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L’enciclica
di Papa Francesco Laudato si’
dovrebbe venire studiata ed essere conosciuta dai nostri politici e
amministratori.
Francesco
parte citando il santo suo eponimo quando loda il Signore per “sora nostra
madre terra/la quale ne sustenta et governa,/et produce diversi fructi con
coloriti fiori et herba”.
Il
papa associa la malattia del suolo, dell’acqua e dell’aria alla “violenza che
c’è nel cuore umano ferito dal peccato” (Laudato
si’, 2).
Voglio
provare a riferire alcune osservazioni cruciali dell’enciclica Laudato sì’ all’ attuale amministrazione
di Bologna dove vivo dal 1963, non senza aggiungere qualche cenno a quelladi
Pesaro da dove provenni come migrante e studente in quell’anno, ahimé,
tragicamente lontano.
Il
suolo dunque qui in Emilia è tenuto piuttosto bene, la campagna viene curata.
Quello che mi manca, come pedone e come ciclista, è l’attenzione e il rispetto
di chi usa troppo e male l’automobile o le motociclette. Temete la morte per
macchina! (fear death by car).
Vivo
nel quartiere Fossolo: da questa parte in alcune strade di traffico troppo
veloce certe macchine corrono alla velocità scelta arbitrariamente da chi le
guida.
Chi agisce senza controllo può fare molto
male.
Il despota appunto non subisce controlli.
Ebbene su molte strade italiane vige la “motocrazia”, la prepotenza dei
motorizzati. Costoro hanno un potere del tutto arbitrario su pedoni e ciclisti,
quotidianamente intimoriti, spaventati o addirittura terrorizzati,
“Se
i cittadini non controllano il potere politico-nazionale, regionale e
municipale-neppure è possibile un contrasto dei danni ambientali” (Laudato si’, 179).
Anche la prepotenza
delle macchine andrebbe controllata. A Pesaro va molto peggio: il viale della
Vittoria che divide la zona mare dal vecchio centro, d’estate viene percorso
per gran parte del dì e della notte da motociclette rombanti lanciate a 90
all’ora tra un semaforo e l’altro senza sanzione alcuna. Ogni mese decine di
persone, tra cui gli stessi motorizzati, muoiono travolte da questa licenza
concessa a chi guida automobili e motociclette. Da parte dei comuni c’è
un’omissione di atti d’ufficio se i limiti di velocità segnati sulle strade
vanno fatti rispettare.
Ma andiamo avanti
“La politica non deve sottomettersi all’economia (…)
Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la
politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della
vita, specialmente della vita umana” (Laudato
si’, 189).
Certamente non è al servizio della vita la politica
che esulta per l’apertura di una nuova fabbrica di automobili o celebra la
fabbrica della Philip Morris che produce sigarette fatte con foglie riscaldate
invece vhe bruciate, comunque sempre patogene. Tale festeggiamento festeggia le
malattie, dà loro il benvenuto.
Ben vengano certamente i posti di lavoro, ma questo
dovrebbe costruire beni conumi, utili a tutti: scuole, ospedali, ferrovie,
risanare il territorio troppo e mal cementificato e così via.
La cultura della cura
Chi governa un popolo dovrebbe testimoniare “una
cultura della cura che impregni tutta la società” (Laudato si’, p 231)
Nel
Politico, Platone fa dire allo
straniero di Elea che l’arte politica regia è quella di prendersi cura
dell’intera comunità umana (ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b). Guidare
gli uomini come fanno i pastori con gli animali, dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n tevcnhn, tecnica
dell’allevamento, non basilikh;n kai; politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica.
Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende cura (ejpimevleian) di uomini
bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn dipovdwn, 276d ).
Papa Francesco
denuncia gli stili di vita dannosi e grossolani. Ebbene, questi vengono
pubblicizzati continuamente. L’unica difesa contro la pubblicità viene dalla
cultura. Bologna in effetti offre occasioni culturali molto al di sopra della
media delle città italiane: ci sono tante biblioteche attrezzate e gestite bene
che oltre mettere a disposizione libri e film, organizzano incontri della
cittadinanza con studiosi e scrittori, c’è una cineteca di valore
internazionale, ci sono alcune sale cinematografiche dove proiettano solo film
di qualche valore e c’è una Università che attira da ogni parte d’Italia
giovani che vivacizzano e rallegrano questa città.
Chi la amministra
deve valorizzare ulteriormente questi aspetti per i quali Bologna è un luogo
significativo. Chi scrive è un vecchio pesarese che testimonia quanto afferma
con la scelta di essere rimasto a vivere qui dopo avere compiuto gli studi
universitari.
