Presentazione del libro di Remo Bodei Generazioni
Età della vita, età delle cose.
Editori Laterza, Roma-Bari 2014.
Prima parte: Le tre età della vita. Terzo capitolo
Nel terzo capitolo della
prima parte di Generazioni, Bodei
tratta dell’infanzia, un’età che è stata considerata in varî modi.
“Agli antichi-Cicerone o
Agostino- la sola idea, che attirerebbe molti di noi, di poter ritornare
bambini appariva semplicemente penosa” (p. 16)
L’autore cita Catone il
Vecchio cui Cicerone, nel De senectute, fa dire: “Et
si quis deus mihi largiatur ut ex hac aetate repuerascam et in cunis vagiam
valde recusem nec vero velim quasi decurso spatio ad carceres a calce revocari”
(XXII, 83), e se un dio mi concedesse di
tornare bambino da questa età e di vagire nella culla, rifiuterei di sicuro, e
proprio non vorrei, compiuta per così dire tutta la corsa, essere richiamato
dalla meta alle sbarre di partenza.
Il verbo repuerasco significa pure “rimbambire (cfr. Plauto, Mercator, 295) e può essere confrontato
con il greco nhpiavzw (cfr. Paolo Cor.,
I, 14, 20), torno bambino, ossia nhvpioς, una parola significa
sia “infante” sia “stolto” [1].
Essa è costituita dal prefisso negativo nh-(simile ad aj-privativo) + la radice ejp- sulla quale si forma e[po", "parola". Dunque corrisponde precisamente al
latino infans (formato dal prefisso negativo in- +fans di fari
=parlare). Chi non è capace di parlare è appunto l’infante o lo stupido. Chi
non sa parlare, è tentato di esprimersi con la violenza. Nhvpioi sono i compagni di Odisseo i quali, per la loro
stupida presunzione, divorarono i buoi del Sole, quindi vennero puniti con la morte (Odissea, 1, 8-10).
“Ancora nel Seicento il cardinale Pierre de
Brulle, amico e confessore di Cartesio, arriva ad affermare che la vera passione
di Gesù non è consistita tanto nella crocifissione, ma nell’essere stato
costretto a passare attraverso l’infanzia durante la sua esistenza terrena.
A partire dalla seconda metà
del Settecento, e in particolare nell’età romantica, la situazione si è capovolta
nell’esaltazione e idealizzazione dell’infanzia” (Generazioni, p. 17).
Ricordo a questo proposito un
pensiero di Leopardi "I fanciulli
trovano il tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto" [2].
Ma torniamo a Bodei per
ricavarne altri spunti: “E’ solo con i Tre
saggi sulla teoria sessuale di Freud (1905), e con la psicoanalisi in
genere, che avviene una saldatura con la tradizione antica, medioevale e
proto-moderna nell’affermare che i conflitti, le lacerazioni e le sofferenze
interiori dei bambini indicano come questa fase della vita non rappresenti
affatto il paradiso perduto e la presunta e tanto decantata età dell’innocenza.
Probabilmente senza saperlo, Freud finisce così per avvalorare la convinzione
agostiniana della spontanea malvagità del bambino” (p. 17)
Bodei quindi cita un passo
delle Confessioni: “Io ho visto e
considerato a lungo un piccino in preda alla gelosia: non parlava ancora e già
guardava livido, torvo, il suo compagno di latte (…) Non si può ritenere
innocente chi innanzi al fluire ubertoso e abbondante del latte materno non
tollera di condividerlo con altri, che pure ha tanto bisogno di soccorso e che
solo con quell’alimento si mantiene in vita” [3].
(p. 17)
La considerazione che l’animo infantile non è
innocente è convinzione radicata nell’animo di Agostino : “ita
imbecillitas membrorum infantilium innocens est, non animus infantium” (I,
7, 11).
Noi siamo segnati dal peccato
addirittura dal tempo del concepimento e dal nutrimento prenatale nel ventre
materno: “et in iniquitate conceptus sum
et in peccatis mater mea me in utero aluit”.
“ ‘Oggi le cose sono di nuovo
mutate e l’infanzia si è, in molti paesi, ulteriormente allungata nel tempo,
perché “alla nuova generazione è stato chiesto di non crescere troppo; ogni
bambino doveva rimanere il bambino,
una sorta di bambolotto infrangibile’ [4],
un piccolo essere sempre più spesso da adorare e da soddisfare in ogni
capriccio. L’adolescenza (“età incerta”) e la giovinezza si sono, a loro volta,
anch’esse protratte, invadendo progressivamente il periodo prima riservato
all’età adulta” (Generazioni, p. 18).
