Percorso preparato per la conferenza che terrò a Siracusa il
26 dicembre
Di-verso, fra cultura
e teatro
26-27-28 dicembre 2014 h.19,00, sala teatro Assessorato
Politiche Sociali via Italia 105, nei pressi della Chiesa di San Metodio,
Siracusa
PROGRAMMA
venerdì
26 dicembre,h.19
Di-verso sociale
Prof.ssa Lucia Arsì, presidente
C.C. Epicarmo
Dott. Riccardo Mondo, psicologo
analista
Prof. Gianni Ghiselli,grecista,
Università Bologna
L'eroe nella cultura europea: dall'Achille di Omero, a
Pindaro, a Sofocle, a Euripide, a Platone, a Leopardi, a Nietzsche, a Tolstoj,
a Fausto Coppi. Il matrimonio come possibile ostacolo all'eroismo (in
Kierkegaard, Tolstoj e Kafka).
La figura di Ulisse, segno di contraddizione.
L’anti-eroe.
La diversità dell’eroe dell’epica dall’uomo comune e dei due
eroi archetipici tra loro
La relazione con la morte costituisce il più profondo tratto
distintivo dell’eroe. Achille non si lascia bloccare dalla profezia di sventura
del cavallo Xanto. Questo si inclinò con il capo e tutta la chioma pa`sa de; caivth dal collare cadendo lungo
il giogo, giunse a terra: quindi gli disse : “ toi
ejgguvqen h\mar ojlevqrion”, ti è vicino il dì della morte (Iliade, XIX, 405 e 409). Achille non si
lascia spaventare dalle parole male ominose del cavallo fatato e risponde: “Xanto,
perché mi predici la morte? Non ce n’è bisogno da parte tua. Lo so anche io che
il mio destino è morire qui. Ma non cederò"ouj
lhvxw" prima di avere incalzato a sazietà i Troiani in battaglia.
Il film Rush.
I piloti di formula uno calcolano che ad ogni gara hanno
venti possibilità su cento di morire. Ma non si tirano indietro. Hunt che è più
simile ad Achille, non lo fa mai, Lauda più confrontabile con Odisseo, si
ritira da una gara flagellata dalla pioggia, dopo un’altra competizione
infernale durante la quale aveva patito un incidente dove aveva rischiato la
vita ed era rimasto sfigurato.
Per tornare a gareggiare e no cedere il titolo al rivale
Hunt senza combattere, si era fatto curare precipitosamente con terapie dolorosissime.
Come Odisseo, Lauda è meno prestante dell’altro eroe.
“Ulisse è uno di quei
personaggi che dalle profondità del tempo giungono fino a noi, perché è un
personaggio chiave…E’ un tipo incredibilmente furbo. Possiede una qualità che i
Greci chiamano métis, astuzia.
Un’astuzia che gli consente di cavarsela tutte le volte che sembra ormai
perduto. Ulisse ha tutto contro, combatte con forze più grandi di lui, eppure
trova il modo, con astuzia, scaltrezza, bugie-dissimulando il proprio
pensiero-di inventarsi qualcosa e avere, infine, la meglio”[1].
La parentela etimologica di mh̃tiς con il latino metior rende l’idea di come sia misuratore e calcolatore l’uomo poluvmhtiς.
Nel I canto dell'Iliade
Odisseo è già l'uomo che, molto
dotato di intelligenza[2],
riceve l'incarico di ricondurre Criseide al padre per ristabilire la pace tra
il sacerdote di Apollo e Agamennone.
Nel secondo canto del poema più antico, Odisseo, simile a
Zeus per intelligenza[3],
quindi diverso dagli altri uomini, riceve da Atena il compito di trattenere la
fuga dell'esercito acheo da Troia con blande parole[4].
La dea per rivolgersi all'eroe utilizza un altro epiteto
formulare[5],
il quale lo caratterizza come uomo intelligente e capace. Capace di che cosa?
Intanto notiamo questa capacità di ristabilire una situazione compromessa;
infatti, nel II canto dell’Iliade,
Odisseo riesce a fermare l'esercito in fuga alternando le blande parole con ingiurie
e facendo cadere lo scettro-bastone sul petto e le spalle dell'uomo deforme[6],
l’odiosissimo[7]
Tersite dalla lingua confusa “Qevrsit j
ajkritovmuqe, Tersite che parla senza giudizio[8].
“Egli lo spoglierà completamente e lo scaccerà a forza di
bastonate dal posto in cui è riunito l’esercito (ajgorh'qen[9]).
Non vi viene subito in mente il pharmakós o capro espiatorio, l’uomo più brutto della comunità, che
veniva trasformato in vittima espiatoria e scacciato dalla città?”[10].
Un altro diverso
Per il farmakovς cfr. Edipo
re di Sofocle e Oedipus di
Seneca.
Odisseo dunque è un uomo stabilizzante e ristabilizzante.
Dice: “ non è bene il comando di molti: ci sia un solo capo”
oujk ajgaqo;n polukoiranivh: ei\~ koivrano~
e[stw” (II, 204)
Quindi egli parla all'esercito, non senza essere stato
adornato con altri epiteti[11];
infine l’Itacese viene designato con una qualificazione più specificamente
odissiaca[12].
Agli epiteti esornativi non bisogna dare troppa importanza
poichè spesso sono stereotipati, e la loro presenza è imposta dalla necessità
metrica che "nella poesia omerica è fattore determinante anche per la
scelta delle espressioni e degli epiteti"[13].
Invece sono caratterizzanti le parole che Odisseo rivolge
all'assemblea dopo averla ricompattata. Egli accusa i soldati di essere come
bambini piccoli o come donne vedove[14]
mettendo in luce una distinzione tra l' uomo compiuto[15],
egli stesso, capace di riflettere, parlare, agire, e l'uomo bambino o
l'uomo-comare querula, creature dalla ragione meno sviluppata.
Nel I canto dell’Odissea, i compagni di ritorno di Odisseo,
tutti morti, vengono ricordati come: "stolti (nhvpioi) che divoravano i buoi del
Sole/Iperione: ma quello tolse loro il dì del ritorno" (vv. 8-9)
-nhvpioi: è
formato dal prefisso negativo nh-(simile
ad aj-privativo)+ la radice ejp- sulla quale si forma e[po", "parola" e dunque
corrisponde al latino infans (formato
dal prefisso negativo in- +fans di fari =parlare). La manifestazione più evidente della stoltezza è
dunque l'incapacità di parlare poiché chi non possiede la parola non ha neppure
le idee e non controlla la mente.
Esiodo concede allo stolto una possibilità di ravvedimento
attraverso la sofferenza: "paqw;n dev
te nhvpio" e[gnw"(Opere
, v. 218).
Cfr. Gli uomini bambini di H. Hesse in Siddharta : “La maggior parte degli uomini, Kamala, sono come una
foglia secca, che si libra e si rigira nell'aria e scende ondeggiando al suolo.
Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e
non c'è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro
cammino...Io sono come te. Anche tu non ami, altrimenti come potresti fare
dell'amore un'arte? Forse le persone come noi non possono amare. Lo possono gli
uomini-bambini: questo è il loro segreto"[16].
La maturità riflessiva e intelligente, indipendente
dall'istinto del gregge è un aspetto distintivo dell'uomo Odisseo.
E' proprio questa sua indipendenza a renderlo ajnhvr, latinamente vir , capace appunto di virtù la quale, afferma Nietzsche, "è
il vero e proprio vetĭtum
entro ogni legislatura di gregge"[17].
Di tale virtù fa parte la capacità di opporre resistenza ai
mali e alle minacce di cui è piena la vita, di sopportarle. Un' esortazione che
Ulisse rivolge più volte a se stesso e ai suoi compagni di avventura a cominciare
da questo discorso dell'Iliade dove
esorta i soldati dicendo: " tenete duro cari e aspettate del tempo”[18].
Odisseo non è bello.
