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Eschilo
Eschilo
Sommario
Vita e opere. Le Supplici e la guerra tra i sessi. Il Titano protagonista del Prometeo incatenato ha presofferto tutto.
Pelasgo è il monarca democratico. Serse, il grande re dei Persiani è un despota. Il codice tripartito delle Supplici e delle Eumenidi. Eschilo tende al compromesso e alla conciliazione. Il
compromesso delle Eumenidi è in
realtà una vittoria del patriarcato e del maschilismo. Eschilo personaggio
delle Rane di Aristofane.
Nacque
nel demo attico di Eleusi intorno al 525, da nobile famiglia. Oltre a scrivere
una novantina di opere teatrali, fra tragedie e drammi satireschi, e a recitare,
combatté a Maratona[1],
dove, inseguendo i Persiani sulle navi, morì suo fratello Cinegiro il quale si
era afferrato agli aplustri e cadde th; n cei'ra ajpokopei; ~ pelevkei>, con la mano mozzata da un colpo di scure[2].
Dieci
anni più tardi, Eschilo partecipò alla battaglia di Salamina, quando Euripide
nasceva, e Sofocle diciassettenne si preparava a guidare il coro che doveva
cantare il peana per la vittoria sui barbari. Fu dunque uno di quei "vecchi
maratonomachi, duri, robusti, crudi, solidi come aceri", bonariamente
canzonati da Aristofane negli Acarnesi
(vv. 180 - 181). A questa sua parte nella vita non diede minore importanza che
a quella di poeta e di attore, se è vero che per la propria tomba scrisse: "questo
sepolcro racchiude Eschilo, figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela ricca
di messi. Il suo valore glorioso possono raccontarlo, il bosco di Maratona e il
Medo dalle lunghe chiome, poiché l'ha conosciuto "[3].
Di qui si vede quanto il poeta fosse lontano
dall'intellettuale da tavolino. Eschilo aveva partecipato ai concorsi tragici, e
vinto, già prima di Maratona. Nel 472 ottenne di nuovo il premio[4]
con i Persiani, drammatizzazione della seconda guerra tra Greci e
Barbari. Tra il 472 e il 468 soggiornò in Sicilia dove fu invitato da Ierone di
Siracusa[5].
Qui Eschilo compose
le Etnee per celebrare la fondazione
di Etna da parte del suo potente ospite. Questa tragedia non ci è arrivata. Nel
467 vinse di nuovo con la tetralogia tebana di cui ci sono giunti i Sette
contro Tebe.
Un problema grande
nell’uomo greco è quello della ereditarietà
delle colpe dei padri. Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette
a Tebe non è personalmente colpevole ma deve pagare per: "la
trasgressione antica/dalla rapida pena/che rimane fino alla terza generazione: /quando
Laio faceva violenza/ad Apollo che diceva tre volte, /negli oracoli Pitici
dell'ombelico/del mondo, di salvare la città/morendo senza prole; /ma quello
vinto dalla sua dissennatezza/generò il destino per sé, /Edipo parricida, /quello
che osò seminare/il sacro solco della madre, dal quale nacque/radice
insanguinata, /e fu la pazzia a unire/gli sposi dementi" (vv. 742
- 757).
Il
Coro dell ’Antigone deplora la catastrofe della ragazza con queste parole:
"Avanzando verso
l'estremità dell'audacia, /hai urtato, contro l'eccelso trono della Giustizia, /creatura,
con grave caduta, / del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853 - 856).
Ora leggiamone
un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di Pasolini: “Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico
greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa
se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi
devono essere puniti. E’ il coro - un coro democratico - che si dichiara
depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto
gli pare naturale”
Pasolini
trova una ragione nella legge della tragica predestinazione a ereditare le
colpe: i giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi
responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico - fascista, fintamente
democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere
dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”. I figli dunque sono
puniti. “Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei
padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda
senza risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il
lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e
tragicamente, comprensibile l’affermazione - che pareva così ciecamente
irrazionale e crudele - del coro democratico dell’antica Atene: che i figli
cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano
delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e
imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.
E
le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e
l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?
“Perché
c’è - ed eccoci al punto - un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente
comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che
quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura
della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe
in questo: credere che la storia non sia
e non possa essere che la storia borghese” [6].
