che facciamo in questa valle di
lacrime lo sa Iddio che non è poi un gran che tutti lo fanno solo che non si
fanno vedere io penso che questo è quel che si pensa ci sta a fare una donna o
Lui non ci avrebbe fatto come ci ha fatto così attraenti per gli uomini poi se
vuol baciarmi il sedere mi spalancherò le mutande e glielo spiattellerò in
faccia grosso al naturale..." (p. 1044).
Molly rappresenta la naturalezza che spesso manca agli uomini; anzi E.
Pound interpreta questa donna come "Gea-Tellus, simbolo della Terra...
il suolo dal quale l'intelletto tenta di saltare via, e nel quale ricade in
saecula saeculorum." L'assimilazione della donna alla terra,
vedremo, è topico nella letteratura antica.
Intanto mi preme indicare
un'altra adultera che nega ogni significato al suo tradimento: si tratta della
Clitennestra della Yourcenar che fa l' autodifesa:"Signori della Corte,
esiste un solo uomo al mondo: il resto, per ogni donna, non è che
un errore o un malinconico surrogato. E l'adulterio non è sovente che
una forma disperata della fedeltà. Se qualcuno io ho tradito, si tratta
certamente di quel povero Egisto. Avevo bisogno di lui per sapere fino a che
punto fosse sostituibile colui che amavo"[71].
L' indulgenza verso l'adulterio
del resto non se l'è inventata la Penelope di Joyce né la Clitennestra della
Yourcenar: si trova già in Saffo (VII-VI sec. a. C.), in Menandro
e addirittura nelle parole di Cristo. Viceversa Catullo lo
condanna, ma non sempre.
Vediamo l'ode più ideologica di Saffo, quella chiamata "La cosa più bella"(fr.
16 LP):"alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,/altri di navi dicono
che sulla terra nera/sia la cosa più bella, io quello/che uno ama./Ed è
facile assai rendere questo/comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran
lunga superava/nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato/il
marito che pure era il più valoroso di tutti,/andò a Troia navigando/e non
si ricordò per niente della figlia/né dei suoi genitori, ma Cipride
la/trascinò, in preda all'amore. (vv. 1-12)...Anche a me ora ha[72]
fatto ricordare/di Anattoria assente./Di lei ora vorrei vedere l'amabile passo/
e il fulgido scintillio del volto/piuttosto che i carri dei Lidi e i
fanti/che combattono nell'armatura". (vv. 15-20)
Saffo afferma il
proprio gusto di persona e di donna: al mondo maschile della guerra, quando la
Lidia era una grande potenza militare, ella contrappone quello femminile
dell'amore, e non dell'amore matrimoniale, bensì dell'Eros come rapimento
dei sensi e dell'anima travolti da Afrodite.
Comincia di qui la palinodia su Elena[73],
una rivalutazione che però non ha bisogno, come quelle operate da Stesicoro
(VII-VI sec. a. C.) e da Euripide, (nell' Elena del 412 ) di
sostenere che la bella donna in realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia
andò solo un fantasma; né adduce il motivo patriottico, come farà Isocrate[74]
nell' Encomio di Elena[75]
sostenendo che la splendidissima fu la causa dell'unità del mondo greco
contro la barbarie asiatica (67) in una guerra che prefigurò l'unità
antipersiana auspicata dall'oratore; né deve accumulare una caterva di
giustificazioni come Gorgia, il maestro di Isocrate, nel suo Encomio
di Elena :" ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore,
fu persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità
divina"(20); infatti la riabilitazione di Saffo è semplice e diretta: la
poetessa approva la scelta amorosa della donna che ha seguito il richiamo della
cosa più bella, un uomo che le piaceva più del marito, e quindi ha lasciato
Menelao, senza tenere conto di convenzioni sociali, convenienze economiche o
pastoie di qualsiasi genere[76]..
Cfr. le Troiane di Euripide.
Vediamo altri casi di comprensione per l'adulterio, anzi proprio per
l'adultera. Ne L'arbitrato (Epivtreponte"),
commedia di Menandro (attivo tra il 320 e il 292 a. C.) troviamo un
vero momento di mavqo"
(comprensione) tragico quando Carisio, il marito che si crede tradito,
definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione
( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan
blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie
Panfile, presunto, ma da lui ritenuto reale, è stato un "infortunio involontario"(
ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j , v.
594).
