guerra |
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Nel
Menesseno Platone
chiarisce il disvalore della scienza separata dalla giustizia: "pa'sav te ejpisthvmh
cwrizomevnh dikaiosuvnh" kai; th'" a[llh" ajreth'"
panourgiva, ouj sofiva faivnetai" (247), tutta la scienza separata
dalla giustizia e dalle altre virtù, si vede che è malizia, non sapienza.
Il
secondo coro della Medea di Seneca
dunque situa l'età edenica nel passato antecedente l'impresa di Argo:"Candida nostri saecula patres/videre, procul
fraude remota./Sua quisque piger litora tangens,/patrioque senex factus in
arvo,/parvo dives, nisi quas tulerat/natale solum, non norat opes./Bene
dissaepti foedera[1] mundi[2]/traxit in unum[3] Thessala pinus,/iussitque pati verbera
pontum;/partemque metus fieri nostri/mare sepositum"
(vv. 329 - 339), secoli immacolati videro i nostri padri, quando era tenuta
lontano la frode. Ciascuno tenendo pigro i suoi lidi, e divenuto vecchio nel
campo paterno, ricco con poco, non conosceva ricchezze se non quelle prodotte
dal suolo natale. La nave Tessala unificò le parti del cosmo ben separato da un
recinto di leggi, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi; e che il
mare lontano divenisse parte della nostra paura.
L'
u{bri" di
Tifi e Giasone è prefigurata da quella di Prometeo e imitata da quella di
Serse, poi da Alessandro Magno a pueritia latro gentiumque vastator, tam
hostium pernicies quam amicorum, qui summum bonum duceret terrori esse cunctis
mortalibus, oblitus non ferocissima tantum, sed ignavissima quoque animalia
timeri ob malum virus"
(Seneca, De beneficiis [4] I, 13, 3).
Il terzo coro della Medea di Seneca
chiede venia per Giasone, ma Nettuno è furioso perché sono stati spezzati i
sacrosanti vincoli del mondo.
Il consiglio è:
"vade,
qua tutum populo priori;/rumpe nec sacro, violente, sancta/foedera mundi! "
(vv. 604 - 606), procedi per dove il cammino è stato sicuro alla gente di
prima; e non spezzare con violenza le sacrosante regole del mondo. E’ la
conclusione della settima e ultima strofa saffica del terzo coro.
Infatti
i profanatori del mare sono
morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti
hanno prima devastato i boschi del Pelio, poi hanno solcato il pelago per
impossessarsi dell'oro, ma : “ exigit poenas mare provocatum” (Medea, v. 616).
Il
mare sfidato che la fa pagare ai provocatori si trova anche nella Pharsalia
di Lucano:"Inde lacessitum primo mare, cum rudis Argo/miscuit ignotas
temerato litore gentes/primaque cum ventis pelagique furentibus undis/composuit
mortale genus, fatisque per illam/accessit mors una ratem" (III, 193 -
197), di qui[5] il
mare per la prima volta provocato, quando l'inesperta Argo mescolò genti che
non si conoscevano sulla costa profanata, e per prima mise la razza umana alle
prese con i venti e con le onde furiose del mare, e una morte attraverso quella
nave si aggiunse ai fati.
Viene
condannata la confusione conseguente alla negazione del principium
individuationis. Ancora l' u{bri" di Serse.
L'exitus dirus
la morte orribile (cfr. v. 614) è l'espiazione della rottura dei sacrosancta
foedera mundi. Il coro chiede agli dèi di graziare Giasone che è partito iussus
( Medea, v. 669). E' la mancanza di
entusiasmo per l'impresa, l' ajmhcaniva
delle Argonautiche. Nel poema di Apollonio Rodio Giasone è qualificato
come ajmhvcano" (I, 460).
-
Che
il marinaio sia come portato, se non addirittura predestinato, a morire in
mare, lo dichiara fatalisticamente Mena Malavoglia nel romanzo di Verga
:"Il mare è amaro, - ripeteva, - ed il marinaio muore in mare"[6].