Nei
Sette
contro Tebe il coro è
formato da ragazze tebane che nella Parodo lanciano grida di spavento, non
prive del resto di immagini poetiche:
"attraverso le mascelle equine/le briglie
arpeggiano strage" (vv. 122 - 123).
Sono invocati gli
dèi olimpii:
"ascoltate, ascoltate come è giusto/le
preghiere dalle mani tese delle ragazze" (171 - 172).
Le suppliche del
coro femminile però non incontrano l'approvazione di Eteocle che anzi prorompe
in una delle più aspre tirate antifemministe della letteratura greca:
"domando a voi, branco insopportabile, /sono
forse questi gli incoraggiamenti migliori/ per questo popolo assediato ed è la
salvezza della città/il vostro urlare e gridare, cadute davanti alle
statue/degli dèi protettori, odio dei saggi che siete?/Che io non conviva, né
in brutte situazioni/e nemmeno nel caro benessere con la razza delle donne. /Infatti
quando prende il sopravvento è di un'audacia intrattabile, /quando ha paura è
un male ancora più grande nella casa e nella città". (vv. 181 - 189). Le
ragazze terrorizzate diffondono viltà tra i difensori: dunque si chiudano nelle
case: "infatti stanno a cuore agli
uomini le faccende di fuori, /non le decida la donna: e tu, rimanendo dentro, non
fare danno" (vv. 200 - 201). Eteocle esige di essere obbedito subito, senza
repliche: "la disciplina infatti è
madre del successo /che salva, o donna; il discorso sta in questi termini"
(vv. 224 - 225).. "il tuo compito è
tacere e rimanere dentro casa" (232).
Questa ingiunzione
ritorna nella secca risposta dell'Aiace di Sofocle all'amante Tecmessa
che cerca di distoglierlo dalla pazzia:
"donna, alle donne porta ordine e bellezza
il silenzio" (v. 293). Aiace del resto è uno dei non pochi
antifemministi suicidi: infatti non giunge all'accordo con la vita chi non lo trova
con la donna.
Quest'idea si trova,
espressa oltretutto con parole simili, anche negli Eraclidi di Euripide dove
Macaria dice a Demofonte
" per la donna infatti il silenzio e la
temperanza è
la
cosa più bella, e rimanere tranquillamente dentro casa" (476 - 477).
Nelle Troiane
di Euripide invece, le donne contrappongono la loro visione della guerra a
quella degli uomini. Ed è una visione più chiara, più umana.
continua
[1] 490 a. C.
[2]
Erodoto, Storie, VI, 114
[3]
Questo epitafio è tramandato nella biografia anonima del codice Mediceo 32. 9.
[4]
Pericle era il corego, Eschilo ebbe la vittoria” (S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, I, p. 89.
[5] Celebrato da Pindaro nell’ Olimpica I per la vittoria del cavallo Ferenìco nell’Olimpiade del
476 a. C. Ne riporto alcuni versi: “e non cantiamo un agone più prestante di
Olimpia: /da dove l'inno pieno di gloria si lancia intorno/alle menti dei
poeti, così che celebrano/il figlio di Crono, giunti al ricco/ e felice
focolare di Ierone, /che possiede il giusto scettro nella Sicilia/ferace di
frutti mietendo le cime da tutte le virtù, /e si adorna anche/nel fiore dei
canti /quali sono i carmi che componiamo per diletto, noi uomini/spesso intorno
alla mensa ospitale. Avanti, stacca/dal piolo la dorica cetra, /se in qualche
modo anche a te la gloria di Pisa e di Ferenico/ha posto la mente sotto
pensieri dolcissimi, /quando lungo l'Alfeo si lanciò con/ il corpo senza sproni
nella corsa, /e unì il suo padrone alla vittoria, /il re siracusano/che si
allieta dei cavalli; e brilla la sua gloria/nella colonia ricca di prodi del
lidio Pelope” (vv. 7 - 25).
[6]
P. P. Pasolini, Lettere luterane, I
giovani infelici, pp. 5 - 12.
Mi piacerebbe approfondire il tema del senso di colpa ereditato dai padri,mi pare che sia molto presente anche nell'uomo moderno. Ritengo che sia uno dei motivi che rendono tanto attuale la tragedia greca. Giovanna Tocco
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