martedì 11 luglio 2023

Percorso sulla poesia amorosa III. Ovidio e Properzio.


 

 

Mazzarino, menzionando gli autori favorevoli alla tecnica, indica Ovidio, "un poeta, non uno storico",  nel quale si trova "una reazione al diffuso concetto di decadenza, ed una esaltazione del progresso tecnico[1], evidente, secondo lui, nell'attività industriale e commerciale sopravvenuta nel suo tempo (l'età di Augusto). In fondo, si può dire che per l'uomo antico l'idea del progresso tecnico vive accanto a quella di decadenza; e talora è soffocata da questa, e talora, invece, emerge e predomina, senza che questo "dualismo" implichi contraddizioni di notevole importanza"[2].

 

 Ad alcuni anche ipotecnologici può riuscire più simpatica la posizione dell'autore lascivus [3], del poeta mulierosi animi [4]  che quella di Socrate, il superuomo dell'etica, i cui detrattori  dicevano, tra l'altro, che non si lavava!

 

La cura del corpo.

 

 Aristofane fa dire a Strepsiade che nessuno degli uomini del pensatoio di Socrate per economia si è mai fatto  tagliare i capelli o si è unto il corpo o è andato nel bagno a lavarsi:"oujd j eij" balanei'on h\lqe lousovmeno"" (Nuvole[5] , v. 837). Fidippide, il figlio di Strepsiade, in un primo tempo rifiuta quei cattivi educatori, quei maestri lazzaroni anche per il loro colore giallastro, malsano:"aijboi', ponhroiv,  g'  oi\da, tou;" ajlazovna"-tou;" wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei" (Nuvole, vv. 102-103), puah!, quei fanfaroni,  ho capito. Tu dici quelle facce pallide, gli scalzi.  ;         

 il Coro degli Uccelli [6] più specificamente qualifica Socrate come a[louto" (v. 1553), non lavato.

 

Alcuni passi dei suoi discepoli invece mostrano che le indubbie ristrettezze di Socrate non arrivavano al disprezzo del corpo: nel Gorgia di Platone il maestro insegna che "la bellezza autentica si ottiene solo attraverso la ginnastica"(465b) la quale è la cosmesi migliore, l'unica, e Senofonte nei Memorabili  ricorda pure che Socrate "non si disinteressava al corpo...e disapprovava chi, mangiando troppo, si sottoponeva a una fatica eccessiva"(I, 2, 4). Le ultime parole del Simposio  di Platone affermano che Socrate:"recatosi al Liceo si lavò e trascorse il resto della giornata come altre volte; a sera andò a casa a riposare"(233d).

 

Non si può dire che l'eccessiva trascuratezza sia approvata o addirittura ricercata da ogni filosofo: Seneca biasima una moda del genere seguìta soprattutto da cinici e stoici e consiglia a Lucilio di evitarla:"asperum cultum et intonsum caput et neglegentiorem barbam et indictum argento odium et cubile humi positum et quidquid aliud ambitionem perversa via sequitur evīta" (Epist. , 5, 1), evita una mancanza di cura ferina e la testa incolta e la barba troppo trascurata e l'odio dichiarato all'argenteria e il giaciglio posto a terra e tutto il restante apparato che segue l'ambizione per una via distorta.

 

Per quanto riguarda questo ritratto del tipico filosofo cinico-stoico si può pensare alla satira  Misopogon[7] di Giuliano dove l'imperatore si autoaccusa fingendo di accettare le colpe che gli vengono addebitate dagli abitanti di Antiochia: per stranezza e misantropia, afferma, mi sono lasciato crescere la barba nella quale permetto ai pidocchi di scorrazzare come in una boscaglia di fiere…non mi è bastato il mento folto ma ho aggiunto pure sporcizia alla testa, mi taglio di rado i capelli e le unghie e spesso ho le dita nere a causa della penna (3).