Certamente non
mancano gli aspetti negativi come la cucina grassa e pesante, i prezzi
esorbitanti, il sussistere di sacche profonde di ignoranza non abbastanza
contrastata. All’ultima festa dell’Unità terminata da poco, per esempio, ci sono
stati molti eventi interessanti grazie soprattutto alla Casa dei pensieri di
Davide Ferrari, eppure gran parte dello spazio di questa manifestazione, che prolunga
e conclude l’estate, era occupata da locali chiassosi, compresa una discoteca,
forieri di tanto rumore da ostacolare l’ascolto e l’eloquio di chi parlava di
politica o di letteratura nelle sale delle conferenze e dei dibattiti.
Credo che tali circenses non dovrebbero essere offerti
al popolo incolto per non renderlo ancora più incolto.
Le feste di un
patito democratico dovrebbero avere sempre una facies culturale prevalente.
Papa Bergoglio fa una riflessione su “La vera
sapienza” che è “frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso
fra le persone”. Essa dunque “non si acquisisce con una mera accumulazione di
dati che finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento
mentale” (Laudato si’, 47).
Ebbene, i primi stimoli
ad acquistare la sapienza si prendono dalla scuola. Molti bambini e adolescenti
a scuola invece di essere stimolati vengono si annoiati.
I politici nazionali
e locali che si occupano di scuola sbandierano orgogliosamente le immissioni in
ruolo. Nessuno di loro però si preoccupa della qualità degli insegnanti, della
loro preparazione, e neanche la menziona. Ebbene, un docente nella fase
iniziale del suo lavoro avrebbe bisogno di essere guidato siccome all’Università,
se va bene, ha appreso delle nozioni, ma non ha imparato a trasmetterle, a
renderle interessanti per dei giovani. Per questo ci vuole esperienza.
Dovrebbero dunque essere organizzati dei corsi per giovani laureati, e docenti
comunque inesperti. Una volta c’era la
SSIS che a qualche cosa serviva. Ora non c’è più nemmeno
quella.
La cultura deve
potenziare la natura, chiarire i significati della vita, incentivare la
componente etica e quella estetica dei giovani, e dunque andrebbe proibita o
almeno limitata l’anticultura della pubblicità, delle discoteche, delle
obbrobriose sale giochi, di tante trasmissioni televisive.
La tecnologia e
l’economia devono essere regolate da norme perché siano volte al bene piuttosto
che al male.
“Si rende indispensabile creare un sistema
normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli
ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma
tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la
libertà e la giustizia” (53).
La tecnologia e
l’economia infatti, se lasciate senza regole e arbitrarie, possono volgersi
tanto al bene quanto al male, come fa notare Sofocle nel celeberrimo I stasimo
dell’Antigone: l’uomo “ il quale possiede
il ritrovato della tecnologia (to; macanoven[1]),/ che è un qualche sapere (sofovn ti), oltre l'aspettativa/ora si volge al male,
ora al bene/ e le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è
grande nella città (u{yipoli")
bandito dalla città (a[poli") è
quello con il quale /coesiste la negazione del bello morale (to; mh; kalovn), per la sfrontatezza (tovlma" cavrin)./Non mi stia accanto sul focolare/né sia
uno che ha lo stesso pensiero/chi compie queste azioni" (vv. 365 -375).
L’uomo dunque, tra i
molti deinav
(Antigone, v. 332) è la creatura più inquietante (deinovtaton, v. 333), terribile e meravigliosa, e, come
tale, tote;
me;n kakovn, a[llot j ejp j ejsqlo;n e{rpei (367), ora si volge al male, ora al bene.
Questi testi della
sapienza antica dovrebbero essere fatti conoscere quando si celebra il trionfo
della tecnologia che se può avere una pars
construens, ne ha sicuramente una
destruens dalla quale i giovani andrebbero messi in guardia.
Difatti più avanti (Laudato si’, 102) Francesco scrive:
“L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci
pone di fronte ad un bivio”.
E, ancora più
avanti: “la tecnica separata dall’etica difficilmente sarà capace di
autolimitare il proprio potere” (136)
Il pontefice deplora
assai giustamente “il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei condizionatori
d’aria”. Questi adulterano l’aria naturale e sono forieri di germi patogeni ma
“i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda”
(55).
Per quanto riguarda
i condizionatori d’aria che personalmente detesto al punto che pur cinefilo, in
estate evito i cinema chiusi con l’aria condizionata, credo che si dovrebbe
almeno lasciare una possibilità di scelta alle persone: nei cinema, nei treni,
nei ristoranti. Il vizio dell’aria condizionata è stato inculcato alla gente
per vendere i condizionatori e le medicine indotte di quell’aria mefitica che
fa ammalare. Plaudo dunque al Papa per questo rilievo e chiedo agli assessori
alla salute di intervenire.