Nell'Iliade ,
quindi in Ovidio, si trova anche qualche indicazione sull'aspetto fisico di
Odisseo. Ulisse non era bello (non
formosus erat), ma sapeva parlare (sed
erat facundus Ulixes) e, pur non essendo un Adone, fece torcere d’amore le
dee dell’acqua, Circe e Calipso. et tamen
aequoreas torsit amore deas "[19]
.
Vediamo dunque quanto poco era poco bello e perché piaceva
comunque alle donne .
Nel terzo canto dell’Iliade,
durante la teicoskopiva, Priamo
chiede a Elena di identificare i capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre
presso le porte Scee; uno gli parve più piccolo della testa di Agamennone
Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi[20].
Priamo aggiunge che quel personaggio si aggira tra le fila
degli uomini ktivlo~ w[~ (v. 196),
come un montone, un ariete (ajrneiov~)
dal vello folto che si aggira tra un gregge di pecore bianche.
La maliarda rispose che quello era Odisseo esperto di ogni
sorta di inganni e di fitti pensieri (v. 202). Quindi Antenore aggiunge che
anche lui l’aveva vista una volta a Troia, in ambasciata con Menelao, e quando
i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando stavano in piedi,
Menelao lo sovrastava delle larghe spalle[21].
Ulisse dunque, il poluvmhti~, l’uomo molto saggio, quando si
alzava in piedi, finché stava zitto, fissava gli occhi in terra e teneva fermo
lo scettro. Allora sembrava un uomo ignorante (a[їdri~, 219) o addirittura furente (zavkoto~, kovto~
>rancore, risentimento, odio-za,
prefisso=molto) e pazzo (a[frwn, cfr.
Medea che non rielabora l’odio), ma quando parlava, mandava fuori dal petto parole
simili a fiocchi di neve d'inverno (v. 222), e allora non si provava più
meraviglia per l'aspetto.
Plinio il Giovane dà una spiegazione di questo stile
oratorio affermando di preferire fra tutte "illam orationem similem nivibus hibernis, id est, crebram et assiduam,
sed et largam, postremo divinam et caelestem " ( Ep. I, 20), quell'eloquenza simile alle nevi invernali, cioè densa
e serrata, ma anche copiosa, dopo tutto divina e scesa dal cielo.
Leopardi che era
difettoso nel corpo, e lo sopravvalutava, non ammette la bruttezza nell’eroe
epico: “La perfettibilità dell’uomo, come altrove ho detto, non ha che
fare col corpo. E con tutto ciò la perfezione del corpo, che non dipende dagli
uomini, né è opera della ragione, si è la principal condizione che si ricerca
in un eroe del poema ec. (o si dee supporre, perché ogni menoma imperfezione
corporale suppostagli guasterebbe ogni effetto) e la più efficace, supponendolo
ancora perfetto nello spirito. Questa circostanza non si può tacere; quando
anche si taccia, la supplirà il lettore; ma fare espressamente un protagonista
brutto è lo stesso che rinunziare a qualsivoglia effetto”[22].
Contraddizione in Leopardi (diversità da se stesso)
Altrove invece Leopardi dice che preferisce Achille a Enea
che è privo di difetti, ossia troppo perfetto.
"Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di
quello che poteva farlo...e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec.
onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec."( Zibaldone, 2).
A pagina 471 leggiamo: "L'eroismo e la perfezione sono
cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali erano gli eroi antichi (i
moderni non ne hanno); tali ce li dipingono gli antichi poeti ec. tale era
l'idea ch'essi avevano del carattere eroico; al contrario di Virgilio, del
Tasso ec. tanto meno perfetti, quanto più perfetti sono i loro eroi, ed anche i
loro poemi".
Ma, ribadiamo, la bellezza di Odisseo sta nelle sue parole.
Ulisse è un artista della parola
Hunt è molto più alto, più bello, e meno riflessivo di Lauda
che chiama “topolino”, anche perché ha la dentatura superiore sporgente e
visibilmente appoggiata al labbro inferiore. Come nei roditori in effetti.
Nell’insieme quindi è tutt’altro che bello. Ma ha una forte coscienza delle sue
capacità e della sua identità: al rivale che gli dà del topolino, risponde di
essere lui il più intelligente, il più bravo a guidare la macchina, il più
capace di vincere.
Non esiste solo il neoclassicismo dei primi anni
dell’Ottocento: “Ernst Howald (Die Kultur der Antike, 1948) ha potuto
indicare la rinascita del "classico" come "la forma
ritmica" della storia culturale europea"[23].
La forte identità di
Odisseo
Odisseo Con il Ciclope si spaccia come Nessuno “però non
lascerà l’isola dei Ciclopi senza riprendersi nome e identità” (p, 59) e non
senza orgoglio IX 502-505. Puoi dire che ti ha accecato, con orrenda ferita, j Odussh`a ptolipovrqion (504, cfr ptovli~ e pevrqw),
figlio di Laerte, di Itaca
Sentiamo Claudio Magris: "Come diranno più tardi Adorno
e Horkheimer, l'io occidentale è simboleggiato da Odisseo, che costruisce
faticosamente la propria identità ed il proprio dominio-su Itaca, sul suo
equipaggio e su se stesso-rinunciando alle sirene, a Calipso e al fiore del
loto ossia resistendo alla tentazione di abbandonarsi alla beata indifferenza
in grembo alla natura". L'inversione di questo processo cui tende
Nietzsche, continua Magris, è "lo scioglimento dionisiaco dell'io"[24].
Tale tendenza alla "dispersione dionisiaca dell'io nel
fluire sensibile"[25]
veramente è ben più antica di Nietzsche, però è condivisibile anzi è ineccepibile
la collocazione dell'uomo Odisseo nella categoria dell'apollineo: egli è l'uomo
che si individua nella conoscenza e nel dolore, quindi difende e mantiene il principium individuationis davanti a
tutte le lusinghe e contro tutti gli assalti.
L'Odissea è dunque
"hjqikhv", fatta di
caratteri, prima di tutto quello del suo protagonista, come la definiva già
Aristotele[26],
oltre che complessa per via dei numerosi riconoscimenti, a partire dall' ajnagnwvrisi" che di se stesso compie
Odisseo. E attraverso la sua lettura tutti noi possiamo riconoscere qualche
cosa di quello che siamo, arrivando alla scienza suprema, quella prescritta
dall'oracolo delfico. "Conosci te
stesso" è tutta la scienza . Solo alla fine della conoscenza di tutte
le cose, l'uomo avrà conosciuto se stesso. Le cose infatti sono soltanto i
limiti dell'uomo"[27].
L’altro, diverso
archetipo dell'uomo eroico che, avido di gloria e onore, pervade tutta la
cultura greca, è la figura di Achille. Il figlio di Tetide, come i massimi
personaggi dell'Iliade , il poema
epico che presenta il grado eroico dell'esistenza umana, passa la vita in un
continuo cimentarsi e gareggiare. Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai
a[llwn"( VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli
altri.
Lo raccomandano i padri ai figli ( nel sesto canto il licio
Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al v.784, Peleo ad Achille).
Questo imperativo ha un'eco nell'Antigone di Sofocle dove Creonte, per elogiare Eteocle a scapito di
Polinice, afferma che quello ha compiuto ogni eroismo con la lancia (v.195): "pavnt& ajristeuvsa" doriv".
Nietzsche fa di questo aspetto agonistico con volontà di
primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi: "Poiché il
volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e
originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva
sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato
un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo
l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica,
lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna"[28].
Nella Nascita della tragedia Nietzsche critica aspramente
Euripide per avere portato lo spettatore sulla scena, sostituendo all’eroe
l’uomo comune, al Greco il graeculus.
Alla nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella
della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni: "muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[29],
a essere dicitore di parole ed esecutore di opere.
L'eroe non fa niente che non stimi degno della sua natura: Achille
, cedere nescius [30].