Il protagonista di questa
commedia ripropone la formula antica della
dovxa , la reputazione, ma poi la supera con quel "io l'uomo senza
peccato", ejgwv
ti" ajnamavrthto", che anticipa il
Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per
primo contro di lei, oJ ajnamavrthto"
uJmw'n prw'to" ejp& aujth;n balevtw livqon
(8, 7). Qui non si tratta di un adulterio presunto. Infatti gli scribi e
i farisei portano al tempio una donna còlta in adulterio (mulierem in
adulterio deprehensam, gunaĩka
ejpi; moiceiva kateilhmmevnhn ) e chiedono al Cristo, che insegnava in
quel luogo, se dovesse essere lapidata secondo la legge mosaica. Lo dicevano per
metterlo alla prova e magari poterlo accusare. Gesù allora si diede a scrivere
con il dito sulla terra. E siccome lo incalzavano, il Redentore rizzatosi disse
loro:" qui sine peccato est vestrum,
primus in illam lapidem mittat ". E riprese a scrivere per
terra. Tutti gli altri uscirono, e il Cristo, rimasto solo con la donna, la
assolse, come tutti gli altri, aggiungendo:"vade et amplius iam noli
peccare " (8, 11), vai e non peccare più. Che significa: scegli tra i
due uomini quello che ami. Certamente non il marito.
"La comprensione permette di
considerare l'altro non solo come ego alter, un altro individuo soggetto,
ma come alter ego, un altro me stesso con cui comunico,
simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque incluso
nel principio d'identità e si manifesta nel principio di inclusione"[77].
A volte la lapidazione viene
attuata attraverso le calunnie che colpiscono la donna indicata come
adultera soltanto perché è bella e intelligente: come Marta,
L'esclusa di Pirandello[78]
:"Aveva voluto vendicarsi nobilmente, risorgere dall'onta ingiusta col proprio
ingegno, con lo studio, col lavoro? Ebbene, no ! Da umile, oltraggiata; da
altera, lapidata di calunnie. E questo, in premio della vittoria! E
amarezze, ingiustizie, e quell'esistenza vuota per sé, esposta alle brame
orrende d'un mostro, ai gracili, timidi desiderii d'un povero di spirito, alle
pettorute vigliaccherie di quell'altro; sassi, spine ovunque, per quella via
lontana dalla vita" (p. 133).
Riporto anche alcune condanne
dell'adulterio.
Teocrito
nell' Encomio di Tolomeo (XVII) fa l'elogio del padre e della
madre del Filadelfo ossia di Tolomeo I Soter e Berenice che si piacevano
e amavano reciprocamente: mai nessuna donna piacque al marito quanto Tolomeo amò
la sua sposa. Ebbene lei lo contraccambiò e questa è la condizione per la quale
un uomo può affidare la casa ai figli:"oJppovte
ken filevwn baivnh/ levco" ej" fileouvsh"".
(XVII, 42), quando innamorato entri nel letto di lei innamorata.
Le nozze, seppure
endogamiche, dei loro figli Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe sono altrettanto
sante; anzi il loro
iJero;" gavmo"
(XVII, 130) matrimonio sacro è assimilato alla ierogamia di Era e Zeus, fratello
e sorella anche loro.
Altrimenti c'è
la rovina del gevno"
: l'animo di una donna che non ama è rivolto sempre a uno di fuori, i parti
sono facili e i figli non assomigliano al padre (vv. 43-44).
La moglie fedele
dunque è necessaria per garantire la trasmissione del patrimonio accumulato a
figli "di paternità indiscussa".
Secondo F. Engels
(1820-1895) è questa la ragione più vera della famiglia monogamica e della
sottomissione della donna:"la monogamia nasce dalla concentrazione di più
ricchezze in una mano sola, precisamente quella di un uomo, e dal bisogno di
trasmettere in eredità tali ricchezze ai figli di quest'uomo e a nessun altro"[79].
Ma torniamo alla fedeltà delle
spose dei primi Tolomei.
Catullo nel carme 66
traduce la Chioma di Berenice di Callimaco e aggiunge cinque distici (
79-88) che contengono un biasimo dell'adulterio. La storia d'amore è
nota. La regina aveva promesso di offrire la propria capigliatura al tempio di
Arsinoe Zefirite se suo marito Tolomeo III Evergete (246-221) fosse
tornato sano e salvo dalla spedizione contro Seleuco II re di Siria (246 a. C.).
Sciolto il voto, la treccia sparì e l'astronomo Conone affermò di averla
scoperta in cielo in una costellazione dove gli dèi l'avevano assunta.
Callimaco per assecondare questo
elogio cortigianesco raccontò l'episodio in distici elegiaci e lo inserì negli
Aitia . "Questo poeta rese omaggio anche in altre occasioni alle donne
della famiglia reale, e quando l'astronomo di corte Conone riscoprì in cielo,
trasformata in costellazione, la ciocca di capelli che la moglie dell'Evergete
aveva deposto in un tempio come offerta votiva per il felice ritorno del marito,
il poeta, ormai vecchio, dedicò alla giovane regina un galante carme augurale,
la Chioma di Berenice, che dovette indubbiamente esser letto con la
stessa sorridente intelligenza con cui era stato composto. Da allora, nel
regno tolemaico, le donne ebbero sempre una posizione di rilievo nella politica,
fino alla diabolica Cleopatra, che seppe incantare con i suoi vezzi un
Cesare e arrivò a sognare di stabilirsi, signora del mondo, sul Campidoglio a
fianco di Antonio"[80].