Sacrosanta è la
condanna della guerra. Questa, oltre distruggere vite umane, “causa sempre
gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi
diventano enormi quando si pensa all’energia nucleare e alle armi biologiche.
Si richiede alla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le
cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con la
finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non
hanno ampiezza di vedute” (Laudato si’,
57).
I politici onesti
dovrebbero adoperarsi affinché i giovani si abituino a pensare quali tabù la
guerra e la pena di morte altrettanto anatemizzata dal Papa.
Solo la Provvidenza può dare
all’universo l’ordine e la bellezza che vediamo. La tragedia scoppia quando il
disordine umano va a cozzare contro l’ordine del kovsmo": “Che meravigliosa certezza è sapere che la vita di ogni persona non si
perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da
cicli che si ripetono senza senso! ( Laudato
sì’ , 65)
E più avanti (77):
“Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo
amore, e in quei pochi secondi di esistenza egli lo circonda con il suo
affetto”
Le istituzioni, quella scolastica in primis,
dovrebbero indicare i nessi tra gli eventi, la series causarum che porta a determinati successi, o insuccessi o
catastrofi. Invece si fa come i pugili suonati che mettono la mano dove hanno ricevuto
il colpo, senza vederne prima la provenienza ed evitarlo. Chi cerca di indagare
le cause viene tacciato di dietrologia o accusato di strumentalizzare.
Più avanti (Laudato sì’, 96) il Papa cita
l’evangelista Luca: “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure
nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio” ( et unus ex illis non est in oblivione coram Deo, Lc 12, 6).
E Shakespeare
giustamente scrive: “there is a special
providence in the fall of a sparrow" (Amleto, V, 2), c'è una provvidenza speciale perfino nella morte di
un passero.
La proprietà invero
è solo un usufrutto da custodire.
La terra e ogni
altro bene che possediamo ci è stato dato in custodia (cfr. Gen. 2, 15). “Custodire vuol dire
proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione
di reciprocità responsabile tra essere umano e natura (…) Perciò Dio nega ogni
pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si potranno vendere per sempre,
perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv
25, 23)” (Laudato sì’, 67)
Queste parole
dovrebbero essere ricordate nelle scuole e nelle chiese, anche in quelle
gestite da preti non allineati con Papa Francesco, cioè con L’Antico e il Nuovo
Testamento e, in definitiva, con Cristo stesso.
La
proprietà privata
La
proprietà privata è considerata legittima dal Papa, tuttavia “su ogni proprietà
privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla
destinazione generale che Dio ha loro dato…Questo mette seriamente in
discussione le abitudini ingiuste di una parte dell’umanità” (Laudato
sì’, 93).
Mi
vengono in mente i bambini scheletrici di certe ampie zone del mondo, e gli
obesi, i torpidi ghiottoni che disonorano il nostro paese.
Ricchezza
degli uni e povertà di altri secondo Platone generano vizi e disordine tanto
sociale quanto morale: nella comunità dove non coabitassero plou'to" e peniva, ci sarebbero
nobilissimi caratteri e non si troverebbero u{bri" ou[t j ajdikiva, zh'loiv te au\ kai;
fqovnoi,
violenza, né ingiustizia, né gelosie e nemmeno invidie (Leggi, 679b-c)
Sant’Ambrogio[2]
nel De Nabuthae già ricordato da papa
Francesco[3],
scrive: “Non de tuo largiris pauperi sed
de suo reddis” (53), non concedi del tuo al povero, ma gli rendi del suo.
La
storia di Nabot si trova nella Bibbia
(I re, I, 21) Il re Achab voleva comprare una vigna di Nabot ed egli rispose: “Il
signore mi guardi dal cederti l’eredità dei miei padri. Allora Gezabele, la mnoglie
di Achab, istigò il marito e fece accusare Nabot da due iniqui i quali lo
calunniarono davanti al popolo dicendo che aveva maledetto Dio e il re. Così
Nabot venne lapidato.
Dunque:
“Nabuthae historia tempore vetus est, usu
cottidiana”.
L’energia
nucleare.
Il
Papa prosegue (Laudato sì’, 104) notando il
“tremendo[4]
potere” insito nell’energia nucleare, nella biotecnologia et cetera. Come il
sapere non è sapienza, così il potere non è potenza, oppure è una potenza
malvagia se è priva di “un’etica adeguatamente solida, una cultura e una
spiritualità che realmente gli dia un limite e lo contenga entro un lucido
dominio di sé” (105)
E’
necessaria “una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una
spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del
paradigma tecnocratico” (Laudato sì’, 77)
La
resistenza, appunto. E’ questo l’invasore cui ultimamente penso quando mi viene
in mente e magari mi metto a cantare “Bella ciao” che i cori della mia
generazione ripetevano spesso.
