venerdì 14 luglio 2023

Percorso sulla poesia amorosa V. Mariti spregiati


 

 

 

Per quanto riguarda la polemica libertina con i letterati che organizzavano il consenso alla volontà moralizzatrice di Augusto: si pensi al Carmen saeculare di Orazio[1] nel quale il poeta celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus[2]/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[3], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.

Secondo Ovidio il pudor , rusticus, va eliminato e sostituito con la Cupido e l'Audacia, e la Facundia. La Fides poi va estorta con l'adulazione.

 

   Ovidio consiglia al corteggiatore l'audacia e la facondia che sarà nutrita dalla forza del desiderio: è il "rem tene verba sequentur "  di Catone trasferito in campo erotico, ossia cupidinem tene, verba sequentur:"fac tantum cupias, sponte disertus eris " (Ars amatoria, I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo. Tereo che arde di passione per la cognata Filomela è reso eloquente dallo stesso ardore amoroso:"Facundum faciebat amor " (Metamorfosi , VI, 469).

La cupido di Ovidio è un elemento della ragione, come il pathos di Hegel[4], ed è produttiva tanto di persuasione quanto di successo erotico.

 Viceversa in Lucrezio la cuppedo è dira e quanto più è abbondante, tanto peggio fa bruciare il petto in modo distruttivo :"Sed leviter poenas frangit Venus inter amorem/blandaque refrenat morsus admixta voluptas./Namque in eo spes est, unde est ardoris origo,/restingui quoque posse ab eodem corpore flammam./ Quod fieri contra totum natura repugnat;/unaque res haec est, cuius quam plurima habemus,/tam magis ardescit dira cuppedine pectus./ Nam cibus atque umor membris assumitur intus;/quae quoniam certas possunt obsidere partis, /hoc facile expletur laticum frugumque cupido " (IV, 1084-1093), ma un poco spezza i tormenti Venere in mezzo all'amore e il piacere carezzevole, pur mescolato, doma i morsi. Infatti in questo si spera, che da dove scaturisce l'ardore, dal medesimo corpo possa anche spengersi la fiamma. Ma la natura ribatte che avviene tutto il contrario, e questa è la sola cosa di cui, quanto più ne abbiamo, tanto più il petto arde di una brama tremenda.

Infatti il cibo e i liquidi vengono assunti dentro le membra dal momento che essi possono occupare determinate parti, perciò facilmente si sazia la brama di liquidi e cibo.

 

Ma torniamo a Ovidio. Per la conquista è decisivo il desiderio che ispira il parlare bene e l' ardire erotico: la parola audace e suadente metterà in fuga il rusticus Pudor :" Conloqui iam tempus adest; fuge rustice longe/hinc Pudor: audentem Forsque Venusque iuvat ", Ars I, 605-606), è già tempo di parlarle; fuggi lontano di qui, rozzo Pudore, la Sorte e Venere aiutano chi osa.

 

Altro mezzo è l'adulazione: con l'adulazione si può sedurre persino una vestale.

Nel Don Chisciotte della Mancia[5] di Cervantes c'è la novella del curioso indiscreto letta da un prete. Vi si racconta di due amici, Anselmo e Lotario; il primo che "inclinava ai diletti amorosi alquanto più di Lotario, ch'era invece attratto da quelli della caccia" seduce Camilla, sposata dall'amico in quanto "bella e nobile fanciulla…degnissima per sé e per il suo parentado"[6], avvalendosi dell'eloquenza, della manifestazione dell'ardore e dell'adulazione:"Costui fu eloquente per modo che la fermezza di Camilla cominciò a vacillare, né la sua onestà, quantunque vigile, poté far sì che i begli occhi non tradissero con qualche segno l'amorosa compassione, destata nel suo petto da quelle lacrime e da quelle parole. Lotario notava tutto e vieppiù si accendeva. Infine…per costringere alla resa la fortezza assediata, le dette l'assalto con alte lodi delle sue bellezze, perché non v' ha cosa che valga a conquistare e spianare le munite torri della vanità d'una bella, quanto la vanità medesima posta sulla lingua dell'adulazione. Egli minò la salda rocca con tanta diligenza e artifizi sì possenti, che fosse Camilla stata di bronzo, sarebbe dovuta cadere. Pianse, pregò, adulò, insistette e finse, mostrando un ardore, una passione tali, che soverchiarono il pudico riserbo della donna, e ottennero l'agognato trionfo più prontamente che egli non pensasse"[7]. 

 L'adulazione funziona sempre quando si vuole compiacere una donna. Sentiamo Svidrigàilov il " vecchio  libertino incancrenito" di Delitto e castigo  che ha "una specie di scintilla sempre accesa nel sangue" :"... finalmente feci ricorso al mezzo supremo e infallibile per soggiogare il cuore femminile, il mezzo che non fallisce mai e che agisce decisamente su tutte le donne, senza eccezione. Niente al mondo è più difficile della sincerità e più facile dell'adulazione...per quanto infantilmente grossolana possa essere l'adulazione, almeno per metà essa sembra senz'altro vera. E questo vale per gente di ogni livello e di ogni ceto sociale. Con l'adulazione si può sedurre perfino una vestale"[8].

Non è difficile essere creduti quando si adula, suggerisce Ovidio nel primo libro dell'Ars amatoria  :"Nec credi labor est: sibi quaeque videtur amanda/pessima sit, nulli non sua forma placet " (vv. 611-612) e non è difficile essere creduto: a ognuna sembra di essere degna di amore, sia pure pessima, a nessuna dispiace il suo aspetto.

