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domenica 18 ottobre 2015

Nietzsche, "La nascita della tragedia", I parte

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18 ottobre   

Esporrò il contenuto dell’opera giovanile di Nietzsche, La nascita della tragedia (1872) che analizza la civiltà greca  dalle origini all’ellenismo, con particolare riguardo a Omero, Archiloco, Eschilo, Sofocle, Euripide, Anassagora, il Socrate di Platone, la commedia nuova di Menandro e la cultura alessandrina in generale.
Chiarirò i concetti chiave di Apollineo e Dionisiaco e indicherò i nessi con la filosofia di Schopenhauer, con la filologia e la letteratura dell’Ottocento tedesco, e con la musica di Wagner.
Se non sarò sufficiente un incontro e il primo piacerà, potremo tenerne un secondo
Vorrei esporre La nascita della tragedia di Nietzsche come opera  di un filosofo che partendo dalla letteratura greca, raffigura il quadro di un’intera civiltà, creando categorie ancora valide a spiegare diversi aspetti della storia culturale del nostro continente. Nel riferire i contenuti di questo libro chiarirò i nessi indicati dall’autore con le tragedie greche e con altre espressioni artistiche degli autori europei.
Utilizzerò la  traduzione italiana dell’amico Sossio Giametta, il massimo esperto italiano di Nietzsche (Adelphi, Milano, 1972).


La nascita della tragedia

Tentativo di autocritica (dell’autore,  1886)
E’ un libro inficiato dalla prolissità della giovinezza, un libro arrogante ed esaltato che fin dall’inizio si isola dal profanum vulgus delle persone colte ancora più che dal popolo.
Che cosa è dionisiaco? Rapporto del Greco con il dolore, E’ dal dolore che si è sviluppato il desiderio di bellezza, di feste, di divertimenti.
 -Pericle (o Tucidide) ce lo lascia intendere nel grande discorso funebre ndr-
Ma allora la tragedia con i suoi orrori da cosa discende? Forse da salute straripante? Nella ricchezza della gioventù i Greci ebbero la volontà del tragico. Fu la follia, come scrive Platone (Fedro 244a) a portare le maggiori benedizioni.
I Greci divennero invece sempre più ottimistici e superficiali nel tempo della loro dissoluzione e debolezza, divennero istrionici, smaniosi per la logica e la logicizzazione del mondo, Subentrò l’ottimismo, l’utilitarismo, la razionalità. Epicuro fu ottimista in quanto sofferente. Divennero più scientifici.
-Leopardi nello Zibaldone scrive “La scienza è nemica della grandezza delle idee, benché abbia smisuratamente ingrandito le opinioni naturali (1464)-
 Nel libro ritorna più volte l’allusiva frase che solo come fenomeno estetico l’esistenza del mondo è giustificata.
 Il libro vede un dio artista del tutto noncurante e immorale che creando si libera dalla sovrabbondanza e dalla sofferenza dei contrasti che lui contiene. Il mondo è la liberazione di Dio.  Nel libro c’è una tendenza antimorale: la morale è trattata come parvenza e inganno. Il cristianesimo è trattato con un silenzio cauto e ostile. Il cristianesimo respinge ogni arte nella categoria della menzogna. In questa ostilità Nietzsche ha sentito una rabbiosa vendicativa avversione alla vita stessa che riposa sull’arte. Il Cristianesimo è nausea e sazietà della vita, mascherata con la fede in un’altra vita. Paura della bellezza e della sensualità, un aldilà inventato per meglio calunniare l’aldiqua, un’aspirazione al nulla, alla fine, al riposo, al sabato dei sabati.
-Tacito sui Cristiani: Annales XV, odio umani generis convicti sunt…exitiabilis superstitio.-
-Leopardi: “il principio delle cose è il nulla”  (Zibaldone, 1464-)
Davanti a questo panmoralismo cristiano, la vita deve avere torto in quanto essa è immorale. Questo no alla vita presenta la vitastessa come cosa indesiderata.
La morale è un principio di decadenza, un istinto distruttivo.
Il mio istinto che parla in favore della vita si mosse con questo mio libro contro la morale. La mia è una valutazione artistica, dunque anticristiana.. E’ la valutazione dionisiaca.
 Allora non osai usare un linguaggio mio proprio e impiegai formule schopenhaueriane e kantiane per valutazioni che non c’entravano con quei filosofi.
 Schopenhauer scrisse che lo spirito tragico deve condurre alla rassegnazione. Ma Dioniso a me parlava in modo diverso. Sicché ho sciupato le mie intuizioni dionisiache con quelle formule. Favoleggiai di spirito tedesco che invece abdicava alla volontà (goethiana?) di dominare l’Europa sotto il pomposo pretesto della fondazione di un impero
La musica tedesca del resto è romantica, la meno greca possibile ed è corruttrice di nervi, pericolosa per un popolo che ama ilo bere e onora l’oscurità come virtù. Come dovrebbe essere fatta la musica dionisiaca?
Nietzsche immagina un’obiezione: non è necessaria all’uomo tragico la tragedia come arte  della consolazione metafisica?
No, risponde N. : sono i romantici che finiscono metafisicamente consolati, ossia cristiananente consolati.
I giovani devono imparare a ridere come insegna Zarathustra, il lieve, il danzatore che pronto a spiccare il volo, intanto ammicca a tutti gli uccelli, beato nella sua levità. “Io ho santificato il riso; uomini superiori, imparate a ridere! (Così parlò Zarathustra parte IV, dell’uomo superiore)
Leggiamo quanto scrive Nietzsche in uno dei Frammenti Postumi :"Schopenhauer sbaglia quando fa di certe opere d'arte uno strumento del pessimismo. La tragedia non insegna la "rassegnazione". Il rappresentare le cose terribili e problematiche è esso stesso già un istinto di potenza e di magnificenza nell'artista: egli non le teme. Non c'è un'arte pessimistica. L'arte afferma"[1].
Prefazione a Richard Wagner da Basilea fine d’anno del 1871
Nel frontespizio c’è Il Prometeo liberato. L’arte non è un tintinnio di sonagli di fronte alla serietà dell’esistenza, ma il compito più alto e la vera attività metafisica di questa vita.