Allora,
quando si parla tanto di “buona scuola”, si dovrebbe chiarire quali sono i suoi
compiti educativi e culturali.
“Nessuno vuole
tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per
guardare la realtà in altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e
sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da
una sfrenatezza megalomane” (Laudato si’,
114).
Quali sono allora
questi valori dei quali i politici e gli insegnanti dovrebbero essere
instancabili profeti?
I grandi valori
imprescindibili indicati da Platone nel Protagora
sono l’arte politica, la giustizia, il rispetto
In
questo dialogo, il sofista Protagora racconta che Prometeo donò all’umanità il
fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i
mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non
possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza
questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si
disperdevano e perivano; quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra
specie, mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché
costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij"
ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Chi
non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d).
Certamente va condannato questo ricorrere alla pena di morte.
Secondo
l’anziano sofista personaggio eponimo del Protagora
di Platone, l’educazione deve essere politica, ossia preparare a un ruolo
significativo nella vita della polis:
i giovani devono diventare validi nel parlare e nell’agire (crhvsimoi eij~ to;
levgein te kai; pravttein). Tutta la vita dell’uomo ha bisogno di ritmo e
di armonia (pa`~
ga;r oJ bivo~ tou` ajnqrwvpou eujruqmiva~ te kai; eujarmostiva~ dei`tai, 326b). Per questo i maestri fanno suonare sulla
cetra ai bambini le poesie dei buoni poeti lirici e costringono i ritmi e le
armonie ad accordarsi con le anime degli alunni.
Altra idea che
dovrebbe entrare nel modi di pensare dei giovani è che
studiare
è un privilegio: tant’è vero che i più ricchi (plousiwvtatoi) i quali hanno maggiori possibilità (mavlista duvnantai) mandano a
scuola i figli prima degli altri e ve li mantengono più a lungo.
Lo stesso scrive Isocrate nell’Areopagitico [5]: la paideiva è conforme ai
mezzi di cui ciascuno dispone. I più poveri venivano indirizzati
all'agricoltura e al commercio:" ejpi; ta;" gewrgiva" kai; ta;"
ejmporiva""
(44). Gli abbienti invece si dedicavano alla ginnastica, ippica, caccia, e alla
filosofia.
Ovviamente
non condivido questo classismo pedagogico.
Torniamo
al dialogo di Platone. Il sofista dunque, sostiene che la virtù è cosa
insegnabile (ajreth;
didaktovn,
Protagora, 326 e).
Se
gli Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli di ingiustizia, ciò
significa che anche loro sono tra quelli i quali considerano la virtù
acquisibile e insegnabile.
Infatti
alcuni aspetti naturali degli uomini (piccolezza, bruttezza o debolezza, p. e.)
non si possono correggere, e dunque non suscitano irritazione e non provocano
punizioni; mentre l’assenza delle qualità che derivano all’uomo dall’esercizio,
provoca ire, ammonimenti e sanzioni. Ingiustizia, empietà e assenza di virtù
politica vengono punite “o{ti ge oi{ ge a[nqrwpoi hjgou'ntai paraskeuasto;n
ei\nai ajrethvn”
(324), poiché gli uomini pensano che la virtù sia acquisibile. Si punisce per
correggere e distogliere dal commettere ingiustizia: “kai; toiauvthn
diavnoian e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn” (324b), e chi
la pensa in questo modo crede che la virtù sia insegnabile.
Il sogno prometeico
è ingannevole.
“Molte volte è stato
trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato
l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli” (Laudato si’,116).
Il “sogno prometeico” di fatto è ingannevole. Già il Prometeo
di Eschilo è divinità solo apparentemente benefica in quanto portatore di
conoscenze pratiche fuorvianti:" qnhtou;" g j
e[pausa mh; prodevrkesqai movron", ho fatto smettere ai mortali di prevedere
il destino"(v.248). La tecnica non capisce il destino.
Prometeo
ha reso ciechi gli uomini: “ ho infuso in loro cieche speranze, deve ammettere
lo stesso Titan ("tufla;" ejn aujtoi'"
ejlpivda" katw/vkisa", Prometeo
incatenato, v.250). :
Mary
Shelley, l’autrice di Frankestein ovvero
il Prometeo moderno (del 1818 ) accusa i disastri provocati dalla scienza.
Lo studioso ginevrino si illude al pari di Prometeo:"Una nuova specie mi
avrebbe benedetto come sua origine e creatore"(p.56), ma deve additare la
sua opera ardita come modello negativo:"Imparate da me-se non dai miei
consigli, dal mio esempio-quanto pericoloso sia l'acquisto della scienza, quanto
più felice sia chi crede mondo la sua città, di chi aspira ad elevarsi più di
quanto la sua natura consenta"(p.55).
Eppure
c’è ancora chi parla di trapianto della testa, di cibi transgenici, di
fecondazione eterologa e così via.