"Avide di amore, non pensando che a questo, le donne useranno tutte le civetterie; chi vorrà averle non dovrà fare altro che colmarle di lodi. Tutti gli argomenti sono buoni: le attrattive fisiche, gli abiti, i gioielli, lo spirito possono fornire ampia materia per i complimenti anche non sinceri…Oltre ai complimenti, ciò che commuove di più una donna è la condiscendenza. Oramai anche la cortigiana, anche la schiava appena liberata, è per il suo amante la domina, la signora che esercita ogni potere. Domina era il titolo col quale gli schiavi designavano la padrona di casa, e aveva il suo equivalente nella lingua amorosa dei Greci (kurìa). A Roma gli amanti usavano questa parola per attribuire alla donna amata una dignità di signora e per manifestare una sottomissione completa…a questo proposito Ovidio rievoca il mito di Ercole che si fa servitore di Onfale"[9]. 

Sentiamo anche il seduttore di Madame Bovary:"Finalmente lo hai davanti, il tesoro tanto cercato: risplende, scintilla. Eppure dubiti ancora, non osi crederci: ne resti abbagliato come all'uscita dalle tenebre alla luce" (p. 118).

Una forma di seduzione efficace da parte di una donna invece è farsi aspettare: è bene che l'invitata giunga in ritardo per diverse ragioni:"Sera veni positaque decens incede lucerna:/grata mora venies, maxima lena mora est;/etsi turpis eris, formosa videbere potis, /et latebras vitiis nox dabit ipsa tuis" (Ars amatoria, III, 751-754), arriva tardi e fai il tuo ingresso elegante dopo che è stata accesa la lucerna: arriverai gradita per l'attesa, l'attesa è la più grande mezzana; anche se sarai brutta, sembrerai bella agli ubriachi, e la notte stessa offrirà nascondigli ai tuoi difetti. 

 

 

Il desiderio (anche enfatizzato), l'audacia e l'eloquenza devono sostituire il pudor cacciato.

Insomma tra audacia e pudor c'è antitesi.

Infatti nel volto di Biblide innamorata del fratello Cauno, dal quale poi viene respinta, est audacia mixta pudori (Metamorfosi , IX, 527), l'audacia è mescolata con il pudore. Questo amore, un grave vulnus (v. 540) per la ragazza, una volta dichiarato per lettera sdegna Cauno che lo definisce vetita libido (v. 577), respinge la sorella più volte e la spinge  a un errare disperato finché ella lacrimis consumpta…vertitur in fontem (vv. 663-664), sciolta nelle sue lacrime, si muta in fonte.   

L'audacia quale mezzo ottimo per indurre all'adulterio viene messa al primo posto da Rodolphe Boulanger, il primo amante, già citato, di Emma Bovary:" Cominceremo, e con audacia, è sempre il mezzo più sicuro"[10] .

Audacia è uno di quei vocaboli che cambiano valore in caso di transvalutazione generale. I tradizionalisti le danno un significato negativo.

Nel Bellum Catilinae  Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questa cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la corrispondenza tra il valore reale dei nomi e le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.

L'audacia come estremismo politico viene attribuita a Catilina e denunciata da Cicerone nell'exordium della Prima Catilinaria:"quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?" (Catilinariae, I, 1) fino a quale termine si scaglierà il tuo estremismo sfrenato?  

Il biasimo dell'audacia è ricorrente nei tradizionalisti e investe anche la critica d'arte.

Sentiamo Petronio a proposito della pittura:" pictura quoque non alium exitum fecit, postquam Aegyptiorum audacia tam magnae artis compendiariam invenit " (2, 9), anche la pittura non ha avuto risultato diverso dopoché la sfrontatezza degli Egiziani ha trovato la scorciatoia di un'arte tanto grande.

Tacito utilizza audacia per gettare una luce fosca su Messalina,  "tutta amorazzi e dentifrici"[11]. La meretrix Augusta :"iam...facilitate adulteriorum in fastidium versa, ad incognitas libidines profluebat "[12], oramai volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a dissolutezze inaudite. L'incognita ed estrema libido fu quella di sposare   Silio, e non a Claudio morto. L'amante la incalzava (urgebat) con l'argomento che "flagitiis manifestis subsidium ab audacia petendum ", negli scandali scoppiati bisogna chiedere soccorso all'audacia.

 Il modello è Tucidide il quale ricorda che durante la guerra civile (stavsi") di Corcira ci fu una transvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw'n ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. 

Il significato negativo di tovlma si vede bene nel primo Stasimo dell'Antigone quando il Coro afferma:"bandito dalla città è quello con il quale /coesiste il brutto morale, per la sfrontatezza (tovlma" cavrin, vv. 370-371).

Il cambiamento di valore delle parole viene messo in rilievo anche da Platone quando, nell'VIII libro della Repubblica, passa in rassegna le forme costituzionali: nello stato democratico gli appetiti (ejpiqumivai) prendono possesso dell'acropoli dell'anima del giovane che si riempie pure di parole e opinioni false e arroganti  (yeudei'" dh; kai; ajlazovne"lovgoi te kai; dovxai 560c)  le quali chiamando il pudore stoltezza (th;n me;n aijdw' hjliqiovthta ojnomavzonte") lo bandiscono con disonore, chiamando la temperanza viltà (swfrosuvnhn de; ajnandrivan) la buttano fuori coprendola di fango (prophlakivzonte" ejkbavllousi), e mandano oltre confine la misura e le ordinate spese (metriovthta de; kai; kosmivan dapavnhn)   persuadendo che sono rustichezza e illiberalità (ajgroikivan kai; ajneleuqerivan 560d). E non basta. I discorsi arrogati con l'aiuto di molti inutili appetiti transvalutano pure, ma in positivo, i vizi, immettendoli nell'anima  e chiamano la prepotenza buona educazione (u{brin me;n eujpaideusivan kalou'nte" ), l'anarchia libertà (ajnarcivan de; ejleuqerivan), la dissolutezza irrimediabile magnificenza (ajswtivan de; megaloprevpeian), e l'impudenza coraggio (ajnaivdeian de; ajndreivan 560e-561).     