La nascita della tragedia (1872)
I capitolo (pp. 21-26)
Lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, come la generazione alla dualità dei sessi, in una continua lotta e riconciliazione periodica.
Apollo significa l’arte dello scultore e Dioniso l’arte non figurativa della musica.
Quando questi due impulsi artistici si accoppiano, nasce la tragedia attica. I fenomeni fisiologici corrispondenti sono il sogno e l’ebbrezza.
N. menziona Lucrezio (De rerum natura, V, 1169-1182) quando scrive che gli uomini già nei tempi remoti vedevano da svegli, e ancora di più nei sogni (et magis in somnis) le straordinarie immagini degli dèi (egregias facies deum).
N. poi cita i Maestri cantori[2] dove Hans Sachs dice che ogni poesia è interpretazione di sogni.
Il mondo dei sogni è il presupposto di ogni arte figurativa e di parte essenziali della poesia. Ma il sogno è illusione, anzi l’uomo filosofico ha il presentimento che questa realtà che viviamo ne copra un’altra più reale.
Schopenhauer sostiene che segno dell’attitudine filosofica è vedere tutte le cose come meri fantasmi e immagini di sogni (cfr. Pindaro,  Pitica VIII, 95-96 "skia``~ o[nar-a[nqrwpo~, sogno di ombra è l’uomo).

L’artista si spiega la vita in base a queste immagini e le vive come reali, non senza però la coscienza dell’illusione. C’è comunque il piacere del sogno.
Il dio dei sogni è Apollo. Egli è il risplendente, la divinità della luce,  secondo la sua etimologia.