“Le leggi possono essere redatte in forma
corretta, ma spesso rimangono come lettera morta” (Laudato si’, 142)
A proposito
dell’impotenza delle leggi, riferisco quanto disse Anacarsi Scita a Solone[6].
Il
legislatore ateniese, ammirata la prontezza di spirito di quello straniero, lo
accolse amichevolmente e lo trattenne per qualche tempo presso di sé, quando
già si occupava degli affari pubblici e stabiliva le leggi. Anacarsi venutolo a
sapere, derideva l’opera di Solone che pensava di fermare le ingiustizie e le
pretese dei cittadini con norme scritte, le quali non differiscono per niente
dalle ragnatele § mhde;n tîn ¢racn…wn diafšrein, ma, come
quelle, trattengono i deboli e i piccoli tra gli irretiti, mentre dai potenti e
ricchi verranno lacerate[7].
Assistiamo
a ruberie con arricchimenti colossali, ma vediamo che in galera ci vanno solo i
poveracci. Chi prova a opporsi alle speculazioni basate su colate di cemento,
come Isabella Conti, il sindaco di San Lazzaro, diviene segno di contraddizione
nel suo stesso partito che esita a schierarsi compatto dalla parte di lei.
Speriamo che in seguito a questa vicenda vengano almeno svelati i pensieri di
molti cuori[8].
Sentiamo anche Tacito
il quale afferma che la legge non vale di fronte alla consuetudine e denuncia
la corruzione dei costumi dei Romani contrapponendo spesso illic a ibi o ad alibi: “ Nemo illic vitia ridet, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur” nessuno
là[9]
si prende gioco dei vizi, né corrompere ed essere corrotti si chiama moda (Germania, 19),
E alla fine dello
stesso capitolo: “ plusque ibi boni mores
valent quam alibi bonae leges” e valgono più là i buoni costumi che altrove
le buone leggi.
Il relativismo
culturale
“La visione consumistica dell’essere umano (…)
tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale,
che è un tesoro dell’umanità (…) Neppure la nozione di qualità della vita si
può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e
consuetudini propri di ciascun gruppo umano” (Laudato si’, 95).
Ebbene, i politici
intelligenti devono bonificare le menti inficiate dal provincialismo il quale
crede che gli usi buoni e le norme giuste siano soltanto le loro.
Un insegnamento di
accettazione anche con simpatia dei costumi stranieri e strani lo troviamo in Erodoto.
Nel quinto libro lo storiografo narra lo strano costume dei Trausi che compiangono il neonato e seppelliscono
il morto con manifestazioni di gioia:"sedendo attorno al neonato i parenti
piangono...enumerando tutte le sofferenze umane; invece scherzando con gioia
mettono sotto terra (paivzontev" te kai; hJdovmenoi gh'/ kruvptousi) il morto,
spiegando che si trova in completa felicità, liberato da tanti mali"(V, 4,
2).
Traccia di questo uso anomalo si trova nel
Verga: durante al visita dei compaesani alla casa del nespolo, che si era
riempita di gente per le esequie di Bastianazzo, Don Silvestro fece una battuta
: “E tutti si tenevano la pancia dalle risate, ché il proverbio dice: “Né
visita di morto senza riso, né sposalizio senza pianto”[10].
Sempre a proposito
di tolleranza nei confronti di culture diverse, un valore che diventa sempre
più raro[11],
prezioso e necessario alla sopravvivenza della nostra specie, Erodoto racconta
di un novmo" babilonese che anzi egli considera sofwvtato", avvedutissimo (I, 196): lì le ragazze belle
vengono messe in vendita per essere sposate e le brutte si comprano il marito
con il denaro ricavato:"to; de; crusivon ejgivneto ajpo; tw'n eujeidevwn
parqevnwn, kai; ouJvtw" aiJ eu[morfoi ta;" ajmovrfou" kai;
ejmphvrou" ejxedivdosan"
(I, 196, 3), il denaro veniva dalle ragazze di bell'aspetto, e così le belle
davano in matrimonio le brutte e le storpie.
Questo, secondo
Erodoto, era il loro costume antico più bello (kavllisto" novmo").
Si faccia conoscere
questo autore nelle scuole per educare i giovani al superamento del
provincialismo.
“Come sono belle le
città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che
collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!” (Laudato si’, 152).
Com’è bella l’ajgorav con le sue discussioni e i suoi valori (divkh, povno~, aijdwv~, fides,
disciplina, pudicitia etc).
“bisogna aggiungere
che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancano le grandi
mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significati, capaci di
conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso” (Laudato si’, 181)
I valori autentici
vengono dimenticati e calpestati quando il denaro diventa oggetto di adorazione
e il consumo è il bersaglio dei desideri.
