Heinrich Friedrich Füger Didone implora la morte (1792) |
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La storia di Didone
I parte
Nella storia
virgiliana di Didone il dio Amore è
associato al dolore attraverso ferite,
incendi, fiamme, follia, colpa e rovina.
Fin dal primo canto dell'Eneide, Venere invia il
figlio Cupido a Cartagine : "ut faciem mutatus et ora Cupido/ pro dulci
Ascanio veniat donisque furentem/
incendat reginam atque ossibus[1] implicet ignem " ( I , 658-660)
affinchè, mutato nel volto e nell'aspetto, vada
al posto del dolce Ascanio, con i suoi doni infiammi la regina alla
follia e faccia penetrare nelle ossa il fuoco d'amore.
Questo fuoco di
Virgilio[2]
non è di cottura né purificatore, ma deleterio, velenoso, ingannevole:"occultum inspires ignem fallasque veneno
" (I, v. 688), infondile un fuoco occulto e ingannala con il veleno, ordina
Cipride al figlio. L'amore è causa di
infelicità, è pestifero, mortale, e Didone innamorata di Enea è predestinata
alla rovina:" Praecipue infelix, pesti devota futurae,/expleri
mentem nequit ardescitque tuendo " (I, 712-713), sopra tutti
l'infelice, consacrata alla rovina imminente, non sa saziare il cuore e
s'infiamma guardando.
Infelix è la negazione di felix, fertile, felice.
Questo aggettivo deriva dall'indoeuropeo *dha-/dhe- che ha dato come
esito in greco qh- in latino fe-. Da queste radici derivano
anche qhlhv, "mammella" , qh̃lu" ,
"femminile", qhluvnw, rendo effemminato in greco, e femina , fecunditas,
filius, fello in latino.
Didone dunque è
infelice e sterile: non ha avuto figli dal marito Sicheo e non ne avrà da Enea
(cfr. v. 33).
L'infelicità connessa all'amore prima ancora che questo si
realizzi si trova pure nelle Argonautiche di Apollonio Rodio[3]:
quando Medea si avvia incontro a Giasone, che è stato salvato da lei e le ha
promesso le nozze, la Luna osserva la ragazza e, con parole ambigue tra la
simpatia e il dispetto, le dice: il dio
del dolore ("daivmwn ajlginovei"", IV, v. 64) ti
ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e sopporta in ogni
modo, per quanto sapiente tu sia, il
dolore luttuoso.
Sono attimi significativi o "epifanici" che poi divengono
topici nella cultura europea.
Questo motivo
letterario è ripreso da Plauto.
Nella Cistellaria [4],
la commedia della cesta, il giovane Alcesimarco accusa Amore di essere l'inventore del mestiere del
boia, quindi espone i dolori che gli derivano dal suo amore per l'adolescente
Selenio che alla fine sposerà :" Credo ego Amorem primum apud homines
carnuficinam commentum[5]
/…iactor, crucior, agitor/ stimulor, vorsor/in amoris rota, miser[6] exanimor,/feror
differor distrahor diripior " (vv. 203, 206-209), io credo che Amore
per primo abbia inventato l'ufficio del carnefice…sono agitato, messo in croce,
sconvolto, sono tormentato, vengo girato e rigirato sulla ruota d'amore,
infelice sono esausto, sono portato da una parte e dall'altra, sono trascinato
e fatto a brandelli.
Amore per diversi autori è dolore, disgrazia,
accecamento.
Catullo
usa la parola pestis in nesso allitterante con pernicies per definire il proprio amore doloroso dal
quale chiede agli dèi di liberarlo come da una malattia non meritata (76,
20-22). Nella parola pestis è già implicita l'idea ancora tanto conclamata
dell'Aids, chiamata la peste del secolo quando negli incidenti stradali
muoiono, in Italia, ottomila persone all'anno, ne restano ferite molte di più,
e chissà quante altre vanno in malora
per i gas di scarico. Sulle
sigarette almeno compare l’avvertimento “il fumo uccide”. Le automobili pure
uccidono, tuttavia la loro vendita viene pubblicizzata come se portasse
felicità a chi le compra.