Apollo Liceo
-Forse N. etimologizza l'epiteto di Apollo Luvkeio~ con luvkh, (luce crepuscolare), ma Luvkeio~ significa della Licia o dei lupi (luvko~). Cfr. Edipo re di Sofocle,  "Signore Liceo (Luvkei j anax)/io vorrei che dalle funi d'oro intrecciato/fossero scagliati dovunque i tuoi dardi indomabili. (vv. 203-205).."-luvkei (e): è da collegarsi a luvko", lupo.
 Nell'Elettra (v.6) Sofocle chiama Apollo "lukoktovno" qeov"", il dio uccisore dei lupi. Chi sono i lupi? Probabilmente gli uomini empi e sfrontati, i demagoghi rapaci e guerrafondai.
Il coro de I sette a Tebe  (v.145 e sgg.) invoca Apollo con il grido "luvkei j a[nax, luvkeio" genou'" signore liceo, diventa liceo, ossia distruggi l'esercito aggressore, fagli pagare i nostri lamenti.
Plutarco nella Vita di Solone ricorda che è usanza antica per gli Ateniesi combattere contro i lupi,: “ ajrcai`on de; toi`~  j Aqhnaivoi~ to; polemei`n toi`~ luvkoi~” (23, 4), poiché essi hanno un territorio adatto più al pascolo che all’agricoltura.

Torniamo a Nietzsche: Le immagini del sogno appaiono meno imperfette della realtà quotidiana “solo lacunosamente intelligibile”, quindi sono in rapporto simbolico con le arti (cfr. Freud).
Le immagini apollinèe sono differenti dalla realtà grossolana: manifestano la calma piena di saggezza e l’occhio solare del dio plastico dal quale spira la solennità della bella parvenza.
Può valere per Apollo quanto scrive Schopenhauer dell’uomo irretito nel velo di Maia “il velo ingannatore che avvolge gli occhi dei mortali” (Il mondo come volontà e rappresentazione, p. 35).
 Sch. cita Pindaro (cfr. supra) e l’Aiace di Sofocle ( oJrw` ga;r hJma`~ oujde;n o[nta~ a[llo plh;n-ei[dwl j o{soiper zw`men, h] koufvhn skiavn” vv. 125-126), vedo che noi, quanti viviamo, non siamo altro che fantasmi e vana ombra.

La lezione di Schopenhauer
N. cita Sch: “come sull’infuriante mare che ululando innalza montagne d’onde, un navigante siede su un battello confidando nella debole imbarcazione; così l’indiduo sta placidamente in mezzo a un mondo di affanni, appoggiandosi fidente nel principium individuationis” (Il mondo come volontà, IV, 63, p. 463). Il velo di Maia è il fenomeno, ingannevole.
Infatti “Una e identica volontà è quella che in tutti vive e si manifesta, ma le sue manifestazioni si combattono e si dilaniano a vicenda” (III, 51, p. 341). Alla fine delle tragedie vediamo nei più nobili caratteri la rassegnazione, la rinunzia agli scopi perseguiti, all’intera volontà di vivere.  Così Amleto, così Margherita nel Faust, così la Fidanzata di Messina. Muoiono tutti purificati dal dolore (p. 341)

Torniamo a N. che ha un’altra opinione del Principium individuationis: Apollo è “la magnifica immagine divina del Principium individuationis” In lui si vede tutta la gioia, la saggezza e la bellezza della parvenza (p. 24)
Il dionisiaco è la negazione del Pr. ind.
 Il dionisiaco ha analogia con l’ebbrezza. Con il dionisiaco “l’elemento soggettivo svanisce in un completo oblio di sé”.
 Nel medioevo tedesco schiere di persone si agitavano sotto lo stesso potere dionisiaco cantando e danzando. Erano i danzatori di San Giovanni e di San Vito, epigoni delle schiere bacchiche dei Greci con la loro presistoria in Asia Minore, fino a Babilonia.
Gli ottusi considerano tali manifestazioni come malattie mentali : “i poveretti non sospettano certo quanto cadaverica e spettrale apparirebbe questa loro “sanità”, quando passasse loro accanto fremendo la vita ardente degli invasati da Dioniso”.