Il consumista si identifica con le cose che
compra, come l’idolatra biasimato nel Salmo della Bibbia: “Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani
dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e
non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e
chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).
Eppure i
telegiornali segnalano il meraviglioso progresso consistente nella crescita dei
consumi, del Pil e così via. Sicché continua il genocidio culturale denunciato
da Pisolini.
Il tempo.
“Il tempo è
superiore allo spazio” (Laudato si’178).
Il tempo soltanto rivela l’uomo giusto, crovno~ divkaion a[ndra
deivknusin movno~, si legge
nell’Edipo re di Sofocle (614).
Secondo Seneca il
tempo è il bene più grande di noi uomini che passiamo sulla terra, l’unico
veramente nostro: “omnia Lucili aliena
sunt, tempus tantum nostrum est” (Ep.
1, 3).
La televisione insegna
che il tempo non vale nulla. Fate una prova: prendete in mano un buon libro di
autore e vedete quante meraviglie si possono trovare nelle sue parole durante
una raffica di annunci pubblicitari o durante le chiacchierate vuote dei
ripetitivi talk-show.
Agostino definisce
il tempo distentionem…ipsius animi[12], un’estensione propria dell’animo. Un
pensiero simile a quello del neoplatonico Plotino che in Enneadi (III, 7, 11) scrive che il tempo è la vita dell’anima la
quale si muove e passa da uno stato all’altro. Chi spreca il tempo dunque
sciupa la propria anima e la propria vita.
Il potere che non
subisce controlli è quello del tiranno.
“Se i cittadini non
controllano il potere politico-nazionale, regionale e municipale-neppure è
possibile un contrasto dei danni ambientali” (Laudato si’, 179).
Nelle
Storie di Erodoto la teoria
antitirannica è attribuita al nobile persiano Otane il quale, durante il
dibattito costituzionale, contrappone alla monarchia, un potere senza
controlli, il governo del popolo (plh`qo~ de; a[rcon) che prima di tutto ha il nome più bello: " ijsonomivhn"[13],
poi non fa nulla di quanto perpetra il despota[14]:
infatti chi esercita a sorte le magistrature ha un potere soggetto a
controllo:" uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei" (III, 80, 6).
Ora rischiamo di
avere un senato di cooptati. La cooptazione è il sistema delle nomine fatte
dall’alto ed è già vigente in molte istituzioni.
Un partito
democratico dovrebbe opporsi a tale autointegrazione del potere che è del tutto
antidemocratica.
“La politica non deve sottomettersi all’economia (…)
Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la
politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della
vita, specialmente della vita umana” (Laudato
si’, 189).
Che cosa serve alla vita? Platone dice musica (come
cultura) per l’anima, e ginnastica per il corpo. Aggiungerei amore, amicizia,
solidarietà. Ma questi valori necessari al benessere degli umani sono fuori
moda e fuori corso e chi li predica o pure li pratica passa per ingenuo, illuso
o addirittura un pazzo. Ma c’è una follia più saggia della saviezza del mondo.
Questi valori
veri vanno dunque rimessi in corso e in onore.
Il progresso deve comprendere la sfera etica e quella
estetica.
Dobbiamo “ridefinire il progresso. Uno sviluppo
tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita
integralmente superiore, non può considerarsi progresso” (Laudato si’,194).
Progredire significa infatti avanzare, procedere verso
il meglio. E il meglio è il buono con il bello, il bello morale ed estetico, la
kalokajgaqiva. I Greci non distinguevano il buono dal bello che
infatti sono indissolubilmente congiunti.
Il profitto.
“Il principio della massimizzazione del profitto, che
tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione
concettuale dell’economia” (Laudato si’.195).
Gli educatori devono chiarire che il profitto buono
consiste nel favorire la vita, la propria e quella degli altri. Danneggiare la
vita è invece la perdita più grave e pessima.
Il condizionamento pubblicitario al consumismo
compulsivo.
Aconzio e Cidippe.
“Dal momento che il mercato tende a creare un
meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone
finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese
superflue” (Laudato si’,124).
E’ il meccanismo inventato da Aconzio per sedurre
Cidippe (cfr. gli Aitia di Callimaco
e le Heroides di Ovidio). Risalendo
al mito che chiarisce sempre le origini, si vede che, fin dall’inizio, la
scrittura pubblicitaria è deleteria.
"La scrittura
di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi
alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[15].
Nella festa di Apollo a Delo, Aconzio di Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e
la vincola a sé gettandole un pomo su cui aveva scritto: “Lo giuro per
Artemide: io sposerò Aconzio”.
