Il 24 maggio ho
seguito con attenzione la lectio tenuta di Massimo Cacciari nell’aula
magna dell’Alma Mater Studiorum, l’ Università di Bologna il cui rettore Ivano
Dionigi ha conferito al filosofo veneziano la Laurea ad honorem in
Filologia, Letteratura e Tradizione Classica.
Il tema generale
della lezione è la sinergia naturale, quindi necessaria, tra filosofia e
filologia. In effetti il Cacciari filosofo non prescinde mai dal Cacciari
filologo, dicti studiosus
[1] e, studioso serio ma tutt’altro che umbraticus doctor
[2].
La
sofiva è, come si sa, l’amore della
sapienza la quale, ha ricordato lo studioso, presenta diversi aspetti e varie
componenti. Ne XV libro dell’ Iliade, Omero, in un paragone, menziona la
sofivh conosciuta bene dal
tevktwn dahvmwn, l’abile
carpentiere che con il regolo drizza un’asse navale (vv. 410-412).
Certamente
questa sofivh è altra cosa dalla
sofivh politikhv del legislatore
Solone. La sapienza politica va associata a
divkh e aijdwvς, giustizia e
rispetto, come ci racconta Platone nel mito di Prometeo del Protagora
[3].
Poi c’è la
sofiva dell’aedo che secondo il
personaggio Telemaco dell’Odissea deve dilettare ("tevrpein",
I, 347) gli uomini che già godono (v. 369) del banchetto, ed essi apprezzano
maggiormente il canto che suoni più nuovo a chi ascolta (vv. 351-352).
Euripide
polemizza con questa poetica facendo dire alla nutrice di Medea che la poesia
dovrebbe alleviare le angosce degli uomini, non allietare i banchetti, già
allegri per conto loro: “ Questo sì sarebbe un guadagno (kevrdo~[4]):
guarire-con le melodie i mortali; ma dove ci sono lauti banchetti-imbanditi,
perché elevano invano la voce? Infatti l'abbondanza che c'è della mensa contiene
gioia da sé per i mortali” (vv. 199- 203).
Non mancano
altri aspetti della sofiva, da
quella divina a quella smontata da Sofocle in Edipo che attribuisce un valore
eccessivo alla propria intelligenza nella più nota tragedia del drammaturgo di
Colono.
Nel primo
episodio dell’Edipo re, Il figlio di Laio entra in conflitto con il
reticente profeta Tiresia e gli rinfaccia una cecità anche mentale:
:" Come mai, quando era qui la cagna
cantatrice/ non dicevi qualche cosa di liberatorio a questi cittadini?/ Eppure
l'enigma non era compito dell'uomo sopraggiunto/ spiegarlo, ma c'era bisogno di
un vaticinio/ che tu non mostrasti di avere conosciuto dagli uccelli/né da uno
degli dei/ ma, arrivato io/ che non sapevo nulla, la feci cessare/ azzeccandoci
con l'intelligenza (gnwvmh/ kurhvsaς)
e senza avere imparato nulla dagli uccelli” (vv.393-398).
Su questa linea che denuncia i limiti
dell’intelligenza umana si trovano anche le Baccanti di Euripide: le
menadi invasate da Dioniso, nel primo stasimo della tragedia cantano (vv.
388-395):
“Di bocche senza
freno
di follia senza
misura
il termine è
sventura;
mentre la vita
della
tranquillità e il comprendere 390
rimangono al
riparo dai flutti
e tengono unite
le case: da lontano infatti i celesti,
pur abitando
l’etere,
vedono comunque
gli atti dei mortali.
Il sapere non è
sapienza”(to; sofo;n d’ ouj sofiva)
La sapienza
infatti non può essere neutra (to; sofovn);
in quanto produttiva e creativa di vita deve essere femminile (
hJ sofiva).
Cacciari ha
fatto poi notare che la filosofia è sì parola, ma anche
e[rgon, azione; è parola che
diventa azione, è lovgoς che si fa
vita.
