Francesco Paolo Argentieri, Enea e Didone nella grotta |
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La storia di DidoneII parte"Nel libro I dell’Eneide è soprattutto l'humanitas che caratterizza Didone; una humanitas divenuta carattere e sensibilità oltre che coscienza morale, consistente soprattutto nella capacità, da parte di chi ha molto sofferto, di comprendere i dolori degli altri e nella disposizione a soccorrerli"[1].
Il verso espressivo di questo tw/'
pavqei mavqo"[2],
nell’Eneide è: " non ignara mali [3] miseris succurrere
disco ", I, 630, non ignara del male imparo a soccorrere gli
sventurati.[4]
Tale humanitas non verrà contraccambiata da Enea.
Eppure questo è uno degli insegnamenti massimi dei nostri
autori e dovrebbe esserlo nella scuola: "E infine, possiamo imparare la
lezione fondamentale della vita, la compassione per le sofferenze di tutti gli
umiliati, e la comprensione autentica"[5].
"Philanthropia:
da quel momento, secondo la celebre frase di John Donne, l'uomo non è più
un'isola, ma un continente"[6].
Sentiamo questa celebre frase del poeta
"metafisico" e predicatore del Seicento inglese: "Nessun uomo è
un'isola, intero in se stesso; ciascuno è un pezzo del continente, una parte
dell'oceano. Se una zolla di terra viene portata via dal mare, l'Europa ne è
diminuita, così come lo sarebbe un promontorio, così come lo sarebbe il
castello di un amico o il tuo stesso: la morte di qualsiasi uomo mi diminuisce,
perché sono preso nell'umanità, e perciò non mandar mai a chiedere per chi
suona la campana[7];
essa suona per te"[8].
Un' espressione di gratitudine per la filantropia
manifestata da Achille nell' Ifigenia in Aulide , si trova nelle parole
di Clitennestra: " o[naio[9]
sunecw'" dustucou'nta" wjfelw'n" (v. 1008), ti possa
giovare sempre il fatto che soccorri i disgraziati!
"All'inizio del
libro IV Didone è già immersa nella sua passione tormentosa ed è profondamente
mutata; ma Virgilio non s'è preoccupato di farci seguire e capire a fondo il
mutamento, e dell'humanitas del libro
I è difficile ritrovare tracce nel libro IV: il nuovo punto di partenza del
dramma è la sofferenza della donna ferita d'amore... la
metafora della ferita per significare l'amore (... )
proviene dalla poesia greca, specialmente da quella alessandrina, ed è spesso
associata con l'immagine di Cupìdo, il figlio di Venere, che ferisce con le sue
frecce. (da una freccia del dio, per es. , è ferita Medea nella scena
dell'innamoramento in Apollonio Rodio III 275 sgg... L'aggettivo
(saucia ) ha una sua tradizione di
pathos erotico"[10].
Una tradizione che va da Ennio, già citato, a Catullo cui Virgilio allude: "multiplices animo volvebat saucia curas ",
64, 250, volgeva[11]
ferita nell'animo molti pensieri affannosi. La Penna-Grassi menzionano pure Lucrezio:
"idque petit corpus, mens unde est saucia amore " (IV,
1O48), ed essa[12]
cerca quel corpo da cui la mente è ferita d'amore.
"Multa viri virtus animo multusque recursat/gentis
honos haerent infixi pectore voltus/verbaque nec placidam membris dat cura
quietem" (Eneide, IV, vv.
3-5), il gran valore dell'eroe e la grande gloria della stirpe le ricorrono al
pensiero, le sembianze e le parole le stanno ficcate nel cuore e l'affanno non
concede alle membra un riposo tranquillo.
Questi primi versi, prefigurando la catastrofe finale,
presentano l'amore come tormento: le sembianze e le parole di Enea, invece di
procurare gioia alla regina, sono infissi nel petto come dardi dolorosi, e
Didone, al contrario di Enea, non trova riposo. Diverso, sproporzionato è
dunque l'investimento, e questa è la prima causa che crea dolore negli amanti,
tragicamente in uno dei due. Gli strumenti seduttivi di Enea, oltre la virtus
raccontata e connessa pure etimologicamente al vir che ne è dotato[13],
sono l'aspetto bello (voltus, non per niente Enea è figlio e protetto di
Venere[14]
che lo ha pure imbellito[15])
e le parole (verba).
Sono gli eterni mezzi
del seduttore; gli stessi che usa Odisseo, anche lui infatti reso più bello
dalla sua dea che è Atena[16].
