William-Adolphe Bouguereau Giovanetta che si difende da Cupido (1880) |
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Il mito
Nel film Medea di Pasolini il centauro che educa Giasone adolescente gli dice: "Te ne andrai in un paese lontano, di là dal mare. Qui farai esperienza di un
mondo che è ben lontano dall'uso della nostra ragione; la sua vita è molto
realistica come vedrai, perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è
realistico è mitico".
Il mito infatti
cerca le origini, e chi non le conosce non è cosciente della realtà.
"La nostra origine è nei miti: tutti i miti sono di origine"[1].
Inoltre il mito ci dà indicazioni sulla nostra vita psichica: "la
psicologia mostra i miti in vesti moderne, mentre i miti mostrano la nostra
psicologia del profondo in vesti antiche"[2].
Altra considerazione sui grandi significati del mito si
trova nel libro di Morin più
volte citato: "Il mito non è la sovrastruttura della nazione: è ciò che
genera la solidarietà e la comunità; è il cemento necessario a ogni società e,
nella società complessa, è il solo antidoto all'atomizzazione individuale e
all'irruzione distruttrice dei conflitti…L'antico internazionalismo aveva
sottostimato la formidabile realtà mitica"[3].
Fuoco ferita e follia tutti insieme tormentano Didone
durante la successiva cerimonia religiosa con cui la regina cerca la pace: "Heu
vatum ignarae mentes! quid vota
furentem,/ quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas/interea et
tacitum vivit sub pectore volnus./ Uritur infelix Dido totāque
vagatur/urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta" (IV, vv. 65-69),
Ahi menti ignare dei vati! a che giovano i sacrifici, a che i templi a chi è
fuori di sé? divora il tenero midollo la fiamma intanto e si ravviva in
silenzio la ferita sotto il petto. Brucia l' infelice Didone e vaga fuori di sé
per tutta la città, quale cerva dopo che è stata scagliata la freccia.
-Est= edit. La radice deriva dall'indoeuropeo *ed- da cui discendono pure il greco [esqivw< *ejjjd-qivw l' italiano inedia, l'inglese to eat , il tedesco essen .
-mollis=molles.
-Uritur: c'è un consiglio dell'apostolo Paolo alle
vedove che contiene questo verbo, con questa diatesi: "Dico autem
innuptis et viduis: 'Bonum est illis si sic maneant sicut et ego; quod si
non contineant, nubant. Melius est autem nubere quam uri'" (Ai
Corinzi , I, 7, 9), dico però a quanti non sono sposati e alle vedove: è
bene per loro che stiano così come sto io, ma se non si contengono, si sposino.
E' meglio infatti sposarsi che ardere (krei'tton
gavr ejstin gamh'sai h] purou'sqai).
Possiamo dedurne una
riflessione : se l'amore è fuoco, come l’arte. e il matrimonio lo spenge, il matrimonio
nega l'amore.
L'amore causato da una freccia che provoca una ferita, la
quale arde come una fiamma, è un aition e una situazione che si trova
già nelle Argonautiche di Apollonio
Rodio: Eros scaglia contro Medea un dardo poluvstonon
(III, 279), penoso; quindi la freccia ardeva nella ragazza sotto il cuore,
simile a una fiamma ("bevlo" d j
ejnedaiveto kouvrh/-nevrqen uJpo; kradivh/, flogi; ei[kelon", III,
286-287).
"Il libro IV,
com'è ben noto, è il libro dell'Eneide
in cui la poesia ellenistica e la poesia neoterica sono più presenti e operanti:
Virgilio è stato continuamente stimolato da Apollonio Rodio e da Catullo e li
ha "emulati"[4].
Apollonio Rodio offriva nel III libro delle Argonautiche
(dove narrava come la giovanissima Medea si innamorasse di Giasone e gli desse
con la sua arte magica un aiuto decisivo per la conquista del vello d'oro) un
esempio difficilmente pareggiabile di finezza e delicatezza psicologica nel
seguire il primo nascere di una passione d'amore, il suo incerto rivelarsi, il
contrasto fra la passione e il senso del pudore e dell'onore, il trionfo
selvaggio della passione; e all'acume dell'analisi univa senso profondo del
pathos e intensità lirica nell'espressione dei sentimenti. Ma Medea è
all'inizio una giovinetta in cui la passione germina per la prima volta. Didone
è una donna matura che ha già sperimentato l'amore, il matrimonio, la perdita
tragica del marito, e al marito morto si sente legata da un vincolo religioso
di fedeltà: se Apollonio è attento alle prime incerte manifestazioni della
passione, Virgilio...nel IV libro parte già dalla fase in cui la passione è
furore irrazionale (importante nel libro il richiamo di immagini dionisiache
che spezza tutte le resistenze)"[5].
Il dardo e il fuoco
d'amore in altri autori: Catullo, Tibullo, Ovidio, Petrarca, e
Balocchi-Rossini.
L'immagine della freccia che trafigge la cerva quale
correlativo venatorio del dardo d'amore è una " virgiliana comparatio " che impressionò Petrarca schiavo e
malato d'amore portandolo a identificarsi con la creatura colpita, ossia, in
definitiva, con Didone: "Huic ego
cerve non absimilis factus sum. Fugi enim, sed malum meum ubique circumferens
"[6],
io sono diventato non dissimile a questa cerva. Sono fuggito infatti, ma
portando il mio male dappertutto in giro con me.