Questo racconto si
trova negli Aitia di Callimaco. Febo
rivelò a Ceuce, il padre di Cidippe che la ragazza in procinto di sposare il
fidanzato si ammalava a morte poiché un giuramento grave (baru;~ o{rko~, Aitia fr. 75 Pf., v. 22) impediva le nozze alla
fanciulla la quale fu sentita da Artemide in visita a Delo “quando tua figlia
giurò che avrebbe avuto come sposo Aconzio e non altri” ( jAkovntion oJppovte
sh; pai`~-w[mosen, oujk a[llon, numfivon ejxemevnai (vv. 26-27).
La storia è narrata
anche da Ovidio nella XX delle Heroides
“L’ossessione per uno stile di vita consumistico,
soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto
violenza e distruzione reciproca” (Laudato
si’, 204).
Platone nel Teeteto (176) suggerisce la oJmoivwsi~ qew`/ l’assimilazione a Dio e nell’ Eracle di Euripide leggiamo che Dio non ha bisogno di nulla (dei'tai ga;r oJ qeov~, ei[per
e[st j ojrqw'~ qeov~,-oujdenov~ v. 1341).
L’uomo che gli
somiglia dunque ha bisogno di poco.
C’è
un’ espressione parallela a questa nei Memorabili
di Senofonte dove Socrate si
difende con queste parole dall'accusa, mossagli da Antifonte sofista, di essere
un pezzente: “mi sembra Antifonte, che tu creda che la felicità sia lusso e la
possibilità di spendere molto; io invece credo che sia tipico del divino non
avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me;n mhdeno;~ devesqai qei'on
ei\nai)
e l’avere bisogno di niente è la condizione più vicina al divino"(I, 6,
10).
Similmente
nel De tranquillitate animi di
Seneca: “Respice agedum mundum: nudos
videbis deos, omnia dantes, nihil habentes” (8, 5), avanti, guarda
l’universo: nudi vedrai gli dèi che tutto danno e nulla possiedono.
Questi
testi mostrano la pochezza spirituale e la volgarità dei consumisti.
Possedere e utlizzare.
Non si devono acquistare prodotti nocivi alla vita:
“acquistare è sempre un atto morale oltre che economico” (Laudato si’, 206).
Si può pensare alla distinzione tra kekth`sqai, (avere acquistato, possedere) e crh`sqai (utilizzare) dell’Economico
di Senofonte.
Socrate dice a Critobulo: le medesime cose per
chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa servirsene non sono
averi utili:"Taujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n
eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata".
(
Economico, I, 10); così i flauti sono
utili per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che
sassi inservibili ( "oujde;n ma'llon h] a[crhstoi livqoi").
Inoltre:
le cose utili (ta;
wjfelou`nta)
Socrate le ritiene dei beni ( crhvmata); quelle dannose no (ta; de; blavptonta ouj
crhvmata).
Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il denaro; bisogna anche sapersene
servire (crh'sqai).
I
libri buoni per i più sono carta straccia.
Luogo
simile in Seneca: “Stulto nulla res opus
est (nulla enim re uti scit), sed omnibus eget ” (Ep, 9, 14), allo stupido non occorre nulla ( infatti non sa fare
uso di nessuna cosa), ma sente la mancanza di tutte.
“Non
va trascurata la relazione che c’è tra un’adeguata educazione estetica e il
mantenimento di un ambiente sano” (Laudato si’, 215). Il bello
infatti e parte costitutiva del buono. Non c’è bontà senza bellezza e viceversa
Cfr. la kalokajgaqiva. I Greci non distinguevano
la bellezza dalla bontà ma le assimilavano.
“un
popolo che, eziandio nella lingua faceva pochissima differenza dal buono al
bello” (Leopardi, Detti memorabili di
Filippo Ottonieri).
Il
“di più” non serve.
Nelle Fenicie di Euripide troviamo un contrasto fra Eteocle che sostiene il proprio
potere assoluto, e Giocasta che gli fa notare la presenza dell’uguaglianza nel
cosmo.
"Eteocle incentra tutto il suo elogio
della tirannide sul "di più"[16],
Giocasta obietta:"tiv d j e[sti to; plevon; o[nom
j e[cei monon:/ejpei; tav g j ajrkounq
j iJkana; toi'" ge swvfrosin",
vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta
ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi
amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a turno, ce le
portano via di nuovo.
Agitarsi e
affannarsi non serve.
“Gesù
ci invitava a guardare i gigli del campo e gli uccelli del cielo” (Laudato
si’, p.226).
In senso anticonsumistico e antinevrotico.
"Et de
vestimento quid solliciti estis? Considerate lilia agri quomodo crescunt: non
laborant neque nent. Dico autem vobis quoniam nec Salomon in omni gloria sua
coopertus est sicut unum ex istis" (Matteo, 6, 28), e quanto al
vestire perché vi affannate? Considerate come crescono i gigli dei campi: non
si affaticano e non filano. Eppure vi dico che neppure Salomone in tutta la sua
gloria è stato coperto come uno di loro.
