Giovanni Domenico Tiepolo Processione del Cavallo di Troia |
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I parte della conferenza di stasera 12 ottobre 2015 ore 18
alla Biblioteca Natalia Ginzburg, Via Genova 10, Bologna
alla Biblioteca Natalia Ginzburg, Via Genova 10, Bologna
Ulisse in alcuni
autori classici (Pindaro, Sofocle, Euripide, Virgilio, Stazio, Cicerone, Apuleio,
Seneca) e in altri moderni: Tennyson, Boitani, Cesare Pavese, Costantinos Kavafis, Guido Gozzano, Dante, Pascoli, T. Mann, Bertold
Brecht, Kafka e il silenzio delle Sirene, Italo Calvino, l’Ulisse di James
Joyce. Ulisse di Dante, Ulixes
dei latini e Ὀδύσσευς.
Omero, Dante, Sofocle, Platone, Virgilio, Ovidio, Seneca, Stazio, Apuleio. Agostino.
Ancora Dante e l’apostolo Paolo.
Pindaro nell’Istmica IV denuncia l’oscurità del
destino (v. 31), che fece cadere Aiace, puvrgo~[1] la torre, con gli artifici di chi valeva
meno di lui, ma Omero gli ha reso onore tra gli uomini (all j { Omhrov~ toi
tetivmaken di j ajnqrwvpwn (v. 37).
Nella Nemea VIII
il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~
(v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e
prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’generosi/giusta
di glorie dispensiera è morte; /né senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le
spoglie ardue serbava, /ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata
dagl’inferni Dei”[2]
Nel Filottete di
Sofocle, Neottolemo lamenta di essere stato espropriato dei suoi beni, ossia
delle armi del padre dal peggiore di tutti, nato da malvagi[3],
Odisseo.
Nella parodo dell’Ecuba
di Euripide il coro delle
prigioniere troiane presenta Odisseo come «lo scaltro (oJ poikilovfrwn) furfante dal dolce eloquio, adulatore del
popolo» (vv. 131 - 132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena.
In questa tragedia il
figlio di Laerte è un freddo politico per cui vale solo la ragion di Stato che
calpesta tante vite innocenti.
Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre
dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:
«Razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore
popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di
danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma
quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza?
Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove
sarebbe più giusto ammazzare un bue?» (Ecuba,
vv. 254 - 261).
Poco più avanti
Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un'alta
espressione di umanesimo in favore della vita: "mhde; ktavnhte: tw'n
teqnhkovtwn a{li" " (v.
278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Nelle Troiane di
Euripide, Ecuba si lamenta tra l’altro di essere stata assegnata come schiava a
Odisseo, poiché le è toccato in sorte di servire l’Itacese, un uomo abominevole,
fraudolento nemico di giustizia: μυσαρῷ
δολίῳ λέλογχα φωτὶ δουλεύειν, / πολεμίῳ δίκας (vv. 283 - 284), una
bestia feroce contraria alla legge (παρανόμῳ δάκει).
Più avanti
Cassandra pre - vede le peripezie di Odisseo: Cariddi, il Ciclope wjmobrwv~ t j
ojreibavth~ (Troiane, 436) che mangia la carne cruda
e vaga per le montagne. Sono abitudini che Euripide attribuirà anche alle
baccanti nella sua ultima tragedia.
Quindi la
principessa troiana menziona Circe, hJ suw`n morfwvtria (che dà la forma - morfovw - do forma morfhv - di porci v. 437), i naufràgi, gli amori
del loto, la droga che fa perdere l’identità, le vacche sacre del sole dalla carne
parlante, amara voce per Odisseo pikra;
n gh`run 440 - 441.
Infine l’evocazione
dei morti e la lotta finale con i proci.
Sono i polla; a[lgea annunciati nel primo canto dell’Odissea (v. 4).
Quando rientra
Taltibio, porta oujc eJkwvn (Troiane, 710), non volentieri, una
notizia orrenda. E’prevalso il parere di Odisseo di ammazzare Astianatte. L’araldo
consiglia la madre di non ribellarsi se vuole che il bambino venga almeno
seppellito.
Andromaca nota che
il mondo va a rovescio: è proprio la nobiltà del padre che lo ucciderà: hJ tou` patro; ~ dev s
j eujgevnei j (a) ajpoktenei` (v. 742), quella nobiltà che per altri è
stata la salvezza.
E’l’acta
retro cuncta dell’Oedipus (367).
Ecuba accusa anche Elena qeostughv~
(1213), odiosa agli dèi.
