Presentazione del libro di Remo Bodei
La civetta e la
talpa. Sistema ed epoca in Hegel
Il Mulino, Bologna 2014
La filosofia
dunque “aggiunge alla realtà globale dell’epoca soltanto la sua comprensione[1] (…)
ma tale comprensione è una crescita della realtà stessa, qualcosa che incide
nuovamente a sua volta, con un ‘anello di retroazione positivo’, sulla realtà
di partenza: “questo sapere stesso è la realtà in atto dello spirito che prima
non esisteva: sicché la differenza formale è anche un’effettiva differenza
reale. Mediante il sapere lo spirito pone una differenza fra il sapere medesimo
e ciò che è; questo sapere poi provoca una nuova forma di movimento. Le nuove
forme dapprima sono solo modi di sapere, e così nasce una nuova filosofia;
tuttavia, siccome questa è già manifestazione di un grado superiore dello
spirito, è anche la culla interiore da cui lo spirito medesimo più tardi
assurgerà a formazione reale”[2](p.
33)
Il sapere, o la
sapienza[3],
che si fa realtà, che modifica la realtà, o almeno la percezione della realtà,
è riscontrabile anche a livello di psicologia individuale.
Cicerone nel De officiis[4] mette
in rilievo il fatto che la conoscenza (cognitio) sarebbe manchevole in
un certo modo e incompiuta (manca (…) atque inchoata)
se non ne seguisse alcuna attività pratica:"si nulla actio rerum
consequatur (I, 153). Tale attività deve vedersi nella tutela dei
vantaggi dell'uomo, e, siccome riguarda la società del genere umano, tale actio va
anteposta alla conoscenza priva di azione :" haec cognitioni
anteponenda est" I, 153.
Se alla conoscenza
non fosse connessa la virtus, che contribuisce alla tutela degli uomini,
talecognitio risulterebbe solivaga et ieiuna (I, 157),
isolata e arida. Quindi ogni officium che mira ad
societatem tuendam, a difendere la società umana, deve essere anteposto ai
compiti che si limitano alla conoscenza teorica (De officiis, I, 158).
“Il sapere dunque
fa compiere un progresso alla realtà, perché da un lato affretta il corso
oggettivo della degradazione degli ordinamenti vigenti, dall’altro anticipa nel
pensiero le soluzioni che si riverseranno poi (una volta assorbite da vasti
strati di persone, come nel periodo che precede immediatamente la Rivoluzione
francese) ancora nel mondo esterno. La razionalità prefigurata dal pensiero
travolge ogni ostacolo positivo e ogni istituzione non commisurata alla
ragione” (p. 34)
La “razionalità
prefigurata dal pensiero” assume funzione analoga a quella che per diversi
autori greci ha l’Ananche, la Necessità.
Nell’ultimo canto
corale dell'Alcesti leggiamo:"krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu\ron",
non ho trovato niente più forte della necessità (vv.965-966).
Il fuso della
Necessità ( jAnavgkh" a[trakton) secondo Platone è l'asse dell'universo
attraverso il quale avvengono tutti i movimenti circolari: "di j ou|
pavsa" ejpistrevfesqai ta;" periforav""(Repubblica 616c).
E nelle Leggi: “ajnavgkhn
de; oude; qeo;~ ei\nai levgetai dunato;~ biavzesqai” (741), neppure la
divinità, si dice, è capace di forzare la necessità.
Il sapere insomma
ha una forza propulsiva e il pensiero nei secoli ha accresciuto la propria
presa della realtà fino a dominarla. La vita odierna è guidata da “forme
universali, leggi, doveri, diritti, massime che ci guidano “nella aggrovigliata
situazione della vita civile e politica attuale”[5]
“Da tale punto di
vista, “l’età nostra” è da paragonare al mondo romano”: in entrambi i casi
domina l’universale, ma nel presente come “egemonia del pensiero autocosciente,
che vuole e conosce l’universale e governa il mondo. L’intelligente finalità
dello Stato è ora sussistente nella realtà: privilegi e particolarità si
dissolvono, e così i popoli hanno il diritto: non privilegi, ma il diritto di
volere”[6] (p.
