NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 8 ottobre 2015

Introduzione alla tragedia greca: Eschilo. Parte I

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Eschilo


Sommario
Vita e opere. Le Supplici e la guerra tra i sessi. Il Titano protagonista del Prometeo incatenato ha presofferto tutto. Pelasgo è il monarca democratico. Serse, il grande re dei Persiani è un despota. Il codice tripartito delle Supplici e delle Eumenidi. Eschilo tende al compromesso e alla conciliazione. Il compromesso delle Eumenidi è in realtà una vittoria del patriarcato e del maschilismo. Eschilo personaggio delle Rane di Aristofane.

Nacque nel demo attico di Eleusi intorno al 525, da nobile famiglia. Oltre a scrivere una novantina di opere teatrali, fra tragedie e drammi satireschi, e a recitare, combatté a Maratona[1], dove, inseguendo i Persiani sulle navi, morì suo fratello Cinegiro il quale si era afferrato agli aplustri e cadde th; n cei'ra ajpokopei; ~ pelevkei>, con la mano mozzata da un colpo di scure[2].

Dieci anni più tardi, Eschilo partecipò alla battaglia di Salamina, quando Euripide nasceva, e Sofocle diciassettenne si preparava a guidare il coro che doveva cantare il peana per la vittoria sui barbari. Fu dunque uno di quei "vecchi maratonomachi, duri, robusti, crudi, solidi come aceri", bonariamente canzonati da Aristofane negli Acarnesi (vv. 180 - 181). A questa sua parte nella vita non diede minore importanza che a quella di poeta e di attore, se è vero che per la propria tomba scrisse: "questo sepolcro racchiude Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela ricca di messi. Il suo valore glorioso possono raccontarlo, il bosco di Maratona e il Medo dalle lunghe chiome, poiché l'ha conosciuto "[3].

 Di qui si vede quanto il poeta fosse lontano dall'intellettuale da tavolino. Eschilo aveva partecipato ai concorsi tragici, e vinto, già prima di Maratona. Nel 472 ottenne di nuovo il premio[4] con i Persiani, drammatizzazione della seconda guerra tra Greci e Barbari. Tra il 472 e il 468 soggiornò in Sicilia dove fu invitato da Ierone di Siracusa[5].
Qui Eschilo compose le Etnee per celebrare la fondazione di Etna da parte del suo potente ospite. Questa tragedia non ci è arrivata. Nel 467 vinse di nuovo con la tetralogia tebana di cui ci sono giunti i Sette contro Tebe.

Un problema grande nell’uomo greco è quello della ereditarietà delle colpe dei padri. Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette a Tebe non è personalmente colpevole ma deve pagare per: "la trasgressione antica/dalla rapida pena/che rimane fino alla terza generazione: /quando Laio faceva violenza/ad Apollo che diceva tre volte, /negli oracoli Pitici dell'ombelico/del mondo, di salvare la città/morendo senza prole; /ma quello vinto dalla sua dissennatezza/generò il destino per sé, /Edipo parricida, /quello che osò seminare/il sacro solco della madre, dal quale nacque/radice insanguinata, /e fu la pazzia a unire/gli sposi dementi" (vv. 742 - 757).
Il Coro dell ’Antigone deplora la catastrofe della ragazza con queste parole: "Avanzando verso l'estremità dell'audacia, /hai urtato, contro l'eccelso trono della Giustizia, /creatura, con grave caduta, / del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853 - 856).
Ora leggiamone un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di Pasolini: “Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. E’ il coro - un coro democratico - che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”
Pasolini trova una ragione nella legge della tragica predestinazione a ereditare le colpe: i giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico - fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”. I figli dunque sono puniti. “Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda senza risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione - che pareva così ciecamente irrazionale e crudele - del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.
E le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché c’è - ed eccoci al punto - un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese [6].