Lo scudo di Ettore, dice poi Ecuba, dovrebbe essere onorato
più delle armi di Odisseo sofou` kakou`
(astuto malvagio, smontatura del sofov~
Troiane, 1224 - 1225).
E’questa una tragedia con la quale Euripide denuncia il
razzismo e l’imperialismo degli ateniesi che poco tempo prima della
rappresentazione (primavera del 415) avevano perpetrato il vergognoso genocidio
dell’isola di Melo.
Nel dramma satiresco
Ciclope, di Euripide, quando Odisseo
entra in scena definendosi Itacese, signore dei Cefalleni, Sileno replica: “oi\d j a[ndra, krovtalon
drimuv, Sisuvfou gevno~” (vv. 103
- 104), conosco quel tipo, un sonaglio petulante, razza di Sisifo[4].
Nell'Ippia minore di
Platone, il sofista eponimo del dialogo sostiene che mentre Achille è veritiero
e semplice ("ajlhqhvv" te kai; aJplou'"",
365b) Odisseo è invece "poluvtropov"
te kai; yeudhv"", versatile e menzognero.
Sono i luoghi comuni della letterarura successiva a Omero la
quale contrappone spesso lo schietto Pelide al subdolo Odisseo: Achille nell’Ifigenia
in Aulide di Euripide chiarisce a Clitennestra che lo educò Chirone: “perché
non imparasse gli usi degli uomini malvagi[5].
Più avanti il figlio di Peleo riconosce tale capacità
paideutica all'uomo piissimo che l'ha allevato dal quale: ", ha imparato
ad avere semplici i costumi[6].
L’antitesi del semplice, onesto Achille in questa tragedia, e non solo, è
Odisseo del quale Agamennone dice: “, è molteplice per natura e sempre dalla
parte della massa[7].
Cioè un demagogo. Oggi si direbbe un “populista”.
Torniamo Ippia minore.
Nel dialogo Platonico, Ippia riceve una confutazione da
Socrate.
Il sofista ricava la
distinzione tra i due capi achei dal IX libro dell'Iliade dove Fenice Aiace e Odisseo vanno in ambasceria da Achille
che irato non combatteva ma faceva l'aedo, ossia cantava glorie di eroi
accompagnandosi con la cetra ("fovrmiggi..
a[eide kleva ajndrw'n", vv. 186 e189). Dopo l'accoglienza cordiale,
il cibo e la bevanda, Odisseo parlò ("Aiace - nota Jaeger - personifica
piuttosto l'azione, Odisseo la parola"[8])
scongiurando Achille di tornare in battaglia e promettendogli donne mari e
monti da parte di Agamennone. Ebbene Achille risponde che gli è odioso come le
porte dell'Ade chi una cosa tiene nascosta e un'altra ne dice[9].
L’Ippia di Platone sostiene che non a caso Omero fa
indirizzare queste parole a Odisseo
Socrate risponde opponendosi a questa opinione comune della
schiettezza di Achille e affermando che il Pelide mente non meno di Odisseo, poiché
ha detto all’Itacese che sarebbe partito[10],
e invece ad Aiace che non si sarebbe mosso fino all’arrivo di Ettore davanti
alla sua tenda[11].
Ippia sostiene che Achille non mente di proposito.
Socrate invece
afferma che Achille ha mentito deliberatamente a Odisseo per superarlo anche
nell’arte del raggiro e aggiunge che coloro i quali danneggiano, gli altri, e
commettono ingiustizia e mentono e ingannano ed errano volontariamente (eJkovnte~)[12]
sono migliori di quelli che lo fanno involontariamente (a[konte~)[13].
Infatti chi fa del
male volontariamente, se vuole fa del bene, chi lo fa involontariamente non sa
fare altro. E’molto peggio zoppicare per necessità che per gioco.
Socrate nei dialoghi platonici dà sempre scacco matto ai
sofisti.
Infatti Leopardi lo considera il più sofista di tutti.
E Socrate stesso, l'amico del vero, il bello e casto
parlatore, l'odiator de’calamistri[14]
e de’fuchi[15]
e d'ogni ornamento ascitizio[16]
e d'ogni affettazione, che altro era ne’suoi concetti se non un sofista niente
meno di quelli da lui derisi?” (Zibaldone,
3474).
Platone ricorda Odisseo anche nel mito di Er della Repubblica
Aiace Telamonio scelse la vita di un leone poiché rifuggiva
dal nascere uomo in quando ricordava il giudizio delle armi (620b).
Agamennone, per avversione al genere umano, scelse la vita
di un’aquila. Orfeo, scelse la vita di un cigno non volendo nascere da grembo
di donna mivsei tou` gunaikeivou gevnou~,
in odio del genere femminile per la morte sofferta dalle donne[17].