La quintessenza di
molti mali è spesso il disordine e la confusione: Solone nell’Elegia alle Muse
distingue due tipi di plou'to":
“La ricchezza che
danno gli dèi, è solida/per l'uomo dall'ultimo fondo alla cima;/ quella cui
vanno dietro gli uomini spinti dalla prepotenza, non arriva/con ordine (ouj kata; kovsmon - e[rcetai), ma siccome obbedisce alle azioni
ingiuste,/segue di malavoglia, e presto vi si mescola l'accecamento” (fr. 1D.
vv. 9 - 13).
Secondo
Teognide “la confusion delle persone” è dovuta al denaro: “ Onorano il denaro:
e un nobile sposa la figlia di un plebeo e un plebeo quella di un nobile: la
ricchezza ha mescolato le stirpi.” (Silloge,
vv. 183 - 190).
Nei Cavalieri (424 a . C) di Aristofane,
Cleone è chiamato “borborotavraxi” (v.
307), il mescola - fango; egli si comporta come i pescatori di anguille i
quali, se mettono sottosopra il fango, le acchiappano: “kai; su;
lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu arraffi, se scompigli la città, gli fa il
salsicciaio.
La mescolanza di genti diverse nella Firenze del Trecento suscita lo
sdegno di Dante: “Sempre la confusion delle persone/principio fu del
mal della cittade” ( Paradiso , XVI, 67 - 68).
Nelle Anime
morte di Gogol’ (1842) un farabutto suggerisce di confondere le idee per
rendere impossibile il compito di fare giustizia: “Confondere, confondere: e
nient’altro…introdurre nel caso nuovi elementi estranei, che coinvolgano altri,
complicare e nient’altro. E che si raccapezzi pure il funzionario
pietroburghese incaricato. Che si raccapezzi…Mi creda, appena la situazione diventa
critica, la prima cosa è confondere. Si può confondere, aggrovigliare tutto
così bene che nessuno ci capirà nulla” (p. 375).
Ancora a proposito di confusione, C. Marx,
commenta Shakespeare[7]
scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese rileva:"la divinità
visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel
loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle
cose"[8].
Contro
la guerra
Il male del ferro e dell'oro. Altre invenzioni di Prometeo.
Erodoto
nei capitoli 67 - 68 del primo libro delle Storie
racconta che gli Spartani al tempo di Creso erano riusciti a sconfiggere i
Tegeati solo dopo essere ricorsi alla Pizia di Delfi la quale, interrogata,
aveva risposto che dovevano riportare in patria le ossa di Oreste. E siccome i
Lacedemoni non le trovavano, erano tornati a chiederle aiuto. Ella allora aveva
cantato, in esametri: "c'è in Arcadia una Tegea, in luogo piano,/dove due
venti soffiano per possente necessità,/ e colpo e contraccolpo, e male su male
si posa" (kai;
tuvpo" ajntivtupo", kai; ph'm j ejp jphvmati kei'tai, I,
67, 4). Lì era sepolto Oreste e di lì bisognava portarlo via per vincere i
Tegeati. Fu Lica , uno dei benemeriti ( tw'n ajgaqoergw'n I, 67, 5), specie di
ambasciatori, a trovarlo , avvalendosi del caso e della sua sapienza[9] (kai; suntucivh/
crhsavmeno" kai; sofivh/, I, 68, 1). Quest'uomo dunque, andato a Tegea, in una
fucina osservava la lavorazione del ferro e aveva un'aria di meraviglia mentre
guardava (ejn
qwvmati h\n oJrevwn I, 68, 1).