Nei Sette contro Tebe il coro è formato da ragazze tebane che nella Parodo lanciano grida di spavento, non prive del resto di immagini poetiche:
"attraverso le mascelle equine/le briglie arpeggiano strage" (vv. 122 - 123).
Sono invocati gli dèi olimpii:
"ascoltate, ascoltate come è giusto/le preghiere dalle mani tese delle ragazze" (171 - 172).

Le suppliche del coro femminile però non incontrano l'approvazione di Eteocle che anzi prorompe in una delle più aspre tirate antifemministe della letteratura greca:
"domando a voi, branco insopportabile, /sono forse questi gli incoraggiamenti migliori/ per questo popolo assediato ed è la salvezza della città/il vostro urlare e gridare, cadute davanti alle statue/degli dèi protettori, odio dei saggi che siete?/Che io non conviva, né in brutte situazioni/e nemmeno nel caro benessere con la razza delle donne. /Infatti quando prende il sopravvento è di un'audacia intrattabile, /quando ha paura è un male ancora più grande nella casa e nella città". (vv. 181 - 189). Le ragazze terrorizzate diffondono viltà tra i difensori: dunque si chiudano nelle case: "infatti stanno a cuore agli uomini le faccende di fuori, /non le decida la donna: e tu, rimanendo dentro, non fare danno" (vv. 200 - 201). Eteocle esige di essere obbedito subito, senza repliche: "la disciplina infatti è madre del successo /che salva, o donna; il discorso sta in questi termini" (vv. 224 - 225).. "il tuo compito è tacere e rimanere dentro casa" (232).
Questa ingiunzione ritorna nella secca risposta dell'Aiace di Sofocle all'amante Tecmessa che cerca di distoglierlo dalla pazzia:
"donna, alle donne porta ordine e bellezza il silenzio" (v. 293). Aiace del resto è uno dei non pochi antifemministi suicidi: infatti non giunge all'accordo con la vita chi non lo trova con la donna.
Quest'idea si trova, espressa oltretutto con parole simili, anche negli Eraclidi di Euripide dove Macaria dice a Demofonte
" per la donna infatti il silenzio e la temperanza è
 la cosa più bella, e rimanere tranquillamente dentro casa" (476 - 477). 
Nelle Troiane di Euripide invece, le donne contrappongono la loro visione della guerra a quella degli uomini. Ed è una visione più chiara, più umana. 


continua






[1] 490 a. C.
[2] Erodoto, Storie, VI, 114
[3] Questo epitafio è tramandato nella biografia anonima del codice Mediceo 32. 9.
[4] Pericle era il corego, Eschilo ebbe la vittoria” (S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I, p. 89.
[5] Celebrato da Pindaro nell’ Olimpica I per la vittoria del cavallo Ferenìco nell’Olimpiade del 476 a. C. Ne riporto alcuni versi: “e non cantiamo un agone più prestante di Olimpia: /da dove l'inno pieno di gloria si lancia intorno/alle menti dei poeti, così che celebrano/il figlio di Crono, giunti al ricco/ e felice focolare di Ierone, /che possiede il giusto scettro nella Sicilia/ferace di frutti mietendo le cime da tutte le virtù, /e si adorna anche/nel fiore dei canti /quali sono i carmi che componiamo per diletto, noi uomini/spesso intorno alla mensa ospitale. Avanti, stacca/dal piolo la dorica cetra, /se in qualche modo anche a te la gloria di Pisa e di Ferenico/ha posto la mente sotto pensieri dolcissimi, /quando lungo l'Alfeo si lanciò con/ il corpo senza sproni nella corsa, /e unì il suo padrone alla vittoria, /il re siracusano/che si allieta dei cavalli; e brilla la sua gloria/nella colonia ricca di prodi del lidio Pelope” (vv. 7 - 25).
[6] P. P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5 - 12. 

1 commento:

  1. Mi piacerebbe approfondire il tema del senso di colpa ereditato dai padri,mi pare che sia molto presente anche nell'uomo moderno. Ritengo che sia uno dei motivi che rendono tanto attuale la tragedia greca. Giovanna Tocco

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