NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 5 maggio 2014

Diciannovesima antologia del mio Twitter

Twitter 5 maggio

Platone Leggi (679b-c): i costumi sono nobilissimi dove non esiste ricchezza né povertà.

La chiacchiera è contraffazione del parlare: è ignobile, ingannevole e servile. Così come la cosmesi è contraffazione della ginnastica (Platone) e dell’abbronzatura solare.

Il symbolon è una mezzo segno di riconoscimento da unire all'altra metà. Ognuno di noi è un simbolo. L'altra metà mia sono i miei lettori

Il razzismo ha sempre bisogno di odiare l'originale, il diverso, in nome del conformismo.

Le persone ammazzate "per sbaglio" sono presentate come non persone. Diventano capri espiatori di una società ipocrita, corrotta e violenta

Contro il conformismo Su ogni argomento si possono, quasi si devono, dare interpretazioni contrapposte. Poi si sceglie Con la propria testa

Controparte alla tomba è il letto nuziale e puerperale. Le vite prive di letto erotico sono vite sepolcrali.

l'occhio offeso dall'orrenda notte dei luoghi comuni pubblicitari, si conforta con la luce della bellezza dell'arte.

Amare significa potenziare la vita e accrescere la vitalità dell’altro.
I  politici non ci amano. Nemmeno noi li amiamo.

La poesia è una specie di matematica ispirata che dà equazioni per le emozioni umane (Pound)

Alla smodata violenza dei barbari, al ruminare bestiale  dei luoghi comuni, all’idiota assenza  di ogni spirito critico, alla ruffianeria dei servi, oppongo la bellezza dell’arte e della cultura.

Illa cantat, nos tacemus. Quando ver venit meum?/Quando fiam uti chelīdon, ut tacere desinam?/… Cras amet qui numquam amavit quique amavit cras amet!  (Pervigilium Veneris[1])
Quella canta, noi tacciamo. Quando viene la mia primavera? Quando diverrò come rondine e smetterò di tacere?
Ami domani chi non ha mai amato e chi ha amato ami domani![2].

Dopo avere ascoltato i tanti lenoni televisi: “Nunc iam nulla viro iuranti femina credat /nulla viri speret sermones esse fideles”  (Catullo, 64)
Ora nessuna donna creda più nell'uomo che giura, nessuna speri che siano sincere le parole di un uomo.

Gli Spartani votarono la guerra  fobouvmenoi tou;" jAqhnaivou" mh; ejpi; mei'zon dunhqw'sin"(Tucidide, I, 88) temendo che gli Ateniesi divenissero sempre più potenti. Ora si teme il potenziamento della Russia di Putin.

Non vorrei che gli Americani e i loro servi europei armassero altre bande e le spingessero  al terrorismo per paura che la Russia di Putin diventi troppo potente. Sarebbe una catastrofe per tutti

crh;-ajyeude;~ ei\nai toi'si gennaivoi~ stovma” ( Euripide, Eraclidi, vv. 890-891), è necessario che sia veritiera la bocca dei nobili.
E viceversa. La persona volgare mente sempre, mente per principio, mente anche se non gli conviene perché è stupida e non sa che cosa gli conviene.
Il bruto è il servo della pubblicità.

La Sfinge.
La Sfinge dal canto variopinto (poikilw/dov") ci spingeva a guardare/quello che era lì tra i piedi (to; pro;" posiv), e a lasciare perdere quanto non si vedeva (tajfanh', Sofocle, Edipo re, vv. 130-131 parla Creonte).
La Sfinge dei nostri giorni è la pubblicità
Possiamo identificare "quanto non si vedeva" (tajfanh')   con i fatti dello spirito non visibili attraverso i soli occhi del corpo, soprattutto quando lo sguardo è rivolto in basso, e "quello che era lì tra i piedi", ossia "to; pro;" posiv", con gli oggetti terreni e materiali. Quelli “consigliati” dalla pubblicità.

La Sfinge è  nata da un incesto in quanto figlia di Echidna, la vipere, e di Orto, il cane figlio di Echidna, ed è rappresentante del Caos[3], è stata solo rimossa, non superata moralmente: P. P. Pasolini nel suo film Edipo re  fa gridare alla Sfinge mentre viene spinta in un burrone dal figlio di Laio:"L'abisso in cui mi spingi è dentro di te"[4]. Edipo infatti ha molto della Sfinge.

Nell’ Oedipus  di Seneca, l'ombra di Laio definisce il figlio che lo ha ucciso:" implicitum malum,/magisque monstrum Sphinge perplexum sua" (vv. 638-639) male aggrovigliato e mostro contorto più della Sfinge sua.