Dunque Berenice maior è moglie di
Tolomeo I; Arsinoe di Tolomeo II; Berenice minor di Tolomeo III.
Igino, liberto di Augusto e
rettore della nuova biblioteca voluta dal princeps sul Palatino, dà
notizia di questi fatti:"sunt aliae septem stellae ad caudam leonis, in
triangulo conlocatae, quae crines Berenices esse Conon Samius...et Callimachus
dicit " (De astronomia , II, 24), ci sono altre sette stelle alla
coda del leone disposte a triangolo, e di queste Conone di Samo e Callimaco
affermano che sono la chioma di Berenice. Il bibliotecario aggiunge il commento
che Conone voleva entrare nelle grazie dell'Evergete disturbato dalla sparizione
di quei capelli.
Catullo fa altro: dà voce
al rimpianto della treccia per la testa della regina:"invita, o regina, tuo
de vertice cessi " (v.39), con un esametro che sarà ripreso da Virgilio (Eneide
VI, 460 invitus regina tuo de litore cessi), quindi rielabora la
maledizione callimachea, la quale forse trae origine da Erodoto[81],
dei Calibi-Iupiter ut Chalibon[82]
omne genus pereat!48- che hanno scoperto il ferro responsabile di quel
distacco; poi attribuisce alla splendente capigliatura un'esecrazione delle
donne adultere e un auspicio della benedetta concordia tra gli sposi:"Sed
quae se impuro dedit adulterio,/illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis;/namque
ego ab indignis praemia nulla peto./Sed magis, o nuptae, semper
concordia vestras/semper Amor sedes incolat assiduus "
(66, vv. 84-88), ma quella che si concede all'impuro adulterio, ah! la
polvere leggera beva inutilmente le sue offerte malvagie; infatti io non
voglio offerte dalle donne indegne. Ma piuttosto, o spose, sempre la concordia
abiti le vostre dimore, sempre un amore duraturo.
La polvere è un segno negativo
già nella tragedia greca. Vediamo questi versi dell'Antigone :":"Ora
infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce (
favo" ) nella casa di Edipo/ma
poi la polvere macchiata di sangue (foiniva...kovni")
/degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599-603).
Qui vediamo un'alternanza di luce, polvere e sangue.
"Poiché la lezione della
saggezza tragica è che il grado estremo della sofferenza, quando consuma e fa a
pezzi la vita, libera una luce nascosta nel luogo più refrattario alla
diafanità, la caverna cieca che è il cuore dell'uomo"[83].
Contro la luce vitale ci sono, quali segni di
morte, il sangue degli omicidi, la polvere della sterilità e la pazzia.
Nell'Agamennone di Eschilo la polvere è definita "assetata
sorella del fango" (vv. 494-495) . Generalmente essa costituisce un segno non
buono, siccome richiama aridità e sterilità.
La concordia , l'abbiamo
visto nella oJmofrosuvnh di Omero, è
il presupposto necessario dell'amore duraturo.
Catullo
ha pure tradotto in latino un' ode di Saffo, quella della paralisi indotta
dall'amore (fr. 31 LP) aggiungendo una gnome sull'otium che in qualche
modo allude negativamente a Elena di Troia.
Diciamo due parole
in generale su questo poeta che per la prima volta rende la donna e l'amore
protagonisti della poesia latina.
A partire dal liber del Veronese, e
nella successiva elegia, l'amore diviene un'esperienza totalizzante e la femmina
umana assume il ruolo della
dominatrice, la vera domina nella relazione che dunque per l'uomo
amante diventa un servitium. Con Catullo comincia a delinearsi un
codice di comportamento che prosegue con gli elegiaci. Dopo di lui altri poeti
sentiranno l'esigenza di porre una donna-padrona al centro del loro canto.
"Di fatto, nelle civiltà del potere maschile l'uomo potente si sottomette al
potere domestico della sposa, al potere erotico dell'amante, l'una e l'altra
Padrone (padrona di casa, padrona d'amore. Può essere soggiogato
dall'amata come Pirro divenuto schiavo della sua schiava Andromaca in Euripide)"[84].
Catullo in effetti è il primo vero poeta d'amore della letteratura latina. "A
Roma non si può parlare di una produzione di poesia d'amore prima di Catullo:
questa realtà, che ai nostri occhi può apparire sorprendente, ha una duplice
spiegazione, legata al modo di far cultura e di concepire il rapporto
uomo-donna. Sino al periodo della declinante repubblica il comporre poesia
priva d'impegno civile non doveva essere giudicato degno della gravitas
del cittadino romano: anche i primi letterati, tutti schiavi o liberti, sino
all'eques Lucilio, se si prescinde dalla loro produzione drammatica,
concepirono l'epos come la logica attività poetica"[85].