Adolph Cusins, il fidanzato di Barbara, maggiore dell’esercito della salvezza nella commedia di Bernard Shaw, dice al futuro suocero, il padre di Barbara, ricchissimo fabbricante di armi: “You do not understand the Salvation Army. It is te army of joy, of love, of courage…It takes the poor professor of Greek, the most artificial and self-suppressed of human creatures, from his meal of roots, and lets loose the rhapsodist in him; reveals the true worship of Dionysos to him; sends him down the public street drumming dithyrambs”[3], Tu non capisci l’Esercito della Salvezza. E’ l’esercito della gioia, dell’amore, del coraggio…Porta via il povero professore di Greco, la più artificiale e autorepressa delle creature dal suo pasto di radici, e libera il rapsodo che è in lui; rivela in lui il vero cultore di Dioniso; lo manda nella pubblica strada a tambureggiare ditirambi.   .

“Sotto l'incantesimo del Dionisiaco non solo si stringe il legame fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile o soggiogata, celebra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo figlio perduto, l'uomo.
 La terra offre spontaneamente i suoi doni, e gli animali feroci delle terre rocciose e desertiche si avvicinano pacificamente. Il carro di Dioniso è tutto coperto di fiori e ghirlande: sotto il suo giogo si avanzano la pantera e la tigre. Si trasformi l'inno alla gioia di Beethoven in un quadro e non si rimanga indietro con l'immaginazione, quando i milioni si prosternano rabbrividendo nella polvere: così ci si potrà avvicinare al dionisiaco. Ora lo schiavo è uomo libero, ora s'infrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, l'arbitrio o la moda sfacciata hanno stabilite fra gli uomini. Ora, nel vangelo dell'armonia universale, ognuno di sente non solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità originaria"[4].

L'Inno alla gioia è originariamente un componimento del poeta e scrittore tedesco Friedrich Schiller. Con questa ode Schiller intendeva esprimere la sua visione idealistica sullo sviluppo di un legame di fratellanza fra le persone: « L'uomo è per ogni uomo un fratello! Che tutti gli esseri si abbraccino! Un bacio al mondo intero! ».
Beethoven condivise questa visione e scelse di musicare la poesia di Schiller nel movimento finale della sua Nona Sinfonia, che compose nel 1823. Il risultato fu la famosa melodia dell''Inno alla gioia'.

An die Freude
Freude, schöner Götterfunken,
Tochter aus Elysium,
Wir betreten feuertrunken ,
Himmlische, dein Heiligtum.
Deine Zauber binden wieder,
Was die Mode streng geteilt
Alle Menschen werden Brüder,
Wo dein sanfter Flügel weilt.
Wem der grosse Wurf gelungen,
Eines Freundes Freund zu sein,
Wer ein holdes Weib errungen,
Mische seinen Jubel ein!
Ja, - wer auch nur eine Seele
Sein nennt auf dem Erdenrund!
Und wer's nie gekonnt, der stehle
Weinend sich aus diesem Bund!
Freude trinken alle Wesen
An den Brüsten der Natur;
Alle Guten, alle Bösen
Golgen ihrer Rosenspur!
Küsse gab sie uns und Reben
Einen Freund, geprüft im Tod!
Wollust ward dem Wurm gegeben,
Und der Cherub steht vor Gott!wie Froh, seine Sonnen fliegen
Durch des Himmels prächt'gen Plan,
Laufet, brüder, eure Bahn,
Freudig, wie ein Held zum Siegen.
Seid umschlungen, Millionen!
Diesen Kuss der ganzen Welt!
Brüder, über'm Sternezelt
Muss ein lieber Vater wohnen
Ihr stürzt nieder, Millionen?
Ahnest du den Schöpfer, Welt?
Such' ihn über'm Sternenzelt!
Über Sternen muss er wohnen!