 

D. H. Lawrence fa su questo tema una riflessione che si può collegare al cambiamento dei significati delle parole in certi periodi:" Tutte le grandi parole, pensava Connie, erano diventate vane per la gente della sua generazione; amore, gioia, felicità, casa, padre, madre, marito, tutte quelle grandi parole erano presso che morte ora, e andavano morendo di giorno in giorno. La casa non era che un luogo dove si viveva; l'amore una cosa che non ingannava più; la gioia una parola da applicarsi a un bel charleston; la felicità un termine ipocrita usato per ingannare gli altri; il padre era una persona che si godeva la vita; il marito un uomo con cui si viveva e si cercava di tenere il buon umore. E quanto al sesso, l'ultima grande parola, non era che un nome da cocktail applicato a una eccitazione fugace che divertiva un istante e lasciava più flaccidi di prima…Il denaro? Forse era un'altra cosa. Si aveva sempre bisogno di denaro. Il denaro, il successo, la dea-cagna…erano necessità permanenti…Per far muovere il meccanismo della vita, si ha bisogno di denaro. Bisogna averne. Bisogna avere denaro. Non si ha veramente bisogno di nient'altro, in fondo. Tutto qui! Non è colpa nostra se viviamo; e, dal momento che viviamo, il denaro è una necessità, la sola necessità assoluta. Di ogni altra cosa, alla peggio, si può fare a meno. Ma non del denaro. Per l'ultima volta: tutto qui!"[13].

Entra in questa tranvalutazione Il marito dell'adultera il quale è una figura negativa più se è ignaro e ingannato che se è complice e consenziente:"Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx " (Amores, III, 4, 37), è troppo rozzo quello che la moglie adultera offende.

 

Seneca nel De Beneficiis segnala alcuni aspetti della corruzione del suo tempo derivata dall'ingratitudine: grande evidenza ha la  moda della dissoluzione dei vincoli matrimoniali con la sparizione della pudicizia femminile e la complicità dei mariti:"Coniugibus alienis ne clam quidem sed aperte ludibrio habitis, suas aliis permisere. Rusticus, inhumanus ac mali moris et inter matronas abominanda condicio est, si quis coniugem suam in sella prostare vetuit et vulgo admissis inspectoribus vehi perspicuam undique " (I, 9, 3), dopo che si sono presi gioco delle mogli altrui, neppure di nascosto ma palesemente, hanno concesso le proprie agli altri. E' rozzo, incivile, di cattiva educazione, e tra le matrone la sua qualità è aborrita se una ha vietato a sua moglie di esibirsi nella portantina e di farsi portare in giro da tutte le parti bene in vista per essere osservata pubblicamente.

Il mos dei mariti permissivi insomma è diventato maggioritario. Rusticus insomma è un aggettivo chiave, transvalutato rispetto all' a[groiko" di Aristofane che è, per esempio, Diceopoli degli Acarnesi, il cittadino giusto.  

 

Analoga considerazione fa Parini (1729-1799) quando attribuisce un siffatto disprezzo del pudore, e della fedeltà matrimoniale, alla perversione dei nobili satireggiati nel suo poema:" D'altra parte il Marito ahi quanto spiace,/ E lo stomaco move ai dilicati/Del vostr'Orbe leggiadro abitatori,/Qualor de' semplicetti avoli nostri/Portar osa in ridicolo trïonfo/La rimbambita Fe', la Pudicizia,/Severi nomi!" (Il Mattino , vv. 292-298). Di nuovo il ripudio e il rimpianto di questi valori forti : fides e pudicitia.

 

 

 

Il marito, l'eterno marito predisposto alle corna, Eufileto, viene presentato da Lisia[14] nell'orazione Per l'uccisione di Eratostene. Apologia[15] come un contadino ingenuo che torna dal lavoro dei campi stanco ma soddisfatto, e per lungo tempo non si accorgere di essere ingannato dalla moglie sedotta dall'adultero professionista, che l'aveva adocchiata durante i funerali della suocera. In seguito, presi accordi attraverso la servetta, il bellimbusto andava a trovarla di notte al pianterreno della casetta a due dove lei lo aspettava, pure con il bambino, mentre il marito viveva al piano di sopra, del tutto  ignaro. Sentiamolo :" E ormai era un fatto così abituale che spesso mia moglie andava giù a dormire dal bambino, per dargli il seno e perché non gridasse. Queste abitudini per lungo tempo continuavano così, ed io non sospettai mai. Anzi ero così sciocco da credere che la mia donna fosse la più onesta fra tutte quelle nella città. Passando poi il tempo, o giudici, ero tornato inaspettatamente dalla campagna, e dopo la cena il bambino strillava ed era irritabile tormentato apposta dalla serva perché facesse questo: infatti l'uomo era dentro; più tardi infatti venni a sapere tutto. Ed io ingiungevo a mia moglie di scendere e di dare il seno al bambino, affinché smettesse di piangere. Quella dapprima non voleva, come se con piacere mi avesse visto tornare dopo del tempo; ma siccome io mi adiravo e le ingiungevo di scendere, "certo perché tu qui-diceva-ci provi con la servetta, come la volta che eri ubriaco e la trascinavi". Ed io ridevo, e quella, alzatasi, mentre se ne va, chiude l'uscio fingendo di scherzare e si porta via la chiave. Ed io, non pensando a nessuno di questi imbrogli e non sospettando, dormivo contento, poiché ero tornato dalla campagna (ejkavvqeudon a[smeno" , h{kwn ejx ajgrou') . Come però si faceva giorno, quella venne e aprì la porta. Ma quando le domandai perché di notte i battenti avessero fatto rumore, rispose che la lucerna presso il bambino si era spenta, e che quindi l'aveva riaccesa dai vicini. Io allora tacevo e pensavo che queste cose stessero così. Però mi parve, o giudici, che il volto fosse truccato, mentre il fratello le era morto nemmeno trenta giorni prima; comunque senza avere detto nulla nemmeno su questa faccenda, uscito, me ne andavo fuori in silenzio" (10-14). Sul volto truccato come segno di grilli per la testa abbiamo già detto.

