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martedì 12 aprile 2016

"Il Prometeo incatenato". Parte IX

Zeus

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Il titano, si diceva, lamenta la sua punizione, ingiusta siccome causata dalle proprie intenzioni buone: “guardate me incatenato, un dio dal destino difficile,/il nemico di Zeus, quello che è venuto in odio/ a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus/per il troppo amore dei mortali (dia; th;n livan filovthta brotw'n, vv. 119 - 123).
Questo livan significa la dismisura che per i Greci fa sempre parte dell' u{bri" . Si pensi al “mh; livhn” di Archiloco (fr. 128 West v. 7)

Prometeo del resto ha suscitato forti simpatie nella cultura europea.
Alessandro Magno lo considera una delle sue prefigurazioni.
Nel dialogo Prometeo o il Caucaso di Luciano (125 - 185 d. C.) il Titano si difende davanti a Ermes. Dice che il suo furto fa parte degli scherzi che rallegrano i simposi i quali altrimenti sono gravati da ubriachezza, sazietà, silenzio. Lo sdegno di Zeus mostra molta piccineria e volgarità di sentimenti. Prometeo rivendica il merito di avere plasmato gli uomini che abbelliscono la terra e onorano gli dèi. Delle donne, parimenti fatte da Prometeo, gli dèi si innamorano e per incontrarle scendono sulla terra trasformati in tori, cigni, satiri. Il fuoco poi è usato per i sacrifici agli dèi.

Il Goethe stürmeriano rappresenta Prometeo che dice: "Io non conosco al mondo/nulla di più meschino di voi, o dèi/…Io renderti onore? E perché?/Hai mai lenito i dolori/di me ch'ero afflitto?/
Hai mai calmato le lacrime/di me ch'ero in angoscia?/…Io sto qui e creo uomini/a mia immagine e somiglianza,/una stirpe simile a me,/fatta per soffrire e per piangere,/per godere e gioire/e non curarsi di te,/come me!"[1].
Percy Bysshe Shelley (marito di Mary Godwin Shelley) scrisse il dramma lirico Prometheus unbound nel 1820. Nell'introduzione l'autore afferma che il Titano ribelle potrebbe essere assimilato al Satana di Milton ma precisa che Prometeo "è un carattere più poetico che Satana, poiché, oltre al coraggio, alla maestà e alla ferma e paziente opposizione alla forza onnipotente, lo si può descrivere esente dalle macchie dell'ambizione, invidia, vendetta e desiderio d'un ingrandimento personale…Prometeo è il tipo della più alta perfezione di natura morale e intellettuale, spinto dai più puri e più veri motivi ai fini migliori e più nobili"[2].
Nietzsche in La nascita della tragedia cita l'ultima strofe del Prometeo di Goethe (vv. 52 - 58) e, dopo avere definito Edipo eroe della passività, gli contrappone Prometeo come personaggio illuminato dalla gloria dell'attività. Prometeo rappresenta anche l'artista titanico il quale "trovò in sé la caparbia fede di poter creare uomini o almeno di poter distruggere dèi olimpici: e ciò mediante la sua superiore sapienza, che era però costretto a scontare con un'eterna sofferenza"[3].
Satana come "ribellione" e "forza vindice della ragione" viene celebrato dal Carducci[4] con i nuovi mezzi di trasporto:"Un bello e orribile/mostro si sferra,/corre gli oceani,/corre la terra" (A Satana, vv. 72 - 76). Qualche anno prima il papa Gregorio XVI[5] aveva detto "che le ferrovie e la trazione a vapore fossero opere di Satana"[6].
Sulla linea dell'approvazione del Titano quale eroe della ragione si trova Settembrini, il letterato illuminista di La Montagna Incantata [7] di Thomas Mann, il quale esalta la figura di Prometeo come l'archetipo dell'umanista:"Che cos'era però in fondo l'umanesimo? Nient'altro che amore verso gli uomini, quindi: politica e ribellione contro tutto ciò che macchiava e offendeva l'idea dell'uomo. Gli si era rimproverato un eccessivo rispetto della forma, ma anche la bella forma era da lui curata per amore della dignità umana, in splendido contrasto col medioevo che non solo era caduto nell'abisso della inimicizia verso gli uomini e nella superstizione, ma nella più vergognosa trascuratezza di forma. Fin dal principio egli aveva parteggiato e combattuto per la causa dell'umanità, per i suoi interessi terreni, proclamando sacra la libertà di pensiero, la gioia della vita, e pretendendo che il cielo fosse lasciato agli uccelli. Prometeo! Quello era stato il primo umanista, identico a quel Satana cui Carducci aveva dedicato un inno" (p.176 I vol.).
Più avanti Settembrini santifica anche l’ u{bri~ di Prometeo in quanto amica dell'umanità e favorevole alla ragione:"Ma l'"Hybris" della ragione contro le oscure potenze è altissima umanità, e se chiama su di sé la vendetta di dèi invidiosi...questa è sempre una rovina onorata. Anche l'azione di Prometeo era "Hybris" e il suo tormento sulla roccia scita noi lo consideriamo il martirio più santo. Ma come siamo invece di fronte all'altra "Hybris", a quella contraria alla ragione, all'"Hybris" della inimicizia contro la schiatta umana?".
Per Settembrini dunque le u{brei" sono due, come le e[ride" per Esiodo.