Nella Fedra di D’Annunzio la figlia di Pasife e del “talassocrate” Minosse, sente dentro di sé la presenza della Sfinge. Dice infatti alla bella schiava tebana che poi ucciderà: “Dalle case di Edipo/teco venne la cagna[5] stigia? O schiava,/odimi. Quella che il figlio di Laio/osò guatar negli occhi spaventosi,/quella fiera che striscia balza vola/parla, bacia le bocche moribonde,/aquila, serpe, leonessa, femmina/d’uomo, alata, squammata,/con branche atroci e floride mammelle,/Musa dei Morti, in me/rivive”[6].

Dietro la bellezza, che in fin dei conti si compone di una materia fragile e caduca, si agita sempre la fiamma di una forte volontà.

I due presidenti sebbene innumeri effetti annis, disfatti da innumerevoli anni, vogliono comandare ancora. Del resto i giovani sono solo dei burattini manovrati nella pupazzata della politica. 

La donna ha una marcia in più rispetto all’uomo. Dunque prima della gara “le carte vanno  truccate, l'uomo deve ricevere un vantaggio"[7]. Come in una corsa a handicap dove l'handicappato è l'uomo. Lo afferma apertamente Marziale[8] nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3-4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.

Giasone a Medea (quelli di Euripide) “Ma a tanto giungete, che, quando vi va dritta-nell'alcova (ojrqoumenvh~[9]-eujnh`~), voi donne pensate di avere tutto,-se invece capita qualche congiuntura nel letto,-anche i rapporti migliori e più belli rendete- atti di guerra feroce. Bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro luogo-generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse:- e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.  (vv. 569-575).
E’ pazzo Giasone? Sono un farabutto io a citarlo? Siete dei complici mascalzoni voi a leggere tali infamie?
 Credo che sia sempre sbagliato parlare di uomini così e di donne cosà.
Io considero la persona, la sua cultura, la sua onestà, il suo aspetto.

Dio ci liberi dagli occupati otiosi, gli  indaffarati in occupazioni futili, quelli la cui vita è una desidiosa occupatio[10], un’occupazione inoperosa e sono  pieni di noia, colmi di malevolenza.

Sentite l'invettiva di Encolpio contro la mentula che ha disertato:"erectus igitur in cubitum hac fere oratione contumacem vexavi:"quid dicis-inquam-omnium hominum deorumque pudor? nam nec nominare quidem te inter res serias fas est." (132, 9-10), drizzatomi dunque sul gomito strapazzai il renitente con queste parole più o meno:" che cosa dici-faccio- vergogna degli uomini tutti e degli dèi? Infatti sarebbe un sacrilegio perfino nominarti tra le cose serie.
Oggi avrebbe preso il viagra il disgraziato colpito dall’ira di Priàpo.

giovanni ghiselli

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[1] La veglia di Venere, un carme anonimo, compreso nell'Anthologia latina , di novantatré versi (tetrametri trocaici catalettici), di età e attribuzione incerta, dal II secolo d. C. , al IV, al VI; da Floro, a Tiberiano, a un'autrice anonima.
[2]E' questo il ritornello che si trova già in apertura, si ripete dieci volte e indica la destinazione popolare del componimento.
[3] Secondo Esiodo che usa la forma beotica Fivx (Fi'k&(a) in Teogonia 326), costei era un mostro femminile, nata da Orto e dalla luttuosa Echidna, e costituiva una rovina esiziale per i Cadmei. Essa era dunque sorella del leone nemeo, e sorellastra (oltre che figlia) di Orto, il cane bicefalo di Gerione, di Cerbero, il cane di Ades dal ringhio metallico, dell'Idra di Lerna, consapevole solo di atroci azioni, e della Chimera tricipite, spirante indomabile fiamma; nati tutti da Echidna e Tifone. Un bel guazzabuglio di ibridi mostruosi. La Sfinge aveva volto di donna, petto, zampe e coda di leone, e ali di uccello.
[4] M. Gigante sostiene che nell'interpretazione di Pasolini c'è "un freudismo strisciante e, soprattutto, il tentativo di accreditare una falsa visione di Edipo come "vittima". (Rivisitazioni di Edipo, "Dioniso" 1989, p. 92.)
[5] Cfr. La cagna cantatrice (Sofocle, Edipo re, v.391)
[6] D’Annunzio, Fedra (del 1909), atto I.
[7]. Ph. E. Slater, The glory of Hera , in La tragedia greca. Guida storica e critica , p. 162.
[8] 40 ca-104 d.C.
[9] Da ojrqovw, “raddrizzo”. Parole non ci appulcro.
[10] Seneca, De brevitate vitae, 12, 2. Cfr. anche Plinio il Giovane, Ep.9, 6, 4: otiosissimae occupationes.

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