Il
“neolaureato” ha citato una frase chiave del
lovgoς
ejpitavfioς di Pericle ricordato, o ricostruito da Tucidide nel secondo
libro delle sue Storie: filokaloũmevn
te ga;r met j eujteleivaς kai;
filosofoũmen a[neu malakivaς
(II, 40, 1), amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
eujtevleia è frugalità, parsimonia,
è il basso prezzo, facile da pagare (eu\,
tevloς), è la bellezza preferita dai veri signori,
quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti
costosi. Più avanti Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di
quell'anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste ("dia;
ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e
sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:"kai;
to; eu[hqe", ou| to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh"
(III, 83, 1).
Sulla guerra
civile di Corcira, aveva scritto parole di commento Cacciari in un suo libro
denso quanto la prosa dello storiografo commentato
"Un'audacia "
ajlovgisto"" prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia,
la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il
giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le
umane.
Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui
è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è
ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più
feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82-84)"[5].
Veniamo alla
“cultura senza mollezza”.
Pericle critica
gli Spartani per il loro continuo ed esclusivo sottoporsi alle fatiche, tuttavia
respinge la malakiva quella
mollezza che corrompe non solo le anime dei giovani ma la stessa vita dello
Stato. Corrisponde alla mollis educatio criticata da Quintiliano
che pure è favorevole alle pause [6]
e al gioco [7]
dei fanciulli. "Mollis
illa educatio, quam indulgentiam vocamus, nervos omnis mentis et corporis
frangit"[8].
quella molle educazione che
chiamiamo indulgenza, spezza tutte le forze della mente e del corpo.
Platone attribuisce tale mala
educazione alle donne della casa reale persiana del tempo di Ciro il Vecchio
il quale, sempre impegnato in
operazioni militari, delegò alle femmine la cura dei figli. Queste li viziarono
impartendo loro una trofh;n
gunaikeivan
(Leggi, 694d) , una cura da donne, per giunta donne del re divenute
ricche da poco.
I padri combattevano e conquistavano, ma non
insegnavano ai figli la disciplina persiana, quella di pastori e guerrieri molto
resistenti alle fatiche. Insomma: “periei'den
uJpo; gunaikw'n te kai; eujnouvcwn paideuqevnta~ auJtou' tou;~ uJei'~”
(Leggi, 695a), Ciro il Vecchio
permise che i suoi figli, Cambise e Smerdi, fossero educati da donne e da
eunuchi. Sicché essi crebbero come ci si doveva aspettare, dato il loro essere
stati allevati trofh'/ ajnepiplhvktw/
(695b) in maniera licenziosa. E quando i due giovani ereditarono il regno,
trufh'~ mestoi; kai; ajnepiplhxiva~,
gonfi di lussuria e di sregolatezza, per prima cosa uno uccise l’altro perché
non sopportava uno stato di parità, quindi costui, ossia Cambise,
mainovmeno~[9]
uJpo; mevqh~ te kai; ajpaideusiva~,
pazzo in seguito al bere smodato e alla mancanza di educazione, perse il potere
a opera dei Medi e del cosiddetto “eunuco”
[10], che aveva disprezzato
la stupidità del re.
Il
filosofeĩn
che il Pericle di Tucidide riconosce al popolo ateniese è una cultura generale
che rende le persone capaci di parlare, sia retoricamente sia politicamente, e
di agire: è insomma un amore del sapere che è anche saper fare. Isocrate
adotterà questo significato del
filosofeĩn.
Per quanto riguarda il nesso tra il
lovgoς
e gli e[rga,
la parola e le azioni, c’è un’espressione particolarmente densa di Tucidide che
lo chiarisce: ta; e[rga tw'n
pracqevntwn (I, 22, 2), le azioni, tra i fatti. L'altra componente dei
fatti sono le parole dette dai capi della guerra: sul modo di riferirle Tucidide
dichiara le intenzioni e il metodo nella prima parte di questo capitolo
metodologico (I, 22, 1). Le parole dunque preparano le azioni e diventano
e[rga..