Il buffone Tersite scelse la natura di una scimmia.
L’anima di Odisseo, prese la sorte per ultimo e, guarito da
ogni ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un
uomo privato e amante del quieto vivere ("bivon
ajndro; " ijdiwvtou ajpravgmono"", Repubblica 620c).
La trovò messa da parte e negletta dagli altri, ma disse che
l’avrebbe presa anche se avesse dovuto fare la scelta per primo.
Quindi Lachesi diede a ciascuno come custode (fuvlaka) il demone (daivmona, 620d) che si era scelto. Poi
Cloto Atropo e Ananche confermavano le scelte e le rendevano immutabili.
In seguito le anime venivano portate attraverso una
terribile calura e arsura fino al fiume Amelete perché ne bevessero l’acqua. Una
certa misura era obbligatoria. I meno prudenti ne bevevano più della misura (plevon tou` mevtrou, 621) e mentre
bevevano scordavano tutto. Infine si addormentavano, scoppiava un tuono e le
anime venivano spinte a una nuova nascita cui si lanciavano come stelle cadenti.
A Er era stato
impedito di bere e non sapendo come, si era trovato il mattino sulla pira. Socrate
commenta il mito con poche parole dicendo che per entrare nell’apertura e nella
via che va in alto bisogna praticare sempre la giustizia in modo da essere cari
a noi stessi e agli dèi qui in terra e dopo, nel viaggio millenario di cui si è
detto (621d)
Nell’Eneide
Ulisse è malfamato: sic notus Ulixes? (II, 44), così (male) conoscete
Ulisse? Domanda Laocoonte retoricamente e ironicamente ai Troiani incerti se
introdurre nella loro città il cavallo di legno, la fatalis
machina … feta armis (II, 237 - 238), gravida d’armi.
Ulisse non compare, ma
arriva un suo alter ego, Sinone, il
quale, per convincere i creduli Teucri, denuncia la trama criminale
architettata contro l’innocente Palamede morto invidia pellacis Ulixi (II, 90), per l’invidia del perfido Ulisse
che definisce scelerum inventor (II,
164) ideatore di crimini.
Ma “il falso Sinòn
greco da Troia”[18]
era appunto pure lui un simulatore, quindi le sue parole mendaci depongono a
sfavore di Ulisse solo per finta. Sentiamo allora che cosa dice di Ulisse il pius Aeneas “quel giusto/figliuol
d’Anchise che venne da Troia, /poi che ‘l superbo Iliòn fu combusto”[19].
Nel III libro dell’Eneide, il figlio
di Venere racconta a Didone il viaggio verso l’Italia dei Troiani scampati alla
distruzione di Ilio: allontanatisi dalle Strofadi, i Teucri fuggiaschi passano
vicino a Zacinto boscosa e altre isole, evitando con cura Itaca: Effugimus scopulos Itacae, Laërtia regna, / et
terram altricem saevi exsecramur Ulixi (vv. 272 - 273), evitiamo gli scogli di Itaca, regno di Laerte, e
malediciamo la terra nutrice del crudele Ulisse.
Nel VI libro l’ombra
dello sconciato Deifobo, raccontando la propria orrenda fine, definisce Ulisse
l’Eolide[20],
hortator scelerum (v. 529), istigatore di scelleratezze.
Nel IX canto Remulo,
cognato di Turno, ricorda Ulisse come fandi
fictor (602), artefice di un
parlare ingannevole.
Ovidio Metamorfosi
XIII. La contesa per le armi di Achille tra Ulisse e Aiace
Il poeta Peligno
presenta un duello oratorio tra Aiace e Ulisse. Questo torneo oratorio il
dibattito giudiziario tra Elena ed Ecuba nelle Troiane di Euripide.
Aiace si presenta
come legittimo erede delle armi di Achille il quale, tanto per cominciare, era
suo cugino. Peleo e Telamone, i loro padri infatti erano fratelli e per giunta
nipoti di Giove in quanto figli di Eaco nato da Giove, appunto, e da Egina.
Ulisse invece è, di
fatto, figlio di Sisifo furtisque et
fraude simillimus illi (v. 32) del tutto simile a lui per frode e per furti.
Quindi il Telamonio
ricorda una delle frodi di Ulisse: prese le armi per ultimo: cercò di rifiutare
la milizia furore…ficto (vv. 36 - 37),
fingendosi pazzo
Qui si possono
ricordare gli ossimori viventi, come Bruto, Amleto e altri.