Della definizione oraziana si ricorda Leopardi nel Bruto Minore : " Guerra mortale,
eterna, o fato indegno,/teco il prode guerreggia,/ di cedere inesperto"(vv.
38-40).
Il culto del kalovn
nell’eroe tragico.
Così non cede alle preghiere di chi gli vuole bene l'Aiace di
Sofocle e non sopporta di sopravvivere al suo disonore, e prima di uccidersi
dice: "ajll j h] kalw'" zh'n h]
kalw'" teqnhkevnai-to;n eujgenh' crhv"[31],
ma il nobile deve vivere nobilmente o nobilmente morire.
Non manca la giovane donna eroica che preferisce la morte ad
una vita ignobile: Polissena nell'Ecuba
di Euripide chiede alla madre di lasciarla morire senza opporre resistenza: "to; ga;r zh'n mh; kalw'" mevga"
povno""(v. 378), infatti il vivere senza bellezza è una grande
fatica.
Sofocle nell’Antigone attribuisce i tratti
dell’eroina alla figlia di Edipo: ella non cede alle obiezione dettate dal buon
senso di Ismene, anzi replica : " io non soffrirò/nulla di così grave da
non morire nella bellezza" (w{ste mh;
ouj kalw'" qanei'n, vv. 96-97).
Neottolemo, il figlio schietto dello schietto Achille, svaluta il sumfevron (utile) e apprezza il kalovn (bello, e bello morale) contrapponendosi al
subdolo Odisseo del Filottete : " bouvlomai d' , a[nax,
kalw'"-drw'n ejxamartei'n ma'llon h] nika'n kakw'" " (vv. 94-95), preferisco, sire,
fallire agendo con nobiltà che avere successo nella volgarità.
L'ultimo discorso di Pericle. 430 a. C.
Anche in questo ci è dato di trovare la diversità eroica che
costituisce un tema di questo intervento: Pericle riafferma la propria natura,
nobile, di cittadino amante della povli"
e superiore al denaro: "filovpoliv"
te kai; crhmavtwn kreivsswn"(II 60, 5), un' identità che non cambia
né si lascia intimorire: "kai; ejgw;
me;n oJ aujtov" eijmi kai; oujk ejxivstamai: uJmei'" de; metabavllete"(II,
61, 2) io sono lo stesso e non muto; voi invece cambiate. Possiamo notare in
queste parole aspetti di provocazione e di ostinazione eroica che ricorda
quella di Antigone quando afferma: "
ajll j oi\d j ajrevskous j oi|"
mavlisq j aJdei'n me crhv"(v. 89), ma so di piacere a quelli cui
prima di tutti è necessario che io vada a genio.
L’esempio del capo-eroe
Poco più avanti Pericle del resto attribuisce la bellezza e
la grandezza del non cedere alla sua città: "gnw'te de; o[noma mevgiston aujth;n e[cousan ejn a{pasin
ajnqrwvpoi" dia; to; tai'" xumforai'" mh; ei[kein (II,
64, 3), sappiate che essa (Atene) ha una grandissima rinomanza tra gli uomini
per il fatto che non cede alle disgrazie. E’ una capacità attribuita alla povliς, tanto che B. Knox, ricordando
questo passo, ravvisa una somiglianza tra il carattere dei personaggi di
Sofocle e quello del dh'mo"
ateniese: "Atene proseguì, per tutto il periodo della virilità e della
vecchiaia di Sofocle, il suo magnifico e ostinato cammino verso il disastro
finale. Come un eroe sofocleo, era innamorata dell'impossibile[32]"
Come i nostri eroi archetipici si comporta il principe Andrej
Bolkonskij di Guerra e pace : durante
la battaglia di Austerlitz provò paura per un momento, ma poi pensò che questa
non era degna del suo ruolo e della sua persona: "Mentre si avvicinava a
cavallo, sopra di lui volavano l'una dopo l'altra le granate, ed egli sentì un
tremito nervoso corrergli per la schiena. Ma la sola idea che potesse aver
paura bastò a rinfrancarlo. "Io non posso aver paura", pensò e scese
lentamente da cavallo in mezzo ai cannoni"[33].
Diversi anni più tardi, a Borodino, il nobile russo non si getta a terra,
perché si vergogna di farlo, e viene ferito a morte da una granata: " Io
non posso, non voglio morire, io amo la vita, amo questa erba, la terra,
l'aria..." Pensava a questo e nello stesso tempo si ricordò che lo stavano
guardando"[34].
Il compenso che il
prode si aspetta in cambio dell' ajrethv
dimostrata obbedendo a tali obblighi impegnativi fino al sacrificio, è un
riconoscimento in termini di onore: la timhv
negata è una tragedia per il valoroso che si è distinto in battaglia: Achille
si rifiuta di combattere constando che l'uomo codardo e il valoroso sono tenuti
nello stesso onore: " ejn de; ijh'/
timh'/ hjme;n kako;" hjde; kai; ejsqlov""[35].
Allora sua madre implora Zeus di onorargli il figlio: "tivmhsovn moi uiJovn"[36],
onorami il figlio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore
di genti Agamennone lo disonorò ("hjtivmhsen"[37])
: gli ha preso il suo dono e lo tiene.
La stessa Tetide dichiara a Zeus che, se non la esaudirà, tutti
gli dèi vedranno come ella sia ajtimotavth
qeov" (v. 516) la dea meno onorata.
Pindaro è un altro cantore della vita strenua, al punto che
considera indegna di essere vissuta l'esistenza ingloriosa e insignificante dei
deboli e vili ignari di aretà : nella
I Olimpica
Pelope, aspettando la gara con Enomao prega: " Il grande pericolo (oJ mevgaς
de; kivndunoς[38])/non
prende un uomo imbelle./ Per chi morire è necessità, perché dovrebbe smaltire
invano una vecchiaia anonima seduto nell'ombra/ senza parte di tutte le cose
belle? ma questa/
gara giacerà sotto di me: tu dammi propizio l'evento"[39].
Platone scrive: “kalo;ς ga;r oJ kivndunoς” (Fedone, 114d), bello è infatti il
rischio. E’ il rischio di credere nei miti relativi alla sorte delle anime,
dato che è chiaro che l’anima è immortale.
Nella IV Pitica il
poeta tebano racconta la conquista del vello d'oro da parte degli eroi
Argonauti nei quali la dea Era attizzava la voglia di non essere lasciati
presso la madre a smaltire una vita senza rischio (vv. 329-331).
Vediamo la diversità dell’eroe dall’uomo comune, come il
poeta ispirato è diverso dai sorci che gracchiano e il genio dall’indottrinato.
. Nell’Olimpica II troviamo
un nodo ideologico di Pindaro: la sofiva
non è insegnabile (sofo;ς oJ polla;
eijdw;ς fuã/, (86-87), né quella dell'atleta né
quella del poeta il quale paragona se stesso all'aquila, il divino uccello di
Zeus (v. 89), mentre i suoi rivali, probabilmente Simonide e Bacchilide, non
sono molto sapienti per natura ( 86) bensì "addottrinati"(maqovnteς 87)
La filosofia.
Né la filosofia
rimane estranea al riconoscimento dell'eroe avido di gloria: Platone nel V
libro della Repubblica , che presenta
il codice della guerra, prescrive premi onorifici per i prodi in guerra : "divkaion tima'n tw'n nevwn o{soi ajgaqoiv"
(468d), è giusto onorare tra i giovani quanti sono valenti. Viene fatto
l'esempio di Aiace che nell'Iliade (VII,
321) riceve in dono intere terga di bue. Omero, che altrove è confutato, nel
campo dell'eroismo guerriero costituisce la massima autorità.
Nel Simposio, Platone fa dire a Diotima che
Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la
patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù
("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'"
pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti infatti fanno ogni cosa per
la virtù immortale e tale fama gloriosa ("uJpe;r
ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'"").
E in effetti il coro dell'Alcesti di Euripide, il cosiddetto filosofo
della scena, elogia l'eroina morente con queste parole: " i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh-gunhv t
j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"(vv. 150-151), sappia dunque
che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole.
Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i
genitori di Admeto("oJ fuvsa" chJ
tekou'sa",v. 290), poiché hanno lasciato perdere l'occasione di
salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n",
v. 292).
Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla
perfezione della virtù viene intesa da Aristotele "quale emanazione d'un
amor di sé elettissimo, la filautiva".
L'espressione si trova nell'Etica
Nicomachea che séguita con questo
brano: "Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi
sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli
vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga
vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non
molte insignificanti"[40].
L'autore di Paideia conclude così: "
In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci,
nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo"[41].
L’esempio della letteratura sulla letteratura (e sulla vita))
Sentiamo Citati su Leopardi e l’eroismo
“Leopardi aveva un esempio famoso. Quando conosce la morte
di Patroclo, Achille si imbratta il capo di polvere e cenere, giace in mezzo
alla cenere, con le mani si strappa i capelli, non si lava, non mangia,non
dorme, continua a
Piangere l’amico sulla riva del mare, come se compiangesse
se stesso e la propria morte”[42].
Traduco qualche verso di Omero: “con entrambe le mani presa
la cenere bruna-se la versava giù dalla testa, e deturpava il bel volto;-sulla
tunica di nettare si sparse la nera cenere.-e lui nella polvere, grande, per
ampio tratto disteso,-giaceva, e con le sue mani deturpava i capelli,
strappandoli” (Iliade, XVIII, 23-27).
Torno a Citati[43]:
“Quest’esempio sublime non abbandonò mai la mente di Leopardi: lo paragonava ad
altri gesti antichi: lo ritrovava in Archiloco, Aristofane, Euripide, Curzio
Rufo: riemergeva nelle sue lettere; e infine, quando ogni effetto della dolce e
chiara luce lunare si era spento, riaffiorava nel cuore della Sera del dì di festa (vv. 21-23)
“Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo”.
L’eroismo del contadino
Del resto l'eroismo
può essere individuato anche in gare non propriamente epiche né olimpiche: per
esempio nella lotta tenace che conduce il contadino di Esiodo con una terra
avara per strapparle i frutti estremi, o anche negli agricoltori poveri e
scorbutici tipo il Duvskolo" di
Menadro: "tw'n dunamevnwn ta;"
pevtra" -ejnqavde gewrgei'n"(vv. 3-4), uno di quelli capaci di
coltivare le pietre in questa zona.
Cnemone del resto è uno stravagante nella sua misantropia-uomo
disumano assai "uomo disumano assai, (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo")
intrattabile (duvskolo"
appunto) con tutti, che non sta bene con la gente"(vv. 6-7). Così lo
definisce nel prologo il dio.
Cnemone non si vergogna della propria diversità, ma la
rivendica:
"Belve assassine! Bussano qui senza complimenti
come da un amico! Se prendo uno di voi che
si avvicina alla mia porta, pensate di vedere
in me uno dei tanti (nomivzeq
j e{na tina; oJra'n me tw'n pollw'n)."(481-485). Questo è uno dei
peccati di Cnemone: volere essere uno straordinario. E' u{bri". Nel prologo della Samìa il protagonista giovane, Moschione, si presenta come uno dei
tanti ("tw'n pollw'n ti" w[n"
v. 11).
L’eroe perdente
Né manca l'eroe perdente, anzi, forse anzi il più bello: Ettore
che sente l'amor patrio e dice: "ei|"
oijwno;" a[risto" ajmuvnesqai peri; pavtrh""[44]
, uno è l'auspicio ottimo: difendere la patria, destinata comunque a cadere
dopo la morte del suo migliore, unico vero difensore.
Il massimo eroe troiano risponde all’indovino Polidamante
che lo ha avvertito di un brutto segno dato da due uccelli e gli ha dato il
consiglio di ritirarsi.
L’eroe tragico sportivo
Per giunta l'eroismo, soprattutto quando siamo bambini,
possiamo individuarlo anche in campioni dello sport. Io, nei primi anni
Cinquanta[45]
lo vedevo in Fausto Coppi al tramonto: identificavo "il
campionissimo" con Ettore, per il quale, pure, tenevo. Ho trovato di
recente questo paragone in un bel libro sul mio caro eroe della bicicletta che
mi ha educato non meno di Platone: " diceva Paolo Volponi: " Io
sentivo Bartali come un uomo quieto, appagato di un certo tipo di società, di
società minore. Insomma me lo figuravo come un democristianone. Coppi, invece,
lo vivevo come uno dell'opposizione, uno che sfidava le circostanze, la realtà,
i suoi stessi limiti fisici. Aveva cuore e polmoni prodigiosi, ma era anche un
pò rachitico. Non aveva l'aria di uno nato per vincere. Ero coppiano perché mi
sembrava uno non immediatamente vincitore, uno non sicuro di sé, non creato per
trionfare, ma che trionfava con un grande alone di passione, di fatica. Vinceva
clamorosamente smentendo anche se stesso, con un impegno molto duro sul piano
psicologico. Io tenevo per Coppi come, da ginnasiale, tenevo per Ettore contro
Achille. Tenevano per Ettore, forse, quelli meno felici, meno sicuri di sé,
meno integrati. Ettore era l'eroe che doveva soccombere, umano, dotato di
grandi qualità, di grande passione. Doveva soccombere perché non aveva l'aiuto
degli dei. Era l'uomo in lotta contro il destino. Ecco: Coppi era Ettore. Aveva
quella faccia da uomo dolente, da uomo vero, da uomo di fatica. Anch'egli in
lotta contro il destino"[46].
Eroi assimilato agli dèi
Ma torniamo ai Greci: a Erodoto che,
come Foscolo, si sentiva chiamato dalle Muse "ad evocar gli eroi"[47], e
dopo la battaglia di Salamina fa dire a Temistocle: "tavde ga;r oujk
hJmei'" katergasavmeqa, ajlla; qeoiv te kai; h{rwe"""[48],
questa impresa infatti non l'abbiamo compiuta noi ma gli dei e gli eroi.
In
questo contesto gli eroi sono gli spiriti dei morti, quelli che erano venerati
secondo le consuetudini e le leggi più antiche: "Quando intorno all'anno
620 Dracone raccolse ad Atene per la prima volta in iscritto il diritto
consuetudinario della sua città natale, prescrisse anche che si venerassero in
comune gli dèi e gli eroi patrii secondo il costume degli antenati"[49].
Platone
critica l’Achille omerico. Diversità e antica ruggine[50]
tra filosofi e poeti ( Socrate e Musil)
La
volontà di vita di Achille in contraddizione con se stesso
Ora torniamo
all' Achille di Omero, il primo eroe, che anche Platone, come Leopardi, non
trova perfetto, senza però che i suoi difetti glielo rendano simpatico, al
punto che il filosofo ateniese ne prescrive la correzione in una generale ejpanovrqwsi" dei
poeti e delle loro mende educative. Il più bravo discepolo di Socrate vorrebbe
cancellare, tra l'altro, i versi pronunciati dal Pelide quando nell'Ade
rimpiange la vita, la vita comunque. Egli osa dire che, pur di essere vivo,
sarebbe disposto a servire("qhteuevmen"[51]) un
altro, anche un uomo povero.
Questa
brama della vita a tutti i costi è biasimata da Platone che vorrebbe cancellarla[52] poiché
insegna a preferire il servaggio alla morte, come vengono riprovati e
considerati indegni di lettura i pianti e i lamenti del figlio di Tetide,
dovunque si trovino rappresentati[53].
Questa
volontà di vita Achille l’aveva già espressa da vivo, nell’Iliade, quando risponde alle non piccole offerte di Agamennone
presentate da Ulisse perché torni a combattere.Gli dice polumhvcan j j Odusseũ (IX,
308) non tornerò a combattere perché non c’è stata gratitudine (cavriς).
Agamennone è vestito di spudoratezza.
