Presentazione del libro di Remo Bodei
La civetta e la talpa
Sistema ed epoca in
Hegel
Il Mulino, Bologna 2014
Seconda parte
Vediamo il sesto paragrafo dell’introduzione.
Bodei si è interrogato “su cosa sia cambiato in profondità e
in estensione rispetto alla documentazione disponibile “ nel 1975, quando uscì Sistema ed epoca in Hegel, il nucleo
originario di questo grande lavoro.
Da allora sono stati pubblicati nuovi “inediti delle lezioni
hegeliane”, trascrizioni di lezioni da parte degli studenti dei corsi di
Heidelberg e di Berlino, e appunti manoscritti dello stesso filosofo.
Negli ultimi decenni per giunta c’è stata “la cosiddetta Hegel Renaissance” (p. 14) e una
revisione del sommario giudizio di condanna delle “presunte fumisterie
metafisiche.” (p. 15)
Faccio un esempio di
questi giudizi risalendo alla polemica di Schopenhauer contro i professori di
filosofia, e Hegel in particolare " Sino a che si andrà ancora avanti con
la pseudo-filosofia legalizzata, oppure con costruzioni vuote di parole, con ghirigori
che non dicono nulla, e offuscano con la loro verbosità perfino le verità più
comuni e più comprensibili, o infine con le assolute assurdità hegeliane? E d’altro
canto, anche se giungesse davvero dal deserto l’onesto Giovanni vestito di
pelli e nutrito di cavallette, imperturbabile di fronte a tutta questa
confusione, e con cuore puro e completa serietà si fosse occupato della ricerca
della verità offrendone ora i frutti, ci si potrebbe immaginare quale
accoglienza egli avrebbe da quei mercanti di cattedre prezzolati dallo Stato, i
quali debbono vivere sulla filosofia con mogli e figli, e la cui parola
d’ordine è “primum vivere deinde philosophari”, mercanti che di conseguenza hanno
preso possesso della piazza e già si sono presi cura che quivi nulla abbia
valore se non quanto essi fanno valere, e che quindi esistano meriti solo in
quanto piaccia a loro e alla loro mediocrità di riconoscerli"[1].
Bodei procede notando che “nella cultura italiana ed europea
si è poi distolta l’attenzione del rapporto di Hegel con Marx, allora canonico
(…) In misura minore, si è attenuato l’interesse per il decostruzionismo e
l’ermeneutica, mentre persiste quello per Heidegger e Nietzsche, oltre che per
Habernas e Foucault”.
Anche la cultura alta, difatti, presenta un andirivieni di
mode, come tanti altri aspetti del costume e della vita.
E’ l’orbis di
Tacito: "Nisi forte rebus cunctis
inest quidam velut orbis, ut quem ad modum temporum vices ita morum vertantur"
(Annales , III, 55), a meno che per
caso in tutte le cose ci sia una specie di ciclo, in modo che, come le
stagioni, così si volgono le vicende alterne dei costumi.
Pure l’attenzione e l’interesse per l’uno o per l’altro
autore vanno e vengono come le stagioni,
Passiamo al settimo paragrafo dell’introduzione .
L’autore non rinnega il nucleo originario di questo libro: “Non
credo, poi, di aver trovato ragioni sufficienti per scostarmi dall’impostazione
di allora” (p. 15). Naturalmente in questo volume rinnovato “(che ha come
sottotitolo il vecchio titolo)” sono presenti “-assieme a interventi minori a
intarsio- interi blocchi nuovi che traggono spunto non solo dai materiali
venuti più recentemente alla luce e dallo stato dell’arte negli studi sugli
argomenti esposti, ma anche-e soprattutto- dalle ricerche condotte e dalle
riflessioni in me maturate durante tutto questo arco di tempo” (p. 15).
Infatti è impossibile che quasi quaranta anni passino, come
le nuvole in cielo, su una persona intelligente, sensibile e colta, senza
portare cambiamenti con accrescimenti.