Bruno Vespa, il gran maggiordomo di tutti i regimi, indugia
sui bambini uccisi dalle madre, ma non si cura di quelli, molti di più,
ammazzati dalle automobili. Altri si danno da fare per pubblicizzare l’Aids e
altri contagi derivanti da contatti umani
Infatti, i rapporti umani, in primis quelli amorosi, non
venissero sporcati, calunniati, annichiliti, gli uomini non comprerebbero tante
macchine.
"In Apollonio e in Catullo era presente la tragedia
greca, specialmente Euripide. Anche Virgilio si riattacca ad Euripide
direttamente (e non solo attraverso Apollonio e Catullo): il IV libro meglio
degli altri dell'Eneide ci mostra come egli utilizzi e fonda
suggestioni non solo di autori vari, ma di autori che sono già tra loro in un
rapporto di dipendenza, quasi ponendosi coscientemente all'estremità di una
catena letteraria. Euripide poteva offrirgli spunti non solo per il personaggio
di Didone, ma anche, con Giasone o altri, per il personaggio di Enea."[7].
E' quella che Musil definisce la "catena di plagi"[8]
che lega le grandi figure del mondo artistico l'una all'altra.
Su Catullo come primo anello latino di questa catena che
rende malato e infelice l'amore sentiamo P. Fedeli:"Grazie a Catullo una
nutrita serie di vocaboli acquista diritto di cittadinanza nel linguaggio
d'amore: basterà ricordare la definizione dell'amore come dolor (2 7) ardor
(2 8) cura (2 10; 68 51), ma anche come morbus
(76 25) , come pestis e pernicies che s'insinua nelle membra simile a un torpor
(76 20) e le divora (31 15) ; oppure la definizione dell'amata come desiderium (2 5); dell'innamorato come vesanus
(7 10) miser (8 1; 51 5) e dell'innamorata che si strugge
come misella (31 14);
dell'innamoramento come equivalente dell'ineptire (8 1), del perdite amare (45 3) dell'amore deperire (35 12), del tabescere (68 55) dell'ardere (68 53)"[9].
Ma , lo ripeto, la deprecazione dell’amore è già presente
nella commedia del III e del II secolo a. C.
Faccio un esempio tratto dal pur humanus Terenzio: negli Adelphoe
[10]
l’ottimo zio Micione dice del suo nipote e pupillo Eschino :"Sperabam
iam defervisse adulescentiam :/ gaudebam. Ecce autem de integro! " (v.
151-152) speravo che fossero sbolliti quegli ardori giovanili: me ne
rallegravo. Ecco invece di nuovo.
La fobia del sesso
L'amore in ogni caso secondo molti autori fa danno, rende
infelici, malati, ferisce, consuma, brucia. "Deve" fare male poiché
chi lo vive senza sensi di colpa è meno intimidibile e ricattabile; insomma è
meno soggetto al potere, ai tempi di Augusto come ai nostri.
La fobia del sesso fa parte della propaganda di molti
regimi.
Tante volte deriva dalla storia personale e, quando è
espressa da autori maschi, deve essere collegata alla paura delle donne.
Faccio un esempio che
accosta, addirittura, Aristofane a Manzoni, per altri versi lontanissimi.
Nelle Rane il personaggio Eschilo si vanta di non avere
mai fatto agire nei suoi drammi Fedre né Stenebee puttane (povrna", v. 1043) e anzi di non avere
mai creato una donna in amore (" ejrw'san
pwvpot' ejpoivhsa gunai'ka",
v. 1044).
Il personaggio Euripide ribatte maliziosamente che nei
drammi del rivale in effetti non c'è nulla di Afrodite (1045), ossia non c'è
grazia.
Ebbene lo stesso merito, dubbio assai, se lo attribuisce Manzoni
nel Fermo e Lucia :" Non si deve
scrivere di amore in modo da far consentire l'animo di chi legge a questa
passione. Di amore ce n'è seicento volte di più di quanto sia necessario alla
conservazione della nostra riverita specie. Io stimo dunque opera impudente
l'andarlo fomentando con gli scritti".