Alla gioia

Gioia, bella scintilla divina,
figlia degli Elisei,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
La tua magia ricongiunge
ciò che la moda ha rigidamente diviso,
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove la tua ala soave freme.
L'uomo a cui la sorte benevola,
concesse di essere amico di un amico,
chi ha ottenuto una donna leggiadra,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, - chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c'è riuscito, lasci
piangente e furtivo questa compagnia!
Gioia bevono tutti i viventi
dai seni della natura;
tutti i buoni, tutti i malvagi
seguono la sua traccia di rose!
Baci ci ha dato e uva ,
un amico, provato fino alla morte!
La voluttà fu concessa al verme,
e il cherubino sta davanti a Dio!Lieti, come i suoi astri volano
attraverso la volta splendida del cielo,
percorrete, fratelli, la vostra strada,
gioiosi, come un eroe verso la vittoria.
Abbracciatevi, moltitudini!
Questo bacio (vada) al mondo intero
Fratelli, sopra il cielo stellato
deve abitare un padre affettuoso.
Vi inginocchiate, moltitudini?
Intuisci il tuo creatore, mondo?
Cercalo sopra il cielo stellato!
Sopra le stelle deve abitare!


"Con il termine "dionisiaco" si esprime: un impulso verso l'unità, un dilagare al di fuori della persona, della vita quotidiana, della società, della realtà, come abisso dell'oblio…un'estatica accettazione del carattere totale della vita…la grande e panteistica partecipazione alla gioia e al dolore, che approva e santifica anche le qualità più terribili e problematiche della vita…
Con il termine apollineo si esprime: l'impulso verso il perfetto essere per sé, verso l'"individuo" tipico, verso tutto ciò che semplifica, pone in rilievo, rende forte… Lo sviluppo ulteriore dell'arte è legato all'antagonismo di queste due forze artistiche della natura così necessariamente come lo sviluppo ulteriore dell'umanità è legato all'antagonismo dei sessi. La pienezza della potenza e la moderazione, la più alta affermazione di sé in una bellezza fredda, aristocratica, ritrosa: l'apollinismo della volontà ellenica"[5].

 Poco più avanti Nietzsche aggiunge che il greco dionisiaco ha bisogno di divenire apollineo, ossia di spezzare la sua inclinazione verso l'immane e l'incerto mediante una volontà di misura e ordine: “ Nel fondo del Greco c'è la mancanza di misura, la caoticità, l'elemento asiatico: la prodezza del Greco consiste nella lotta con il suo asiatismo: la bellezza non gli è donata, non più della logica, della naturalezza dei costumi-esse sono conquistate, volute, strappate- sono la sua vittoria"[6].

L’apollineo è la giustificazione estetica della vita umana terrorizzata dai mostri del Caos primordiale e negata dalla cupa tristezza silenica che giudica non essere nati, non essere, la cosa più bella.

Nietzsche mette in rilievo, oltre al valore della bellezza, quello della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[7].

Per quanto riguarda il valore dell’arte che ribalta la triste sapienza silenica, sentiamo O. Wilde: “and that is the function of Literature to create, from the rough material of actual existence, a new world that will be more marvellous, more enduring, and more true than the world that common eyes look upon, and through which common natures seek to realize their perfection[8], e questa è la funzione della Letteratura, creare dal materiale grezzo dell’esistenza reale, un nuovo mondo che sarà più meraviglioso, più duraturo e più vero del mondo sul quale occhi comuni gettano lo sguardo e attraverso il quale nature comuni cercano di realizzare la loro perfezione.