L'amore è malattia, ansia e pure colpa: all'alba
la regina male sana (v. 8) che non sta bene, parla con Anna, la sorella unanima,
unita negli affetti: "Anna soror, quae me suspensam insomnia
terrent!/quis novos hic nostris successit sedibus hospes,/quem sese ore ferens,
quam forti pectore et armis!/Credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum./Degeneres animos timor arguit. Heu
quibus ille/iactatus fatis! quae bella exhausta canebat! Si mihi non animo
fixum immotumque sederet,/ne cui me vinclo vellem sociare iugali,/postquam
primus amor deceptam morte fefellit;/si non pertaesum thalami taedaeque
fuisset,/huic uni forsan potui succumbere culpae" (vv. 9-19), Anna,
sorella, quali sogni tremendi mi tengono sospesa! Quale ospite straordinario è
questo che entrò nelle nostre dimore, quale si presenta nel volto, quanto forte
nel petto e nell' armi ! Credo davvero, e non è fede vana, che sia stirpe di
dèi. La paura denuncia gli animi
ignobili. Ahi da quali destini è stato agitato! Quali guerre sostenute
narrava! Se nel mio cuore non ci fosse ferma e incrollabile la decisione di non
volermi unire ad alcuno con vincolo coniugale, dopo che il primo amore mi
ingannò e deluse con la morte; se non mi fossero venute in odio il talamo e le
fiaccole nuziali, per questo soltanto forse avrei potuto soggiacere alla colpa.
Commento ai versi trascritti e tradotti sopra[17]
-insomnia: sono visioni notturne che turbano il
sonno. Tali sono quelle (o[yei"
e[nnucoi) che agitano il riposo di Io nelle sue stanze verginali (Prometeo
incatenato, v. 645). La ragazza di Eschilo è lusingata e terrorizzata
dall'amore di Zeus.
Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, Medea inizia
il suo secondo monologo spaventata dai sogni pesanti (me barei'" ejfovbhsan
o[neiroi , III, 635).
-novos: arcaismo per novus. Nuovo è un
aggettivo inquietante nella letteratura antica, soprattutto nel filone
tradizionalista; è quasi un eufemismo per dissimulare il male[18]
della novità.
Nel Filottete (v.784),
il protagonista malato, vedendo il sangue gocciare dalla piaga, si aspetta
qualche novità, certamente non buona: "kai;
ti prosdokw' nevon", e mi aspetto qualche nuova disgrazia.
-ore: il volto, lo sguardo in particolare, mostra la
spiritualità della persona[19].
Del resto anche la
bocca è portatrice di spiritualità.
Secondo Bettini i
Romani guardandosi l'un l'altro "in primo luogo…vedevano una bocca: "os
è infatti l'espressione più comune in latino per designare il volto. La comparazione
indoeuropea mostra che il significato primario di os è quello di bocca[20]…
In effetti os si presenta come una parola fortemente connotata, la sua
menzione evoca subito una delle capacità che meglio distinguono l'uomo dal
resto dei viventi: il linguaggio[21]"[22].
-quam forti pectore et armis: lett.=di quanto forte
petto e armi.-Degeneres: formato da de e genus indica
l'individuo ignobile. Il contrario è generosus, di buona razza: tale
creatura infatti, l’uomo e pure l’animale, è coraggiosa, non conosce il timor:
"Continuo pecoris generosi pullus in arvis/altius ingreditur et mollia
crura reponit;/primus et ire viam et fluvios temptare minantis/audet et ignoto
sese committere ponti/nec vanos horret strepitos. Illi ardua cervix" (Georgiche,
III, vv. 75-79), subito il puledro di buona razza avanza sui campi sollevandosi
piuttosto in alto e fa cadere flessuosamente le zampe; per primo osa procedere
nella via e affrontare i fiumi minacciosi e affidarsi a un ponte sconosciuto e
non ha paura di vani strepiti. Ha il collo eretto.
Questa affermazione
probabilmente deriva dall'Elettra di Sofocle: Oreste elogia il fedele
pedagogo paragonandolo a un i{ppo"
eujgenhv" (v. 25), un cavallo
di buona razza il quale, anche se vecchio, nei pericoli non perde l'ardore ma
drizza le orecchie ("ojrqo;n ou\"
i{sthsin" (v. 27).
arguit: "questo verbo significa in primo luogo
ostendere, patefacere, manifestare[23], e dunque
presuppone un processo, in qualche modo, di rivelazione…argumentum
dunque è qualcosa che realizza il processo dell'arguere, produce quella
rivelazione che il verbo implica…Una buona via per scendere più in profondità
nel significato di queste parole è costituita dagli usi dell'aggettivo argūtus
che ad arguo è ugualmente correlato. In molti casi infatti l'aggettivo argutus
indica ciò che va a colpire i sensi con particolare forza[24]…Parole
come arguo, argumentum, argutus, non possono che ricollegarsi a una
forma *argus che significa "chiarità" o "chiarezza".