La sapientia
, sostiene Seneca "res tradit, non verba" [11]
insegna ad agire, non solo a parlare. E in un'altra Epistula: "Sic
ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera" (108, 35), cerchiamo di
apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole diventino azioni.
Cacciari è poi
passato all’argomento bellezza, al kalovn
come viene svolto nel Simposio platonico, un dialogo sull’amore. Ebbene
l’amore , come la sofiva, propaga la
vita: vuole la procreazione nel bello secondo l'anima e secondo il corpo:"tovko"
ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (206 b). Per il
tovko" ci vuole la bellezza che è
Moira e Levatrice nella procreazione. Amore infatti non è tanto desiderio del
Bello, quanto di generare e partorire nel bello (206 d).
Massimo Cacciari
ha poi indicato un collegamento tra sofiva,
to;
safevς, l’evidenza, la chiarezza, e
to;
fw̃ς, la luce. La sapienza è
chiarezza ed è luce: la sofiva dà
chiarezza, evidenza e luce attraverso i tanti
tovpoi, gli argumenta (cfr,
ajrgovς, splendente e argentum)
di cui dispone.
Il filosofo ha
poi citato alcuni versi dell’Iliade messi in rilievo come sublimi
dall’anonimo autore del trattato Peri; u{[youς,
Sul sublime.
Si tratta di una
preghiera di Aiace che chiede a Zeus di morire nella luce per vedere ed essere
visto mentre compie qualche nobile impresa:
"Zeu'
pavter , ajlla; su; Jru'sai uJp j hjevro" ui|a" jAcaiw'n,
poivhson d j ai[qrhn, do;" d j ojfqalmoi'sin
ijdevsqai:
ejn de; favei kai; o[lesson"(Iliade
, XVII, 645-647), Zeus padre , libera dalla caligine i figli degli Achei, fai il
sereno, concedi agli occhi di vedere: poi nella luce annientaci pure [12].
Aiace nella luce cerca una possibilità di
impiegare il suo valore per trovare in ogni modo un sudario degno della sua
virtù ("wJ" pavntw" th'" ajreth'"
euJrhvswn ejntavfion a[xion", Sul
sublime, IX, 10) e morire kalw'",
nobilmente, come nobilmente è vissuto, al pari del personaggio di Sofocle
(Aiace, vv. 479-480) [13].
Cacciari
risale sempre all’etimo, il signficato vero (e[tumo~)
dei lovgoi, delle parole. Il suo
parlare è sempre storia, iJstoriva,
cioè indagine”, “ricerca” della verità che è
ajlhvqeia, “non latenza” [14].
La vita senza ricerca, dichiara il Socrate
dell'Apologia platonica , non è vivibile per l'uomo:"oJ
de; ajnexevtasto" bivo" ouj biwto;" ajnqrwvpw/,
(38a). La ricerca di Socrate privilegia l'esame (ejxevtasi"
ed ejxetavzw
), mentre nell' iJstorivh di Erodoto è
fondamentale la visione che dà sapere (cfr. la radice
iJd-/eijd-oijd-
, l'aoristo ei\don, il latino
video e oi\da).
L’ultima parte della lectio ha
ricordato Eraclito.
Il fr. 81 (Diano) dice che è necessario (crhv)
che i filosofi siano conoscitori (i[storaς)
di molte cose, molto bene (eu\ mala).
E il frammento successivo (82 Diano) : “polumaqivh
novon ouj didavskei”, il sapere molte
cose non educa la mente, l’avrebbe infatti educata a Pitagora, Senofane,
Ecateo.
Insomma sapere bene molte cose non è
l’erudizione dell’umbraticus doctor che non pensa, il dotto criticato da
Nietzsche: “Il dotto, che in fondo non fa che “compulsare” libri-circa
duecento al giorno per il filologo medio- finisce col perdere completamente la
capacità di pensare per conto suo. Se non compulsa non pensa…Il dotto-un
décadent-. L’ho visto con i miei occhi: nature dotate, ricche e libere, già
a trent’anni tutti “morti dal leggere”, ridotti come fiammiferi, che si sfregano
perché facciano delle scintille- dei “pensieri”…bene, per me questo è vizioso!”[15].
