NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 19 dicembre 2014

Minima moralia

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19 dicembre

Ricordo l'articolo 21 della nostra Costituzione: " Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto (...) e ogni altro mezzo di diffusione".
E’ la parrhsiva tanto cara agli Ateniesi di Pericle, Sofocle, Euripide, Erodoto, Tucidide.
 E’ molto cara anche a quanti di noi sono in grado di pensare
 E’ meno cara al nostro Presidente della Repubblica italiana che pure conosce la Costituzione. Rispetto il ruolo è l’età, sed dicam quod sentio

L'entropia politica del non voto dipende dall'atroce omologazione dei partiti. Atroce eppure benedetta da Napolitano il quale oltretutto non ha il ruolo costituzionale di blindare chicchessia al governo il quale deve essere approvato dal parlamento eletto dal popolo sovrano.

I cittadini non votano perché i politici non piacciono. Sono ladri o sono insignificanti: parlano dicendo menzogne oppure parole vuote. Snocciolano filastrocche di luoghi comuni tipo “così non si va da nessuna parte”. Invece andiamo nel baratro.
Quando non danno noia, lasciano indifferenti.
I cittadini vorrebbero vedere segni e significati di onestà, bellezza e cultura. Cultura politica, storica, filosofica, letteraria. Nelle chiacchiere di costoro non c’è nulla di tutto questo. Tanto meno c’è la capacità di portare l’Italia fuori dalla crisi economica e morale nella quale stiamo precipitando hoc patriai tempore iniquo.
Non sono dialettici poiché non hanno una visione d’insieme. Si vantano di avere le nonne ancora vive, come se fosse un merito, ma non sanno nemmeno che cosa sia la cultura. Ripetono tutti le stesse filastrocche insensate, imparate a memoria. Eccone un’altra: fare un passo indietro. Non significa niente. Tutti perdono voti come acqua raccolta in un un’urna incrinata, e continuano a dire i medesimi luoghi comuni con le stesse frasi fatte, tipo: “non si va da nessuna parte, quello deve fare un passo indietro”. Nessuno che provi a trovare un’espressione nuova.

L’impunità concessa ai ricchi e ai prepotenti distrugge la classe media facendola precipitare nella povertà.

Vediamo alcuni elogi classici della classe media
la teoria della classe media viene esposta da Teseo nelle Supplici[1]di Euripide..
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più; quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e ingannati dalle lingue dei capi malvagi lanciano strali contro i possidenti.
In conclusione: "Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin a[n tavxh/ povli"", (vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
La teoria si ripropone anche negli ultimi anni di Euripide. Nell'Oreste (del 408) "infatti, egli vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis .
Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[2]-ricorda da vicino Suppl. 244: "delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[3].
Il piccolo proprietario terriero è uno che lavora la terra da sé e non è attraente di aspetto ma è coraggioso e intelligente (" morfh'/ me;n oujk eujwpov", ajndrei'o" d j ajnhvr", v.918, xunetov" , v. 921).
Successivamente Isocrate maledice ricchezza e potere: " ajlla; suntevtaktai kai; sunakolouqei' toi'" me;n plou'toi" kai; dunasteivai" a[noia kai; meta; tauvth" ajkolasiva" (Areopagitico, 4 ) ma alla ricchezza e al potere è coordinata e segue la pazzia e con questa la licenza.

Anche nelle Leggi di Platone troviamo che la condizione moralmente migliore è quella lontana dalla ricchezza e dalla povertà: "La rappresentazione che Platone dà dei primordi è quella di una condizione essenzialmente pacifica, dove non erano ancora ricchi e poveri, e dove la benigna semplicità degli umani aveva per conseguenza un livello morale più alto[4]"[5]
Vediamo cosa dice di preciso il personaggio l'Ateniese nelle Leggi: "Poveri per questo motivo non erano, né, costretti dalla povertà, divenivano discordi tra loro; e nemmeno ricchi divennero mai in quanto privi di oro e di argento…nella società in cui non sia presente né ricchezza né povertà, direi che i costumi potrebbero essere nobilissimi: infatti violenza, né ingiustizia, né gelosie né invidie possono nascervi. Erano buoni in grazia di questa vita e di quella che si dice semplicità” (679b-c).

Io sono per l’uguaglianza economica o almeno per disuglianze molto ridotte rispetto a quelle attuali, poiché dove non c’è uguaglianza manca la vera libertà (cfr. Leopardi, Zibaldone 923)

Elogio dell’uguaglianza.
Nelle Fenicie[6] di Euripide, Giocasta è fautrice dell'uguaglianza. Chiede a Eteocle perché tenda all'ambizione (Filotimiva) che è la pessima tra le divinità, è anzi una dea ingiusta (a[diko" hj qeov" , v.531). E' per lei che Eteocle è impazzito. Molto meglio è onorare l'uguaglianza: "kei'no kavllion, tevknon,-ijsovthta tima'n" (vv. 535-536). L'uguaglianza infatti crea legami (sundei', v. 538). L'uguaglianza è stabile (to; ga;r i[son movnimon, v. 538), mentre il meno è sempre in guerra con il più e fomenta le inimicizie.
L' ijsovth" è la legge che ha stabilito le misure per gli uomini, le partizioni di pesi e ha dato ordine distinguendo i numeri; essa per giunta è legge di natura, anzi è legge cosmica cui si sottopone perfino la luce del sole: "nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou te fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv. 543-544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole, uguale percorrono il ciclo annuo.
Per fortuna le giornate presto si allungheranno ripristinando la luce e la vita.
Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure, continua Giocasta, tu, figliolo, non tollererai di avere una parte uguale del palazzo (su; d j oujk ajnevxh/ dwmavtwn e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona, v. 549), la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?

Sentiamo infine alcuni frammenti di Democrito il filosofo del naturalismo meccanicistico (ejteh̃/ de; a[toma kai; kenovn, fr. 9 D.K., in verità gli atomi e il vuoto) e pure delle seguenti massime etiche.
“L’uguaglianza (to; i\son) è bella in ogni cosa; brutti sono l’eccesso (uJperbolhv) e il difetto (e[lleiyiς); se si oltrepassa la giusta misura (to; mevtrion), le cose più godibili possono diventare le meno piacevoli; il desiderio smisurato (to; ajmevtrwς ejpiqumeĩn) è tipico del bambino, non dell’uomo”
hJ ga;r eujogkivh ajsfalevsteron th̃ς megalogkivhς (fr. 3 D. K.), infatti la grandezza moderata è più sicura della grande gonfiezza.
Come dire un’ipertrofia benigna o (Dio ce ne scampi!) maligna.
L’uguaglianza dunque è legge di natura.



giovanni ghiselli
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[1] Del 422 ca.
[2]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[3]Di Benedetto, Euripide: teatro e società, p. 208.
[4] Leggi, 678c-e.
[5] W. Jaeger, Paideia 3, p. 406.
[6] Rappresentate tra il 410 e il 408

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