Il
Pelide non accetta nemmeno di sposare una delle figlie di Agamennone: Crisotemi,
Laodice, Ifianassa. E dice: niente per me vale la vita (ouj ga;r ejmoi; yuch̃ς ajntavxion IX,
401), non le ricchezze di Ilio, non quelle di Delfi. Buoi e grassi montoni si
possono rapire, comprare trìpodi e bionde criniere di cavalli, ma la vita di un
uomo non la puoi rapire né prendere perché torni indietro una volta che ha
passato la chiusura dei denti (ajndro;ς de; yuch; pavlin ejlqeĩn ou[te leϊsth;-ou[q j eJlethv,
ejpei; a[r ken ajmeivyetai e{rkoς ojdovntwn” (IV, 408-409).
Rovesciamento
della sapienza silenica.
Nietzsche in questa volontà di vita individua il
ribaltamento olimpico-apollineo della sapienza silenica: " Quindi
l'esistenza vissuta nella chiara luce solare emanata da questi dèi è sentita
come la cosa cui conviene aspirare; e in fondo il dolore dell'uomo omerico si riferisce al prender congedo da essa,
soprattutto al prenderne congedo presto; sì che rovesciando la sapienza
silenica, si potrebbe ora dire di essi che "la cosa peggiore per loro è
quella di morire presto, la seconda è, comunque, quella di morire una volta o
l'altra". Una volta che il lamento ha risonato, sempre ci parla della
breve vita di Achille, del mutare e avvicendarsi delle generazioni simili a
foglie[54], del
tramonto dei tempi eroici. Non è indegno del grande eroe il desiderare di
vivere ancora, sia pure soltanto come bracciante. Tant'è violenta, nello stato
apollineo, la "volontà" che aspira all'esistenza, e l'uomo omerico si
sente così uno con essa, che perfino il lamento diventa il suo canto di
gloria"[55].
Più
benevolo dunque e generoso il filosofo tedesco, rispetto a Platone, nei
confronti di Achille. Così pure Leopardi. Forse perché i due pensatori
dell'Ottocento non sono dei sistematici, non sono filosofi in senso stretto: "I
filosofi sono dei violenti che non dispongono di un esercito e perciò si
impadroniscono del mondo rinchiudendolo in un sistema. Probabilmente è questa
la ragione per cui nei tempi di tirannia vi sono stati grandi filosofi, mentre
nei tempi di progresso civile e di democrazia non c'è verso che si produca una
filosofia convincente, almeno per quanto se ne può giudicare dal rammarico che
si sente universalmente esprimere a questo proposito"[56].
L’eroe
non si sposa
Interessante,
e stravagante, è una riflessione di Mircea Eliade sulla
"riattualizzazione" del modello eroico:
"Ma
i modelli trasmessi dal più lontano passato non scompaiono; non perdono il loro
potere di riattualizzazione. Rimangono validi per la coscienza
"moderna". Un esempio fra mille: Achille e Soeren Kierkegaard.
Achille, come molti altri eroi, non si sposa[57],
quantunque gli sia stata predetta una vita felice e feconda purché si ammogli;
senonché, in questo caso, avrebbe dovuto rinunciare a diventare un eroe, non
avrebbe realizzato l'"unico", non avrebbe conquistato l'immortalità.
Kierkegaard
attraversa lo stessissimo dramma esistenziale rispetto a Regina Olsen; respinge
il matrimonio per rimanere se stesso, l'"unico", per poter aspirare
all'eterno, rifiutando la modalità di un'esistenza felice nel
"generale". Lo confessa chiaramente in un frammento del suo Giornale intimo (VIII, A 56) : "Sarei
più felice, in senso finito, se potessi allontanare da me questa spina che
sento nella mia carne; ma, in senso infinito, sarei perduto"[58].
Contro
il matrimonio quale esperienza contraria a ogni grandezza si esprime il
principe Andrej di Guerra e pace che
dice all'amico Pierre: " Non ti venga mai in mente di sposarti, mio caro;
questo è il mio consiglio, non prender moglie finché non avrai potuto dire a te
stesso che hai fatto tutto il possibile per evitarlo, finché non avrai smesso
di amare la donna che hai scelto, finché non la vedrai come in trasparenza,
altrimenti sbaglierai crudelmente e senza rimedio. Sposati da vecchio quando
non sarai buono a nulla...Altrimenti andrà perduto tutto ciò che in te è buono
ed elevato. Tutto si disperderà in piccolezze" (p. 41).
Il
timore del rischio di perdere una possibilità di vita, se non eroica, certo
meno insignificante di quella del marito borghese viene manifestato anche da Kafka
nella Lettera al padre : "Perché,
dunque, non mi sono sposato? L'impedimento essenziale, purtroppo indipendente
da ogni singolo caso, era che io, non v'è dubbio, sono spiritualmente incapace
di sposarmi...ho già accennato che con lo scrivere e tutto ciò che vi si
ricollega ho fatto alcuni mediocri tentativi di indipendenza e di evasione,
ottenendo scarsissimi risultati...Ciò nonostante è mio dovere, o piuttosto è la
mia vita stessa vegliare su essi, impedire per quanto sia in me che un
pericolo, anzi la sola possibilità di un pericolo, li possa sfiorare. Il
matrimonio è la possibilità di un tale pericolo"(p. 114 e sgg.).
T. Mann indica un ostacolo molto probabile
all'eroismo: la madre : "In fondo, per una madre, il volo di Icaro del
figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua
protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella
sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna,
io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara
creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe
fatto meglio a non staccarsene mai"[59].
Eroi
della passività
Il
tenente Drogo di Buzzati (Il deserto dei
Tartari) è accostabile a Edipo (a Colono) di Sofocle per l’eroismo
raggiunto nella passività e nell’accettazione del destino. Amor fati.
come Edipo trova la sua dimensione positiva nella passività
di Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase
dell'attività sconsiderata, così Giovanni Drogo ne Il deserto dei Tartari di Buzzati scopre"l'ultima sua porzione
di stelle"(p.250) e sorride nella stanza di una locanda ignota,
completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti,
dopo avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle
mura, fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera".
Invece il suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si
combatte per tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di
giovani donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella letteratura moderna
sono tanti, da Oblomov di Goncarov, a
Zeno di Svevo, per dire solo i più
noti, e il prototipo può essere considerato l'Edipo a Colono del quale Nietzsche ne La nascita della tragedia (p.67)
scrive: " L'eroe raggiunge appunto nell'attitudine puramente passiva
la sua attività suprema, la quale continua ad agire molto al di là della sua
stessa vita, mentre il cosciente tendere e sforzarsi della sua vita precedente
lo ha condotto solo alla passività".
Denigratori di Odisseo
Nell'Ippia minore di Platone, il sofista eponimo del dialogo sostiene
che mentre Achille è veritiero e semplice ("ajlhqhvv"
te kai; aJplou'"", 365b) Odisseo è invece "poluvtropov" te kai; yeudhv"",
versatile e menzognero.
Sono i luoghi comuni della letterarura successiva a Omero la
quale contrappone spesso lo schietto Pelide al subdolo Odisseo: Achille nell’Ifigenia in Aulide chiarisce a
Clitennestra che lo educò Chirone: “perché non imparasse gli usi degli uomini
malvagi[60].
Più avanti il figlio di Peleo riconosce tale capacità
paideutica all'uomo piissimo che l'ha allevato dal quale: ", ha imparato
ad avere semplici i costumi[61].
L’antitesi del semplice, onesto Achille in questa tragedia, e non solo, è
Odisseo del quale Agamennone dice: “, è molteplice per natura e sempre dalla
parte della massa[62].
Cioè un demagogo. Oggi si direbbe un “populista”.
Nel dialogo Platonico, Ippia però riceve una confutazione da
Socrate.