Il
novoς
di Eraclito comprende l’intuizione e lo
qumovς
quella parte emotiva che la Medea di Euripide riconosce come la più grande e la
più forte della propria anima: “qumo;"
de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn” (v. 1079)
Con
qumov"
sono composte le parole che designano le due parti meno alte dell'anima nella
Repubblica di Platone:
qumoeidhv"
è l'elemento irascibile
che deve essere alleato con il
logistikovn,
la componente razionale, nel
presiedere all' ejpiqumhtikovn,
l' elemento appetitivo, la parte
maggiore e la più insaziabile di ricchezze (441e). Non sempre il logistikovn,
l’auriga, può tenere a bada i due cavalli (cfr, Il Fedro, l’altro dialogo
sull’amore)
L’idea del
prevalere della parte emotiva dell’anima infatti è un topos della letteratura
[16]
Torniamo a Eraclito e concludiamo.
Conoscere molto bene le cose e le persone
significa entrarci, significa amarle.
Ma per amarle bisogna vederle e toccarle, non
solo sentirne parlare: “ojfqalmoi;
ga;r tw̃n w[twn ajkribevsteroi
mavrtureς (fr, 61 Diano), gli occhi
infatti sono testimoni più precisi degli orecchi [17].
Il
froneĩn,
le facoltà mentali sono xunovn
cosa comune a tutti (fr. 10 Diano), ma una cosa sola è il sapere: conoscere la
mente che ha pilotato il tutto attraverso il tutto (fr, 13)
Il
lovgoς
di Eraclito, ha detto ancora Cacciari
non è staccato, absolutus dall’esperienza concreta.
Infatti il frammento 75 del filosofo di Efeso
dice che avere senno (swfroneĩn)
è la massima virtù, e sapienza è non solo dire il vero (sofivh
ajlhqeva levgein) ma anche farlo (poieĩn)
comprendendo kata; fusin
secondo natura, ossia seguendo il ritmo della natura.
Giovanni Ghiselli
[1] Così si definiva Ennio con un calco dal greco
filovlogo".
[2]
Petronio contrappone l' umbraticus doctor deleterio ai grandi
tragici:" cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus
deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat "
Satyricon, 2. quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le
quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra
a scempiare gli ingegni.
[3]
Nel Protagora , il sofista
eponimo del dialogo racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e
ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i
mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun
ajllhvlou" ) in quanto non
possedevano l'arte politica (a{te
oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn,
322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla
giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo
l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini
rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: "
JErmh'n pevmpei a[gonta eij"
ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi"
(322c). Chi non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia
della città (322d).
Nel Politico, Platone fa dire
allo straniero di Elea che l’arte politica regia è solo quella di
prendersi cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia
dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~,
276b). Guidare gli uomini come fanno i pastori con gli animali, dobbiamo
invece chiamarla qreptikh;n
tevcnhn, tecnica
dell’allevamento, non
basilikh;n kai; politikhvn tevcnhn
(276c), non arte regia e arte politica. Infatti il re uomo politico è
quello che si prende cura (ejpimevleian)
di uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn
dipovdwn, 276d ).
[4] Un vero guadagno, contrapposto al lucro (kevrdo~
del v. 87) che suscita inimicizia tra gli uomini.
[5] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp.
42-43.
[6] E' comunque necessario concedere qualche
intervallo a tutti:"Danda est tamen omnibus aliqua remissio"
Inst., I, 3, 8.
[7] Dove i pueri manifestano più schiettamente
le inclinazioni di ciascuno:"mores quoque se inter ludendum
simplicius detegunt " Quintiliano, Institutio oratoria., I,
3, 8.