A questo proposito possiamo
sentire Esiodo.
Il poeta di Ascra racconta
che la seconda stirpe, quella d’argento (gevno" ajrguvreon" era
diversa nel corpo e nella mente
dalla prima aurea, ed era molto peggiore. I figli infantilmente insensati rimanevano
per cento anni presso la madre solerte,
poi divenivano uomini e vivevano
poco tempo, soffrendo dolori per la loro
stupidità: poiché non potevano astenersi da un’insolente prepotenza reciproca [5]
(Esiodo, Opere e giorni, vv 130-135).
Mi vengono in mente i tanti
bambini di oggi, spesso anche obesi, attaccati
tutti i giorni, per ore e ore ogni giorno, ai giochi elettronici.
Nell’avanzare della decadenza descritta da
Esiodo, quando saremo arrivati nella bassa età del ferro, gli infanti verranno al mondo con le tempie
bianche e terranno in dispregio i
genitori che invecchiano:"ghravskonta" ajtimhvsousi tokh'a""( Opere e
giorni, v. 185), usando il diritto del più forte
Posso ricordare anche
il Dialogo di Tristano e di un
amico di Leopardi:"Amico mio,
questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si
debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in
un paese di zoppi".
Viceversa
nella prima età, la stirpe aurea (cruvseon gevnoς [6]),
non subiva quello che Leopardi considera
il male più grande [7]
: gli uomini
“vivevano come dèi, con il cuore privo di
affanni,
lontano, in disparte da fatiche e da pena: né
in qualche modo la miseranda vecchiaia (deilo;n gh̃raς) incombeva, ma sempre di uguale forza nei piedi e
nelle mani
gioivano nelle feste,
fuori da tutti i malanni;
morivano come
soggiogati dal sonno: i beni tutti
erano per loro: la
terra feconda recava i prodotti
non coltivata, copioso,
abbondante; ed essi contenti,
sereni si godevano i
frutti con molti beni
ricchi di armenti, cari
agli dèi beati (Opere e giorni, vv.
112-120).
l’assenza della vecchiaia
dunque è il vantaggio più grande di quell’età felice.
Euripide auspica una duplicazione della
giovinezza per gli uomini virtuosi
La
tragedia Eracle contiene un
biasimo della vecchiaia che grava sul capo degli anziani compagni d'armi di Anfitrione come un carico
più pesante delle rupi dell'Etna [8]
("to; de;
gh'ra" a[cqo"-baruvteron Ai[tna" skopevlwn-ejpi; krati; kei'tai" ( vv. 638-640). La
giovinezza invece viene ricordata come
bellissima, tanto nella prosperità quanto
nella povertà: “kallivsta
me;n ejn o[lbw/, -kallivsta d j ejn
peniva/” ( vv. 647-648).
Gli uomini
buoni dovrebbero godere di due
giovinezze:
“Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi"-kai; sofiva) riguardo agli uomini donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a
quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin
aJlivou),
percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola
possibilità di vita” (Euripide, Eracle,
vv.661-669).
Ma torniamo
a Bodei e impariamo ancora tante cose. La volontà di imparare serve a
invecchiare tardi e bene.
“Nell’adolescenza,
in particolare, la personalità è per sua natura, acerba, magmatica, smarrita,
difficilmente gestibile non solo per chi l’attraversa alla confusa ricerca di
se stesso, ma anche per i genitori e per gli educatori. Il disagio si accentua
in epoche storiche in cui si affievolisce il rispetto dovuto alle gerarchie
tradizionali, si allenta la disciplina prima vigente e non sono più praticati
solenni riti di passaggio all’età adulta” (Generazioni,
p. 18).
Lo
smarrimento di un’adolescenza priva di indirizzi e dirittura è raccontato in
forma comica da Aristofane nelle Nuvole
e in modo serio, seppure reazionario, da Isocrate nell’Areopagitico.
L'età
giovanile è quella della torbidezza spirituale: i ragazzi sono pieni di
desideri e devono educarsi prendendo buone abitudini e compiendo fatiche che
comportano gioia (Areopagitico, 43).
Attività buone che costino fatica e diano soddisfazione.