36)
“Nel mondo romano
l’universale (lo Stato) veniva subìto come finalità esterna, non voluto o
conosciuto come ora, in un’epoca in cui il pensiero ha la possibilità di
mettere sotto controllo l’universale stesso e di assimilarlo”.
La mancanza di
conoscenza dell’universale dello Stato da parte delle masse e la funzione della
volontà del popolo viene messa in luce pessimisticamente da Lucano: Giulio
Cesare sapeva bene che le cause delle ire e i massimi movimenti di favore
popolare sono trascinati dai prezzi del mercato (“gnarus et irarum causas et
summa favoris-annona momenta trahi…”, Pharsalia, III, 55-56). E
continua: “…Namque asserit urbis-sola fames, emiturque
metus cum segne potentes-vulgus alunt: nescit plebes ieiuna timere” (56-58),
infatti è solo la fame che proclama libere le città, e si compra la paura,
quando i potenti nutrono il volgo ozioso: la folla affamata non sa avere paura.
Già Virgilio nell’Eneide descrive
l’ignobile vulgus (I, 149) che infuria agitato, fa volare fiaccole
e pietre, armato dal furore, ma quando vede un uomo di peso per la pietas e
i meriti, quegli uomini sconvolti “…silent arrectisque auribus adstant; ille
regit dictis animos et pectora mulcet” (I, 151-152), fanno silenzio e
drizzati gli orecchi[7] si
fermano, quello parlando guida gli animi e ammansisce i cuori
La bestiale
cagnara è sedata dal vir pietate gravis ac meritis (I, 151)
Secondo Hegel nel
suo tempo le cose sono cambiate: “Il pensiero, infatti, ha ormai filtrato non
solo l’intuizione e la rappresentazione, ma tutta la vita e tutte le
istituzioni, in un crescendo di razionalizzazione che travolge ogni ristagno
“positivo”, ogni privilegio. Per questo, anche l’intervento del singolo, e
specialmente del filosofo, sulla storia e le istituzioni non può prescindere
dalla razionalità e dalla presa di coscienza dell’effettualità del mondo.
L’equazione reversibile “ciò che è effettuale è razionale[8] è
il passaggio chiave di questa dialettica hegeliana che Alexandr Herzen definiva
l’”algebra della rivoluzione”. La modificazione della realtà effettuale deve
passare per la realtà effettuale stessa intesa nella sua razionalità. (La
civetta e la talpa, p. 36)
Giovanni Ghiselli
[1] Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der Philosophie, cit. vol XIII, p. 69 (trad. it. cit.,
vol I, p. 67)
[2] Ibid. trad. it. cit. vol
I, p. 67
[3] Tenendo conto di quanto dice il Coro delle
Baccanti di Euripide: "to; sofo;n d j ouj sofiva" ( v. 395), il
sapere non è sapienza.
[4] 44 a. C.
[5] Hegel, Vorlesungen
über die Aesthetik, cit., vol X, p. 15 (trad. it. Cit., p. 15)
[6] Hegel, Philosophie
der Weltgeschichte, cit., pp. 766-767 (trad. It. Cit. vol IV, pp. 14-15)
[7] Plutarco nei Poilitika; paraggevlmata ( Consigli
politici, del 100 d. C. circa) riferisce l’espressione proverbiale per cui
non si può domare un lupo tenendolo per gli orecchi, quindi aggiunge che invecedh`mon
de; kai; povlin ejk tw`n w[twn a[gein dei` mavlista (802 d), un popolo e una
città si devono guidare soprattutto dagli orecchi.
[8] Su questa famosa espressione vedi più avanti ,
pp. 69-70.
Devo purtroppo dire che la scuola di massa non ha diminuito l'ignoranza nel mondo. Giovanna Tocco
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