Si tratta infatti della stessa radice *arg- che ritroviamo nel greco ajrgov" "chiaro, brillante" e nell'ittita hargi
" chiaro, bianco". In latino, da questa stessa radice derivano anche argentum
(metallo brillante) argilla "("terra bianca")”[25]. Cfr. anche l’inglese to
argue, “provare”.
giovanni ghiselli
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[1]A. La Penna-C. Grassi (a cura di)
Virgilio, Le Opere, Antologia , p.
352
[2]
Attraverso la sofferenza, la comprensione. Cfr. Eschilo, Agamennone, 177.
[3]
Locus similis nell'Antigone, (del 442 a. C.) quando Euridice si
prepara a ricevere la notizia della morte del figlio Emone: "kakw'n ga;r oujk a[peiro" " (v.
1191), infatti non sono inesperta di sventure.
[4]Tale
dichiarazione di umanesimo viene echeggiato dalle prime parole del Decameron
(composto tra il 1349 e il 1353):
"Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti", i quali, nella fattispecie,
sono in particolare le donne innamorate
[5] E. Morin, La testa ben fatta,
p. 49.
[6]
M. Barchiesi, I moderni alla ricerca di Enea, p. 45.
[7] For whom the bell tolls. Hemingway ha utilizzato queste parole come titolo
del suo romanzo (1940) che vuole essere l'epica della guerra civile spagnola
(n.d. r.).
[8]
John Donne (1572-1631), Devozioni per occasioni di emergenza, p. 113
[9]
Ottativo aor. III medio di ojnivnhmi.
[10]A. La Penna-C. Grassi (a cura di)
Virgilio, Le Opere, Antologia , p.
364.
[11]
Si tratta di Arianna.
[12]
Cioè la voluntas eicere , il desiderio di eiaculare dove si indirizza la dira
libido, la brama funesta.
[13] Appellata est enim ex viro
virtus: viri autem propria maxime est fortitudo, cuius munera duo sunt maxima: mortis
dolorisque contemptio " (Cicerone , Tusc., 2, 43), la
virtù infatti deriva da vir ed è soprattutto propria dell'uomo la fortezza i
cui principali compiti sono due: il disprezzo della morte e del dolore. Enea
disprezzerà sì la morte e il dolore, non i i propri, bensì quelli dell'amante
Didone.
[14]
R. Graves nel pamphlet antivirgiliano citato sopra sostiene che
"Virgilio è avverso al principio femminile sino al punto di non voler
vedere in Venere altro che la Vergine e la madre apparse successivamente, nel
primo libro (v. 327 e vv. 405-406), a Enea" (M. Barchiesi, I moderni
alla ricerca di Enea, p. 15).
[15] Eneide I, 588-593.
[16] Odissea, VI, 232-235)
[17]
Tutte le traduzione del greco, del latino e dell’inglese sono mie.
[18] Leopardi nello Zibaldone
(44) scrive: "Del resto è cosa pur troppo evidente che l'uomo inclina a
dissimularsi il male, e a nasconderlo a sé stesso come può meglio, onde è nota
l'eujfhmiva degli antichi greci che nominavano le cose
dispiacevoli ta;
deinav con nomi atti a nascondere o
dissimulare questo dispiacevole".
[19] T. Mann (1875-1955)
spiega, a ragione, che l'amore è suscitato e mantenuto soprattutto
dall'attrazione del volto, e in questo degli occhi, siccome significativi del
carattere della persona: "C' era stato uno spazio non più lungo di due
palmi fra il suo viso e quello di lei, quel viso dalla forma strana eppure nota
da tanto tempo, una forma che gli piaceva come null'altro al mondo, una forma
esotica e piena di carattere... ciò che lo aveva colpito ancora maggiormente
erano stati gli occhi, quegli occhi sottili, quegli occhi da Kirghiso dal
taglio schiettamente affascinante, occhi d'un grigio azzurro o d'un azzurro
grigio come i monti lontani, che, a volte, con un curioso sguardo di traverso
non destinato certo a vedere, potevano oscurarsi, fondersi in una tinta velata
notturna" La montagna incantata
(del 1924), vol., I, p. 163.
Molto
più avanti si legge: " Quando il desiderio carnale... s'è
fermato sopra una persona con un determinato viso, allora si parla d'amore.Io
non desidero soltanto il suo corpo, la sua carne; anzi dico che se nel suo viso
qualche cosa anche piccola fosse diversamente conformata, probabilmente non desidererei
più neppure il suo corpo... Questo dimostra che amo l'anima sua e l'amo
con l'anima. Poiché l'amore per il viso è amore spirituale".P. 304 del II
volume.
[20] Cfr. Ernout e Meillet, Dictionnaire
étymologique de la langue latine, pp. 56 sg.
[21]
Si veda ad esempio Cicerone, De legibus, I, 9, 27: "moderatione
vocis, orationis vim, quae conciliatrix est humanae maxime societatis".
[22]
M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 317.
[24] Cfr. Thesaurus linguae latinae,
II, 557, 48 sgg,
[25]
M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 297 e p. 299.
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