A queste parole dell'autore aggiungo alcune frasi prese da
una tesi di abilitazione all'insegnamento secondario di una giovane laureata
della SSIS di Bologna:"Il carattere di Lucia è architettato sulla base
d'un sistema che uccide il pensiero…Le sue aspirazioni, il suo voto incontrano
freddezza nel lettore di cuore sano; essa appare o insipida o egoista e tutta
la maestria della disposizione non basta a infondere sangue a quella
creazione…Lucia fa olocausto di sé sull'altare di un sistema"[11].
Questo maniaco dell'antisesso, questo furibondo integralista della castità si
noti, non è un talibano bensì uno che
passa per moderato e che si professa cristiano. Eppure il Cristo disse bene
della peccatrice :"Remissa sunt
peccata eius multa, quoniam dilexit multum, cui autem minus dimittitur, minus
diligit " (Luca, 7, 47), le sono perdonati i suoi molti peccati poiché
ha amato molto, quello invece cui si perdona meno, ama meno.
E' una di quelle splendide pagine del Vangelo che sono
ignorate o fraintese dai furfanti bigotti i quali adulterano le parole sante.
A tale categoria appartiene "la vecchia Bovary" la
quale, quando il farmacista propose di chiamare Madeleine la figlia di Emma
"protestò aspramente contro quel nome di peccatrice"[12].
A questo proposito consiglio la visione del film Magdalene di Peter Mullan, che vinse il
Leone d’oro al festival di Venezia 2002. Denuncia le sofferenze e le
umiliazioni inflitte sadicamente, in nome della religione, da suore perverse a
ragazze “colpevoli” di amare l’amore.
Tolstoj ci scherza sopra
con intelligenza:" I libertini, queste Maddalene di sesso maschile, hanno
un segreto senso della propria innocenza, né più né meno come le Maddalene
femminili, e basato sulla medesima speranza di perdono:"Tutto le sarà
perdonato, perché ha molto amato; e a lui tutto sarà perdonato, perché si è
molto divertito"[13].
Per quanto riguarda la bellezza della figura di Maddalena, "Maria Magdalene " (Luca, 24, 10) consiglio vivamente la
visione di quella di Masaccio col manto rosso sangue, i lunghi capelli biondi e
le braccia alzate a V, come a significare la prossima vittoria sopra il dolore
della morte (Crocifissione del 1426, Napoli, Museo di Capodimonte).
L'amore in ogni caso secondo gran parte degli autori fa
male, rende infelici, malati, ferisce, consuma, brucia.
"Deve" fare male poiché chi lo vive senza sensi di
colpa è meno intimidibile e ricattabile; insomma è meno soggetto al potere, ai
tempi di Augusto come ai nostri.
La calunnia dell'amore e il deturpamento del sesso è una delle tante manovre delle propagande
funzionali al potere. Omero aveva già
capito che la concordia, l'affetto e l'amore dell'uomo e della donna
costituiscono non solo la gioia ma anche la forza di entrambi; come l'hanno
capito bene i furfanti che tendono a seminare zizzania tra uomini e donne
appunto per indebolire il genere umano e sottometterlo, con scopi diversi.
Negli ultimi tempi principalmente con quello di indurlo a comprare le schifezze
prodotte dall'industria. Femmine e maschi umani sessualmente e affettivamente
felici infatti non avrebbero bisogno di gratificarsi consumando, né
sentirebbero la frustrazione di non consumare. L'infelicità amorosa per giunta
conduce alla sottomissione e all'adorazione dei capi e delle mode. Il tiranno
che bandisce la gioia semina morte e produce rovina, anche a se stesso. E' il
commento del messo che sta per raccontare la catastrofe finale dell'Antigone
provocata dalla tirannide di Creonte che ha proibito, tra l'altro, al figlio
Emone di amare la sua donna:":"ed ora tutto è buttato via. Infatti
quando/l'uomo abbandona la gioia, io non ritengo/che sia vivo costui ma lo
considero un cadavere che respira" (vv. 1165-1167).-
Adesso la religione (intesa come religio lucreziana) è quella del consumismo, ed esso è
una delle conseguenze del "sesso che se ne va a male, che diventa
acido"[14].