 Tutta questa situazione non  disonora il campagnolo, almeno nelle intenzioni di Lisia il quale conta sul fatto che ognuno dei giudici sposati avrebbe potuto riconoscersi in quest'ometto.

Sicché  la sua ingenuità non deve renderlo ridicolo come il rusticus nimium di Ovidio ( Amores, III, 4, 37) o come il signor Bovary di Flaubert, ma anzi costituisce un'attenuante alla vendetta compiuta in nome delle leggi e dell'ordine familiare.

 I seduttori  sono designati da Lisia con il participio del verbo peivqw (persuado), dunque sono uomini capaci di persuadere, forse anche con l'aspetto, ma soprattutto con la parola, come i sofisti, come i politici capaci.

Il prototipo di tutti i persuasori è Odisseo le cui parole erano fluenti come i fiocchi di neve[16]. I casi di adulterio femminile nella letteratura greca, che io sappia, non sono molti, probabilmente per il fatto che le donne, almeno le Ateniesi, chiuse in casa, non avevano tante occasioni. L'adultera in questione, della quale non viene fatto nemmeno il nome, ebbe l'unica opportunità di un funerale, e la sfruttò come racconta il "buon" Eufileto imbeccato da Lisia:"  Dunque nel primo tempo, o Ateniesi, era la migliore di tutte: infatti era un'energica massaia e una buona risparmiatrice e amministrava tutto quanto con scrupolo, ma poi, quando mia madre morì, una volta morta, divenne causa di tutti i mali per me. In effetti mia moglie, avendola accompagnata nel funerale, adocchiata da quest'uomo, con il tempo viene corrotta. Infatti  colui spiando la serva che andava al mercato e rivolgendole delle proposte la rovinò (7-9).

La donna che trova l'amante al funerale, magari a quello del marito stesso, è considerato da Ovidio uno dei vari casi strani e imprevisti nei quali è comunque possibile l'adescamento da parte del maschio e pure della femmina:" casus ubique valet: semper tibi pendeat hamus:/quo minime credis gurgite piscis erit…Funere saepe viri vir quaeritur: ire solutis/crinibus et fletus non tenuisse decet"[17], il caso ha forza dappertutto: sempre penda il tuo amo: nel fondo dove meno credi ci sarà il pesce…Spesso al funerale del marito si trova marito: dona andare con i capelli sciolti e non trattenere il pianto.

 Non conosciamo il punto di vista della sposa infedele di questo Eufileto che aveva pagato Lisia perché gli scrivesse un'orazione capace di farlo assolvere dall'assassinio dell'amante di sua moglie, un'apologia dunque comprata e molto parziale, dalla quale non emerge il disprezzo che la donna prova nei confronti dell'uomo che ha sposato, con il quale ha fatto dei figli e convive.

 

La figura dell'eterno marito beffato, rozzo e ridicolo, si trova  in una novella del Boccaccio che dipende invero più da Apuleio[18] che da Ovidio. E' quella di Peronella [19] "una bella e vaga giovinetta" presa in moglie da "un povero uomo". Costei divenne amante di "un giovane de' leggiadri" il quale andò a casa loro un giorno che "il buono uomo" era uscito.

 Il marito "trovato l'uscio serrato dentro, picchiò e dopo 'l picchiare cominciò seco a dire:"O Iddio, lodato sia tu sempre, ché, benché tu m'abbi fatto povero, almeno m'hai tu consolato di buona e d'onesta giovane di moglie![20] Vedi com'ella tosto serrò l'uscio dentro, come io ci usci', acciò che alcuna persona entrar ci potesse che noia le desse". Fatto sta che Peronella nascose Giannello, l'amante,  in un doglio[21], ossia in una botte, quindi la donna, aperto l'uscio al marito, lo aggredì  perché non era andato a lavorare, celebrando per giunta la propria fedeltà di sposa. Il buon uomo allora indicò un tale, entrato con lui, cui aveva venduto il doglio per "cinque gigliati". Ma Peronella con grande presenza di spirito disse di avere già venduto il doglio per sette gigliati a un altro "buono uomo" che anzi vi era entrato per vedere se era saldo. Udito questo, Giannello uscì dicendo che dentro la botte c'era della feccia da togliere. Allora Peronella assicurò che ci avrebbe pensato il marito a scrostarla, e il poveretto "ispogliatosi in camiscione si fece accendere un lume e dare una radimadia[22] e fuvvi entrato dentro e cominciò a radere". Quindi la donna messa la testa con un braccio e la spalla dentro l'imboccatura della botte[23], dava indicazioni al marito sulla raschiatura. Durante questa operazione Giannello "il quale appieno non aveva quella mattina il suo disidero ancora fornito" poté recarlo a effetto[24] "in quella guisa che negli ampi campi gli sfrenati cavalli e d'amor caldi le cavalle di Partia assaliscono".

