Richard Wagner |
Torniamo alla Poetica di Aristotele
Per quanto riguarda
la grandezza (to;
mevgeqo~), da
racconti brevi e un linguaggio scherzoso,
per il fatto che subì una trasformazione dal satiresco, la tragedia assunse
tardi una forma solenne, e il metro da tetrametro divenne giambico (1449a, 21).
All’inizio si usava il tetrametro per il fatto che la poesia era satiresca e
piuttosto adatta alla danza, poi, sviluppatosi il dialogo, la stessa natura del
parlato trovò il metro appropriato: mavlista ga; r lektiko; n tw'n mevtrwn to; ijambei'on
ejstin (1449a, 25), infatti il
giambo è il verso più adatto al parlato; un segno di questo è che noi nella
conversazione diciamo moltissimi giambi, mentre gli esametri li usiamo
raramente e solo quando usciamo dal tono della conversazione (1449a, 31).
La tragedia consta di sei parti qualitative (mevrh ei\nai e{x, kaq j
o{ poiav ti~ ejsti; n hJ tragw/diva,
1450a, 10) : racconto (mu'qo~), caratteri,
linguaggio, pensiero, spettacolo visivo, musica.
Il dramma dunque è
un'opera complessa. Wagner, nello scritto L'arte
e la rivoluzione (1849), la definisce "arte complessiva dove
l'elemento maschile e intellettuale, la parola, feconda quello femminile, la
musica che ha la risonanza dei tempi primordiali". La tragedia greca era
una forma d’arte connessa a una “religione inviscerata nelle leggi e ne’
costumi d’un popolo”[1], quello ateniese. Cito ancora Wagner: “L’opera
d’arte è la rappresentazione vivente della religione; ma la religione non
l’inventa l’artista: essa deve le sue origini al popolo”[2].
La tragedia complessa presenta peripezia e
riconoscimento. Infine c’è la catastrofe
Aristotele delle sei
parti considera importantissimo il racconto, ossia l'intreccio dei fatti che è
quasi l'anima della tragedia. I racconti possono essere semplici (aJploi', 1452a,
10) o complessi (peplegmevnoi). E’ semplice l’azione dove il cambiamento (hJ metavbasi~, 1452
a, 16) accade senza peripezia o riconoscimento, complessa
quella dove il cambiamento avviene meta; ajnagnwrismou' h] peripeteiva~ h] ajmfoi'n (Poetica,
1452a, 17), con riconoscimento o peripezia, o entrambi. Vediamo di che si
tratta.
"Peripezia (peripevteia) è il cambiamento repentino di ciò che
accade nel suo opposto, cosa che deve avvenire in maniera verosimile e
necessaria" (1452a, 11).
Viene fatto
l'esempio dell'Edipo re di Sofocle, quando
giunge un messo da Corinto per tranquillizzare il protagonista (vv. 924 e sgg.)
e invece dà l'avvio alla parte dell'indagine che porta al pavqo~, l’evento
doloroso e catastrofico, che, dopo
la peripezia e il riconoscimento, è la terza parte del racconto (trivton de; pavqo~, 1452b, 10), pravxi~ fqartikh; h] ojdunhrav (Poetica, 1452b, 11), un’azione
rovinosa o dolorosa.
Questo capovolgimento che inganna le attese
ottimistiche è tipica dei drammi di Sofocle: "In quattro tragedie, e cioè Antigone,
Aiace, Edipo re, Trachinie, poco prima della catastrofe, il Coro, convinto
o illuso che le cose stiano cambiando in meglio, si abbandona a una danza
allegra, l'iporchema. Teatralmente è una trovata geniale. Il pubblico che è, per
così dire, preveggente in quanto conosce la trama della vicenda, soffre per la
cecità del Coro, per la sua incapacità di prepararsi al peggio…La tragedia di
Sofocle è il resoconto di un assedio a cui il protagonista è sottoposto, per lo
più in modo terribile, e che si conclude con l'espugnazione del suo mondo. Si
può individuare una linea che ora ascende e ora discende, c'è un momento in cui
l'eroe sembra spuntarla sul male e sui nemici. Almeno così ritiene il Coro in
quattro tragedie su sette. Il suo comportamento sottolinea l'inadeguatezza
della ragione umana nel cogliere i movimenti profondi del divenire"[3]. “Forse è un decreto della provvidenza che
ci colga l’euforia quando stiamo davanti all’abisso”[4].
Tw/'
pavqei mavqo"
Vero è pure che il pavqo~ può essere valorizzato e redento dal mavqo~, secondo
quanto afferma il coro di vecchi argivi nella Parodo dell’Agamennone di Eschilo: tw/' pavqei mavqo" [5], attraverso la sofferenza si giunge alla
comprensione[6]. Una sentenza topica che ha avuto un lungo
seguito nella letteratura europea: da Euripide, a Menandro, a Proust, a Hermann
Hesse.
Vediamone alcune
espressioni.
Un tovpo" etico e psicologico diffuso è quello del tw/' pavqei mavqo"
[7], attraverso la sofferenza si giunge alla
comprensione[8]. Voglio darne un ampio quadro.
continua
[1]
Cfr. U. Foscolo, Ultime lettere di Iacopo
Ortis, 17 marzo 1798.
[2]
R. Wagner, L’opera d’arte dell’avvenire,
p. 133.
[3]
U. Albini, Nel nome di Dioniso, p. 51 e p. 251.
[4]
C. Wolf, Medea, p. 181
[5] Eschilo, Agamennone, 177.
[6] Si veda la massima beethoveniana
"Durch Leiden Freude", attraverso la sofferenza la gioia.
Ricavo il suggerimento da E. Morin, La testa ben fatta, p. 43 n. 7.
[7] Eschilo, Agamennone, 177. E, poco più avanti:
"goccia invece del sonno davanti al cuore/il penoso rimorso, memore delle
pene inflitte; e anche/sui recalcitranti arriva il momento della saggezza"
(kai; par j a[ -
konta" h\lqe swfronei'n, Agamennone, vv. 179 - 181).
[8] Si veda la massima beethoveniana
"Durch Leiden Freude", attraverso la sofferenza la gioia.
Ricavo il suggerimento da E. Morin, La testa ben fatta, p. 43 n. 7.
Bellissimo e interessante...non sono del tutto convinta che attraverso la sofferenza si giunca alla comprensione....magari. Spesso la sofferenza ottunde anche la comprensione e per la stupidità non esiste rimedio. Giovanna Tocco
RispondiEliminabellissimo corso!! grazie
RispondiEliminaMaddalena
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