 Sull’apollineo sentiamo anche Nilsson: “Sul tempio di Apollo in Delfi era scolpito il precetto famoso: Gnothi seauton! Conosci te stesso! Nessun altro è stato mai ripetuto tante volte. Per noi esso è un imperativo che ci richiama alla sfera della coscienza, per i Greci d’allora significava “Sappi che tu sei un uomo, soltanto un uomo!”. Questa massima riassume nella sua essenza quanto la religione apollinea insegna sul rapporto che è tra l’uomo e gli dèi. L’uomo deve avere coscienza della sua debolezza e della onnipotenza degli dèi e sottomettersi ad essi. Insieme con questo motto Platone[9] ne ricorda un altro: Meden agan! Nulla di troppo! E dice ancora che, entrando nel tempio di Apollo, ci si trovava di fronte l’ammonimento: Sophronei!   Il significato che un simile verbo ha è difficile a rendere; si potrebbe forse dire: abbi senno! E cioè, usa una saggia misura, renditi conto del posto che t’è dato nel mondo ed evita di essere superbo sia verso gli dèi che verso gli uomini! Questo monito ci riconduce, in altri termini, al medesimo ordine di idee che è presupposto al “Nulla di troppo!”. Pindaro esprime lo stesso concetto in maniera più incisiva ammonendo: Se la sorte ti è favorevole, “non volere essere Zeus. Ai mortali convengono cose mortali[10][11].

Ma torniamo alla Nascita della tragedia: danzando e cantando l’uomo disimpara a camminare ed è in punto di volarsene in cielo. Nasce l’incantesimo: gli animali parlano, laterra dà latte e miele, l’uomo in estasi si sente come un dio.


continua




[1] Scelta di frammenti postumi, primavera 1888-14, p. 229.
 L'artista tragico non è pessimista: egli dice precisamente sì anche a tutto quanto è problematico e orrido; egli è dionisiaco (Crepuscolo degli idoli.1888. 62).
Ogni morale sana è dominata dall'istinto della vita.
[2] Die Meistersinger von Nürnberg) è il titolo di un'opera di Richard Wagner in tre atti, composta fra il 1862 e il 1867. La prima dell'opera ebbe luogo alla Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera il 21 giugno 1868, sotto la direzione di Hans von Bülow con successo ed alla presenza del compositore e del re Luigi II di Baviera, patrono del compositore. La vicenda si svolge a Norimberga verso la metà del XVI secolo: a quel tempo, Norimberga era un libero comune imperiale e uno dei centri del Rinascimento nordeuropeo. Al centro della storia vi è la realmente esistita corporazione dei Meistersinger (Maestri Cantori), un'associazione di poeti e musicisti "dilettanti", provenienti soprattutto dai ceti artigiani e popolari. I maestri cantori svilupparono una serie di regole loro proprie di composizione e di esecuzione, che Wagner studiò dettagliatamente: l'opera I maestri cantori di Norimberga deve parte del suo fascino anche alla fedele ricostruzione storica della Norimberga dell'epoca e delle tradizioni della corporazione dei Maestri cantori. Il poeta-ciabattino Hans Sachs, uno dei protagonisti principali, è un personaggio storico realmente esistito: Hans Sachs (1494-1576) fu il più famoso dei maestri cantori e una delle figure più amate della letteratura tedesca delle origini. 
[3] Major Barbara, 1905, Act II.
[4] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, pp. 25-26.
[5] F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888-14, p. 216.
[6] F. Nietzsche, Frammenti postumi, Primavera 1888-14, p. 217.
[7] La nascita della tragedia, p. 37.
[8] The critic as artist, p. 63.
[9] Platone, Prot. , 343 A; Charm., 164 D.
[10] Pindaro, Istm., V, vv. 13 ss.
[11] Nilsson, Religiosità greca, p. 64.

1 commento:

  1. Mi chiedo se l'Apollineo come giustificazione estetica della vita umana sia ancora un concetto valido,io personalmente credo di sentirlo fortemente. La società contemporanea e l'istituzione scolastica mi sembra andare in un'altra direzione, A presto Giovanna Tocco

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