Il sofista ricava la
distinzione tra i due capi achei dal IX libro dell'Iliade dove Fenice Aiace e Odisseo vanno in ambasceria da Achille
che irato non combatteva ma faceva l'aedo, ossia cantava glorie di eroi
accompagnandosi con la cetra ( "fovrmiggi..a[eide
kleva ajndrw'n", vv.186 e189).
Dopo l'accoglienza cordiale, il cibo e la bevanda, Odisseo
parlò ("Aiace-nota Jaeger-personifica piuttosto l'azione, Odisseo la
parola"[63])
scongiurando Achille di tornare in battaglia e promettendogli donne mari e
monti da parte di Agamennone. Ebbene Achille risponde che gli è odioso come le
porte dell'Ade chi una cosa tiene nascosta e un'altra ne dice[64].
Ippia sostiene che non a caso Omero fa indirizzare queste
parole a Odisseo.
Socrate risponde opponendosi a questa opinione comune della
schiettezza di Achille e affermando che il Pelide mente non meno di Odisseo,
poiché dice all’Itacese che sarebbe partito[65],
mentre al Telamonio ha detto che non si sarebbe mosso fino all’arrivo di Ettore
davanti alla sua tenda[66].
Ippia allora ribatte che Achille non mente di proposito.
Socrate afferma che
Achille ha mentito deliberatamente a Odisseo per superarlo anche nell’arte del
raggiro e aggiunge che coloro i quali danneggiano, gli altri, e commettono
ingiustizia e mentono e ingannano ed errano volontariamente (eJkovnte~) [67]
sono migliori di quelli che lo fanno involontariamente (a[konte~)[68].
Infatti chi fa del
male volontariamente, se vuole poi fa del bene, chi lo fa involontariamente non
sa fare altro. E’ molto peggio zoppicare per necessità che per gioco.
E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto
parlatore, l'odiator de' calamistri[69]
e de' fuchi[70]
e d'ogni ornamento ascitizio[71]
e d'ogni affettazione, che altro era ne' suoi concetti se non un sofista niente
meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone,
3474).
In effetti in questo caso è Socrate che travisa l’Iliade ed è Odisseo che mente riferendo
la risposta di Achille ad Agamennone (IX, 682-685)
Infatti Achille aveva risposto a tutti e tre che si sarebbe
messo a combattere soltanto quando Ettore fosse arrivato davanti alla sua tenda[72]
(IX, 644-655).
La questione di Ulisse menzognero comunque esiste.
L’eroe farabutto
"Pindaro non amava il carattere di Ulisse. L'Aiace e il Filottete di Sofocle testimoniano che accanto all'ammirazione
convenzionale per il grande eroe esisteva anche un'opinione meno favorevole.
Anche l'Ippia minore di Platone
esprime per bocca del sofista gli stessi dubbi sul carattere di Ulisse, ma
Platone ci fa intendere che Ippia non fa che seguire, su questo punto, una
tendenza generale...In ultima analisi questa disposizione verso Ulisse risale
all'Iliade che lo mette a contrasto
come poluvtropo" con lo
schietto carattere di Achille. Anzi nell'Odissea
(q 75[73])
si ritrova l'antica tradizione intorno a questo contrasto dei due grandi eroi
nel canto di Demodoco sulla contesa di Ulisse e Achille"[74].
Vediamo alcune testimonianze decisamente contrarie a Odisseo
Pindaro contrappone Aiace a Odisseo.
Pindaro nell’ Istmica IV denuncia l’oscurità del
destino (v. 31), che fece cadere Aiace, puvrgo~[75] la torre, con gli artifici di chi valeva
meno di lui, ma Omero gli ha reso onore tra gli uomini (all j { Omhrov~ toi
tetivmaken di j ajnqrwvpwn (v.
37).
Nella Nemea VIII
il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~
(v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e
prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’ generosi/giusta
di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le
spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata
dagl’inferni Dei”[76]
Nel Filottete di
Sofocle, Neottolemo lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni, ossia
delle armi del padre dal peggiore di tutti, nato da malvagi[77],
Odisseo.
I drammi
Nella parodo dell’Ecuba
di Euripide, il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come «lo
scaltro (oJ poikilovfrwn)[78]
furfante dal dolce eloquio hjdulovgo~,
adulatore del popolo dhmocaristhv~ (vv.
131-132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena.
In questa tragedia il figlio di Laerte è un freddo politico
per cui vale solo la ragion di Stato che calpesta tante vite innocenti.
Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre
dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:
«Razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore
popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di
danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma
quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza?
Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove
sarebbe più giusto ammazzare un bue?» (Ecuba,
vv. 254-261).
Poco più avanti
Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un'alta
espressione di umanesimo in favore della vita: "mhde; ktavnhte: tw'n
teqnhkovtwn a{li" "
(v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Nel dramma satiresco
Ciclope, di Euripide, quando Odisseo
entra in scena definendosi Itacese, signore dei Cefalleni, Sileno replica: “oi\d j a[ndra,
krovtalon drimuv, Sisuvfou gevno~”
(vv. 103-104), conosco quel tipo, un sonaglio petulante, una nacchera stridula,
razza di Sisifo[79],
il quale, derubato del bestiame da Autolico, padre di Anticlea, ne sedusse la
figlia che poi sposò Laerte e divenne madre di Odisseo (Igino, 201)
Ulixes
Nell' Eneide, Ulisse è malfamato: "sic
notus Ulixes?" (II, 44) non conoscete Ulisse? domanda Laocoonte, e più
avanti Sinone, per convincere i Troiani, ne denuncia la trama criminale contro
Palamede morto "invidia pellācis[80] Ulixi "
(II, 90) per l'invidia del perfido Ulisse e lo definisce "scelerum inventor"
(II, 164) ideatore di crimini.
Durante il viaggio
dei Troiani profughi verso l’Italia, racconta Enea: “Effugimus scopulos Itacae, Laërtia regna,-et terram
altricem saevi exsecramur Ulixi ”[81],
evitiamo gli scogli di Itaca, regno di Laerte, e malediciamo la terra del
crudele Ulisse.
Nel VI canto,
l’ombra di Deifobo raccontando la sua fine definisce Ulisse , l’Eolide[82],
hortator scelerum (v. 529),
istigatore di scelleratezze.
.
Nelle Troiane
di Seneca, Andromaca annuncia l'arrivo di Ulisse con queste parole: " Adest
Ulixes, et quidem dubio gradu vultuque/: nectit pectore astus callidos"
(vv. 521-522), ecco qua Ulisse e certamente con un incedere e un'espressione
equivoca: intreccia nel petto astuzie scaltre.
Più avanti la vedova
di Ettore lo apostrofa in questo modo: "O machinator fraudis et
scelerum artifex,/virtute cuius bellicā nemo occĭdit,/dolis et astu maleficae
mentis iacent/etiam Pelasgi, vatem et insontes deos praetendis? Hoc est
pectoris facinus tui " (vv. 750-754) o tessitore di frodi e artefice
di inganni, per il cui valore in battaglia nessuno è morto, mentre per i tuoi
inganni e l'astuzia della mente malefica giacciono morti anche i Pelasgi, ora
metti avanti come pretesto[83]
l'indovino e gli dèi incolpevoli? Questo è un delitto dell'animo tuo.
Ulisse vuole la
morte del piccolo Astianatte pensando ai lutti che il bambino, se diventasse
grande, procurerebbe alle madri greche.
Ulisse donnaiolo e
adultero
Nella I delle Heroides di Ovidio, Penelope scrive a
Ulisse, qualificandolo come ferreus
(v. 58), e immaginando che peregrino
captus amore (76), sia preso dall’amore per una straniera cui “Forsitan et narres quam sit tibi rustica
coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes” (77-78), forse racconti
quanto sia rozza tua moglie, che sa soltanto cardare la lana.
“Al Dante che voleva
narrare di Ulisse, si presentavano due tradizioni mitiche e letterarie di
grande autorevolezza.