Cristo “sentì la
vita mutevole, fluida, attiva, sentì la morte nel lasciare che si
stereotipasse. Capì che gli uomini non dovevano prendere troppo sul serio gli
interessi materiali, quotidiani; che non essere pratici è una gran cosa; e che
non occorreva angustiarsi eccessivamente per gli affari. Gli uccelli non lo
fanno, perché dovrebbero farlo gli uomini? E’ incantevole quando dice: “Non
datevi pensiero del domani: l’anima non conta più del cibo? Non conta più il
corpo delle vesti?”[17].
L’ultima frase può stare in bocca a un greco. E’ piena di sentimento greco. Ma
soltanto Cristo può dirle tutt’e due e riassumere per noi la vita in modo tanto
perfetto. La sua morale è tutta comprensione, proprio come dovrebbe essere la
morale. De avesse detto una cosa sola e questa fosse stata: “Le sono rimessi i
suoi peccati perché molto ha amato”[18],
sarebbe valsa la pena di morire per averla detta. La sua giustizia è tutta
giustizia poetica, esattamente quello che la giustizia dovrebbe essere”[19]
I politici invece
insegnano e comunicano l’agitazione di cui sono colmi nella loro lotta spietata
di tutti contro tutti, nella loro ansia e terrore di perdere il potere. Siamo
nell’era della peccaminosità quasi completa.
“Un’ecologia
integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica
della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del
consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in
ogni sua forma” (Laudato si’, p
230).
I piccoli gesti
quotidiani possono testimoniare “una cultura della cura che impregni tutta la
società” (Laudato si’, p
231)
La
cultura della cura parte dalla coscienza di essere uomo, come dice Teseo a
Edipo, vecchio, cieco, ramingo, nell’ Edipo
a Colono chiarendogli perché lo aiuta: “so bene di essere uomo”( (e[xoid j ajnh;r w[n, v. 567)
giovanni ghiselli
Bologna, primo ottobre 2015
[1]
Si può anche tradurre la macchinazione del saper operare come fa Heidegger.
[2]
340-397
[3] Cotidie
Nabuthae sternitur, cotidie occiditur…Nescit natura divites, quae omnes
pauperes generat. Neque enim cum vestimentis nascimur, cum auro argentoque
generamur. Natura omnes similes creat,
omnes similes gremio claudit sepulchri ( Ambrogio, De Nabuthae,1 -.2)
[4]
Cfr. polla; ta; deinav dell’Antigone di Sofocle (v. 332)
[5]
Il principale scritto di politica interna di Isocrate, del 356 a . C. Propone di
restituire all’Areopago i poteri di tutela sulla vita politica che aveva prima
della riforma di Efialte (461
a . C.). Ne abbiamo una traduzione di Leopardi
[6] Nell’anno 594 a . C. Solone fu nomina arconte (a[rcwn) con l'incarico di pacificatore e legislatore (diallakthv" kai;
nomoqevth"): i possidenti infatti lo
accettarono in quanto benestante, i poveri, siccome galantuomo: doveva fare da
paciere tra nobili e popolo.
[7] Plutarco Vita
di Solone, 5, 2-4.
[8]
Cfr. N. T., Luca, 2, 34.
[9]
Intendi “tra i Germani”.
[10]
I Malavoglia, p. 87.
[11]
In questi tempi si inorridisce per i costumi delle donne afgane le quali sono
state bombardate con i loro figli in nome della loro liberazione. I
"femministi" italiani favorevoli al divorzio, all'aborto e alla
droga, plaudono.
[12]
Le Confessioni, XI, 25.
[13]
Parità di diritti, legge (novmo")
uguale ( i[so") per tutti.
[14]
Il quale "novmaiav te kinevei pavtria kai; bia'tai
gunai'ka" kteivnei te ajkrivtou""
(III, 80, 5) sovverte le patrie usanze, violenta le donne e manda a morte senza
giudizio
[15]M. Bettini, op. cit., p. 10.
[16]Lanza,
op. cit., p. 53.
[17]
Mattteo, 6, 34 e 25
[18]
Eppure il Cristo disse bene della
peccatrice :"Remissa sunt peccata
eius multa, quoniam dilexit multum, cui autem minus dimittitur, minus diligit
" (Luca, 7, 47), le sono perdonati i suoi molti peccati poiché ha amato
molto, quello invece cui si perdona meno, ama meno. E' una di quelle splendide
pagine del Vangelo che sono ignorate o fraintese dai furfanti bigotti i quali
adulterano le parole sante. Ndr.
[19] Oscar Wilde, De profundis, trad it. in Oscar Wilde Opere, Mondadori, Milano,
1982, p. 736
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