Bodei ha “largamente aggiornato la bibliografia grazie
all’assidua frequentazione di istituzioni e biblioteche di eccellenza”. Queste,
situate in Europa e negli Stati Uniti, sono ricordate “con gratitudine”
dall’autore per “l’enorme massa di materiali” che gli “hanno permesso di
consultare, selezionare e mettere a frutto” (p. 16)
La civetta e la talpa
è corredato da “un corposo apparato di note” che potranno essere utili a “chi
desidera esaminare da vicino il tessuto dell’argomentazione, verificare la
natura delle fonti, saggiare la natura delle prove o sviluppare ulteriormente
alcuni punti accennati”.
Tuttavia, aggiunge l’autore, tale strumento potrà essere
ignorato da chi vorrà invece” godere il vantaggio di una lettura più fluida”.
Trovo simpatica questa libertà di scelta lasciata da chi scrive a chi lo legge.
Bodei conclude questo paragrafo menzionando Schopenhauer.
“Se è vero quanto dice Schopenhauer, che ognuno di noi non fa altro per tutta
la vita che sviluppare una sola idea o scrivere un unico libro, questo è
l’intimo prolungamento del primo” (p. 16)
Siamo giunti all’ottava e ultima parte dell’introduzione.
Rispetto agli anni Settanta del secolo scorso dunque il
clima “intellettualmente e moralmente è decisamente cambiato” , e “ il futuro
collettivo, di per se stesso incerto, si è oggi ancor più oscurato, in
particolare nella nostra porzione di mondo”.
Chi scrive questa presentazione ricorda, degli anni Settanta,
non senza rimpianto, dovuto anche all’età di allora, soprattutto le maggiori
cortesia, cordialità e simpatia nei rapporti umani: almeno in quelli tra i compagni
di studi, di lavoro, di viaggio, di simposi, di alloggio. L’uomo non era così
diffidente come ora nei confronti dell’altro uomo, e della donna, e di se
stesso. Poi, certo, il lavoro era meno difficile trovarlo, anzi con una laurea
in mano un impiego era pressocché assicurato, quindi non era, come ora, quasi
necessaria una lotta feroce di ciascuno contro tutti. Il mio rimpianto maggiore
di quel tempo è per la benevolenza reciproca tra gli umani, consolazione grande
alle difficoltà, alla brevità della vita, e alla morte.
Ma torno al libro di Remo Bodei. L’autore ci segnala gli
argomenti sui quali si è maggiormente soffermato ampliando il nucleo
originario.
Si tratta delle idee “di lavoro appunto, di disoccupazione e
di miseria in una civiltà dominata dalle macchine e dal Kapital, un “animale selvaggio” che si sottrae a qualsiasi
tentativo di addomesticamento e diventa sempre più una potenza “indipendente”
dagli Stati” (p. 17).
I critici del capitalismo attuale denunciano una regressione
che tende a ripristinare i rapporti sociali dell’Ottocento.
“Hegel descrive infatti-in maniera quasi
dickensiana-un’economia contraddistinta dall’elevatissima concentrazione della
ricchezza in poche mani e del conseguente crearsi di una immensa massa di
lavoratori poveri e disoccupati (brotlose
Arbeiter), esseri umani sospinti dalla miseria più spaventosa
nell’umiliazione e nell’abruttimento, una situazione alla quale gli Stati cercano
inutilmente di porre rimedio con dei “palliativi”, come l’emigrazione nelle
colonie” (p. 17).
Oggi c’è la Caritas, ci sono i medici senza frontiere, c’è
il volontariato di tante persone generose, ma questi sono rimedi parziali e
precari.
E’ in atto una drastica riduzione della classe media che
Euripide considera necessaria alla sopravvivenza della polis, quindi della vita civile.
Nelle Supplici ( del
422 a. C circa) Teseo, una specie di Pericle in vesti mitiche, propugna la teoria della classe media.
Tre in effetti sono le classi dei cittadini (treĩς
ga;r politw̃n merivdeς, v.