Poi il marito uscì dalla botte ripulita e, Giannello guardò con un lume dentro il doglio, e disse al marito " che stava bene e che egli era contento; e datigli sette gigliati a casa sel fece portare"[25].

 

 Vediamo i sentimenti negativi di Emma Bovary per lo sposo indegno:" Anche nel romanzo di Flaubert il marito, Charles Bovary, è una figura meschina , un individuo che tanto "spiace", oltretutto a sua moglie la quale non si sente trattenuta dai vincoli del pudore coniugale:"La conversazione di Charles era piatta come un marciapiede, vi sfilavano le idee più comuni nella loro veste più ordinaria, senza suscitare la minima commozione, d'allegria o di sogno. Lo diceva lui stesso, non aveva mai provato la curiosità, durante il suo soggiorno a Rouen, di andare a sentire a teatro gli attori di Parigi. Non sapeva nuotare, né tirar di scherma, né usar la pistola, un giorno non seppe neppure spiegare alla moglie un termine d'equitazione che lei aveva trovato in un romanzo. E un vero uomo, invece, non avrebbe dovuto conoscer tutto, eccellere in ogni attività, essere in grado, insomma, d'iniziare la propria donna alle violenze della passione, alle raffinatezze della vita, agli innumeri misteri? Non insegnava nulla Charles, non sapeva nulla Charles, non immaginava nulla Charles: credeva che lei fosse felice, ma lei gliene voleva per tutta quella tranquillità imperturbabile, per tutta quella pacifica pesantezza, per tutta quella stessa sazietà di cui era l'origine"[26] . Che ometto! che ometto!" si diceva piano, e si mordeva le labbra. La sua irritazione contro di lui si acuiva sempre più. Con l'età, lui prendeva abitudini grossolane; dopo mangiato tagliuzzava i tappi delle bottiglie vuote; si passava e ripassava la lingua sui denti; nel sorbire la minestra, gorgogliava a ogni cucchiaiata; e, poiché cominciava a ingrassare, i suoi occhi che già non eran mai stati grandi parevan respinti in su, verso le tempie, dal dilatarsi della faccia…In fondo al cuore, tuttavia, era una grande attesa, l'attesa di un vero avvenimento (p. 50)…Ma era soprattutto all'ora dei pasti che a lei pareva di non farcela più, in quella stanzuccia al pianterreno, con la stufa fumosa, la porta cigolante, i muri trasudanti, le mattonelle umide; era come se tutta l'amarezza dell'esistenza le venisse scodellata nel piatto; con il vapore del lesso salivano dal fondo del suo animo zaffate di disgusto. Charles era così lento a mangiare; lei sgranocchiava qualche nocciola, oppure, appoggiata al gomito, si perdeva a tracciar righe sulla tela cerata con la punta del coltello"[27].

Un uomo rozzo assai: quando la moglie bella, insoddisfatta, poco affettuosa e poco cortese, è viva e convive con lui, egli non si accorge dei tradimenti; invece dopo il suicidio di lei, leggendone le lettere, spiandola dopo che è morta, si offende a morte:"Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx" (Amores III, 4, 37), è davvero rozzo quello che una moglie adultera offende: "C'eran tutte le lettere di Léon. Questa volta nessun dubbio era più possibile! Le divorò sino all'ultima riga, frugò in ogni angolo, in ogni mobile, in ogni tiretto, dietro i muri, singhiozzando, urlando, smarrito, impazzito. Scoprì una scatola, la sfondò con un calcio. Il ritratto di Rodolphe gli balzò davanti, tra un disordinato profluvio di messaggi d'amore" (p. 279).     

Sentiamo ora un poco di commento fatto da E. Auerbach che in Mimesis [28]  cita le righe riportate qua sopra per mostrare come in Flaubert il realismo diventi "imparziale, impersonale e obiettivo". Il critico  arriva a delineare una storia del realismo europeo attraverso una metodologia stilistica. Leggiamolo dunque:" Questo capoverso costituisce il culmine d'una rappresentazione che ha per oggetto l'insoddisfazione di Emma Bovary per la sua vita a Tostes. Ella ha a lungo sperato in qualche avvenimento improvviso che desse un nuovo corso a una vita senza eleganza, senza avventura, senza amore, in fondo a una provincia, al fianco d'un uomo mediocre e noioso, e a quell'avvenimento s'è perfino preparata, curando se stessa e la casa quasi per meritare quella svolta del destino ed esserne degna; e, quando nulla avviene, è presa da inquietudine e da disperazione. Tutto ciò Flaubert dipinge in parecchi quadri che rendono l'ambiente di Emma, quale adesso le appare. Solo ora si mostra chiaramente agli occhi di lei tutto lo sconforto, la monotonia, il grigiore, l'insulsaggine, la nausea, la strettura in cui non riesce più a scorgere speranza alcuna di liberazione. Questo capoverso è vertice della pittura della sua disperazione…Questo capoverso è dunque un quadro; marito e moglie a tavola. Però il quadro non sta a sé né ha una ragione a sé stante, ma è invece subordinato all'argomento dominante, la disperazione di Emma…Quando… si dice:"Charles était long à manger "[29], si ha…in effetti solo una ripresa e una variazione del motivo principale; soltanto dal contrapposto del gusto di lui nel mangiare con il disgusto e con i moti nervosi della disperazione di lei, subito dopo dipinti, la frase acquista il suo vero significato. Quell'uomo che mangia senza sospetti, diventa comico e quasi spettrale, e quando Emma guarda come lui siede e mangia, esso diventa veramente la ragione prima dell'"elle n'en pouvait plus"[30]; poiché tutte le altre cose che la inducono alla disperazione, l'ambiente triste, i cibi ordinari, la mancanza di tovaglia, lo sconforto generale, appaiono a lei, e dunque anche al lettore, come cose che sono in rapporto con lui, che si generano da lui, e che sarebbero del tutto diverse, se lui fosse diverso da quel che è"[31]. Più avanti Emma cerca di recuperare una qualche forma di simpatia per il marito spingendolo a fare un'operazione che avrebbe accresciuto il prestigio e la rinomanza delle sue capacità professionali. Ma la prova chirurgica non riesce, sicché agli occhi della donna acquista valore il bellimbusto che l'ha trascinata nell'adulterio:"La passione per l'amante cresceva di giorno in giorno insieme con la ripugnanza per il marito. Più si abbandonava all'uno più odiava l'altro; mai e poi mai Charles le era apparso tanto sgradevole, tanto tozzo di membra, tanto tardo d'intelligenza, tanto volgare di modi come quando se lo ritrovava davanti dopo i convegni con Rodolphe" (p. 153). Insomma Emma "lo vede aggirarsi bonaccione, gretto, squallido e senza sospetti; tutto un cumulo di confuse impressioni. Nettamente delineato è solo il risultato, l'avversione di fronte a lui che deve celare. Flaubert traduce questa netta delineazione in impressioni; ne sceglie tre, apparentemente del tutto indipendenti, che però, a cagion d'esempio, sono tratte dal corporeo, dallo spirituale e dal comportamento, e le dispone quasi fossero tre chocs che Emma prova l'uno dopo l'altro. Questa non può affatto dirsi una riproduzione naturalistica della coscienza…Vi è qui la mano ordinatrice dello scrittore, il quale riassume e stringe l'intima confusione nella direzione in cui appunto essa preme, e cioè "avversione contro Carlo Bovary"[32]. 