I ceti al potere, continua Fedeli, "si accontentarono di
mantenere il controllo sul sapere storico e su quello giuridico", mentre
una "sporadica produzione di carmi erotici" risale probabilmente al circolo di
Lutazio Catulo (console nel 102 a. C.) ma "solo con Catullo si assiste
alla diffusione di un canzoniere in cui una donna occupa il ruolo centrale,
perché nel mondo del poeta costituisce il culmine di tutti gli affetti" (p.144).
Catulo scrisse epigrammi erotici di tipo callimacheo. Precorse i neoteroi. Ci
sono arrivati 2 epigrammi omoerotici: in uno aspettava di salutare l’aurora ma
da sinistra apparve Roscius.
Consisteram exorientem Auroram
forte salutans
Cum subito a laeva Roscius
exoritur
Pace mihi liceat caelestes dicere
vestrā
Mortalis visus pulchrior esse deo
L'identificazione della donna amata con la domina imperiosa che ama meno
o addirittura non ama l'uomo asservito si può commentare con una riflessione
psicologica di C. Pavese:"Una beffarda legge della vita è la seguente:
non chi dà ma chi esige, è amato. Cioè, è amato chi non ama, perché chi ama
dà. E si capisce: dare è un piacere più indimenticabile che ricevere; quello
a cui abbiamo dato, ci diventa necessario, cioè lo amiamo. Il dare è una
passione, quasi un vizio. La persona a cui diamo, ci diventa necessaria"[86].
E più avanti:" Chi ha, gli sarà dato"[87].
“Qui enim habet, dabitur ei, et abundabit; qui autem non habet, et quod habet,
auferetur ab eo” (Matteo, 13, 12)
Il carme 51 di Catullo accusa in particolare l'otium che all'autore
procura un'esagerata eccitazione amorosa (otio exultas , v. 14) e,
alludendo probabilmente al caso di Elena di Troia, conclude:"Otium et reges
prius et beatas /perdidit urbes " (vv. 15-16), lo stare senza far
niente ha già mandato in rovina re e città opulente.
L’adulterio vizio dell’ozio.
Egisto e Madame Bovary.
Sentiamo Ovidio:"Quaeritis
Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat "
( Remedia amoris, vv. 161-162), volete sapere perché Egisto divenne
adultero? il motivo è a portata di mano: non aveva nulla da fare.
Per lo stesso motivo si diventa
obesi, quando mangiare è un modus vivendi.
Gli altri Greci infatti facevano
la guerra, e ad Argo non c'erano processi a impegnarlo. Dunque fece:"Quod
potuit, ne nil illic ageretur, amavit " (v. 167), quello che poté per non
stare là senza far niente: fece l'amore.
Anche Madame Bovary
divenne adultera poiché si annoiava:"per lei, ecco, l'esistenza era fredda come
un solaio esposto a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e
ritesseva la tela nell'ombra, in ogni cantuccio del suo animo" (p. 36).
Questo è un topos non solo
erotico, sul quale torneremo, ma anche storico- politico : in un discorso
attribuito da Tucidide ad Alcibiade che vuole persuadere gli
Ateniesi ad approvare il progetto vertiginoso di conquistare tutta la Sicilia,
il grande seduttore ateniese afferma:"kai;
th;n povlin, eja;n me;n hJsucavzh/, trivyesqai te aujth;n w{sper kai; a[llo ti
"(VI, 18, 6), e la città, se rimane ferma, si logorerà da sola, come
qualsiasi altra cosa.
Virgilio
(70-19 a. C.) pone gli adùlteri tra i grandi criminali del Tartaro in
attesa della pena; anzi, nel catalogo dei dannati, questi delinquenti sessuali
si distinguono dagli altri malnati per essere già stati puniti in terra con una
morte violenta:"quique ob adulterium caesi ", quanti furono uccisi per
adulterio.
I rimanenti criminali
di questa sezione degli inferi sono coloro che hanno odiato i fratelli,
maltrattato il padre, o hanno ordito frode al cliente, o hanno
accumulato egoisticamente ricchezze, o hanno seguito armi empie o tradito i
padroni ( Eneide VI , vv. 608-614).
C'è da notare che tra i peccatori pessimi delle Rane di Aristofane
ci sono quelli che hanno maltrattato il padre e la madre (v. 149) e pure chi ha
sodomizzato un ragazzo senza pagarlo (v. 148), ma non chi ha commesso
adulterio. Virgilio infatti volle assecondare i progetti moralizzatori di
Augusto che preparava leggi contro l'adulterio.