Nella Parodo della tragedia di Eschilo arriva il coro delle Oceanine a consolare il martire, le figlie" del padre Oceano che si avvolge intorno a tutta la terra con corrente instancabile"( Prometeo incatenato, vv.138 - 140). Oceano è un Titano fratello di Crono e di Giapeto, padre di Prometeo, quindi le coreute sono cugine del martirizzato.
Anche Oceano avvolgendo tutte le terre nega il principium individuationis.
Infatti Erodoto, scrittore delfico e apollineo, nega che ci sia un Oceano.
Nel secondo libro lo storiografo di Alicarnasso scrive: colui che ha parlato dell'Oceano (" oJ de; peri; tou' jWkeavnou levxa"", con riferimento a Ecateo) e ha portato il discorso su cose oscure, non merita nemmeno confutazione; io infatti non so che ci sia un fiume Oceano ("ouj gavr tina oi\da potamo;n jWkeano;n ejovnta", II, 23), ma credo che Omero o qualcun altro dei poeti vissuti prima di lui abbia inventato il nome e l'abbia introdotto nella poesia.

Le Oceanine, pur piene di paura, manifestano solidarietà al loro congiunto, biasimando la nuova generazione divina, i figli di Crono e Rea ( oltre Zeus, Poseidone, Ades, Era e Demetra) i quali hanno preso il potere che era stato dei Titani:"nuovi timonieri infatti / governano l'Olimpo: con inaudite/norme ora Zeus comanda illegalmente"(vv.148 - 150).
Prometeo non si limita al lamento; minaccia anche: "Eppure il presidente dei beati avrà ancora/bisogno di me, sebbene tormentato/nei forti ceppi,/perché gli sveli il nuovo piano per il quale/si cerca di spogliarlo dello scettro e degli onori"(vv. 167 - 171).
Insomma il Titano conosce un segreto che però non intende rivelare prima di venire liberato dai ceppi (vv. 174 - 176).
Il coro avverte il ribelle:"il figlio di Crono ha un carattere inaccessibile/e un cuore implacabile"(vv. 184 - 185); ma Prometeo, invece di lasciarsi spaventare, ribadisce che il tiranno ha bisogno di lui, quindi dovrà scendere a patti. Poi comincia un suo racconto poiché:
"doloroso è per me raccontare queste cose,/ma doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197 - 198). Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964) che racconta la terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”. Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.
Così Enea racconta a Didone la distruzione di Troia: “Infandum, regina, iubes renovare dolorem…Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret luctuque refugit,/incipiam” (Eneide, II, 3, 10 - 13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga dal pianto, comincerò.
Nella Tebaide di Stazio (45 - 96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare per gli infelici e rievocare le pene antiche.