Nella prima, l’eroe greco è un imbroglione, un
ingannatore, un inventore di storie false, un oratore illusionista. Tale appare
a Virgilio nell’Eneide, a Ovidio
nelle Metamorfosi, a Stazio nell’Achilleide, e a tutta una serie di
scrittori posteriori come Ditti, Benoît de
Sainte Maure, Guido delle Colonne e così via. E non c’è alcun dubbio sul fatto
che Dante condanni Ulisse all’inferno per le sue frodi: come chiarisce Virgilio
nella sua presentazione della fiamma cornuta, per “l’agguato del caval”, e per
gli stratagemmi con cui riuscì, assieme a Diomede, a strappare Achille a
Deidamia[84]
e a rubare il Palladio…D’altro canto, le ali della fazione avversa, come i remi
di Ulisse, sorvolano la proibizione mitico-ontologica (antica e medievale)
delle Colonne d’Ercole e, in spirito ultra-umanistico e romantico, usano una seconda tradizione. In essa, Ulisse
rappresenta il modello della virtù e della saggezza, il vincitore del vizio, il
nobile ricercatore della conoscenza: in una parola, l’ideale dell’uomo
‘classico’…Cicerone, Orazio, Seneca[85],
ma anche Fulgenzio e, nel Medioevo stesso, Bernardo Silvestre e Giovanni del
Virgilio, contemporaneo e amico di Dante, parlano di Ulisse in questi termini”[86].
Dante apre il Convivio con la memorabile frase
aristotelica, “tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere”, e Ulisse è
il prototipo dell’uomo affamato di conoscenza.
Egli rischia la vita
molte volte per il desiderio di imparare. Le Sirene per attirarlo gli
dicono che chi si ferma da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose[87]
Dante-personaggio della Commedia si sente attratto verso Ulisse
da un desiderio intensissimo (“vedi che del desio ver’ lei mi piego”, dice a
Virgilio); eppure il poeta fiorentino avverte il pericolo estremo che Ulisse
rappresenta per lui
“Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio:
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e più lo ‘ngegno affreno ch’io non soglio,
perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ha dato ’l ben, ch’io stesso nol m’invidi”[88]
Infine, Dante-poeta fa affondare il suo eroe da Dio; Dante
il giudice lo condanna all’Inferno; e perfino dal Paradiso il
personaggio-autore ribadirà che il “varco” di Ulisse è stato “folle”.
E’ il suo passaggio
“Io vedea di là da Gade il varco/folle d’Ulisse” (XXVII,
82-83)
Dante è uno di quei poeti che, come Sofocle tra i Greci,
considerano limitata l’intelligenza umana e colpevole l’uomo che non tiene
imbrigliata la propria. Il che non toglie che entrambi sappiano trarre bellezza
dalle parole
Altri eroi
Prometeo incatenato
eroe-antieroe- Eschilo
Edipo a Colono eroe
della passività Sofocle
Ifigenia in Aulide
eroina della guerra santa Euripide
Anti eroi-Tersite (II dell’Iliade ai[scistoς ajnhvr (216)-cwlo;ς dj e{teron povda,
217).
Confronta la zoppia di Edipo e del tiranno in generale.
Periandro di Corinto
Il tiranno anti eroe nella storiografia: Policrate di Samo, Trasibulo
di Mileto, Periandro di Corinto, Tarquinio il Superbo.
Giasone nelle Argonautiche
di Apollonio Rodio. Antieroe dell’impotenza.
Giasone paralizzato dalla ajmhcaniva,
deve farsi aiutare da una donna che poi tradirà anticipa gli Oblomos e gli
Emilio Brentani, Zeno Cosini
Giasone davanti alle
difficoltà è colpito da ajmhcaniva (Apollonio
Rodio, Argonautiche, I, 460), impotenza. Il protagonista non ha la
baldanza né gli entusiasmi dell'eroe, ma vive in un limbo di mediocrità e
cautela, tormentato da indecisioni che
quasi paralizzano l'azione.
Lo
attanaglia un sentimento di impotenza e frustrazione.
Nell'eroe omerico
non manca mai la fiducia nell'azione che sta compiendo. Nelle Argonautiche invece l'impresa è sentita
fin dall'inizio come vuota di senso e fonte di un'angoscia paralizzante:
gli Argonauti desiderano tornare ancora prima di essere partiti. Giasone dice a
Issipile che su di lui incombono imprese angosciose (I, 841) ed egli vuole solo
la patria (I, 902).
Giasone è spesso in preda all'angoscia "ajmhcanevwn" (II, 885) anche con
sconforto sproporzionato rispetto alla situazione oggettiva. Cerca di
persuadere Eeta con la retorica, ma il barbaro re propone le prove che gettano
Giasone nella disperazione: "ajmhcanevwn
kakovthti"(423).
L'impresa si compie grazie a Medea.
Il termine ajmhcaniva condensa in pieno la passività del
protagonista. Questo d'altra parte è il termine chiave delle Argonautiche : molte scene sono
dominate da atti mancati, come quella di Eracle sì e no avvistato da Linceo.
giovanni ghiselli
il
blog-giovanni ghiselli blog- è arrivato a 202188 contatti
[1] J.Pierre Vernant, C’era una volta Ulisse, p.5.
[2] poluvmhti"
, vv. 311 e 44o
[3] Dii; mh'tin ajtavlanton,
v. 169. Anche in Iliade X, 137., di ugual peso di Zeus.
[4] ajganoi'" ejpevessin",
v. 180
[5] polumhvcano~,
v. 173 ricco di risorse
[6] Iliade II 216.ai[scisto"
ajnhvr
[7] e[cqisto~,
Iliade II, 220.
[8] Iliade II, 246.
[9] Iliade II, 264 ndr
[10] G. Murray, Le origini dell’Epica greca, p. 269.
[11] di'o",
v. 244, splendido, molto generico invero: attribuito in XIV, 3 dell'Odissea anche al porcaro il quale del
resto ha un comportamento nobile,; poi ptolivporqo", v 278 distruttore di rocche,
anche questo generico e attribuito pure, a maggior ragione, ad Ares, Achille e
Oileo
[12] eϋfronevwn,
Iliade II, v. 283, assennato
[13]Cantarella-Scarpat, Breve introduzione a Omero, p. 151.
[14] w{" te ga;r h] pai'de" nearoi; ch'raiv te gunai'ke"", Iliade II, v. 289
[15] l' a[ndra
del primo verso dell'Odissea
[16] H. Hesse, Siddharta, pp. 88-90.
[17]Scelta
di frammenti postumi 1887-1888
, p. 324.
[18] tlh'te, fivloi, kai; meivnat j ejpi; crovnon"(II, v. 299)
[19] S. Kierkegaard, Diario del seduttore , p. 75. La
citazione è tratta da Ovidio, Ars
Amatoria , II, 123-124. .
[20] meivwn me;n kefalh'/ jAgamevmnono" jAtreΐdao,/ eujruvtero" d& w[moisin ijde;
stevrnoisin ijdevsqai(vv.
193-194),
[21] stavntwn me;n Menevlao" uJpeivrecen eujreva" w{mou", v. 210.
[22] Zibaldone, 1692.
[23] S. Settis, Futuro del
'classico', p. 84.
[24]L'anello
di Clarisse , p.
6.
[25]L'anello
di Clarisse , p.
6.
[26]Poetica , 1459b.
[27]Nietzsche, Aurora , p. 40.
[28]Umano
troppo umano ,
(vol.2, p.211)
[29]Iliade , IX, 443.
[30]Orazio, Odi , I, 6, 5- 6: "
gravem /Pelidae stomachum cedere
nescii ", la funesta ira di Achille incapace di cedere.
[31] Aiace, vv. 479-480.
