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lunedì 28 settembre 2015

Sull’ignoranza di certi giornalisti

Jacques Louis David, Psiche

Nella Domenica del Sole 24 ore del 27 settembre trovo un articolo di Martino Menghi (Alla ricerca della “psiche”, p. 30, che recensisce il libro di A. A, Long Greek Models of Mind ad Self, Hard University Press, Cambridge Massachussets, London, England, pagg. 230).
Questa recensione passa in rassegna la presenza della psyche in Omero, Esiodo, Pindaro, senza dire nulla di nuovo e senza commettere errori.
Da notare invece lo sbaglio non piccolo quando passa a Platone.
Prima viene menzionato il Fedone “che sancisce in via definitiva il primato dell’anima sul corpo”. Fin qui più o meno ci siamo.
Però poi procede: “Ma Platone si spinge oltre teorizzando nella Repubblica un’anima non più in conflitto con il corpo, bensì con se stessa. Suddividendola in tre parti, il filosofo assegna alla ragione, la sua dimensione più alta, il compito di governare con l’aiuto dell’anima emotiva quella in cui risiedono i desideri più pericolosi (di cibi, di bevande, di eros e d’altro canto, di ricchezza e di potere necessari per soddisfare i primi). Questo schema, applicabile tanto all’individuo che al corpo cittadino (data l’analogia filosofi-ragione, guardiani-spirito collerico, mondo della produzione-anima desiderante, dove le prime due sono chiamate a governare la terza) rappresenta, com’è noto, un’utopia, poiché storicamente si assiste di solito alla detronizzazione della ragione tanto nel singolo che nella collettività e alla progressiva rivincita degli appetiti più deleteri”.
La parte dell’anima nella quale risiedono “i desideri più pericolosi”, quelli “di cibi, di bevande, di eros e d’altro canto, di ricchezza e di potere necessari per soddisfare i primi” è il to; ejpiqumhtikovn l'elemento appetitivo (cfr. ejpiqumevw, "bramo"), ed è la parte maggiore in ciascuno e la più insaziabile di ricchezze (o} dh; plei`ston th`~ yuch`~ ejn eJkavstw/ ejsti, kai; crhmavtwn fuvsei ajplhstotaton, Repubblica, 442).
Ebbene questo elemento non aiuta la parte razionale-to; logistikovn-cui tocca di comandare (a[rcein proshvkei) alle altre due componenti: allo ejpiqumhtikovn appunto e allo qumoeidev~, l’emotivo animoso, irascibile cui spetta, a lui sì, -(proshvkei) di essere soggetto e alleato di questo, cioè del logistikovn, del razionale (tw`/ de; qumoeidei` uJphkovw/ ei\nai kai; summavcw/ touvtou 441e).
 E “come nella città ci sono tre stirpi (triva gevnh, 441): crhmatistikovn , quello affaristico, ejpikourhtikovn, quello ausiliario militare, e bouleutikovn, e quello idoneo a prendere decisioni politiche, così anche nell’anima c’è lo qumoeidev~ ejpivkouron o]n tw`/ logistikw`/ fuvsei, l’irascibile ausiliario per natura del razionale.
Il recensore dunque, e forse anche il recensito, ha fatto un grosso sbaglio scrivendo che la parte razionale ha “il compito di governare con l’aiuto dell’anima emotiva quella in cui risiedono i desideri più pericolosi (di cibi, di bevande, di eros e d’altro canto, di ricchezza e di potere necessari per soddisfare i primi)”.

Per chiarire meglio riporto anche alcune parole del Fedro, dove si ragiona di amore.
In questo dialogo Platone fa dire a Socrate che l’anima umana si può paragonare a una potenza naturalmente composta da un cocchio tirato da due cavalli alati e guidato da un auriga (246a)
 Un cavallo è buono, di colore bianco, ben fatto, amante di gloria e di temperanza; l’altro cavallo è nero, contorto massiccio, messo insieme a casaccio (eijkh`/,), amico della protervia e dell’impostura 253e.
Il bianco è obbediente all’auriga (oJ me;n eujpeiqh;~ tw`/ hJnivovcw/, 254a) ed è tenuto a freno dal pudore e si trattiene dal balzare addosso all’amato. L’altro invece si porta avanti skirtw`n de; biva/, balzando con violenza.
Talora l’auriga e il cavallo bianco vengono trascinati e si sentono costretti a cose vergognose e inique. Giunti vicino all’amato, l’auriga ricorda la natura del Bello e lo vede collocato con la Temperanza (meta; swfrosuvnh~, 254b) su un piedistallo immacolato. Sicché l’hJnivoco~ tira indietro le redini e i due cavalli devono piegarsi sulle cosce; il riottoso contro la sua volontà. Quando riprende fiato, il cavallo nero lancia insulti con ira (ejloidovrhsen ojrgh`/, 254c) contro l’auriga e il compagno accusandoli di viltà e debolezza. Quindi riprende a tirare e trascina con impudenza (met j ajnaideiva~ e{lkei (254d).
Ma l’auriga tira indietro il freno dai denti del cavallo protervo con maggior forza e insanguina la lingua maldicente e le mascelle e gli fa piegare a terra le cosce. Dopo che questa mossa si è ripetuta più volte il malvagio fa cessare la sua protervia, umiliato dalla previdenza dell’auriga, e quando vede il bello si sente venir meno per la paura: kai; o{tan i[dh to;n kalovn, fovbw/ diovllutai (254e).
Non è difficile assimilare il cavallo nero, impudico e riottoso all’ejpiqumhtikovn che dunque non è alleato del logistikovn, dell’auriga, ma un ribelle da tenere a bada con l’aiuto dello qumoeidev~.

giovanni ghiselli


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2 commenti:

  1. La modernità dei greci è affascinante,parlano veramente di noi. Bisogna essere capaci di leggerli in lingua originale per cogliere tutte le sfumature come te,Gianni. Giovanna Tocco

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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