Zeus |
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Il titano, si
diceva, lamenta la sua punizione, ingiusta siccome causata dalle proprie
intenzioni buone: “guardate me
incatenato, un dio dal destino difficile,/il nemico di Zeus, quello che è
venuto in odio/ a tutti gli dèi quanti frequentano la corte di Zeus/per il
troppo amore dei mortali (dia; th;n livan filovthta brotw'n, vv. 119 - 123).
Questo livan
significa la dismisura che per i Greci fa sempre parte dell' u{bri" . Si pensi al “mh; livhn” di Archiloco (fr. 128 West v. 7)
Prometeo del resto ha suscitato forti
simpatie nella cultura europea.
Alessandro Magno lo considera una delle sue
prefigurazioni.
Nel
dialogo Prometeo o il Caucaso di
Luciano (125 - 185 d. C.) il Titano si difende davanti a Ermes. Dice che il suo
furto fa parte degli scherzi che rallegrano i simposi i quali altrimenti sono
gravati da ubriachezza, sazietà, silenzio. Lo sdegno di Zeus mostra molta
piccineria e volgarità di sentimenti. Prometeo rivendica il merito di avere
plasmato gli uomini che abbelliscono la terra e onorano gli dèi. Delle donne,
parimenti fatte da Prometeo, gli dèi si innamorano e per incontrarle scendono
sulla terra trasformati in tori, cigni, satiri. Il fuoco poi è usato per i
sacrifici agli dèi.
Il Goethe
stürmeriano rappresenta Prometeo che dice: "Io non conosco al mondo/nulla di più meschino di voi, o dèi/…Io
renderti onore? E perché?/Hai mai lenito i dolori/di me ch'ero afflitto?/
Hai mai calmato le lacrime/di me ch'ero in angoscia?/…Io sto qui e creo
uomini/a mia immagine e somiglianza,/una stirpe simile a me,/fatta per soffrire
e per piangere,/per godere e gioire/e non curarsi di te,/come me!"[1].
Percy Bysshe Shelley
(marito di Mary Godwin Shelley) scrisse il dramma lirico Prometheus unbound
nel 1820. Nell'introduzione l'autore afferma che il Titano ribelle potrebbe
essere assimilato al Satana di Milton ma precisa che Prometeo "è un
carattere più poetico che Satana, poiché, oltre al coraggio, alla maestà e alla
ferma e paziente opposizione alla forza onnipotente, lo si può descrivere
esente dalle macchie dell'ambizione, invidia, vendetta e desiderio d'un
ingrandimento personale…Prometeo è il tipo della più alta perfezione di natura
morale e intellettuale, spinto dai più puri e più veri motivi ai fini migliori
e più nobili"[2].
Nietzsche in La nascita della tragedia cita l'ultima
strofe del Prometeo di Goethe (vv. 52
- 58) e, dopo avere definito Edipo eroe della passività, gli contrappone
Prometeo come personaggio illuminato dalla gloria dell'attività. Prometeo
rappresenta anche l'artista titanico il quale "trovò in sé la caparbia
fede di poter creare uomini o almeno di poter distruggere dèi olimpici: e ciò
mediante la sua superiore sapienza, che era però costretto a scontare con
un'eterna sofferenza"[3].
Satana come
"ribellione" e "forza vindice della ragione" viene
celebrato dal Carducci[4] con i nuovi mezzi di trasporto:"Un
bello e orribile/mostro si sferra,/corre gli oceani,/corre la terra" (A
Satana, vv. 72 - 76). Qualche anno prima il papa Gregorio XVI[5] aveva detto "che le ferrovie e la
trazione a vapore fossero opere di Satana"[6].
Sulla linea
dell'approvazione del Titano quale eroe della ragione si trova Settembrini, il
letterato illuminista di La Montagna Incantata
[7] di Thomas Mann, il quale esalta la figura di
Prometeo come l'archetipo dell'umanista:"Che cos'era però in fondo
l'umanesimo? Nient'altro che amore verso gli uomini, quindi: politica e
ribellione contro tutto ciò che macchiava e offendeva l'idea dell'uomo. Gli si
era rimproverato un eccessivo rispetto della forma, ma anche la bella forma era
da lui curata per amore della dignità umana, in splendido contrasto col
medioevo che non solo era caduto nell'abisso della inimicizia verso gli uomini
e nella superstizione, ma nella più vergognosa trascuratezza di forma. Fin dal
principio egli aveva parteggiato e combattuto per la causa dell'umanità, per i
suoi interessi terreni, proclamando sacra la libertà di pensiero, la gioia
della vita, e pretendendo che il cielo fosse lasciato agli uccelli. Prometeo!