Auerbach fa notare che anche in Flaubert, come in Stendhal e Balzac,  si trovano "le due fondamentali caratteristiche del realismo moderno; anche qui vengono presi molto sul serio i fatti reali quotidiani d'uno stato sociale mediocre, la piccola borghesia provinciale…e anche qui i fatti consueti sono calati esattamente e profondamente in una determinata epoca storica contemporanea (l'epoca del regno borghese)…E' in queste due fondamentali caratteristiche che, rispetto a tutto il precedente realismo, consiste la concordanza fra i tre scrittori; e tuttavia la posizione di Flaubert di fronte al suo oggetto è completamente diversa. Molto spesso, e quasi di continuo, noi udiamo in Stendhal e in Balzac quello che lo scrittore pensa dei suoi personaggi e dei fatti…Tutto questo manca completamente in Flaubert. La sua opinione sui fatti e sulle persone non è mai espressa e quando i personaggi parlano, ciò non avviene mai in modo che l'opinione dello scrittore possa identificarsi con la loro, né avviene con l'intento che con la loro si identifichi l'opinione del lettore. Sentiamo, è vero, parlare lo scrittore, ma senza che esprima opinioni o commenti. Il suo ufficio si limita a scegliere i fatti e a tradurli in linguaggio, e questo avviene nella convinzione che ogni fatto, che sia riuscito a pura e completa espressione, interpreta se stesso molto meglio e più compiutamente di quanto possa fare qualsiasi opinione e giudizio che gli si aggiunga. L'arte di Flaubert riposa su questa convinzione e dunque su una profonda fiducia nella verità del linguaggio usato con senso di responsabilità e vigilante onestà…Flaubert…crede che nell'espressione linguistica si riveli anche la realtà dei fatti…egli dimentica se stesso, il suo cuore gli serve soltanto a sentire quello degli altri, e quando questo è stato raggiunto con la tenace pazienza d'un fanatico, ecco che l'espressione compiuta, capace d'afferrare completamente l'oggetto e di giudicarlo imparzialmente, si presenta da sola; le cose sono vedute come le vede Dio, nella loro essenza reale…E' evidente come una tale concezione stia in contrapposto alla esibizione pomposa e magniloquente del proprio sentimento e alle regole offerte da quella esibizione, quali erano sorte con Rousseau e a cominciare da lui.

Il confronto d' una frase di Flaubert:"Il nostro cuore non deve servirci che a sentire quello degli altri" con una di Rousseau al principio delle Confessioni:"Io sento il mio cuore, e conosco gli uomini" ben ci spiega il mutamento d'indirizzo compiutosi. Dalla corrispondenza appare però con evidenza con quale convulsa fatica Flaubert sia giunto alle sue convinzioni. I grandi argomenti e il libero e irresponsabile disporsi della fantasia creatrice esercitano ancora un grande fascino su di lui. Da questo punto di vista egli vede con occhi del tutto romantici Shakespeare, Cervantes e anche Hugo, e maledice il suo argomento ristretto e piccolo-borghese che lo obbliga a un faticosissimo e minuzioso lavoro stilistico" (p. 261).

La stessa lamentela si trova in Tacito:"  nobis in arto et inglorius labor  " (Annales , IV, 32), la mia fatica  si limita ad un campo ristretto, ed è senza gloria. Poiché con l’mpero era finita la dialettica politica della Repubblica.