Il fabbro allora gli disse che lui aveva ragioni più forti per meravigliarsi:
infatti, scavando nel suo cortile per fare un pozzo, aveva trovato un'urna con
un cadavere di sette cubiti, ossia lungo più di tre metri. Quindi lo aveva
riseppellito. Allora Lica congetturava che quelli erano i resti di
Oreste. Infatti osservando i due mantici trovava che erano i venti (ajnevmou" eu{riske
ejovnta",
I, 68, 4), l'incudine e il martello erano il colpo e il contraccolpo (tovn te tuvpon kai;
to;n ajntivtupon),
e, il ferro lavorato, il male posato su male (to; ph'ma ejpi; phvmati keivmenon) desumendolo più o meno dal fatto che il
ferro è stato inventato per il male dell'uomo :" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou
sivdhro" ajneuvrhtai".
In Catullo c’è una maledizione dei Calibi, una popolazione della costa
del Mar Nero della quale si diceva che avesse scoperto la lavorazione del ferro
che ha tagliato la chioma di Berenice. I crines
stessi lanciano l’imprecazione: “ Quid
facient crines, cum ferro talia cedant? Iupiter,
ut Chalibon omne genus pereat/et qui principio sub terra quaerere
venas/institit ac ferri fingere duritiem” (66, 47 - 50), cosa faranno i
capelli, se tali colossi[10] cedono al ferro? Giove, che tutta la razza
dei Calibi vada in malora, e chiunque per primo si mise a esplorare le vene
sotto la terra e a foggiare la durezza del ferro!
Ancora più nocivo
del ferro, e decisivo per la decadenza dell'umanità, è stato l'oro secondo Ovidio
: “ effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit
bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma”
(Metamorfosi, I, 140 - 143), si estraggono dalla terra le ricchezze,
stimolo dei mali; e già il ferro funesto[11] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla
luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con
mano sanguinaria scuote ordigni che scoppiano.
E' l' età[12] non più
redimibile, quella del male
integrale, quando omne nefas , ogni empietà, irrompe nel genere umano.
Ho tradotto prefigurando le armi da fuoco che
Don Chisciotte non mancherà di esecrare come falso progresso: “Felici e
benedetti i secoli che non conobbero la furia di questi indemoniati strumenti
dell’artiglieria, il cui inventore dev’essere senza dubbio nell’inferno, a
goder il premio della sua diabolica invenzione, mercé la quale il braccio d’un
infame codardo può cagionar morte d’un valoroso cavaliere, che una palla
fuorviata, arrivatagli, non si sa come né di dove, colpisce in pieno ardore del
coraggio onde sono accesi e animati i petti eroici, mentre forse colui che l’ha
sparata fugge sgomentato dal lampo di fuoco prodotto, nello sparo, da quella
maledetta macchina”[13].
Si può pensare al
film di Ermanno Olmi Il mestiere delle
armi.
Si può citare di
nuovo Leopardi: “L’invenzione e l’uso delle armi da fuoco, ha combinato
perfettamente colla tendenza presa dal mondo in ordine a qualunque cosa, e
derivata naturalmente dalla preponderanza della ragione e dell’arte, colla
tendenza, dico, di uguagliare tutto. Così le armi da fuoco, hanno uguagliato il
forte al debole, il grande al piccolo, il valoroso al vile, l’esercitato
all’inesperto, i modi di combattere delle varie nazioni: e la guerra ancor essa
ha preso un equilibrio, un’uguaglianza che sembrava contraria direttamente alla
sua natura. E l’artifizio, sottraendo alla virtù e agguagliandola, e anche
superandola e rendendola inutile, ha pareggiato gli individui, tolta la
varietà…infine ha contribuito sommamente anche per questa parte a mortificare il mondo e la vita” (Zibaldone, 659 e 660).
“Per l’invenzione
della polvere l’energia che prima avevano gli uomini si trasportò alle
macchine, e si trasformarono in macchine gli uomini, cosicché ella ha cangiato,
essenzialmente il modo di guerreggiare” (978).