La lex Iulia de adulteriis coercendis
fu approvata nel 18 a. C. Essa "non si limitava a sottoporre a regolamentazione
la violazione della fede coniugale. Inserita nel quadro generale della politica
demografica e moralizzatrice di Augusto, stabiliva, in linea assai più generale,
che fosse punito come crimen (vale a dire come delitto pubblico,
perseguibile su iniziativa di qualunque cittadino) qualsiasi rapporto
sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato, eccezion fatta per quelli
con le prostitute e con donne a queste equiparate, o in ragione del mestiere
esercitato, o perché già condannate, in precedenza, per condotta immorale. Il
termine adulterio, insomma, è usato da Augusto in senso lato, e comprende anche
lo stuprum
[88]. La sfera della morale
sessuale, sostanzialmente, viene sottratta, con la sua legge, alla competenza
della giurisdizione familiare, e diventa "affare di Stato"...La pena prevista
dalla lex Iulia per l'adulterio, non fu la morte, ma la relegatio in
insulam , accompagnata da una sanzione patrimoniale. La regola stabilita
del secondo caput della legge, che concedeva l'impunità al marito e
al padre dell'adultera qualora uccidessero il complice di costei (e, solo
nel caso del padre, qualora uccidesse anche la figlia) era la previsione di
un'impunità speciale, concessa esclusivamente al padre e al marito, e
subordinata al verificarsi di una serie di circostanze (quali la sorpresa
degli adùlteri in flagranza), specificamente e tassativamente elencate dalla
legge. Ma la pena dell'adulterio, in linea generale, non era la morte"[89].
Un'altra legge volta a frenare, o
per lo meno a regolarizzare e ordinare l'amore, fu la lex Iulia de
maritandis ordinibus , sempre del 18 a. C. Questa multava i celibi e
premiava i coniugati fecondi, come avrebbe fatto, molti anni più tardi,
Mussolini. Tuttora del resto gli insegnanti celibi sono pesantemente penalizzati
nel punteggio.
La lex Iulia poi venne
ribadita dalla lex Papia Poppea ( del 9 d. C. ) che concedeva per
giunta agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium
liberorum ).
"L'inibizione sessuale è dunque la
base dell'incapsulamento familiare degli individui…è il mezzo a cui si ricorre
per creare il legame alla famiglia autoritaria"[90].
Questa poi veicola nei giovani il
precetto della sottomissione al capo. Del resto tante severe leggi matrimoniali
non raggiunsero l'effetto desiderato. Già Augusto vedeva che la forza delle sue
norme favorevoli al matrimonio veniva elusa, per cui tentò di potenziarle:"tempus
sponsas habendi coartavit, divortiis modum imposuit "[91],
abbreviò il tempo del fidanzamento, pose un limite ai divorzi.
Queste regole verranno sempre
eluse e anzi lo saranno dagli stessi imperatori che concedevano lo ius trium
liberorum a scapoli incalliti: come Marziale che ottenne il beneficio
sia da Tito sia da Domiziano:"Natorum mihi ius trium roganti/Musarum pretium
dedit mearum/solus qui poterat. Valebis, uxor./Non debet domini perire
munus " (II, 92), a me che sollecitavo il privilegio dei tre figli lo ha
concesso come premio per la mia Musa colui che solo poteva. Tanti saluti,
moglie. Non deve andar perduto il dono di un dio.
Giovenale nella seconda
satira nota la contraddizione di Domiziano che mentre era adulter
incestuoso con la nipote Giulia "tunc leges revocabat amaras/omnibus atque
ipsis Veneri Martique timendas " (II, 30-31), proprio allora richiamava in
vigore leggi amare per tutti e tremende per gli stessi Venere e Marte. Domiziano
infatti aveva rimesso in vigore la lex Iulia de adulteriis et stupro vel de
pudicitia emanata da Augusto nel 18 a. C. Pertanto un moralista all'antica
non faceva che esclamare:"Ubi nunc, lex Iulia, dormis? " (II, 37), legge
Giulia dove sei? Dormi?
Di questo andazzo legislativo
troviamo un'altra anticipazione nella seconda satira[92]
di Orazio (65-8 a. C.) che sconsiglia l'adulterio con le matrone (ne
paeniteat te,/desine matronas sectarier , I, 2, 77, 78), se non vuoi
pentirtene, smetti di cercare le matrone) anteponendogli la "sana"
frequentazione delle puttane. La togata , ossia più o meno la
cortigiana, o per lo meno una donna parecchio e notoriamente dissoluta
[93], oltre essere meno
problematica e rischiosa, è meno artefatta e ingannevole:"mercem sine fucis
gestat, aperte/ quod venale habet ostendit " (vv. 83-84), porta la merce
senza orpelli, e mostra apertamente quello che ha da vendere. Su questa satira
torneremo, spiegando meglio questi versi e leggendone altri , nel capitolo
relativo all'adulterio .
Delle prime leggi sui matrimoni
si trova traccia in una delle strofe saffiche del Carmen Saeculare del
17 a. C. :" Diva, producas subŏlem
patrumque/prosperes decreta super iugandis/feminis prolisque novae feraci/lege
maritā " (vv. 17-20), Dea[94]
fa crescere la prole e da' successo ai decreti del senato sulle donne da unire
in matrimonio e sulla legge nuziale feconda di nuova prole.
Tutto questo non bastò a
frenare la corsa già in atto verso i magna adulteria denunciati da
Tacito (55 ca-120 ca d. C.) all'inizio delle Historiae[95]
(I, 2). Infatti:" corruptissima republica plurimae leges (Annales
III, 27).