“Il falso stolto deve anche farne, di sciocchezze, oltre che
dirne. Odisseo a Itaca, davanti a Menelao e Agamennone, aggioga all'aratro un
bue e un cavallo e se ne va in giro con in capo il berretto (pileus) dello
stolto[21].
Peccato che non possiamo più vedere un celebre dipinto di Eufranore che stava a
Efeso, forse nel santuario di Artemide. Plinio lo descriveva così: "Ulisse,
fintosi pazzo, aggioga un bue insieme con un cavallo: vi sono anche uomini
pensosi vestiti col pallio, e un comandante che rinfodera la spada"[22].
Ma Palamede, che aveva inventato 11 lettere
dell’alfabeto, scoprì l’astuzia e mal gliene incolse.
“Egli prese il
figlio di Ulisse, Telemaco, dalla culla e lo pose davanti all’aratro, dicendo: “Lascia
questa commedia e unisciti agli alleati”[23].
Ulisse si vendicò
nascondendo dell’oro sotto la tenda di Palamede e facendo trovare ad Agamennone
una lettera nella quale lui stesso aveva scritto che Priamo aveva promesso al
figlio di Nauplio tanto oro quanto poi venne fatto trovare sotto terra.
Palamede in seguito
a questa falsa accusa venne lapidato e Nauplio, suo padre, per vendetta fece
naufragare le navi dei Greci sulle scogliere di Cafareo, un promontorio
dell’Eubea con segnali di fuoco ingannevoli.
Ma torniamo al
discorso di Aiace nelle Metamorfosi
di Ovidio.
Magari fosse stato
pazzo davvero, continua il Telamonio, o almeno creduto tale, e non fosse venuto
a Troia questo hortator scelerum (v. 45)
Non avrebbe
condannato Filottete alla solitudine e allo strazio[24].
Ora l’erede delle
armi di Ercole velatur aliturque avibus
(v. 53), si veste e si ciba di uccelli ed è consumato dal morbo e dalla fame.
Ma almeno vive
poiché non ha seguito l’Itacese.
Mallet et infelix Palamedes esse relictus (v. 56), vorrebbe essere stato abbandonato
anche l’infelice Palamede; viveret, sarebbe
vivo o sarebbe morto senza infamia.
Così, con la morte o
l’esilio, Ulisse inficiò le forze dei Greci.
Aiace ricorda pure
che una volta egli stesso salvò la vita a Ulisse coprendolo con lo scudo (75 - 76).
Come fu salvato, il vigliacco fuggì.
Aiace fu il più
coraggioso nell’opporsi alla furia di Ettore
Gran vanto
dell’Itacese è la spedizione notturna con l’uccisione dell’imbelle Dolone, e di
Reso mentre dormiva[25].
Ma l’Itacese non
fece mai niente di grande durante la luce del giorno, né senza Diomede. Ulisse
è un uomo subdolo e vile che opera sempre di nascosto, senza armi, ingannando
l’incauto nemico con frodi (qui clam, qui
sempre inermis - rem gerit et furtis incautum decipit hostem, vv. 103 - 104).
La sua vera arma è la lingua con la quale intreccia sofismi fallaci.
Le armi di Achille
non sono adatte a un uomo tanto debole: l’elmo gli farà cadere la testa, l’asta
il braccio, e lo scudo dove è raffigurata la terra[26]
non è fatto timidae nataeque ad furta
sinistrae (v. 111), a una sinistra codarda e nata per rubare.
Sentiamo la replica
astuta di Ulisse
Parlò con grazia e
facondia (Metamorfosi XIII, v. 127)
L’Itacese inizia il
suo discorso simulando dolore per la morte di Achille con le parole e facendo
nello stesso tempo il gesto di tergersi lacrime (manuque simul veluti lacrimantia tersit - lumina, vv. 131 - 132)[27]
quindi ricorda che il legittimo erede e
successore del Pelide è lui stesso che lo ha portato a combattere nel campo dei
Greci.
Ulisse si riferisce
al fatto che Tetide aveva mandato il figliolo travestito da ragazza nell’isola
di Sciro, ospite del re Licomede. Qui Achille ebbe una relazione furtiva con
Deidamia da cui nascerà Pirro, poi venne scoperto, invogliato a combattere e
portato a Troia da Ulisse e Diomede.