238) dice il “re democratico” di Atene: i ricchi sono inutili e desiderano
avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili
("deinoiv", v. 241) poiché
si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi,
lanciano strali contro i possidenti.
In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn
mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon
fulavssous j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici, vv. 244-245), delle tre parti
quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
La teoria della
bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone negli anni
successivi. Nell'Elettra[2]
di Euripide, Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la
povertà ha una malattia: "didavskei d
' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v.
375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male
Poi nell l’Oreste (del 408) abbiamo la
formulazione definitiva.“Egli[3]
vede negli aujtourgoiv, nei
lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio,
di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[4]-ricorda
da vicino Suppl. 244:"delle tre
parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi
per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di
loro proprietà"[5].
Concludo questo excursus con le Leggi di Platone dove
leggiamo che la condizione moralmente migliore è quella lontana dalla ricchezza
e dalla povertà:"La rappresentazione che Platone dà dei primordi è quella
di una condizione essenzialmente pacifica, dove non erano ancora ricchi e
poveri, e dove la benigna semplicità degli umani aveva per conseguenza un
livello morale più alto[6]"[7]
Vediamo cosa dice l'Ateniese nell’ultima opera del filosofo:"Poveri
per questo[8]
motivo non erano, né, costretti dalla povertà, divenivano discordi tra loro; e
nemmeno ricchi divennero mai in quanto privi di oro e di argento…nella società
in cui non sia presente né ricchezza né povertà, direi che i costumi potrebbero
essere nobilissimi: infatti violenza, né ingiustizia, né gelosie né invidie
possono nascervi. Erano buoni in grazia di questa vita e di quella che si dice
semplicità” (679b-c).
La povertà estrema dunque rende perimavchtoς oggetto
di contesa, perfino il nutrimento.
“Di fronte a un simile spettacolo, Hegel giunge a dire che
l’estrema povertà rende lecito, a chi la subisce, anche il furto finalizzato
alla propria sopravvivenza: “tale azione è illegale, ma sarebbe ingiusto
considerarla come un furto comune. Sì, l’uomo ha diritto a tale azione
illegale”. Il tramonto dell’epoca è quindi per lui connesso, oltre che alla
“farsa” della Restaurazione, all’insolubilità di conflitti come questi, che la
filosofia deve indagare con i suoi grandi occhi di civetta” (La civetta e la talpa, p. 17)
Ora si sta insinuando “negli animi la percezione della
precarietà”, per l’incertezza dell’avvenire che appare buio e privo di segni
orientativi visibili.
La presa di coscienza della imprevedibilità degli eventi può
dare adito a qualche strana consolazione e illogica speranza quando le
previsioni sono fosche.
Euripide conclude l'Alcesti,
la Medea, l'Andromaca , l'Elena e le Baccanti con queste
parole:
“ molti eventi in modo insperato compiono gli dèi;
e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,
mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.
Così è andata a finire questa azione”
Leggiamo la conclusione dell’introduzione nelle parole di
Bodei: “Noi non abbiamo però alcun coerente sistema di idee che pretenda di
orientarci a capire il nostro tempo, alcuna civetta filosofica che, con sguardo
panoramico, interroghi la sua apparente oscurità. La talpa della storia
continua invece, come sempre, a scavare in profondità e in direzioni
imprevedibili le sue gallerie, da cui emergerà non si sa quando e non si sa
dove, quasi a conferma dell’asserzione di Keynes, secondo cui “l’inevitabile
non accade mai, l’inatteso sempre”.
Pisa, maggio-giugno2014 RemoBodei
Presentazione di Giovanni Ghiselli
[1] Parerga e paralipomena vol. I , p.210-211,
[2] Probabilmente degli anni intorno
al 415.
[3] Euripide.
[5]Di Benedetto, Euripide: teatro e società, p. 208.
[6] Leggi, 678c-e.
[7] W. Jaeger, Paideia 3, p.
406.
[8] Ouj perimavchtoς h\n aujtoĩς hJ trofhv,
678e, il cibo non era motivo di contrasto poiché ce n’era in abbondanza..
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