Era costume diffuso il celibato
prevalidā orbitate
(Annales 3, 25).
Oltre la scarsa efficacia del potere in questa
sfera c'è anche da notare l'ipocrisia del "moralizzatore" Augusto il
quale, secondo Svetonio (70 ca-140 ca d. C.), era infamato dai suoi
nemici per avere ottenuto l'adozione prostituendosi a Cesare e per avere
sottoposto gli avanzi della sua pudicizia ad Aulo Irzio che gli aveva dato
trecentomila sesterzi. Che l'erede di Cesare commettesse adultèri lo ammettevano
anche gli amici, sebbene lo scusassero dicendo che lo faceva non per libidine ma
per calcolo:"quo facilius consilia adversariorum per cuiusque mulieres
exquireret " (Vita di Augusto 69), per indagare più facilmente i
disegni degli avversari attraverso le mogli di ognuno di loro.
Arriviamo dunque alle conclusioni del capitolo.
La calunnia dell'amore e il deturpamento del sesso è una delle tante manovre
delle propagande funzionali al potere.
Omero aveva già capito che la concordia, l'affetto e l'amore dell'uomo e
della donna costituiscono non solo la gioia ma anche la forza di entrambi; come
l'hanno capito bene i furfanti che tendono a seminare zizzania tra uomini e
donne appunto per indebolire il genere umano e sottometterlo, con scopi diversi.
Negli ultimi tempi principalmente con quello di indurlo a comprare le schifezze
prodotte dall'industria. Femmine e maschi umani sessualmente e affettivamente
felici infatti non avrebbero bisogno di gratificarsi consumando, né sentirebbero
la frustrazione di non consumare. L'infelicità amorosa per giunta conduce
alla sottomissione e all'adorazione dei capi e delle mode.
L’astinenza sessuale spinge a mangiare fuor di misura.
Il tiranno che bandisce la gioia semina morte e produce rovina, anche a se
stesso. E' il commento del messo che sta per raccontare la catastrofe finale
dell'Antigone provocata dalla tirannide di Creonte che ha proibito,
tra l'altro, al figlio Emone di amare la sua donna:":"ed ora tutto è
buttato via. Infatti quando/l'uomo abbandona la gioia, io non ritengo/che sia
vivo costui ma lo considero un cadavere che respira" (vv.
1165-1167).-
"L'inibizione sessuale sbarra all'adolescente la via che porta a un modo di
pensare e di sentire razionale…i sentimenti religiosi nascono dalla
sessualità inibita"[96].
Adesso la religione (intesa come religio lucreziana) è quella del
consumismo, ed esso è una delle conseguenze del "sesso che se ne va a male,
che diventa acido"[97].
Orwell
in
1984
fa un discorso più ampio descrivendo un regime repressivo, tra l'altro, della
libertà erotica poiché l'astinenza sessuale produceva isterismo che " si poteva
facilmente trasformare nell'infatuazione per la guerra e nell'adorazione dei
capi". Ma c'è una ragazza, Julia, che comprende e si ribella facendo l'amore
con gioia, e spiega:""Quando fai all'amore, spendi energia; e dopo ti senti
felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si
senta in questo modo...Tutto questo marciare su e giù, questo sventolio di
bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che sesso che se ne va a male,
che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del
Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei Due Minuti di Odio, e di tutto il
resto di quelle loro porcate?"[98].
Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio quello
stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera una
civiltà" (p.133).
Il protagonista del romanzo vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo
inferto al Partito...un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia
infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice:"Sta' a sentire. Con più
uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[99].
Un messaggio a favore dell'amore e contro la guerra, tra loro inconciliabili, si
trova anche nella commedia di Aristofane, Lisistrata, del 411. Il nome
parlante significa "colei che dissolve l'esercito". La protagonista infatti è
una donna
[1] Si pensi a Io la fanciulla trasfigurata in mucca
del Prometeo incatenato, tormentata da un assillo appunto (oi\stro~
, v. 566) e fissata dallo sguardo del pastore Argo dai diecimila occhi:
“ E subito l'aspetto e la mente furono/stravolti: divenni cornigera,
come vedete, e punta/da un assillo dall'acuto morso, con salti
furibondi/balzai verso la corrente Cercnea dolce da bere/e alla fonte di
Lerna: e il bovaro nato dalla terra/Argo violento nell'ira mi scortava/
spiando i miei passi con occhi fitti” (vv. 673-679).
[2] Per la genesi e la storia dei poemi omerici vedi
la parte introduttiva (pp. 9-47) della mia antologia Ulisse, il
figlio, le donne, i viaggi, gli amori , Loffredo, Napoli, 200.
[3] Hegel, Estetica , p. 1381.
[4] La ritroveremo nelle tragedie di Euripide
Troiane e Andromaca
[5] J. Kott, Mangiare Dio , trad. it. Edizioni
Il Formichiere, Milano, 1977, p. 120.