Poco più avanti Petrarca cita Orazio per significare
l'impossibilità di liberarsi dal dardo amoroso: "celum non animum mutant, qui trans mare currunt "[7],
cambiano il cielo non l'animo quelli che corrono al di là del mare.
Per quanto riguarda la dipendenza di Virgilio da Catullo
segnalo due versi del Liber : "ignis
mollibus ardet in medullis " (45, 16), arde il fuoco nelle tenere
midolle, e "cum penitus maestas exēdit
cura medullas "( 66, 23), quando una pena profonda ti consumò le
afflitte midolla.
Pure il miser Tibullo brucia d'amore: le fiaccole
che lo ardono sono brandite della domina Nemesi che gli ha tolto la libertas
e lo ha sottoposto ad un triste servitium con tanto di catene: " Sic
mihi servitium video dominamque paratam;/iam mihi, libertas illa paterna,
vale!//Servitium sed triste datur, teneorque catenis,/et numquam misero vincla
remittit Amor,//et, seu quid merui, seu quid peccavimus, urit./Uror, io!
Remove, saeva puella faces" (II, 4, 1-6), così vedo pronta per me la
padrona e il servaggio; oramai ti saluto bella libertà ricevuta dal padre! Ma
un servaggio penoso mi è imposto, e sono avvinto dalle catene e mai allenta i
vincoli Amore, e, sia che abbia dei meriti, sia che abbia commesso dei falli,
brucia. Brucio ahi! Allontana, crudele ragazza, le fiaccole!
La catena prosegue con la Didone delle Heroides di Ovidio il quale
descrive questo suo bruciare per Enea illustrandolo in maniera
particolareggiata con due paragoni, il secondo dei quali prefigura il suicidio
sulla pira: "Uror, ut inducto
ceratae sulpure taedae;/ut pia fumosis addita tura rogis "(VII,
25-26), brucio come fiaccole coperte di cera e impregnate di zolfo; come i
santi incensi gettati sui roghi fumosi.
L'amore come freccia, ferita, fiamma e affanno si trova
anche nel melodramma giocoso Il viaggio a Reims[8]:
se ne lamenta lord Sidney innamorato della poetessa Corinna: "Ah! perché
la conobbi?/ Perché appena lo stral ferimmi il petto,/ Non fuggir, non
lasciarla? Incauto, ahi! lasso!/ La fiamma alimentai ch'ognor più viva/ Or mi
divampa in se; non trovo pace,/ E, in preda al mio deliro,/ La notte e il dì,
d'amor gemo e sospiro./ Invan strappar dal core/ L'acuto dardo io tento;/ Più
vivo ognor l'ardore/ Nel sen crescendo va./ Dell'anima fedele Timido/ i voti
ascondo; Affanno più crudele/ Del mio no non si dà".
Il dardo d'amore nell'Eneide
non ha nulla di giocoso: è come una canna mortale ficcata nel fianco: "haeret lateri letalis harundo "
(IV, v.73). Il sentimento amoroso è dunque connesso al dolore, alla morte e al
senso di colpa.
La causa è il terrore dell'istinto che è sintomo di decadenza
e di calo del turgore vitale.
"Combattere gli istinti-questa è la formula della décadence ; fintanto che la vita è ascendente, felicità e istinti sono
uguali"[9].
Di questa lotta contro gli istinti abbiamo un'iterata
formulazione latina in Cicerone: "primum
ut appetitus rationi pareat...praestantissimum est appetitum obtemperare
rationi "(De Officiis , I,
141), la prima regola è che l'istinto obbedisca alla ragione...la regola più
importante è che l'istinto si sottometta alla ragione. Può andare purché l'istinto
non venga criminalizzato o soppresso, infatti : "l'umanità non si riduce
affatto all'animalità; ma senza animalità non c'è umanità"[10].
"Molti provano, per un istante, una penosa tristezza
perché tra la loro vita e i loro istinti c'era un tale dissidio, un tale
conflitto che la loro vita non era affatto una danza, bensì un faticoso e
affannato respirare sotto i pesi: pesi che in fin dei conti essi stessi si
erano accollati"[11].
Rimasta sola nella casa vuota, la digraziata regina si
tormenta: "sola domo maeret vacua
" (v. 82) o in altri momenti inganna se stessa trattenendo in grembo
Ascanio "infandum si possit fallere
amorem " (v. 85), per vedere se possa illudere l'indicibile amore.
giovanni ghiselli
il blog è arrivato a 201602 contatti
[1] J. Hillman, Il
piacere di pensare, p. 52.
[2] J. Hillman, Variazioni
su Edipo, p. 76.
[3] E. Morin, La
testa ben fatta, p. 69.
[4] Huysmans meno benevolmente parla di "impudenti
plagi" compiuti da Virgilio (Controcorrente, p. 42).
[5]A. La Penna-C.
Grassi, op. cit., p. 356.
[8] Libretto di Luigi Balocchi, musica di Gioacchino
Rossini. Fu rappresentato per la prima volta nel 1825 per l'incoronazione di
Carlo X di Borbone avvenuta appunto a Reims.
[9]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), p.
57.
[10] E. Morin, La
testa ben fatta, p. 37.
[11] H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920).p. 126.
Mi sento in buona compagnia che trascorro la mia vita a cercare di gestire l'istinto...spero di non fare la fine di Didone....Giovanna Tocco
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