Ulisse rivendica a
sé il merito di avere portato Achille da Sciro a Troia: fortem ad fortia misi (XIII, 170). Dunque Ettore è stato ucciso
grazie a me: per me iacet inclitus
Hector! (178). Si vanta anche di avere convertito l’affetto paterno di
Agamennone al bene comune quando lo convinse a sacrificare Ifigenia: “ego mite parentis ingenium verbis ad publica
comoda verti ” (187 - 188). Fu l’utilitas
populi a richiedere quel sacrificio (cfr. “Caiphas cum esset pontifex anni illius dixit eis: expedit vobis ut unus
moriatur homo pro populo et non tota gens pereat!, Giovanni, 11, 50).
Poi l’Itacese
ricorda di essere andato con Menelao come audax
orator nella curia di Troia
superba rischiando la vita. Dunque egli fece molte cose consilioque manuque, con il senno e con la mano (XIII, 205, cfr. Gerusalemme Liberata I, 1, 3). Ulisse
ricorda quando fu lui a fermare l’esercito in fuga dopo il sogno di Agamennone)
cfr. Iliade, II) quando et ipse fugit
(XIII, 223) lo stesso Aiace fuggiva.
Io fermai i
fuggiaschi con rampogne quando dolor ipse
disertum fecerat, lo stesso dolore mi aveva reso eloquente (228). Tersite
fu per me haud impune protervus (233)
Ricordai vulnera pulchra le ferite onorevoli
ricevute e mostra le cicatrici (264) come fece Mario per farsi eleggere console
Ammette che Aiace
difese la flotta e duellò con Ettore, ma non gli inflisse ferite Hector abit violatus vulnere nullo (279),
mentre Patroclo venne ucciso da Ettore e Achille lo uccise.
Le armi di Achille
non furono ottenute da Tetide perché le indossasse un rudis et sine pectore miles (290). Sono armi preziose che Aiace non
intende: quae non intellegit arma (295)
Lui arrivò tardi
come Achille. “Me pia detinuit coniunx, pia
mater Achillem” 301). E Achille fu scoperto dal mio grande ingegno, non io
da Aiace, Palamede non seppe difendersi poicé la sua colpa era palese. Filottete
aveva bisogno di riposo e dopo tutto è ancora vivo. Ora la suapresenzaè
necessaria: provate a mandare lo stolidus
Aiace a placare con la sua facondia la rabbia di quell’eroe. Sarò io a
riportarlo sebbene mi odi. Lo porterò qua con la forza.
Gli altri eroi greci
hanno ceduto le armi davanti al mio senno.
Tu vires sine mente geris, mihi cura futuri (363).
Quindi chiede le
armi. Allora si svelò nei fatti quanto può la forza della parola: quid facondia posset, - re patuit, fortisque
viri tulit arma disertus (382 - 383). Allora invictum virum vicit dolor (386)
Aiace quindi si
uccise e dalla terra arrossata nacque un fiore vermiglio come da Giacinto. Si
vede che la forza suprema è quella della parola. Una forza però a doppio taglio.
Sentiamo Gorgia: "lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o{"
smikrotavtw/ swvmati kai; ajfanestavtw/ qeiovtata e[rga ajpotelei’"[28],
la parola è un gran signore che, con un corpo piccolissimo e invisibile, compie
opere assolutamente sovrumane.
Queste opere possono essere divine ma anche diaboliche.
L'apostolo Giacomo
mette in rilievo la parte direttiva del parlare come aveva fatto l'Odisseo del Filottete:
" se uno non inciampa nel parlare, questo è un uomo perfetto (tevleio" ajnhvr), capace di guidare
tutto il corpo. La lingua dunque è
un piccolo membro e si vanta di grandi cose (mikro;
n mevlo" kai; megavvla aujcei').
Eppure essa è un fuoco, è il mondo dell'iniquità (oJ kovsmo" th'" ajdikiva") e contamina tutto
il corpo e incendia la ruota della nascita e trae la sua fiamma dalla Gehenna (kai;
flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh") … Ogni specie di fiere e di
uccelli e rettili e animali marini si doma ed è stata domata dalla razza umana,
ma la lingua nessuno degli uomini
può domarla, è un male inquieto, pieno
di veleno mortifero (Epistola di Giacomo, 3, 2 - 8). La mancanza
della lingua è un grave handicap, ma la lingua ingannevole produce il male e la
morte.
Lo scita Anacarsi che andò ad Atene nel 591 e fu ospite e
amico di Solone, interrogato che cosa fosse insieme bene e male per gli uomini,
rispose “la lingua”[29].
La pessima
reputazione di Ulisse è rinnovata da Seneca.