[6] J. J. Bachofen, Il potere femminile , trad.
it., Il Saggiatore, Milano, 1977. Mutterrecht 1861
J. J. Bachofen, Le madri e la
virilità olimpica , trad. it. Edizioni Due C. Roma, 1975.
[7] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni
indoeuropee , trad. it. Einaudi, Torino, 1976., p. 15.
[8] Andromaca e Troiane .
[9] Di Samotracia (215-144 ca.) convinto
dell'origine ateniese di Omero, tendeva ad atticizzare il testo e si
oppose ai separatisti attribuendo l'Iliade alla gioventù del
poeta e l'Odissea alla sua vecchiaia. Aristarco corredò
la sua edizione critica di segni marginali che completano quelli già
usati dai curatori precedenti. Tra questi segni "diacritici", che
si trovano in un codice della biblioteca Marciana di Venezia, "un
manoscritto pergamenaceo del decimo secolo, e dei più importanti della
tradizione medievale di Omero" (C. Del Grande, Storia della
Letteratura Greca , p. 45,) segnalo, per curiosità e anche perché,
data la loro evidenza, si possono ricordare, l'ojbelov",
lo spiedo, ossia un trattino, che "infilzava" il verso spurio; l'
ajsterivsko" , la
stelluccia, che segnalava un verso ripetuto; e l'ojbelov"
met& ajsterivskou , lo spiedo con stelluccia davanti a
ripetizione abusiva. Come gli altri filologi alessandrini Aristarco era
fautore dell'analogia, la quale vuole individuare norme e regole
nell'uso della lingua; inoltre asseriva che bisognava spiegare Omero con
Omero ( " JvOmhron ejx JOmhvrou
safhnivzein", cfr. Schol. B a Z 201).
[13] E. Dodds, I
greci e l'irrazionale , p. 30.
[14] B. Snell, La cultura greca e le origini del
pensiero europeo , p. 30 e sgg.
[15] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491.
[16] F. Nietzsche, La nascita della tragedia,
p. 33.
[17] Avvenuta nel 146 a. C.
[22] Per il suggerimento di Nausicaa, v.
z 310-315. Cfr. h 142
sgg. Anche Atena parla a Ulisse della riverenza di Alcinoo e dei suoi
figli per Arete: h 66-70.
[24] La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi
fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 (
citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa
trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera
l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella
sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine
del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti
sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.;
Theog. 590-612).
[25] Il "medio evo" greco, mostra, più chiaramente che
altrove, il proprio interesse a questo lato del problema nella
abbondante produzione poetica in forma di catalogo dedicata alle
genealogie eroiche delle antiche famiglie, e più di tutto nei cataloghi
di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo delle
jHoi'ai, giunteci col nome
di Esiodo.
[26] Jaeger, Paideia 1, pp. 63-64.
[27] Plutarco, Vita di Temistocle, 18.
[28] Boccaccio, Decameron, V, 9.
[29] Palazzi Vaticani, Stanza "della Segnatura",
1509-1511.
[30] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov (del
1880), p. 709.
[31] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p.
178.
[32] Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità
estetica del matrimonio , trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 163
del Tomo Quarto.
[33] Una vita , p. 208.
[34] Della Frigia.
[35] J. Joyce, Ulisse , trad.
it. Mondadori, Milano, 1975, p. 803.
[36] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p.
88.
[37] I vv. 180-185 son stati spesso espunti
sull'esempio del Bekker che, col suo senso piccolo-borghese delle
convenienze, non voleva attribuire a Odisseo "un'impertinenza così
indiscreta, così imprudente" (Homerische Blätter , 2, pp; 55
sgg.).
[39] Bruno Snell, Poesia e società , trad. it.
Laterza, Bari, 1971, pp. 33-34.
[40] La sera del dì di festa, v. 15; e, poco più
avanti:"non io, non già, ch'io speri,/al pensier ti ricorro" (vv.
20-21).
[41] Ulisse , pp. 511-512.
[42] Ulisse , p. 521.
[43] Ulisse , pp. 581-582.
[44] Ulisse, p. 842.
[45] Messo insieme tra la fine del V secolo e gli
inizi del IV a. C.
[46] Ippocrate visse tra il 460/450 e il 380 a. C.
circa.
[47] S. Mazzarino (Il pensiero storico classico
, I, p. 161.
[48] J. P. Vernant, Tra mito e politica , pp.
210-211.
[49] Le
avventure pastorali di
Dafni e Cloe , I, 17. Romanzo ellenistico, composto tra il II e
il III secolo d. C.
[50] Teocrito siracusano (310 ca-250 ca a. C.) visse
tra Siracusa, Coo e Alessandria alla corte di Tolomeo II filadelfo.
Abbiamo un corpus di 30 idilli e 24 epigrammi.
[51] Poetessa greca dell'isola di Lesbo. Visse tra il
VII e il VI secolo. Scrisse liriche in dialetto eolico.
[52] Vissuto tra l'84 e il 54 a. C. Ha lasciato un
Liber di 116 carmi in metro vario.