Orwell in 1984
descrive un regime repressivo, tra l'altro, della libertà erotica poiché
l'astinenza sessuale produceva isterismo
che " si poteva facilmente trasformare nell'infatuazione per la guerra e
nell'adorazione dei capi". Ma c'è una ragazza, Julia, che comprende e si
ribella facendo l'amore con gioia, e spiega:""Quando fai all'amore,
spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro
non possono tollerare che ci si senta in questo modo...Tutto questo marciare su
e giù, questo sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che
sesso che se ne va a male, che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto
dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei
Due Minuti di Odio, e di tutto il resto di quelle loro porcate?"[15].
Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio
quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera
una civiltà" (p.133).
Il protagonista del
romanzo vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo inferto al
Partito...un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia
infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice:"Sta' a sentire.
Con più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[16].
Leggiamo sullo stesso motivo D. H. Lawrence (1885-1930):"C'è un desiderio incoffessato,
implacabile, dietro a tutte le teorie del sesso. Ed è desiderio di annullare,
di cancellare completamente il mistero della bellezza. (…) La scienza ha una
misteriosa avversione per la bellezza, in quanto non riesce a sistemarla
adeguatamente nella visione che essa ha del mondo come serie di cause ed
effetti. La società a sua volta ha una misteriosa avversione per il sesso, in
quanto interferisce perpetuamente con la organizzazione bene ordinata che
l'uomo sociale ha inventato per fare quattrini. Le due avversioni si assommano
e ne risulta che il sesso e la bellezza sono soltanto espressioni dell'istinto
di riprodursi. E allora diciamolo: il sesso e la bellezza sono una cosa sola,
come la fiamma e il fuoco. Se provi odio per il sesso, lo provi anche per la
bellezza. Se ammiri la bellezza vivente, provi rispetto anche per il
sesso…La sventura della nostra civiltà
deriva dall'odio morboso che proviamo per il sesso"[17].
Wilhelm Reich
considera il terrorismo sessuale inflitto ai bambini come un'arma che ammorba
la vita erotica e nello stesso tempo annienta per sempre la loro
indipendenza:"L'inibizione morale della sessualità naturale del bambino,
la cui ultima tappa è una grave limitazione della sessualità genitale
del bambino piccolo, rende quest'ultimo pauroso, timido, timoroso
dell'autorità, ubbidiente, "buono" ed "educabile" in senso
autoritario: l'inibizione morale paralizza, perché ormai ogni impulso libero e
vivo è affetto da grave paura e provoca, attraverso la proibizione del pensiero
sessuale, una generale inibizione del pensiero e una incapacità critica; in
breve il suo obiettivo è la creazione di un suddito che si adatti all'ordine
autoritario e lo subisca nonostante la miseria e l'umiliazione"[18].
Non solo il cristianesimo
si è adoperato per l'infibulazione mentale delle nostre donne.
La fobia del sesso fa parte della propaganda di qualsiasi
regime.
La storia dolorosa di Didone riprende dall'incipit del quarto
canto dell'Eneide :"At regina
gravi iamdudum saucia curā/volnus alit venis et caeco carpitur igni "
(vv. 1-2) ma la regina, già da tempo ferita da pesante affanno, /ravviva nelle
vene la ferita ed è divorata da un fuoco nascosto.
at: la congiunzione avversativa connette il primo
verso di questo canto all'ultimo del terzo, con il quale Virgilio dichiara
concluso il racconto di Enea, capace, come Odisseo, di sedurre attraverso le
parole il cui lungo fluire ha messo in agitazione la regina, mentre ha dato
finalmente quiete all'eroe che ha raccontato se stesso:"Conticuit
tandem factoque hic fine quievit" (III, 718), tacque infine e, posto
qui un termine, si riposò.
Nei primi versi del quarto canto si può leggere già il preludio
della fine tragica nelle "metafore comuni del sermo amatorius
(ferita, fuoco, malattia, veleno): esse appartengono tutte, oltre che a una
tradizione letteraria antica e diffusa, a un altrettanto antica e diffusa
psicologia popolare, che interpreta l'esperienza amorosa in termini
prevalentemente pessimistici, e la giudica negativamente (l'amor è,
insomma, amor insanus). Al primo verso, costruito su una struttura a
chiasmo (a-b/b-a), il secondo contrappone una doppia allitterazione (volnus…venis;
caeco carpitur)"[19].