Le automobili, poi,
queste macchine per paralitici, fanno la guerra agli uomini e li trasformano
addirittura in belve sanguinarie che uccidono altri uomini "for their sport" [14].
Tibullo [15] attribuisce la colpa della guerra al vizio
dell'oro: "Quis fuit horrendos primus qui protulit enses?[16]/Quam ferus et vere ferreus ille fuit!// Tum
caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via
est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod
dedit ille feras?//Divitis
hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes
" (I, 10, 1 - 8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh
quanto feroce e davvero ferreo[17] fu quello! Allora la strage nacque per il
genere umano, allora la guerra, allora più breve si è aperta la via della morte
tremenda. Oppure quel disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro
danno quello che egli ci diede contro le belve feroci?
Questa è colpa del ricco oro, e
non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande. Era
già l'età del business .
continua
[1] Antonimo di legesque novas del v. 319.
[2] Ossia kovsmo", antonimo di cavo".
[3] Con regressione nel caos.
[4] In sette libri completati nel 64
d. C.
[5] Da Iolco, patria di Giasone.
[6]I Malavoglia , p. 98.
[7] Il quale nel Timone d'Atene chiama l'oro "comune
bagascia del genere umano"; l'universale mezzana che "profuma e
imbalsama come un dì di Aprile quello che un ospedale di ulcerosi respingerebbe
con nausea" (IV, 3)
[8] Manoscritti economico - filosofici del 1844, p. 154.
[9] Una sapienza autentica questa,
la sofiva che interpreta gli oracoli
correttamente e obbedisce agli dèi..
[10] Poco prima Catullo ha ricordato
la storia di Serse che nel 483 scavò un canale per evitare la circumnavigazione
del monte Atos, una delle tre penisole della Calcidica.
[11] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore
di ferro:"sidarovfrwn…fovno"
" (vv. 672 - 673).
[12] “L’età ferrea non siamo noi,
data che questa umanità sarà poi cancellata dal diluvio (cfr. v. 188: diversamente
Esiodo, Op. 175). L’effetto di
romanizzazione è accompagnato dall’eco di un passo del carme 64 di Catullo (397
sgg.) sulla decadenza che segue all’età eroica e da echi più generici della
tematica delle guerre civili e delle proscrizioni a Roma. I tempi narrativi
accompagnano questa illusione di “presentizzazione” del mito, dato che a
partire dal v. 140 una sequenza di perfetti e piuccheperfetti cede il passo a
un blocco di verbi al presente; cfr. Landolfi 1996, pp. 84 e 88 sg. Nonostante
tutti questi indizi concomitanti, il poeta non dice, come Esiodo, di vivere
nell’età ferrea, mentre più tardi ammetterà di essere parte della razza
“pietrosa”, iniziata dopo il diluvio (cfr. v. 414 sg.)”, Alessandro Barchiesi
(a cura di) Ovidio Metamorfosi, volume
I, p. 172.
[13] M. Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, p. 468 vol.
I.
[14] Cfr.
Shakespeare, King Lear, IV, 1.
[15] Nato a Gabii o a Pedum
, nel Lazio rurale fra il 55 e il 50
a . C., morto tra il 19 e il 18 a . C. Sotto il suo nome ci
è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie. Sono sicuramente e
autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne, Delia
e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un' antologia
di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus atque
elegans maxime…auctor (Institutio oratoria , X, 93), l'autore più
elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i
Greci.
[16] S. Benni utilizza questo verso
cambiando una parola per farne la didascalia di un quadro: “enorme e rotondo,
con un’aquila che teneva fra gli artigli un piccolo animale e una scritta…QUIS FUIT OPTIMUS PRIMUS QUI PROTULIT ENSES?”
(Margherita dolcevita, p. 125). Il
quadro si trova in una casa di razzisti guerrafondai.
[17] Cfr. Erodoto:" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou
sivdhro" ajneuvrhtai" (I, 68, 4),
il ferro è stato inventato per la rovina dell'uomo
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