 

 Per Seneca  è auspicabile la via di mezzo:"non splendeat toga, ne sordeat quidem" (Epist., 5, 3), non brilli la toga, ma neppure sia sudicia. Gli atteggiamenti estremi possono riuscire "ridicula et odiosa"  (5, 4). Il proposito del filosofo stoico è vivere secondo natura:"Nempe propositum nostrum est secundum naturam vivere: hoc contra naturam est, torquere corpus suum et faciles odisse munditias et squalorem adpetere et cibis non tantum vilibus uti sed taetris et horridis. Quemadmodum desiderare delicatas res luxuriae est, ita usitatas et non magno parabiles fugere dementiae. Frugalitatem exigit philosophia, non poenam ; potest autem esse non incompta frugalitas" ( Ep. 5, 4-5), evidentemente il nostro progetto è vivere secondo natura: è contro natura questo tormentare il proprio corpo e odiare l'eleganza a portata di mano, e cercare lo squallore e fare uso di cibi non solo a buon mercato ma disgustosi e ripugnanti. Come è segno di dissolutezza desiderare le raffinatezze, così è segno di pazzia evitare i beni comuni e procurabili a prezzo non grande. La filosofia reclama la moderazione non la tortura; del resto la moderazione può essere non disadorna.

Altro atteggiamento contro natura è quello di coloro che pretendono di camuffare il sesso o l'età:"Non videntur tibi contra naturam vivere qui commūtant cum feminis vestem?Non vivunt contra naturam qui spectant ut pueritia splendeat tempore alieno?" (Ep. 122, 7), non ti sembrano vivere contro natura quelli che indossano vesti da donna? non vivono contro natura coloro i quali mirano a che la fanciullezza splenda in una stagione che non è la sua? 

 

Cfr, "hJ ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei\nai"[8]  vantata da Alcibiade di fronte al popolo prima della spedizione in Sicilia

 

 In ogni modo, se è stupido chi valuta un cavallo dalla sella e dalle briglie, è stupidissimo chi giudica l'uomo dall'abbigliamento o dalla condizione sociale che ci sta attorno come un abito:"stultissimus est qui hominem aut ex veste aut ex condicione, quae vestis modo nobis circumdǎta est, aestĭmat " (Epist. 47, 16). 

 

A. La Penna, del quale seguirò diverse indicazioni contenute in un saggio del 1978,  mette in relazione la scelta di Ovidio con quelle di Properzio[9] e Tibullo[10].

 

 "Ora Properzio[11], il raffinato callimacheo, resta abbastanza fedele a un ideale femminile che sarebbe semplicistico definire arcaizzante, ma che del modello arcaico conserva un aspetto essenziale, il rifiuto del cultus. La bellezza perfetta è quella più vicina alla natura. Non è tra le sue elegie più felici, ma è tra le sue più celebri, quella (I 2) che sviluppa il concetto riassunto nel verso sentenzioso (8):"nudus Amor formae non amat artificem "[12] (I, 2, 8), Amore nudo non ama la bellezza artefatta.

 

Quindi La Penna cita i primi sei versi di questa elegia  collocata "subito dopo quella che a modo suo fa da proemio...Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo/et tenues Coa veste movere sinus,/aut quid Orontēā crines perfundere murra,/teque peregrinis vendere muneribus,/naturaeque decus mercato perdere cultu,/nec sinere in propriis membra nitere bonis? ", a che giova, vita mia, venire con i capelli adorni, e muovere flessuosità delicate in un drappo di Coo, o cospargere i capelli di mirra  dell'Oronte[13], e venderti a doni stranieri, e sciupare lo splendore della natura con il lusso comprato, e non lasciare che le membra brillino della propria bellezza?

 Properzio insomma ama Cinzia[14] al naturale:"Crede mihi, non ulla tuae est medicina figurae " (v. 7), credimi, non c'è bisogno di correzione per la tua bellezza.

"il cultus  femminile-continua La Penna- rientra in quell'allargamento dei consumi che richiede e favorisce importazioni dannose dalle provincie e dall'estero, specialmente dall'area orientale:"peregrina munera, mercatus cultus " . La polemica contro gli ornamenti e il trucco è un vecchio tovpo" della letteratura erotica antica, ma la vitalità che gli ridà Properzio si scorge anche dal legame con l'antica e sempre attuale polemica romana contro il lusso, che spesso fa tutt'uno con la polemica contro le influenze greche e orientali" (Fra teatro, poesia e politica romana p. 183).