Dunque Prometeo racconta la teomachia, la lotta tra gli dèi. All'inizio egli è incerto se schierarsi con Zeus o con i Titani, i figli di Urano dai pensieri violenti.
 La madre:"Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"
( vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi, che la madre gli aveva predetto il futuro: il potere sarebbe stato conquistato con l'inganno . Prometeo è una creatura della Magna mater, la divinità femminile mediterranea che domina il dio maschio a lei subordinato, il paredro, e prende diversi nomi a seconda delle regioni e delle società matriarcali dove viene venerata: i più noti sono Rea e Cibele, ma anche la Giocasta di Sofocle che nell'Odissea (11, 271) si chiama Epicasta.
 M. Bettini ricorda una definizione della Sfinge che può avvicinare tale " enigma vivente" a questa Magna mater invocata da Prometeo "Dione Crisostomo[8] la definisce[9] ejk pantodapw'n fuvsewn miva morfhv [10]", una sola forma di molte nature.
Sfinge e Magna mater hanno in comune la confusione. Nel caso di Giocasta l’incesto: la Sfinge è figlia di Echidna e del figlio di lei Orto.
Pure in alcune opere di Pirandello la donna compare binominata: nella commedia Ma non è una cosa seria (del 1918) per esempio la protagonista è una sola donna di due nomi: Gasparina e Gasparotta.
Altrettanto Evelina Morli[11] che viene chiamata "Eva" dal marito Ferrante Morli, e "Lina" dall'amante Lello Carpani.
 Se questo da una parte può significare la lacerazione della donna e la divisione dei suoi affetti, dall'altra rimanda alla magna mater: pollw'n ojnomavtwvn morfh; miva appunto.
Il Titano, consigliato dalla madre, prima aiuta Zeus contro Crono, finito perciò nel Tartaro (219 - 220), ma poi, quando il nuovo re dell'universo si appresta ad annientare la stirpe umana, diviene suo oppositore.
Le Oceanine si impietosiscono per la sorte di Prometeo e lo stesso Titano si sente meritevole di tanta compassione (v.246), eppure è tutt'altro che pentito e prorompe nel grido di ribellione con il quale afferma la dignità del suo delitto:"io sapevo tutto questo:/di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai)/ aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )"(265 - 267).
 L' euJrethv" si scopre inventore di pene.
 La rivendicazione di Prometeo fornisce una legittimazione all'ira di Zeus e argomenti a Nietzsche in La nascita della tragedia per distinguere "la concezione ariana" dal " mito semitico":" La cosa migliore e più alta di cui l’umanità possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi accettarne le conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui i celesti offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza di ascendere: un pensiero crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente contrasta con il mito semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il raggiro menzognero, la seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti eminentemente femminili fu considerata come origine del male. Ciò che distingue la concezione ariana è l’elevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica"[12].
In Cassio Dione Cesare rivendica dignità alla scivolata di cattivo augurio avvenuta durante lo sbarco in Africa. Appena toccò terra, inciampò, e i soldati, avendolo visto cadere bocconi, si scoraggiarono e, turbati, rumoreggiarono, ma Cesare non restò imbarazzato, anzi wJ" kai; eJkw;n dh; peswvn, anzi, come se fosse caduto apposta, afferrò la terra, la baciò e gradando disse: “ e[cw se, jAfrikhv” , ti tengo, Africa (42, 58, 3).
Vediamo la conclusione del dramma. Il Titano ribadisce che Zeus si prepara a nozze che lo sbalzeranno dal trono (vv. 909 - 910): allora si compirà la maledizione del padre suo, Crono, che era stato esautorato dal figlio. Solo Prometeo, figura rivelatrice, può mostrare chiaramente (dei'xai safw`~, v. 914) la deviazione rispetto a tali mali e salvare così il potere di Zeus. Questo è un paradosso siccome il titano è un fiero oppositore del nuovo reggitore, ma si sa che a volte proprio dai contrari deriva l'armonia. Eschilo comunque tende alla conciliazione delle unilateralità che collidono, come si vede nell' Orestea, l'unica trilogia che ci è giunta.
 Intanto il martire sfida il re dell'universo, sebbene la corifea gli ricordi che
"i saggi (sofoiv) si inchinano davanti all'inevitabile"(v. 936).
Ma Prometeo è irremovibile nella sua opposizione ostinata; anzi quando vede sopraggiungere Ermes lo annuncia come il galoppino di Zeus, il servo del nuovo tiranno (“ajll j eijsorw` ga;r tovnde to;n Dio;~ trovcin, - to;n tou` turavnnou tou` nevou diavkonon (v. 941 - 942) e gli fa notare che il suo discorso superbo è tipico di un servitore degli dèi (qew'n uJphrevtou, v. 954). La signoria di Zeus, avverte è nuova, e non è detto che durerà eterna:"ho già visto cadere due sovrani da questi fastigi" (957). Si tratta di Urano, spodestato dal figlio Crono, e di questo stesso dio detronizzato da Zeus. E’ il tiranno figlio di u{bri~ che cade dall’alto e accentua la sua zoppia (cfr. Edipo re, vv. 873 - 879).
 Il Titano giunge a dire: “con parola schietta (lovgw/ aJplw`/) odio tutti gli dèi/quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975 - 976). E confida nel tempo che invecchiando insegna proprio tutto (“ajll j ejkdidavskei pavnq j oJ ghravskwn crovno" " (v. 981). Questo verso traspone il notissimo pentametro di Solone ("invecchio imparando sempre molte cose”) in termini cosmici.
 In queste parole ci sono due segni positivi che depongono a favore di Prometeo. Uno è l’attesa del tempo che, come afferma Creonte nell’ Edipo re, rivela l’uomo giusto (v. 614). Quindi il Coro dei vecchi tebani lo approva:" Ha detto bene per chi si guarda dal cadere signore/: infatti i veloci a capire non sono sicuri" (vv. 616 - 617). L’attesa del beneficio del tempo è topica.


continua


[1] Vv. 13 - 14, 38 - 42, 52 - 58 dell'Inno Prometeo del 1774 (l'anno del Werther) trad. it. di G. Baioni
[2] P. B. Shelley, Prometeo slegato, Prefazione, p. 5.
[3] La nascita della tragedia, p. 68.
[4] A Satana (del 1863) vv. 97 - 100.
[5] Fu papa dal 1831 al 1846.
[6] B. Croce, Storia d'Europa nel secolo XIX, p. 109.
[7] Del 1924.
[8] Vissuto tra il I e il II sec. d. C. (40 - 112) fu tra gli iniziatori della Seconda Sofistica. Ci sono arrivate circa 80 orazioni.
[9] I 274, 32 Arnim.
[10] M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983, . p. 152.
[11] La signora Morli, una e due commedia del 1920.
[12] F. Nietzsche. La nascita della tragedia, p. 69.

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