[9] Cfr Erodoto III, 38: “pantach'/
w\n moi dh'lav ejsti o{ti ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh"",
da ogni punto di vista dunque per me è evidente che molto matto era
Cambise.
[10] Erodoto (III, 61, 2) dice che assomigliava a
Smerdi e aveva lo stesso nome.
[11]
Seneca, Epist. ad Luc. , 88, 32.
[12]
Anche negli Annales di Ennio
c'è un combattente che muore cercando la luce con gli occhi:"Oscitat
in campis caput a cervice revulsum,/semianimesque micant oculi lucemque
requirunt " (vv. 483-484 Skutsch) apre la bocca nei campi la testa
staccata dal collo, e semivivi brillano gli occhi cercando la luce.
Del
resto non solo gli occhi dell'eroe o del milite ma quelli dell'uomo
comunque "cercan morendo-il Sole"; così il moribondo di Foscolo (Dei
Sepolcri, vv. 121-122); così Osvald che alla fine degli Spettri
di Ibsen invoca il sole.
[13] Mentre quello
di Ibsen nel sole cerca qualche cosa che stenebri il nulla di
un'esistenza spettrale popolata dai fantasmi:"E poi anche questo tempo,
questa pioggia che non finisce mai, che è capace di andare avanti per
settimane, per mesi...un raggio di sole uno se lo può sognare, che dico,
tutte le volte che sono venuto qui a casa non mi ricordo mai d'aver
visto un raggio di sole, neanche uno"(Atto secondo). In Ibsen abbiamo la
condizione patologica dell'individuo mentre nell'Iliade troviamo
"la condizione eroica" del mondo Hegel, Estetica, p. 1393).
[15] Ecce homo, perché sono così accorto 8
[16] "Nelle
lunghe ore che egli passò là, inerte, ragionò anche una volta sui motivi
che l'avevano indotto a lasciare Annetta, ma come sempre il suo
ragionamento non era altro che il suo sentimento travestito" (Svevo,
Una Vita , p. 239).
Secondo
H. Hesse i sentimenti devono avere la precedenza:"Di nient'altro
viviamo se non dei nostri sentimenti, poveri o belli o splendidi che
siano, e ognuno di essi a cui facciamo torto è una stella che noi
spengiamo" (L'ultima estate di Klingsor, p.55.)
Nel
romanzo di Musil leggiamo:"Tutto ciò che si pensa è simpatia o
antipatia, si disse Ulrich" ( L'uomo senza qualità , p. 210).
Luogo
simile si trova anche in La noia di Moravia:"Ma tutte le
nostre riflessioni, anche le più razionali, sono originate da un dato
oscuro del sentimento" ( La Noia , p. 19)
Infine
un ottimo scrittore ungherese :“ Sa che cosa ha fatto? Ha cercato di
cancellare il sentimento con la ragione. Come se qualcuno, con i più
svariati artifici, tentasse di convincere un pezzo di dinamite a non
esplodere” (Sàndor Màrai, La donna giusta (del 1941), p. 78..
[17]
Polibio ricorda queste parole e
afferma (XII, 27, 1) che tra lo strumento dell'
ajkohv
(il sentito dire) e quello della visione diretta (
o{rasi"), l'o[rganon
più sicuro è il secondo.
Carissimo Gianni, l'articolo è interessante e scritto con il tuo magnifico stile, indomma è sempre un piacere leggerti. Due aspetti mi piacerebbe approfondire, sicuramente il legame tra la donna e l'educazione poichè sono donna e maestra, e anche il concetto di "verbo". Da questo articolo si evince che il discorso di Cacciari deve essere stato interessante.....tua fedele lettrice ,Tocco Giovanna
RispondiEliminanon capisco bene l'etimologia di euteleia come semplicità. eu - telos cioè? bel fine? facile a conseguirsi?
RispondiEliminaho fatto una breve ricerca ed in genere è considerato "ben fatto", ma non mi torna il significato
telos ha anche il senso di "imposta", "tassa"
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gianni