Nelle Troiane,
Andromaca annuncia l’arrivo di Ulisse con queste parole: Adest Ulixes, et
quidem dubio gradu / vultuque: nectit
pectore astus callido (vv. 521
- 522), ecco qua Ulisse e certamente con un incedere e un’espressione equivoca:
intreccia astuzie nel petto scaltro. Più avanti la vedova di Ettore e mater dolorosa di Astianatte apostrofa
l’Itacese in questo modo: O machinator fraudis et scelerum artifex, /
virtute cuius bellica nemo occĭdit, / dolis et astu maleficae mentis iacent /
etiam Pelasgi, vatem et insontes deos / praetendis? Hoc est pectoris facinus
tui (vv. 750 - 754), o
tessitore di frodi e artefice di crimini, per il cui valore di guerriero
nessuno è morto, mentre per i tuoi inganni e l’astuzia della mente malefica
giacciono cadaveri anche i Pelasgi, ora metti avanti l’indovino e gli dèi
incolpevoli? Questo è un delitto dell’animo tuo.
Ulisse per ottenere
la nefanda uccisione del piccolo Astianatte, ha attribuito a Calcante la
previsione dei lutti che il bambino procurerebbe alle madri greche se il
bambino non venisse ucciso e diventasse grande e forte come suo padre. Le
tragedie di Seneca come poi quelle di Shakespeare, si sa, sono scritte in bloody lines[30].
E ancora: nella I
delle Heroides[31]
di Ovidio, Penelope scrive al marito che anni dopo la vittoria non è
ancora tornato, e per giunta non ha mandato notizie a casa: victor abes nec scire mihi, quae causa morandi, /
aut in quo lateas, ferreus, orbe licet (vv. 57 - 58), vittorioso rimani lontano e io non posso sapere qual è la
causa del tuo ritardo o in quale contrada ti nascondi, crudele.
Ulisse dunque è ferreus, insensibile, crudele, spietato.
Quindi la desolata
Penelope immagina che il marito peregrino
captus amore (76), preso dall’amore per una straniera, forse le racconti
quanto sia rozza la propria consorte, che sa soltanto cardare la lana. Forsitan et narres quam sit tibi rustica coniunx, /
quae tantum lanas non sinat esse rudes (77 - 78).
Stazio nell’Achilleide racconta come il Pelide, fatto
imboscare dalla madre presso il re Licomede nell’isola di Sciro camuffato da magna virgo (II, 69 - 70), fanciulla
robusta, venne smascherato dall’astuzia di Ulisse, il providus heros (698), l’eroe prudente, l’uomo sollers (110) accorto. Achille, infatti, è simplex nimiumque rudis (172), ingenuo e troppo inesperto, qui callida dona / Graiorumque dolos
variumque ignoret Ulixen (846 - 847) tale che ignora i doni scaltri e gli
inganni dei Greci e il versatile Ulisse. Questo varius ricorda il πολύτροπος di Omero, il versutus di Livio
Andronico e la consumata volpe di Sofocle[32].
Poco più avanti il Laerziade è qualificato come acer Ulixes (866), acuto e pure duro.
Massimo de Rigo Ulisse e la Montagna del Purgatorio |
In questo poema
incompiuto[33]
della fine del I secolo d. C., dunque, il Laerziade è astuto e subdolo ma non
malefico, sebbene il disvelamento del vero Achille comporti lì per lì il dolore
di Deidamia che amava il giovane già scoperto quale maschio da lei e per giunta
aspettava un bambino[34]
da lui, cui si era unita furtivamente; poi costerà la vita allo stesso Pelide
morto ante diem sotto le mura di
Troia.
Ma veniamo a Dante
che diffida dell’intelligenza troppo libera.
Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio / Quando
drizzo la mente a ciò ch’io vidi / E più lo ingegno affreno ch’i’non soglio, /
perché non corra che virtù nol guidi.
Sono i versi (Inferno XXVI[35],
19 - 22) di preludio all’episodio di Ulisse, il πολύτροπος, πολύμητις, πολυμήχανος dell’Odissea,
l’uomo che se la cava sempre in questo mondo poiché è complice con la realtà
delle cose[36].
Omero però, come
dicevo, è ben lontano dal condannare Odisseo: nell’Iliade il Laerziade è un uomo non bello[37]
ma capace di parlare e di sedare un tumulto dell’esercito[38]
che invece Agamennone, il capo della spedizione, non sa controllare. L’Itacese,
infatti, possiede l’arte politica che “consiste essenzialmente nel
maneggiare il linguaggio”[39].