Quello era stato il primo umanista, identico a quel Satana cui Carducci aveva
dedicato un inno" (p.176 I vol.).
Più avanti
Settembrini santifica anche l’ u{bri~ di
Prometeo in quanto amica dell'umanità e favorevole alla ragione:"Ma
l'"Hybris" della ragione contro le oscure potenze è altissima
umanità, e se chiama su di sé la vendetta di dèi invidiosi...questa è sempre
una rovina onorata. Anche l'azione di Prometeo era "Hybris" e il suo
tormento sulla roccia scita noi lo consideriamo il martirio più santo. Ma come
siamo invece di fronte all'altra "Hybris", a quella contraria alla
ragione, all'"Hybris" della inimicizia contro la schiatta
umana?".
Per Settembrini
dunque le u{brei" sono due, come le e[ride" per Esiodo.
Nella Parodo della
tragedia di Eschilo arriva il coro delle Oceanine a consolare il martire, le
figlie" del padre Oceano che si
avvolge intorno a tutta la terra con corrente instancabile"( Prometeo incatenato, vv.138 - 140).
Oceano è un Titano fratello di Crono e di Giapeto, padre di Prometeo, quindi le
coreute sono cugine del martirizzato.
Anche Oceano avvolgendo
tutte le terre nega il principium
individuationis.
Infatti Erodoto,
scrittore delfico e apollineo, nega che ci sia un Oceano.
Nel secondo libro lo
storiografo di Alicarnasso scrive: colui che ha parlato dell'Oceano (" oJ de; peri; tou' jWkeavnou levxa"", con riferimento a Ecateo) e ha
portato il discorso su cose oscure, non merita nemmeno confutazione; io infatti
non so che ci sia un fiume Oceano ("ouj gavr tina oi\da potamo;n jWkeano;n ejovnta", II, 23), ma credo che Omero o qualcun
altro dei poeti vissuti prima di lui abbia inventato il nome e l'abbia
introdotto nella poesia.
Le Oceanine, pur
piene di paura, manifestano solidarietà al loro congiunto, biasimando la nuova
generazione divina, i figli di Crono e Rea ( oltre Zeus, Poseidone, Ades, Era e
Demetra) i quali hanno preso il potere che era stato dei Titani:"nuovi timonieri infatti / governano l'Olimpo:
con inaudite/norme ora Zeus comanda illegalmente"(vv.148 - 150).
Prometeo non si
limita al lamento; minaccia anche: "Eppure il presidente dei beati avrà ancora/bisogno di me, sebbene
tormentato/nei forti ceppi,/perché gli sveli il nuovo piano per il quale/si
cerca di spogliarlo dello scettro e degli onori"(vv. 167 - 171).
Insomma il Titano
conosce un segreto che però non intende rivelare prima di venire liberato dai
ceppi (vv. 174 - 176).
Il coro avverte il
ribelle:"il figlio di Crono ha un
carattere inaccessibile/e un cuore implacabile"(vv. 184 - 185); ma
Prometeo, invece di lasciarsi spaventare, ribadisce che il tiranno ha bisogno
di lui, quindi dovrà scendere a patti. Poi comincia un suo racconto poiché:
"doloroso è per me raccontare queste cose,/ma
doloroso è anche tacere, e dappertutto sono le sventure"(vv. 197 - 198).
Due versi questi, usati come epigrafe da Giuseppe Berto per il suo Il male oscuro (1964) che racconta la
terapia di una nevrosi: “Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore”.
Il racconto infatti è doloroso e pure terapeutico.