 Leggiamo ancora un poco di Mimesis :" A ciò ancora s'aggiunge che egli, come tanti egregi artisti del secolo XIX, odia il suo tempo: con grande acutezza ne vede i problemi e le crisi che si preparano; vede l'anarchia intima, la "mancanza di base teologica", l'avanzare della folla, il molle storicismo eclettico, il dominio della frase fatta; e non vede poi né soluzione né via d'uscita; la sua fanatica mistica dell'arte è quasi un surrogato della religione, a cui s'afferra convulsamente, e la sua onestà spesso diventa arcigna, gretta, irosa e nervosa…Tuttavia il capoverso che analizziamo è immune da tali lacune e debolezze del suo spirito, e ci consente di osservare puro l'effetto delle sue concezioni artistiche. La scena mostra moglie e marito a tavola…è un quadro dell'insofferenza, e non momentanea e passeggera, bensì di quella cronica che domina completamente tutta una vita, la vita di Emma Bovary…Il romanzo è la rappresentazione di un'intera vita umana senza uscita…E' un momento qualsiasi di un'ora che ritorna regolarmente, in cui marito e moglie mangiano insieme. I due non leticano, non si mostra il minimo segno d'un conflitto palese. Emma è in uno stato di completa disperazione, ma questa non è cagionata da una qualche determinata catastrofe: non ha perduto nulla di concreto, non desidera nulla di concreto. In verità ella prova molti desideri, ma tutti vaghi: eleganza, amore, una vita con novità e imprevisti; una disperazione così vaga può ben sempre esservi stata, ma nessuno per l'addietro aveva pensato di prenderla sul serio in un'opera letteraria…Non accade nulla, ma il nulla è diventato qualche cosa di pesante, di oscuro, di minaccioso…I due siedono insieme a tavola: il marito non intuisce affatto lo stato d'animo di lei; essi hanno così poco in comune che non vengono mai a una lite, a una spiegazione, a un aperto conflitto. Ognuno dei due è così inviluppato nel proprio mondo, lei nella disperazione e negli oscuri sogni, lui nella sciocca soddisfazione di sé, da essere ambedue affatto soli: non hanno nulla di comune, e non hanno però nulla di così proprio per cui metta conto d'esser soli. Avendo ognuno un mondo falso e assurdo che non può accordarsi con la sua reale condizione, a ognuno sfuggon di mano le possibilità che la vita offre"[33].  

Sentiamo anche l'opinione di un'altra adultera celebre, Hester Prynne, la fiera protagonista de La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne: "Si stupiva di essersi decisa un giorno a sposare quell'uomo; e pensava che la più grave delle sue colpe fosse stata quella di aver sopportato senza ribellione la carezza della mano viscida di lui, di aver ricambiato il suo sorriso e le sue tenerezze. Del pari le sembrava che la più grave colpa di Roger Chillingworth fosse appunto quella di averle fatto credere, quando il cuore di lei era ancora ignaro della vita, che ella avrebbe potuto trovare accanto a lui la felicità. "Sì, lo odio!" ripeté più amara di prima; "mi ha tradita, ingannata; mi ha fatto molto più male di quanto io possa averne fatto a lui". Disgraziato quell'uomo che si accinge a sposare una donna, senza avere  prima suscitato una sincera passione nel cuore di lei: la sua sorte non sarà meno miserabile di quella di Chillingworth, e appena il cuore della donna si accenderà di una autentica passione, anche quella fredda immagine di felicità senza amore, che il marito aveva offerto alla moglie, gli sarà imputata ad imperdonabile colpa"[34].

 Ora osserviamo il marito tradito, o prossimo a esserlo, con gli occhi dell'adultera bella e fine di Tolstoj,  Anna Karenina [35]:"A Pietroburgo, non appena il treno si fermò e lei ne discese, la prima faccia che richiamò la sua attenzione fu la faccia del marito. "Ah, Dio mio! Perché gli sono venute quelle orecchie?" pensò, guardando la sua figura fredda e rappresentativa, e specialmente le cartilagini delle orecchie, che ora l'avevano colpita e che sostenevano le falde del cappello rotondo. Scorgendola, egli le venne incontro, atteggiando le labbra al sorriso ironico che gli era consueto e guardando verso di lei con i grandi occhi stanchi. Una certa sensazione sgradevole le strinse il cuore quando incontrò lo sguardo tenace e stanco di lui, come se si aspettasse di vederlo diverso. In particolare la colpì la sensazione di scontentezza di sé che provava nell'incontrarsi con lui. Era una sensazione di vecchia data, ormai nota, simile allo stato di finzione che provava nei rapporti con il marito; ma prima non se ne era mai accorta, mentre ora ne fu consapevole in modo chiaro e doloroso. "Sì, come vedi un marito affettuoso, affettuoso come al secondo anno di matrimonio, bruciava dal desiderio di vederti", disse egli con la sua voce lenta e sottile e con il tono che adoperava quasi sempre con lei, un tono di irrisione verso chi avesse parlato così per davvero. "Sereza sta bene?" domandò lei. "E' questa tutta la ricompensa," disse egli, "per il mio ardore? Sta bene, sta bene"[36].

Anna era già innamorata di Vrònskij.

 Karenin sente aleggiare la sciagura sopra il suo capo, ma non può fare niente per evitare che gli piombi addosso. Vediamo anche i suoi sentimenti:"Come un bue, con la testa docilmente china, aspettava la mazza che già sentiva sollevata sopra di sé. Ogni volta che cominciava a pensare a questo, sentiva che bisognava tentare ancora una volta, che con la bontà, con la tenerezza, con la persuasione c'era ancora una speranza di salvarla, di obbligarla a ritornare in sé, e ogni giorno si disponeva a parlarle. Ma ogni volta che incominciava a parlare con lei, sentiva che quello spirito del male e dell'inganno che si era impossessato di lei, si impossessava anche di lui, e con lei diceva cose completamente diverse da quelle che voleva dire. Senza volerlo le parlava con il suo abituale tono di scherno verso chi parlasse così" (p. 152).