Paura dell’intelligenza dunque in Dante, elogio
dell’intelligenza come forza suprema dell’uomo nei poemi omerici, soprattutto
nell’Odissea che è un grande campo di
battaglia degli intelligenti contro la brutalità primordiale, oppure contro la
stupidità civilizzata. Da una parte stanno Odisseo, Penelope (περίφρον[40]
molto saggia), Telemaco (πεπνυμένος[41] ispirato) ; dall’altra i
Ciclopi, i vari mostri primordiali, i giganti, gli eterni nemici della cultura,
e i Proci oziosi, capaci solo di gozzovigliare dalla mattina alla sera.
continua
[1]
Cfr. Odissea, XI, 556.
[2] Foscolo, Dei
Sepolcri, vv. 221 - 225.
[3]
pro; ~ tou’kakivstou kajk kakw'n jOdusseuv~” (384)
[4]
Secondo
una leggenda Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con Laerte, avrebbe
avuto una tresca con Sisifo, famoso per i suoi inganni, e da questa relazione
sarebbe nato Odisseo
[5]
i{n j h[qh mh; mavqoi kakw'n brotw'n” (v. 709),
[6]
ejgw; d j, ejn ajndro; "
eujsebestavtou trafei; " - Ceivrwno", e[maqon tou; "
trovpou" aJplou'" e[cein"
(vv. 926 - 927)
[7]
Poikivlo~ ajei; pevfuke tou’t j o[clou
mevta” (v. 526)
[8]Padeia 1, p. 69.
[9] o{" c j e{teron me; n keuvqh/ ejni; fresivn, a[llo de; ei[ph/", Iliade
IX, v. 313.
[10]
Iliade IX, 682 - 683
[11]
Iliade, IX, 650 - 655.
[12] Si pensi alla
rivendicazione di Prometeo nei confronti della propria tasgressione: “eJkw; n eJkw; n h{marton, oujk ajrnhvsomai
(Prometeo
incatenato, 266) di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la
trasgressione, non lo negherò.
Queste
parole del Titano ribelle forniscono una legittimazione all'ira di Zeus e
argomenti a Nietzsche in La nascita della
tragedia per nobilitare "la concezione ariana" del peccato attivo:
" La cosa migliore e più alta di cui l’umanità possa diventare partecipe, essa
la conquista con un crimine, e deve poi accettarne le conseguenze, cioè
l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui i celesti offesi devono
visitare il genere umano che nobilmente si sforza di ascendere: un pensiero
crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente contrasta con il mito
semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la
seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti eminentemente femminili
fu considerata come origine del male. Ciò che distingue la concezione ariana è
l’elevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica"
F. Nietzsche. La nascita della tragedia,
p. 69.
[13]
Ippia minore, 372 d
[14]
Da calamistrum, “ferro per arricciare
i capelli” (ndr).
[15]
Da fucus, “tintura rossa” (ndr).
[16]
Da ascisco, “annetto” (ndr).
[17]
Cfr. Virgilio, Georgica IV: spretae Ciconum quo munere matres - inter
sacra deum nocturnique orgia Bacchi - discerptum latos iuvenem sparsere per
agros” (vv. 520 - 522) spregiate da questa fedeltà (a Euridice) le donne
dei Ciconi fra riti religiosi e le orge di Bacco notturno, sparsero per i vasti
campi il giovane fatto a pezzi.
[18]
Dante, Inferno, XXX, 98. Sinone si trova nella X bolgia dell’ottavo
cerchio, tra i falsari, con la moglie di Putifarre “la falsa ch’accusò
Giuseppo” (v. 97) e altri.
[19]
Dante, Inferno, I, 73 - 74.
[20]
“Qui, come annota Servio, si segue la leggenda
secondo cui Anticlea, la madre di Odisseo, prima delle nozze con Laerte, avrebbe
giaciuto con Sisifo, figlio di Eolo, e ‘vasel d’ogni froda’, dal quale avrebbe
avuto Odisseo” (E. Paratore, a cura di, Virgilio,
Eneide, vol. III, libri V - VI, p. 292).
[21]
Igino, Fabulae, 95.
[22]
Plinio, Naturalis historia, 35, 129.
[23]
Igino, Fabulae, 95.
[24]
Cfr. la tragedia Filottete di Sofocle.
[25]
Raccontata nel X libro dell’Iliade.
[26]
Cfr. Iliade XVIII, 478 ss.
[27]
cfr.
Giovenale a proposito di tutti i Greci - graeculi:
natio comoeda est Satire,
III, 100.
[28]
Gorgia, Encomio di Elena, fr. B11 Diels - Kranz.
[29]
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, I,
8.
[30]
Shakespeare, Tito Andronico, V, 2.
[31]
Penelope Ulixi.
