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19 dicembre
Ricordo l'articolo 21 della nostra Costituzione: "
Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto (...) e ogni altro mezzo di diffusione".
E’ la parrhsiva
tanto cara agli Ateniesi di Pericle, Sofocle, Euripide, Erodoto, Tucidide.
E’ molto cara anche a
quanti di noi sono in grado di pensare
E’ meno cara al
nostro Presidente della Repubblica italiana che pure conosce la Costituzione.
Rispetto il ruolo è l’età, sed dicam quod
sentio
L'entropia
politica del non voto dipende dall'atroce omologazione dei partiti. Atroce
eppure benedetta da Napolitano il quale oltretutto non ha il ruolo
costituzionale di blindare chicchessia al governo il quale deve essere
approvato dal parlamento eletto dal popolo sovrano.
I
cittadini non votano perché i politici non piacciono. Sono ladri o sono
insignificanti: parlano dicendo menzogne oppure parole vuote. Snocciolano
filastrocche di luoghi comuni tipo “così non si va da nessuna parte”. Invece
andiamo nel baratro.
Quando
non danno noia, lasciano indifferenti.
I
cittadini vorrebbero vedere segni e significati di onestà, bellezza e cultura.
Cultura politica, storica, filosofica, letteraria. Nelle chiacchiere di costoro
non c’è nulla di tutto questo. Tanto meno c’è la capacità di portare l’Italia
fuori dalla crisi economica e morale nella quale stiamo precipitando hoc patriai tempore iniquo.
Non
sono dialettici poiché non hanno una visione d’insieme. Si vantano di avere le
nonne ancora vive, come se fosse un merito, ma non sanno nemmeno che cosa sia
la cultura. Ripetono tutti le stesse filastrocche insensate, imparate a
memoria. Eccone un’altra: fare un passo indietro. Non significa niente. Tutti
perdono voti come acqua raccolta in un un’urna incrinata, e continuano a dire i
medesimi luoghi comuni con le stesse frasi fatte, tipo: “non si va da nessuna
parte, quello deve fare un passo indietro”. Nessuno che provi a trovare
un’espressione nuova.
L’impunità
concessa ai ricchi e ai prepotenti distrugge la classe media facendola
precipitare nella povertà.
Vediamo
alcuni elogi classici della classe media
la teoria della classe media viene esposta da Teseo nelle Supplici[1]di
Euripide..
Tre sono le classi dei
cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più; quelli che
non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere
dall'invidia e ingannati dalle lingue dei capi malvagi lanciano strali contro i
possidenti.
In conclusione: "Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/
sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin a[n tavxh/ povli"", (vv. 244-245), delle tre parti quella che sta
in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
La teoria si ripropone anche negli ultimi anni di Euripide.
Nell'Oreste (del 408) "infatti,
egli vede negli aujtourgoiv, nei
lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis .
Il v. 920 dell'Oreste -
"un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la
patria"[2]-ricorda da vicino Suppl.
244: "delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La
classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini
che lavorano il fondo di loro proprietà"[3].
Il piccolo proprietario terriero è uno che lavora la terra
da sé e non è attraente di aspetto ma è coraggioso e intelligente (" morfh'/ me;n oujk eujwpov", ajndrei'o"
d j ajnhvr", v.918, xunetov"
, v. 921).
Successivamente Isocrate maledice ricchezza e potere: " ajlla; suntevtaktai kai; sunakolouqei'
toi'" me;n plou'toi" kai; dunasteivai" a[noia kai; meta;
tauvth" ajkolasiva" (Areopagitico,
4 ) ma alla ricchezza e al potere è coordinata e segue la pazzia e con questa
la licenza.
Anche nelle Leggi di Platone troviamo che la
condizione moralmente migliore è quella lontana dalla ricchezza e dalla povertà:
"La rappresentazione che Platone dà dei primordi è quella di una
condizione essenzialmente pacifica, dove non erano ancora ricchi e poveri, e
dove la benigna semplicità degli umani aveva per conseguenza un livello morale
più alto[4]"[5]
Vediamo cosa dice di preciso il personaggio l'Ateniese nelle
Leggi: "Poveri per questo motivo non erano, né, costretti dalla
povertà, divenivano discordi tra loro; e nemmeno ricchi divennero mai in quanto
privi di oro e di argento…nella società in cui non sia presente né ricchezza né
povertà, direi che i costumi potrebbero essere nobilissimi: infatti violenza,
né ingiustizia, né gelosie né invidie possono nascervi. Erano buoni in grazia
di questa vita e di quella che si dice semplicità” (679b-c).
Io sono per l’uguaglianza economica o almeno per disuglianze
molto ridotte rispetto a quelle attuali, poiché dove non c’è uguaglianza manca
la vera libertà (cfr. Leopardi, Zibaldone
923)
Elogio dell’uguaglianza.
Nelle Fenicie[6] di Euripide, Giocasta
è fautrice dell'uguaglianza. Chiede a Eteocle perché tenda all'ambizione (Filotimiva) che è la pessima tra le
divinità, è anzi una dea ingiusta (a[diko"
hj qeov" , v.531). E'
per lei che Eteocle è impazzito. Molto meglio è onorare l'uguaglianza: "kei'no kavllion, tevknon,-ijsovthta tima'n"
(vv. 535-536). L'uguaglianza infatti crea legami (sundei', v. 538). L'uguaglianza è stabile (to; ga;r i[son movnimon, v. 538), mentre
il meno è sempre in guerra con il più e fomenta le inimicizie.
L' ijsovth" è
la legge che ha stabilito le misure per gli uomini, le partizioni di pesi e ha
dato ordine distinguendo i numeri; essa per giunta è legge di natura, anzi è
legge cosmica cui si sottopone perfino la luce del sole: "nukto;" t j ajfegge;" blevfaron hJlivou
te fw'"-i[son badivzei to;n ejniauvson kuvklon" ( vv.
543-544), l'oscura palpebra della notte e la luce del sole, uguale percorrono
il ciclo annuo.
Per fortuna le giornate presto si allungheranno
ripristinando la luce e la vita.
Ora se il sole e la notte si assoggettano a queste misure,
continua Giocasta, tu, figliolo, non tollererai di avere una parte uguale del
palazzo (su; d j oujk ajnevxh/ dwmavtwn
e[cwn i[son, v. 547) e di attribuire l'altra a tuo fratello? E dov'è la
giustizia? Perché tu la tirannide, un'ingiustizia fortunata (tiv th;n turannivd j, ajdikivan eujdaivmona,
v. 549), la onori eccessivamente e pensi che sia un gran che?
Sentiamo infine alcuni frammenti di Democrito il filosofo
del naturalismo meccanicistico (ejteh̃/ de; a[toma kai; kenovn, fr. 9 D.K., in
verità gli atomi e il vuoto) e pure delle seguenti massime etiche.
“L’uguaglianza (to;
i\son) è bella in ogni cosa; brutti sono l’eccesso (uJperbolhv) e il difetto (e[lleiyiς); se si oltrepassa la giusta
misura (to; mevtrion), le cose più
godibili possono diventare le meno piacevoli; il desiderio smisurato (to; ajmevtrwς ejpiqumeĩn) è
tipico del bambino, non dell’uomo”
hJ ga;r eujogkivh
ajsfalevsteron th̃ς megalogkivhς
(fr. 3 D. K.), infatti la grandezza moderata è più sicura della grande
gonfiezza.
Come dire un’ipertrofia benigna o (Dio ce ne scampi!)
maligna.
L’uguaglianza dunque è legge di natura.
giovanni
ghiselli
Il
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Condivido. Giovanna Tocco
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