[53] Nato ad Assisi nel 49 a. C. circa, morto a Roma
intorno al 15a. C., ha scritto quattro libri di elegie. Il primo fu
pubblicato nel 28, il secondo e il terzo nel 22, il quarto nel 16 a. C.
I primi tre cantano l'amore per Cinzia, il IV, quello delle elegie
romane, racconta per lo più miti, riti della tradizione, episodi della
storia di Roma e italica.
[54] Nato a Sulmona nel 43 a. C., morto a Tomi, sul
mar Nero nel 17/18 d. C. Indicheremo le date delle sue opere a mano a
mano che le menzioneremo.
[55] Tre libri, in distici elegiaci, di insegnamenti
sull'amore: i primi due usciti tra l'1 a. C. e l'1 d. C.; il terzo poco
dopo. Ci torneremo diverse volte durante il percorso.
[56] Raccolta di elegie in tre libri. La prima
edizione è di poco posteriore al 20 a. C.; la seconda, rielaborata, uscì
quasi venti anni dopo, intorno all' 1 a. C.
[57] Firenze 1265-Ravenna 1321.
[58] Arezzo 1304-Arquà 1374.
[59] Stratford on Avon
1564-Warwickshire 1616. Love's labour's lost è del 1594-1505.
[60] Le plus belles lettres d'amour , tratto da
Lunario dei giorni d'amore, p. 502.
[61] All'ombra delle fanciulle in fiore, p.
397.
[62] La coscienza di Zeno , Dall'Oglio, Milano,
1938, p. 317 e p. 319.
[64] P. 304 del II
vol.
[65] Compendio di psicoanalisi, in Freud
Opere , volume 11, p. 617, n. 1.
[66] D. Puliga e Silvia Panichi, In Grecia, p.
199.
[67] In italiano nel testo.
[68] Ulisse, p. 865 e p. 867.
[69]Ulisse , p. 970.
[70] Ulisse, trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p.
1044.
[71] M. Yourcenar, Fuochi, p. 88.
[72] Il soggetto probabilmente è Cipride.
[73] la quale nell'Odissea
, IV, 145, tornata a Sparta, buona moglie , brava regina e avveduta
padrona di casa, pentita dei propri trascorsi, chiama se stessa "faccia
di cagna"
[74] 436-338 a. C.
[75] Del 390 a. C.
[76]Questa prima
affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole di
alcuni drammi greci dei quali ci occuperemo più avanti e procederà a
mano a mano fino ad arrivare alla Nora di Ibsen (del 1879):"io devo,
anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti
aiutarmi..per questo ti lascio." E quando il marito le obietta:"prima di
ogni altra cosa, tu sei sposa e madre", ella risponde:"Non credo più a
questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei
tu..So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei
libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare
gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di
idee mie e di vederci chiaro"(Una casa di bambola , trad. it.
Newton Compton, Roma, 1973, atto terzo).
[77] E. Morin, op. cit., p. 132.
[78] Agrigento 1867-Roma 1938. Il romanzo L'esclusa
è del 1901.
[79]
F. Engels, L'origine della
famiglia, della proprietà privata e dello Stato (del 1884) ,
p.86 e p. 100.
[80] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 735.
[81] Il padre della
storia sottolinea che, secondo lo spartiata Lichas "il ferro fu
inventato per il male dell'uomo"(I, 68).
[82] I Calibi avevano scoperto la lavorazione del
ferro (Senofonte, Anabasi, V, 5, 1. “oJ
bivoς
h\n toĩς
pleivstoiς
aujtw̃n
ajpo; sidhreivaς,
dalla metallurgia
[83] Marìa Zambrano, L'uomo e il divino ,
p.58..
[84] E. Morin, L'identità umana, p. 64.
[85] Paolo Fedeli, La poesia d'amore, in Lo spazio
letterario di Roma antica , I, p. 143.
[86] Il mestiere di vivere, 24 maggio 1941.
[87] 23 novembre 1945.
[88] Relazione colpevole.
[89]E. Cantarella, Secondo Natura , Milano,
1995, pp. 182 ss.
[90] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo,
. (del 1933), p.61.
[91] Svetonio, Vita di Augusto, 34.
[92] I due libri di Satire di Orazio uscirono
nel 35 e nel 30 a. C.
[93] Marziale consiglia a un tal Lino di regalare a
una famigerata moecha non vesti scarlatte e violette ma una
toga (II, 39).
[94]Lucina, dea romana dei parti identificata con
Diana
[95] Composte entro il 110 d. C, raccontano i fatti
che vanno dal 1° gennaio 69 d. C. alla rivolta giudaica del 70.
[96] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo
, p. 108 e p. 148.
[97] G. Orwell, 1984 , trad.
it. Mondadori, Milano, 1989, p. 142.
[98] G. Orwell, 1984 , p.
142.
[99] G. Orwell, 1984, trad. it.
Mondadori, Milano, 1997, p. 134.
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