[32] Nel Filottete di Sofocle, Odisseo, la
consumata volpe, chiarisce al giovane Neottolemo il percorso che l’ha portato a
prediligere la γλῶσσα
rispetto agli ἔργα: ἐσθλοῦ πατρὸς παῖ,
καὐτὸς ὢν νέος ποτὲ / γλῶσσαν μὲν ἀργόν, χεῖρα δ᾽ εἶχον ἐργάτιν: / νῦν δ᾽ εἰς ἔλεγχον ἐξιὼν ὁρῶ βροτοῖς / τὴν γλῶσσαν, οὐχὶ τἄργα, πάνθ᾽ ἡγουμένην (vv. 96 -
99), figlio di nobile padre, anche io da giovane un tempo, avevo la lingua
incapace di agire, la mano invece operosa; ora però, giunto alla prova, vedo
che per gli uomini la lingua ha la supremazia su tutto, non le azioni. Il Laerziade
quindi suggerisce la frode al giovane figlio di Achille cui giustamente ripugna
τa;
ψευδῆ λέγειν (v. 108), dire le menzogne. La parola, infatti, è
un’arma potentissima, dal doppio taglio come si è visto.
[33]
Stazio morì nel 96, poco
prima di Domiziano che lo proteggeva.
[34]
Che sarà chiamato Neottolemo.
[35]
Cerchio VIII, bolgia VIII consiglieri fraudolenti.
[36] Ulisse è l’eroe polùmetis
(scaltro), polùtropos (versatile) e poluméchanos nel senso che non manca mai
di espedienti, di pòroi, per trarsi
d’impaccio in ogni genere di difficoltà, aporìa
ecc.. La varietà, il cambiamento della metis, sottolineano la sua parentela con
il mondo multiplo, diviso, ondeggiante, dove essa è immersa per esercitare la
sua azione. È questa complicità con il reale che assicura la sua efficacia. Cfr.
M. Detienne
- J. P. Vernant, Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia, p. 3 e sgg..
[37] Nell’Iliade
si trova anche qualche indicazione sull’aspetto fisico di Odisseo. Nel terzo
canto Priamo chiede a Elena di identificare i capi dei guerrieri Achei visibili
dalla torre presso le porte Scee; uno gli parve μείων
μὲν κεφαλῇ Ἀγαμέμνονος Ἀτρεΐδαο, / εὐρύτερος δ᾽ ὤμοισιν ἰδὲ στέρνοισιν ἰδέσθαι (vv. 193 - 194), più piccolo della testa di Agamennone
Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi. La maliarda rispose che
quello era Odisseo esperto di ogni sorta d’inganni e di fitti pensieri (v. 202).
Antenore aggiunge che l’aveva visto una volta a Troia, in ambasciata con
Menelao, e quando i due erano seduti, era più maestoso Odisseo, ma quando
stavano in piedi, Menelao lo sovrastava delle larghe spalle: στάντων μὲν Μενέλαος ὑπείρεχεν εὐρέας ὤμους (v. 210). Ulisse,
in piedi, se non parlava, sembrava un uomo ignorante o addirittura uno furente
e pazzo, ma, quando parlava, dal petto mandava fuori parole simili a fiocchi di
neve d’inverno (v. 222), ossia manifestava la potenza della natura, e allora
non si provava più meraviglia per l’aspetto. Plinio il Giovane dà una
spiegazione di questo stile oratorio affermando di preferire fra tutte illam orationem similem nivibus hibernis, id est, crebram
et assiduam, sed et largam, postremo divinam et caelestem (Ep. I, 20),
quell’eloquenza simile alle nevi invernali, cioè densa e serrata, ma anche
copiosa, dopo tutto divina e scesa dal cielo. Probabilmente Ovidio aveva in
mente questi versi dell’Iliade
scrivendo: Non formosus erat, sed erat
facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas (Ars Amatoria, II, 123 - 124). Bello non era ma bravo a parlare
Ulisse e pure fece struggere d’amore le dee del mare. S. Kierkegaard cita
questi versi nel Diario del seduttore,
p. 75.
[38] Nel secondo canto del poema più antico, Odisseo, simile
a Zeus per intelligenza (Διὶ μῆτιν ἀτάλαντον, v. 169) riceve da Atena il compito di trattenere la
fuga dell’esercito acheo da Troia con blande parole (ἀγανοῖς ἐπέεσσιν, v. 180). La dea per rivolgersi all’eroe utilizza un
epiteto formulare (πολυμήχανος, v. 173, ricco di risorse) il quale lo caratterizza
come uomo intelligente e capace.
[39]
J. P. Vernant, Le origini del pensiero greco, p. 48.
[40]
Odissea, XVI, 435.
[41]
Odissea, I, 367; III, 21.
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