[32]Queste parole sono dette da
Ismene per Antigone : " ajll j ajmhcavnwn ejra'"", ma sei innamorata
dell'impossibile(v. 90), ma Knox assimila il carattere di Atene a quello di
tutti gli eroi sofoclei, e particolarmente a quello di Edipo: "Ho
affermato altrove che la stessa Atene, la sua eroica energia, il suo rifiuto di
ritirarsi, di piegarsi a compromessi, aveva ispirato la figura di Edipo tyrannos . Ma, come abbiamo visto, Edipo
è un personaggio dello stesso stampo degli altri eroi sofoclei" L'eroe sofocleo , in La tragedia greca. Guida storica e critica
. p.93 .
[33]Trad.
it. Garzanti,
Milano, 1974, p. 288.
[34] Op; cit., p. 1222.
[35]Iliade , IX, 319
[36]Iliade , I, 505
[37]Iliade , I, 507
[38] Platone scrive: “kalo;ς ga;r oJ kivndunoς” (Fedone,
114d), bello è infatti il rischio. E’ il rischio di credere nei miti relativi
alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è immortale.
[39]vv. 81-85.
[40]IX, 8, 1169 a 18 sgg.
[41]Paideia , I vol., pp. 46 e 47.
[42] P. Citati, Leopardi, p. 38
[43] Op. cit., pp. 38-39.
[44]Iliade , XII, 243. In risposta a
Polidamante
[45]"E qualcuno ora è vecchio-e
ti parla-...". C. Pavese: Dialoghi
con Leucò, Gli Argonauti .
[46]Orio e Guido Vergani, Caro Coppi , p. 78.
[47]Dei
Sepolcri ,
v.228. Del resto nelle Ultime lettere di
Jacopo Ortis Foscolo, attraverso un discorso attribuito al vecchio Parini
dà un'interpretazione pessimistica e riduttiva dell'eroe: "Forse questo
tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma-credimi-la fama
degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l'altro
quarto a' loro delitti"(Milano, 4 dicembre).
[48]VIII,
109, 3.
[49]E.
Rohde, Psiche , p. 150.
[50] Nella Repubblica di Platone, Socrate manifesta la sua diffidenza nei
confronti di Omero e della poesia che non consista in “inni agli dèi” ed “elogi
dei buoni”, attaccando in particolare la Musa drogata (th;n hjdusmevnhn[50]
Mou`san, 607) dei
canti lirici o epici che insediano piacere e dolore nel trono della città. Poi
però il filosofo abbozza una scusa, dicendo che tra la poesia e la filosofia
c’è un’antica ruggine (palaia; mevn
ti~ diaforav, 607b)
e cita alcuni sberleffi nei confronti della seconda, probabilmente dedotte dai
comici.
[51]Odissea , XI, 489.
[52]Repubblica , 386c. Più avanti(391c) Platone
aggiunge che non si deve ammettere nemmeno l'avidità illiberale di Achille né
il suo superbo disprezzo di uomini e dèi. Sentimenti che non si addicono a un
giovane nato da una dea, pronipote di Zeus e allevato dal sapientissimo
Chirone, proprio la ragione per cui, faccio notare, il figlio di Peleo viene
approvato da Euripide il quale, nell'Ifigenia
in Aulide , gli fa dire: " ejgw;
d&, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;"-Ceivrwno", e[maqon
tou;" trovpou" aJplou'" e[cein"(vv. 926-927), io, allevato nell'ambiente di
un uomo molto pio, di Chirone, ho imparato ad avere semplici i costumi.
[53]Repubblica , 388b.
[54]Iliade , VI, vv. 146-149.
[55]La
nascita della tragedia
cap. 3.
[56]R. Musil , L'uomo senza qualità ,pp. 243-244.
[57] Abbandona “gravida e soletta”
Deidamia nell’isola di Sciro per seguire Odisseo e Diomede a Troia (cfr. l’Achilleide di Stazio)
[58]Trattato
Di Storia Delle Religioni
, pp. 440-450.
[59]Doctor Faustus , p.691.
[60] i{n j h[qh mh;
mavqoi kakw'n brotw'n” (v. 709),
[61] ejgw; d j, ejn
ajndro;" eujsebestavtou trafei;"-Ceivrwno", e[maqon tou;"
trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926-927)
[62] Poikivlo~
ajei; pevfuke tou' t j o[clou mevta” (Ifigenia in Aulide, v. 526)
[63]Padeia
1, p. 69.
[64] o{" c j e{teron me;n keuvqh/ ejni; fresivn, a[llo de; ei[ph/", Iliade
IX, v. 313.
[65] Iliade IX, 682-683
[66] Iliade, IX, 650-655.
[67] Si pensi alla
rivendicazione di Prometeo nei confronti della propria trasgressione : “eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk
ajrnhvsomai
(Prometeo incatenato, 266) di mia
volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò.
Queste
parole del Titano ribelle forniscono una legittimazione all'ira di Zeus e
argomenti a Nietzsche in La nascita della
tragedia per nobilitare "la concezione ariana" del peccato attivo
: " La cosa migliore e più alta di cui l’umanità possa diventare
partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi accettarne le
conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui i celesti
offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza di ascendere: un
pensiero crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente contrasta con
il mito semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro
menzognero, la seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti
eminentemente femminili fu considerata come origine del male. Ciò che distingue
la concezione ariana è l’elevata idea del peccato
attivo come vera virtù
prometeica" F. Nietzsche. La nascita
della tragedia, p. 69.
[68] Ippia minore, 372 d
[69] Da calamistrum, “ferro per arricciare i capelli” (ndr).
[70] Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[71] Da ascisco, “annetto” (ndr).
[72] Fenice aveva pregato Achille di accettare i doni di
Agamennone, domare il cuore magnanimo (v. 496) e smettere l'ira (Iliade, IX, v. 517) facendogli l'esempio
(negativo) di Meleagro, il quale, irato contro la madre Altea che l'aveva
maledetto, non voleva difendere gli Etoli, che pure lo supplicavano offrendogli
dei doni, dai Cureti i quali assalivano Calidone. Il giovane ostinato
intervenne solo quando i nemici arrivarono a scuotere il talamo (v. 588) dove
egli giaceva con la sposa, la bella Cleopatra; allora ella lo pregò ed egli
intervenne in battaglia salvando gli Etoli che però non gli diedero più i doni
preziosi e belli (vv. 598-599).
[73]Nell'VIII dell'Odissea Demodoco canta tra l'altro: "nei'ko" jOdussh'o" kai; Phleïvdew jAcilh'o"",
la lite tra Odisseo e Achille Pelide.
[74]W.
Jaeger, Paideia 1, p. 61 n. 16.
[75] Cfr. Odissea, XI, 556.
[76] Foscolo, Dei
Sepolcri, vv. 221-225.
[77] pro;~ tou' kakivstou kajk kakw'n jOdusseuv~” (384)
[78] Aggettivo formato da poikivlo~,
variopinto e frhvn , mente.
[79] Secondo una leggenda Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con
Laerte, avrebbe avuto una tresca con Sisifo, famoso per i suoi inganni, e da
questa relazione sarebbe nato Odisseo
[80] Da pellicio, seduco. Cfr. pellacia,
adescamento, lusinga.
[81] Eneide III, 272-273
[82] “ Qui, come
annota Servio, si segue la leggenda secondo cui Anticlea, la madre di Odisseo,
prima delle nozze con Laerte, avrebbe giaciuto con Sisifo, figlio di Eolo, e
“vasel d’ogni froda”, dal quale avrebbe avuto Odisseo” (E Paratore (a cura di),
Virgilio, Eneide, vol. III, libri
V-VI, p. 292)
[83] Cfr. inglese to pretend, fingere.
[84] “e dentro dalla lor fiamma si
geme/l’agguato del caval” e “l’arte per che, morta,/Deidamia ancor si duol
d’Achille/ e del Palladio pena vi si porta” ( Inferno, XXVI, 58 sgg.
[85] Non certo il Seneca delle
tragedie ndr.
[86] P. Boitani, L’ombra di Ulisse, p. 54.
[87] kai; pleivona eijdwv"",
Odissea, XII, 188.
[88] Inferno, XXVI, 19-22
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