La paideiva secondo Isocrate andrebbe
conformata ai mezzi di cui ciascuno dispone. Ai bei tempi dell’Areopagitico,
prima che Efialte e Pericle lo esautorassero (nel 461), i più poveri venivano indirizzati
all'agricoltura e al commercio:" ejpi; ta;" gewrgiva" kai; ta;"
ejmporiva""
(44). Gli abbienti invece, si dedicavano
alla ginnastica, all’ ippica, alla caccia, e alla filosofia. Lo studio è dunque
un privilegio. Bisognerebbe farlo capire ai nostri ragazzi e si dovrebbe estendere a tutti un’ottima scuola, rimuovendo
gli ostacoli che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”[9].
Bodei
conclude il terzo capitolo della prima parte con queste parole: “Per Erikson,
in particolare, l’adolescenza rappresenta il momento cruciale nella vita degli
individui, quello in cui l’identità si costruisce attraverso molteplici
turbamenti, conflitti e crisi. Se il raggio e lo spessore della personalità si
allargano elaborando e includendo quegli elementi che prima le resistevano, le
sfuggivano o le erano indifferenti, allora perfino il dolore delle scelte da
compiere contribuisce a irrobustire il carattere [10]
grazie a un processo analogo a quello delle ostriche, che trasformano in perla,
isolandolo e avvolgendolo, il fattore di disturbo o di sofferenza che si è
inserito nel loro corpo” (p. 19)
E’ questo
un paragone che aggiunge un’immagine efficace al topos antico del tw̃/ pavqei mavqoς [11] : attraverso la sofferenza si
giunge alla comprensione.
Giovanni
Ghiselli
[2]Zibaldone , p. 527.
[3] Agostino, Confessioni,
I, 7, 11, trad. di C. Carena, Einaudi, Torno, 1984, p. 14,
[4] F. Stoppa, La
restituzione. Perché si è rotto il patto fra le generazioni, Feltrinelli,
Milano, 2011, p. 241.
[5] Il fanciullo cresceva nhvpioς (v. 130), stupido e
incapace di parlare. Pasolini aveva capito che la povertà del linguaggio è una
forma di impotenza che prelude alla violenza: "Quando vedo intorno a me i
giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi
modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una
forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa
passività, ricordo che queste erano le forme tipiche delle SS: e vedo così
stendersi sulle nostre città l'ombra orrenda della croce uncinata"
Scritti corsari, p. 187..
[6] Esiodo, Opere e
giorni, v. 109)
[7] "estremo/di tutti i mali, ritrovàr gli eterni/la
vecchiezza, ove fosse/incolume il desio, la speme estinta,/secche le fonti del
piacer, le pene/maggiori sempre, e non più dato il bene" Il tramonto della luna , vv.45-50..-
[8] Callimaco vorrebbe spogliarsi delle vecchiaia che gli
pesa addosso quanto l’isola tricuspide sul maledetto Encelado (Aitia fr. 1, vv. 35-36).
[9] La Costituzione
della repubblica italiana, Art. 3.
[10] Cfe. E. H:
Erikson, Identity. Youth and Crisis, Norton , New York ,
trad. It. Gioventù e crisi d’identità, Armando, Roma 1980, p. 93.
[11] Eschilo, Agamennone, 177. E, poco più avanti :"goccia
invece del sonno davanti al cuore/il
penoso rimorso, memore delle pene inflitte; e anche/sui recalcitranti
arriva il momento della saggezza" ( kai; par j a[-konta" h\lqe swfronei'n ( vv.
179-181).
Segnalo altre due occorrenze
di questo tovpoς: nelle Storie di
Erodoto, Creso lo straricco re di Lidia, dopo essere caduto, enuncia questa
legge del mavqo~ tragico: egli si era illuso di essere l'uomo più felice della terra, ma,
sconfitto e catturato da Ciro re dei Persiani, comprende che c'è un ciclo delle
vicende umane il quale non permette che siano sempre gli stessi uomini a essere
fortunati:"ta;
dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone", le mie sofferenze che sono
state spiacevoli, sono diventate apprendimenti (I, 207).
Anche il "pragmatico" e "universale" Polibio riconosce valore
educativo alla sofferenza: al cambiamento in meglio si giunge attraverso due
vie: quella dei patimenti propri e quella dei patimenti altrui (tou' te dia; tw'n ijdivwn
sumptwmavtwn kai; dia; tw'n ajllotrivwn); la prima via è più efficace ("ejnargevsteron"), la seconda meno dannosa
("ajblabevsteron", Storie , I, 35, 7).
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