Così Enea racconta a
Didone la distruzione di Troia: “Infandum,
regina, iubes renovare dolorem…Sed si tantus amor casus cognoscere nostros/et
breviter Troiae supremum audire laborem,/quamquam animus meminisse horret
luctuque refugit,/incipiam” (Eneide,
II, 3, 10 - 13), regina, mi ordini, di rinnovare un dolore indicibile…ma se
tanto grande è il desiderio di conoscere la nostra caduta e di udire in breve
l’estrema agonia di Troia, sebbene l’animo rabbrividisca a ricordare e rifugga
dal pianto, comincerò.
Nella Tebaide
di Stazio (45 - 96 d. C.) Ipsipile inizia la sua storia dolorosa affermando che
raccontare le proprie pene è una consolazione per gli infelici:"dulce
loqui miseris veteresque reducere questus" (V, 48), è dolce parlare
per gli infelici e rievocare le pene antiche.
Dunque
Prometeo racconta la teomachia, la lotta tra gli dèi. All'inizio egli è incerto
se schierarsi con Zeus o con i Titani, i figli di Urano dai pensieri violenti.
La madre:"Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"
( vv. 209 - 210), Temide e
Terra, una sola forma di molti nomi, che la madre gli aveva predetto il
futuro: il potere sarebbe stato conquistato con l'inganno . Prometeo è una
creatura della Magna mater, la
divinità femminile mediterranea che domina il dio maschio a lei subordinato, il
paredro, e prende diversi nomi a seconda delle regioni e delle società
matriarcali dove viene venerata: i più noti sono Rea e Cibele, ma anche la Giocasta di Sofocle che
nell'Odissea (11, 271) si chiama
Epicasta.
M. Bettini ricorda una
definizione della Sfinge che può avvicinare tale " enigma vivente" a
questa Magna mater invocata da Prometeo "Dione Crisostomo[8] la
definisce[9] ejk pantodapw'n fuvsewn
miva morfhv
[10]",
una sola forma di molte nature.
Sfinge e Magna mater hanno in
comune la confusione. Nel caso di Giocasta l’incesto: la Sfinge è figlia di Echidna
e del figlio di lei Orto.
Pure
in alcune opere di Pirandello la
donna compare binominata: nella commedia Ma non è una cosa seria (del
1918) per esempio la protagonista è una sola donna di due nomi: Gasparina e
Gasparotta.
Altrettanto
Evelina Morli[11] che
viene chiamata "Eva" dal marito Ferrante Morli, e "Lina"
dall'amante Lello Carpani.
Se questo da una parte può significare la
lacerazione della donna e la divisione dei suoi affetti, dall'altra rimanda
alla magna mater: pollw'n ojnomavtwvn morfh; miva appunto.
Il Titano, consigliato dalla madre, prima
aiuta Zeus contro Crono, finito perciò nel Tartaro (219 - 220), ma poi, quando
il nuovo re dell'universo si appresta ad annientare la stirpe umana, diviene
suo oppositore.
Le Oceanine si
impietosiscono per la sorte di Prometeo e lo stesso Titano si sente meritevole
di tanta compassione (v.246), eppure è tutt'altro che pentito e prorompe nel
grido di ribellione con il quale afferma la dignità del suo delitto:"io sapevo tutto questo:/di mia volontà, di
mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton,
oujk ajrnhvsomai)/ aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )"(265 - 267).
L' euJrethv" si scopre inventore di pene.
La rivendicazione di Prometeo fornisce una legittimazione
all'ira di Zeus e argomenti a Nietzsche in La
nascita della tragedia per distinguere "la concezione ariana" dal
" mito semitico":" La cosa migliore e più alta di cui l’umanità
possa diventare partecipe, essa la conquista con un crimine, e deve poi
accettarne le conseguenze, cioè l’intero flusso di dolori e di affanni, con cui
i celesti offesi devono visitare il genere umano che nobilmente si sforza di
ascendere: un pensiero crudo, per la dignità conferita al crimine, stranamente
contrasta con il mito semitico del peccato originale, in cui la curiosità, il
raggiro menzognero, la seducibilità, la lascivia, insomma una serie di affetti
eminentemente femminili fu considerata come origine del male. Ciò che distingue
la concezione ariana è l’elevata idea del peccato
attivo come vera virtù
prometeica"[12].