Tuttavia "il fascino di Cinzia dipende molto proprio dalla sua modernità, dall'eleganza del portamento, dalla grazia nella danza, dalla cultura letteraria e musicale, tutte cose che possono anche conciliarsi con la mancanza di trucco, ma che ci portano lontano dalla natura[15] e stanno meglio con la raffinatezza del cultus...Del resto il modello femminile romano agrario-arcaico ha ben poco fascino su Properzio prima delle elegie romane[16].

 Nell'elegia dove vuole dimostrare che "nudus Amor formae non amat artificem " egli cerca esempi probanti dapprima nella bellezza spontanea della natura (I 2 9-14), poi nella mitologia greca (15-24): non cerca esempi nella Roma arcaica o nella Sabina.  Anche i modelli di fides  e pudor  li cerca nella letteratura e nella mitologia greca. In questo resta fedele a Catullo: quando Catullo, nella chiusa del carme 64, storna con orrore gli occhi dalla società romana contemporanea con i suoi odi feroci e la distruzione di ogni valore morale, non li rivolge, come faranno Sallustio o Livio, verso la società romana arcaica, ma verso il mito greco, verso il tempo in cui gli dèi frequentavano gli uomini ricchi di pietas ." (p. 184).

Ma oggi

omnia fanda nefanda malo permixta furore

iustificam nobis mentem avertēre deorum (64, 405-406)

 

Insomma il cultus che Properzio apprezza non è quello mercatus.

La natura fa vedere e sentire dei veri capolavori non artificiali: la terra formosa esprime splendidi colori (I, 2, 9), l'edera sale più rigogliosa da sé (v. 10), come nell'età dell'oro[17], "et volucres nulla dulcius arte canunt" (v. 14) e gli uccelli cantano più dolcemente senza arte. 

Questo topos si trova anche nel Vangelo secondo Matteo:"Et de vestimento quid solliciti estis? Considerate lilia agri quomodo crescunt: non laborant neque nent. Dico autem vobis quoniam nec Salomon in omni gloria sua coopertus est sicut unum ex istis" (N. T. 6, 28), e quanto al vestire perché vi affannate? Considerate come crescono i gigli dei campi: non si affaticano e non filano. Eppure vi dico che neppure Salomone in tutta la sua gloria è stato coperto come uno di loro.

Properzio non crede che Amore né Venere rimangano incantati davanti alle grandi ricchezze né che queste possano rendere felice chi è infelice nell'amore:"Nescit amor magnis cedere divitiis…Nam quis divitiis adverso gaudet Amore?/Nulla mihi tristi praemia sint Venere!…Quae mihi dum placata aderit, non ulla verebor/regna vel Alcinoi munera despicere " (I, 14, 8, 15-16, 23-24), Amore non conosce il cedimento davanti alle grandi ricchezze…Infatti chi può godere delle ricchezze se Amore è contrario? Non voglio avere tesori se Venere è corrucciata!…Invece finché lei mi sarà accanto, non temerò alcun potere, non esiterò a disprezzare perfino i doni lussuosi di Alcinoo.

Nell' elegia successiva Properzio ricorda le eroine del mito e della letteratura esemplari per la fedeltà al grande amore della loro vita con l'intento di rinfacciare a Cinzia la sua levitas (I, 15, 1) e la sua perfidia (I, 15, 2): Calipso che rimpianse a lungo Ulisse desertis…aequoribus (v. 10), lungo la distesa marina deserta,  incomptis maesta capillis (v. 11), afflitta con i capelli scomposti, iniusto multa locuta salo (v. 12), parlando molto con il flutto iniquo; Ipsipile che abbandonata da Giasone rimase dolente nel talamo vuoto; Alfesibea che punì i fratelli per il suo sposo; infine Evadne che si gettò nel rogo di Capaneo e divenne l'emblema della pudicizia argiva.  