Ancora lo sguardo di Anna su Karenin:" Lo vide avvicinarsi alla tribuna, ora rispondendo con indulgenza agli inchini adulatori, ora salutando amichevolmente, distrattamente, gli eguali, ora aspettando con desiderio lo sguardo dei potenti del mondo e togliendo il suo gran cappello tondo che gli schiacciava le estremità delle orecchie. Lei conosceva tutti questi modi e le erano tutti odiosi. "Unicamente ambizione, unicamente desiderio di riuscire: ecco tutto quel che c'è nella sua anima," pensava, "mentre i ragionamenti elevati, l'amore per la cultura, la religione, tutto questo non è che uno strumento per riuscire" (pp. 210-211).

Il disprezzo di Anna ha un motivo opposto rispetto a quello di Emma che viceversa disprezza la mancanza di ambizione del marito.   

 

Procediamo con L'eterno marito di Dostoevskij: Pavel Pavlovič :"Un individuo simile nasce e si sviluppa unicamente per ammogliarsi e, una volta ammogliato, per trasformarsi unicamente in un'appendice della moglie, anche quando egli abbia una personalità sua, ben determinata. La proprietà essenziale di un simile marito è quel certo ornamento. Egli non può non essere cornuto, così come il sole non può non risplendere, però non soltanto non ne sa mai nulla, ma non potrà mai saperlo per le leggi medesime della natura…E a un tratto, in modo del tutto inatteso, Pavel Pavlovič si fece con due dita le corna sulla fronte calva, e ghignò piano, a lungo. Rimase così, con le corna e ghignando, per mezzo minuto almeno, guardando Vel' čaninov[37] negli occhi in una specie di ebbrezza della più perfida insolenza"[38].

Rusticus est nimium, anche questo.

 

Pesaro 14 luglio 2023 ore 18, 12 giovanni ghiselli

 

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[1] Del 17 a. C.

[2] Cfr. iam redit et Virgo della IV ecloga (v. 6) di Virgilio, già torna anche la Vergine (Giustizia).

[3] Vv. 57-60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.

[4] "Il pathos in tal senso è una potenza in se stessa legittima dell'animo, un contenuto essenziale della razionalità e della volontà libera", Estetica  , Tomo I, p. 306

[5] Fu pubblicato in due tempi: la prima parte uscì nel 1605, la seconda nel 1615.

[6] Capitolo XXXIII, p. 387.

[7] Don Chisciotte, p.  410.

[8]F. Dostoevskij, Delitto e castigo , pp. 531 e sgg.

[9] Pierre  Grimal.,  L'amore a Roma, trad. it. Aldo Martello, Milano, 1964, p. 142.

[10] G. Flaubert, Madame Bovary (del 1857),  p. 108.

[11] S. Mazzarino, L'impero romano, 1, p. 218.

[12]Tacito, Annales , XI, 26.

[13] D. H. Lawrence, L'amante di Lady Chatterly (del 1928), p. 80.

[14] 445 ca-365 ca a. C.

[15] Di Eufileto

[16] Iliade, III, v. 222.

[17] Ars Amatoria, III, 425-426; 431-432.  

[18] Metamorfosi , IX, 5-7.

[19] Giornata VII, novella 2.

[20] Cfr. Apuleio (II sec. d. C.):"uxoris laudata continentia " (Metamorfosi , IX, 5). Anche qui il marito è rimasto chiuso fuori dalla moglie, una uxorcolapostrema lascivia famigerabilis, famigerata per la  lussuria estrema.  Infatti se la sta spassando in casa con il drudo.

[21] Tunc mulier callida et ad huius modi flagitia perastutula tenacissimis amplexibus expeditum hominem dolio, quod erat in angulo semiobrutum, sed alias vacuum, dissimulanter abscondit " (Apuleio, Metamorfosi, IX, 5), allora la donna scaltra e furbissima per le infamie di questo genere, sciolto l'uomo dai suoi tenacissimi abbracci, lo nascose come niente fosse in una botte che stava in un angolo semicoperta, ma del resto vuota,   

[22] Raschiatoio.

[23] "Ast illa capite in dolium demisso maritum suum astu meretricio tractabat ludicre " (IX, 7), ma quella, abbassato il capo dentro la botte, con scaltrezza puttanesca si prendeva gioco del marito.

[24] "hoc et illud et aliud et rursus aliud purgandum demonstrat digito suo, donec utroque perfecto opere ", indica con il dito suo questo e quell'altro e un altro punto ancora da ripulire, finché entrambi i servizi furono terminati.  

[25] "acceptis septem denariis calamitosus faber collo suo gerens dolium coactus est ad hospitium adulteri perferre " (Apuleio, op. cit., IX, 7), avuti i sette denari il disgraziato operaio fu costretto a portare sul collo la botte a casa del drudo.

[26] Madame Bovary , p. 34.

[27] G. Flaubert, Madame Bovary, p. 53.

[28] Uscito in tedesco nel 1946.

[29] Carlo era lento a mangiare.

[30] lei non ne poteva più.

[31] E. Auerbach, Mimesis , pp. 256 sgg.

[32]E. Auerbach, Mimesis , p. 259.

[33] E. Auerbach, Mimesis , p. 260 e sgg.

[34] N. Hawthorne, La lettera scarlatta , p. 137. pubblicata nel 1850 ma ambientata nella Boston puritana del XVII secolo

[35] Che G. Steiner definisce "la lettura critica più fedele di Madame Bovary" (Errata, Una vita sotto esame , p. 30).

[36] L. Tolstoj, Anna Karenina , pp. 106-107.

[37] Questo è l'eterno amante.

[38] F. Dostoevkij, L'eterno marito, del1871,  p. 39 e p. 65.

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