In
Cassio Dione Cesare rivendica dignità alla scivolata di cattivo augurio
avvenuta durante lo sbarco in Africa. Appena toccò terra, inciampò, e i
soldati, avendolo visto cadere bocconi, si scoraggiarono e, turbati,
rumoreggiarono, ma Cesare non restò imbarazzato, anzi wJ" kai; eJkw;n
dh; peswvn,
anzi, come se fosse caduto apposta, afferrò la terra, la baciò e gradando disse:
“ e[cw se,
jAfrikhv”
, ti tengo, Africa (42, 58, 3).
Vediamo
la conclusione del dramma. Il Titano ribadisce che Zeus si prepara a nozze che
lo sbalzeranno dal trono (vv. 909 - 910): allora si compirà la maledizione del
padre suo, Crono, che era stato esautorato dal figlio. Solo Prometeo, figura
rivelatrice, può mostrare chiaramente (dei'xai safw`~, v. 914) la deviazione rispetto a tali
mali e salvare così il potere di Zeus. Questo è un paradosso siccome il titano
è un fiero oppositore del nuovo reggitore, ma si sa che a volte proprio dai
contrari deriva l'armonia. Eschilo comunque tende alla conciliazione delle
unilateralità che collidono, come si vede nell' Orestea, l'unica
trilogia che ci è giunta.
Intanto il martire sfida il re dell'universo,
sebbene la corifea gli ricordi che
"i saggi (sofoiv) si inchinano davanti all'inevitabile"(v. 936).
Ma Prometeo è
irremovibile nella sua opposizione ostinata; anzi quando vede sopraggiungere
Ermes lo annuncia come il galoppino di Zeus, il servo del nuovo tiranno (“ajll j eijsorw` ga;r
tovnde to;n Dio;~ trovcin, - to;n tou` turavnnou tou` nevou diavkonon” (v. 941 - 942) e gli fa
notare che il suo discorso superbo è tipico di un servitore degli dèi (qew'n uJphrevtou, v. 954). La signoria di Zeus, avverte è
nuova, e non è detto che durerà eterna:"ho già visto cadere due sovrani da questi fastigi" (957). Si
tratta di Urano, spodestato dal figlio Crono, e di questo stesso dio
detronizzato da Zeus. E’ il tiranno figlio di u{bri~ che cade dall’alto e accentua la sua zoppia (cfr. Edipo re, vv. 873 - 879).
Il Titano giunge a dire: “con parola schietta
(lovgw/
aJplw`/) odio tutti gli
dèi/quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975
- 976). E confida nel tempo che invecchiando insegna proprio tutto (“ajll j ejkdidavskei pavnq j oJ ghravskwn crovno" " (v. 981). Questo verso traspone il
notissimo pentametro di Solone ("invecchio imparando sempre molte cose”)
in termini cosmici.
In queste parole ci sono due segni positivi
che depongono a favore di Prometeo. Uno è l’attesa del tempo che, come afferma
Creonte nell’ Edipo re, rivela l’uomo
giusto (v. 614). Quindi il Coro dei vecchi tebani lo approva:" Ha
detto bene per chi si guarda dal cadere signore/: infatti i veloci a capire non
sono sicuri" (vv. 616 - 617). L’attesa del beneficio del tempo è topica.
continua
[1] Vv. 13 - 14, 38
- 42, 52 - 58 dell'Inno Prometeo del
1774 (l'anno del Werther) trad. it.
di G. Baioni
[2] P. B. Shelley, Prometeo
slegato, Prefazione, p. 5.
[3] La nascita della tragedia,
p. 68.
[4] A Satana (del 1863) vv.
97 - 100.
[5] Fu papa dal 1831 al 1846.
[6] B. Croce, Storia d'Europa nel
secolo XIX, p. 109.
[7] Del 1924.
[8] Vissuto tra il I e il II sec. d.
C. (40 - 112) fu tra gli iniziatori della Seconda Sofistica. Ci sono arrivate
circa 80 orazioni.
[9] I 274, 32 Arnim.
[10] M. Bettini, L'arcobaleno,
l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca,
"Dioniso", 1983, . p. 152.
[11] La signora Morli, una e due
commedia del 1920.
[12] F. Nietzsche. La nascita della tragedia, p. 69.
Giovanna Tocco
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