 

Leggiamo qualche parola di un altro studio di La Penna a proposito di Properzio:" Nella sua vita di nequitia egli non vagheggia un ideale di libertinaggio (ciò si potrà dire, e fino ad un certo punto, dell'Ovidio degli  Amores ): al contrario egli vuole dare al suo amore libera profondità e stabilità e per questa via ritrova un legame con valori tradizionali, come la semplicità dei costumi, il rifiuto del trucco e del lusso e soprattutto la fides, un valore fondamentale dell'etica romana: vorrebbe configurare la relazione, secondo concetti e forme della tradizione romana, come uno stabile foedus, con le sue leggi:"Foedera sunt ponenda prius signandaque iura/et scribenda mihi lex in amore novo " (III, 20, 15-16). L'atteggiamento, dal punto di vista etico, è lo stesso di Catullo e presenta le stesse contraddizioni"[18]. Traduco: Bisogna firmare dei patti e stabilire dei giuramenti  e scrivere la legge di questo nuovo amore.

Qualche verso più avanti Properzio lancia una maledizione contro i perfidi che abbiano rotto i patti giurati sugli altari (qui pactas in foedera ruperit aras, (III, 20, 25).

Per quanto riguarda la bellezza, Properzio mette a fuoco quella degli occhi

La prima elegia dei quattro libri del "romano Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis " (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi; una cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: /  Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit " (I, 12, 19-20),  io non posso amare un'altra né staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà l'ultima. Gli occhi, ribadisce più avanti Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra amorosa:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).

 

Bologna 11 luglio 2023 ore 10, 36 giovanni ghiselli

 

p. s

Sono in partenza per Pesaro, poi la Grecia, e da agosto di nuovo a Pesaro fino almeno a metà settembre. Se volete scrivermi usate la posta elettronica-ghiselli.giovanni@gmail.com  ghiselli punto giovanni chiocciola gmail punto com poiché non avrò il computer che risponde ai commenti di facebook,



[1] Cfr. nel mio Storiografi Greci  (Loffredo, 1999) la scheda Sfiducia nella tecnologia che porta "sviluppo senza progresso" (pp. 140-143).

[2]S. Mazzarino, Il Pensiero Storico Classico ,  I, p. 16.

[3] Quintiliano, Institutio oratoria , X, 1, 88.

[4] Donnaiolo. Così lo definisce Petrarca nel De vita solitaria II, 12.

[5] Del 423 a. C.

[6] Del 414 a. C.

[7] Del 363 d. C. misevw e pwvgwn.

[8]Tucidide, VI, 17, 1.

[9] Nato ad Assisi nel 49 a. C. circa, morto a Roma intorno al 15a. C., ha scritto quattro libri di elegie. Il primo fu pubblicato nel 28, il secondo e il terzo nel 22, il quarto nel 16 a. C. I primi tre cantano l'amore per Cinzia, il IV, quello delle elegie romane, racconta per lo più miti, riti della tradizione, episodi della storia di Roma e italica.

[10]  Nato a Gabii o a Pedum , nel Lazio rurale fra il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il suo nome ci è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie. Sono sicuramente e autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne, Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un' antologia di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus atque elegans maxime…auctor  (Institutio oratoria , X, 1, 93), l'autore più elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i Greci.

[11] 47-15 a.c.

[12]A. La Penna. Fra teatro, poesia e politica romana ,  p. 183. Aggiungo la mia traduzione  a questa e alle prossime citazioni di La Penna. Per quanto riguarda il greco e il latino ho dato e darò sempre traduzioni mie siccome "la traduzione è l'operazione più esaltante dal punto di vista della mobilitazione delle forze intellettuali" (L. Canfora, in  Di fronte ai classici, p. 52.) Queste mie potranno essere confrontate con le tante altre presenti nei manuali o con quelle dei professori delle classi dove il mio lavoro verrà impiegato:"il fatto che il testo sia aperto, che l'interpretazione sia un problema e che la traduzione abbia molte 'uscite', questo insegnatelo ai giovanotti", raccomanda Canfora (op. cit. p. 53).

 

[13] Fiume della Siria

[14] Il suo vero nome era Hostia secondo la testimonianza di Apuleio (Apologia, 10).

[15] Questa affermazione è contraddittoria con quanto detto poco sopra . Non è male far notare ai giovani queste sviste degli autori dal nome grande e comunque, per molti versi, bravi.

[16] Quelle del IV libro (del 16 a. C.) che contiene episodi della storia romana arcaica.

[17] Cfr. Virgilio, ecloga IV, vv,18-20.

[18] A. La Penna, L'integrazione difficile, Einaudi, 1977, p. 38.

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