-igni: "il poeta passa facilmente dalla metafora della ferita, a
quella, ancora più diffusa, del fuoco...E' notevole che Apollonio Rodio nella
scena dell'innamoramento (III 286 s.) unisca già le due immagini:"la
freccia (scagliata da Eros) alla giovinetta bruciava sotto il cuore simile a
fiamma"[20].
[1] L'ardore erotico che arriva alle ossa è un locus
reperibile già in Teocrito:"wj" ejk paido;" [Arato" uJp' ojstevon ai[qet' e[rwti" (VII, 1O2), come
Arato arda fin sotto le ossa per amore di un ragazzo.
Il fuoco d'amore è attestato fin da Saffo che anzi inaugura il
topos della cottura amorosa:"o[ptai" a[mme" (fr. 38 Voigt), tu mi cuoci.
Così, ancora nel VII idillio
di Teocrito, c'è Licida ojpteuvomenon (v. 55), cotto da Afrodite per Ageanatte.
[2]
Virgilio nacque nel villaggio di Andes, presso Mantova, nel 70 a. C. Studiò a Cremona, Milano, Roma e Napoli dove seguì le lezioni della scuola epicurea
di Sirone e Filodemo. Nel 42 perse o rischiò di perdere le proprie terre del
mantovano che venivano confiscate ai proprietari per essere distribuite ai
veterani della battaglia di Filippi combattuta nello stesso anno. Secondo la Vita
Vergilii di Donato, un grammatico del IV secolo d. C. che per questa
biografia utilizza la sezione De poetis del De viris illustribus
di Svetonio, Virgilio riuscì a conservare le sue terre grazie all'intercessione
di personaggi influenti: Asinio Pollione, Cornelio Gallo e Alfeno Varo. Le Bucoliche
furono composte tra il 42 e il 39 a. C. Le Vite e i commentatori antichi ripetono
che le Bucoliche sarebbero state composte in seguito alle pressioni di
Asinio Pollione, le Georgiche (37-30) per ordine di Mecenate, e l' Eneide
(29-19) per comando di Augusto. Valerio
Probo (I sec. d. C.) scrisse la più antica delle Vite virgiliane che è andata
perduta con il commento all' Eneide.
Ne resta un'epitome che ricorda
l'appoggio di Pollione, Gallo e Varo nella vicenda dei campi, quindi
"precisa che con le Bucoliche il poeta ha voluto accarezzarli: quibus
in Bucolicis adulatur " (R. Calzecchi Onesti, op. cit., p. 26).
Virgilio morì nel 19 a. C. a Brindisi, nel settembre del 19 a. C. tornando da
un viaggio in Grecia dove (precisamente a Megara) si era sentito male per un
colpo di sole.
[3]
295 ca-215 a. C. Le Argonautiche
vennero divise i quattro libri dallo stesso autore. Il più letto è il terzo con
la storia di Medea che si innamora di Giasone e perciò lo aiuta a conquistare
il vello d'oro.
[4] Data probabile: 203 a. C.
[5]
Participio passato di comminiscor, invento.
[6]
Si noti che miser qualifica
l'innamorato ben prima di Catullo.
[7]A. La Penna-C. Grassi (a cura di)
Virgilio, Le Opere, Antologia , p.
357.
[10]
Del 160 a. C.
[11] G. Morandini, La voce che è
in lei ,Bompiani, 1997, p. 16. La tesi è di Alessandra Neri, alumna optima
.
[12]
G. Flaubert (1821-1880), Madame Bovary, (del 1857) p. 74.
[14]G. Orwell, 1984 , trad. it. Mondadori, Milano, 1989, p. 142.
[15]G. Orwell, 1984 , p. 142.
[16]G. Orwell, 1984, trad. it. Mondadori,
Milano, 1997, p. 134.
[17]
Fantasia dell'inconscio e altri saggi sul desiderio, l'amore, il piacere
, Mondadori, Milano, 1978. Tratto da Lunario dei giorni d'amore , pp.
427-428.
[18]
W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, p. 43.
[19] G. B. Conte, Scriptorium
Classicum 3, p. 262.
[20]A. La Penna-C. Grassi, op. cit.,
p. 365.
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