Dario I |
PER VISUALIZZARE IL GRECO CLICCA QUI E SCARICA IL FONT HELLENIKA
La
pazzia di Dario e altre pazzie.
Leggiamo a questo proposito alcuni versi dei Persiani
di Eschilo con i quali lo spettro[1] di
Dario biasima l'audacia eccessiva del figlio, il grande re Serse "il quale presunse di trattenere come schiavo
con/ vincoli il sacro Ellesponto che scorre, il Bosforo, corrente di un dio,/e
mutava forma al passaggio, e avvintolo con ceppi/martellati, procurò una grande
via al grande esercito./Essendo mortale (qnhto;~ w[n), presumeva, senza saggezza, di averla vinta/su Poseidone e tutti gli
dèi (qew`n
te pavntwn…kai; Poseidw`no~ krathvsein): in questo caso, come poteva/non prendere
mio figlio una malattia della mente (novso" frenw'n) ? "(vv. 745 - 750).
Malattia della mente anche nell’Aiace di Sofocle è presumere di vincere
senza l’aiuto degli dèi, o addirittura contro gli dèi: il protagonista della
tragedia nel primo stasimo è definito dal coro dei marinai di Salamina “oJ nosw`n” (v. 635). Il Telamonio nel partire da
Salamina si era vantato presuntuosamente e stoltamente di potersi procurare la
gloria “divca
- keivnwn” (Aiace, 768 - 769), senza quelli, cioè senza gli dèi.
La pazzia è di casa
nella tragedia: “I tragici furono profondamente attirati dalla dimensione della
follia: nei drammi del V secolo le sofferenze di eroi deliranti costituivano un
tema ricorrente: E’ il caso di Oreste nelle Coefore[2], di Cassandra nell’Agamennone, di Io nel
Prometeo, di Eracle nelle Trachinie e
nell’Eracle furente, di Aiace
nell’omonima tragedia di Sofocle”[3] e di Penteo, di Agave e delle donne di Tebe
nelle Baccanti.
Il discorso sulla necessità dell’aiuto degli
dèi i quali invece si oppongono alla confusione della mescolanza, viene fatto,
nelle Storie di Erodoto, da Temistocle il quale, dopo la vittoria sui
Persiani, afferma:"Poiché questa impresa non l'abbiamo compiuta noi, ma
gli dèi e gli eroi i quali non permisero che un uomo solo, per giunta empio e
temerario, regnasse sull'Asia e sull'Europa, uno che teneva in egual conto le
cose sacre e profane, incendiando e abbattendo i simulacri degli dèi, uno che
frustò e mise in catene anche il mare (“o}~
kai; th;n
qavlassan ajpemastivgwse pevda~ te kath`ke”(VIII, 109, 3).
"Nel voler superare la distanza degli
opposti consiste la u{bri" di Serse,
quando pretende di aggiogare le due cavalle[4] o le due rive dell'Ellesponto e cioè terra e
mare".[5]
Anche
Francis Bacon nella Sapienza degli antichi [6] pur
attribuendo a Prometeo un altro misfatto, quello di avere attentato alla
castità di Minerva, interpreta il delitto del Titano come un tentativo di
confondere l'umano con il divino:"Il suo crimine sembra non essere altro
che quello in cui non di rado ricadono gli uomini quando si gonfiano per la
vastità delle loro conoscenze e della loro padronanza delle arti: quello cioè
di cercare di ricondurre la stessa sapienza divina sotto il dominio dei sensi e
della ragione; a questo tentativo seguono in modo inevitabile la lacerazione
della mente e un tormento continuo, che non dà pace. Gli uomini devono quindi
distinguere, con sobrietà e modestia, le cose divine da quelle umane, gli
oracoli dai sensi della fede; a meno che non vogliano ritrovarsi ad avere da un
lato una religione eretica e dall'altro una filosofia basata sulle
favole".
La confusione è pure il peccato di Edipo che
mescola le generazioni.
Vediamo
altri doni di Prometeo agli uomini:"kai; mh;n ajriqmo;n , e[xocon
sofismavtwn, - ejxhu'ron aujtoi'" , grammavtwn te sunqevsei", - mnhvmhn
aJpavntwn, mousomhvtor j ejrgavthn. - ka[zeuxa prw'to" ejn zugoi'si
knwvdala…uJf a[rma t j h[gagon filhnivou" - i{ppou"
, a[galma th'" - uJperplouvtou clidh'". - qalassovplagkta d j
ou[ti" a[llo" ajntj ejmou' - linovpter j hu|re nautivlwn ojchvmata" (vv. 459
- 462 e 465 - 468), ed io inventai per loro il numero, eccellente fra le
trovate ingegnose, e le combinazioni delle lettere, memoria di tutto, madre
delle muse operosa. E ho aggiogato per primo gli animali selvatici… e ho
portato sotto il cocchio i cavalli divenuti amanti delle briglie, immagine del
lusso straricco. Nessun altro all'infuori di me ha inventato i veicoli dalle
ali di lino vaganti per i mari dei marinai.
L'invenzione
della navigazione da parte di Prometeo prefigura anche il volo.
Inoltre
Prometeo ha trovato i farmaci (vv. 480 sgg.), le tecniche dell'arte
divinatoria, l'interpretazione dei sogni, del volo degli uccelli, delle viscere
nella vittime sacrificali. Infine ha scoperto i metalli:"calkovn,
sivdhron, a[rguron crusovn te, tiv" - fhvseien a]n pavroiqen ejxeurei'n
ejmou' ;" (vv. 502 - 503), il bronzo, il ferro,
l'argento e l'oro, chi potrebbe dire di averli scoperti prima di me?
La
scoperta delle tecniche viene maledetta più volte: nella Tebaide di Stazio, quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi
a vicenda, la Pietas
lamenta di essere stata creata invano dalla Natura princeps con il compito di
opporsi agli stati d’animo crudeli di uomini e dèi; quindi esecra la follia dei
mortali e le orribili tecniche di Prometeo: “o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Prometeo dunque è un sofisthv" , uno
scopritore di sofivsmata (v. 459) ma Kratos, mentre sprona Efesto a inchiodarlo, gli ricorda che il
Titano dal suo tormento deve imparare di essere un sapiente ottuso al cospetto
di Zeus:" i{na - mavqh/ sofisth;" w]n Dio;"
nwqevstero"
" (vv. 61 - 62).
Insomma la sofivvva di Prometeo è debole come quella di Edipo il
cui peccato vero è la presunzione intellettuale che il re di Tebe manifesta con
queste parole: "arrivato
io,/ Edipo, che non sapevo niente, la feci cessare,/ azzeccandoci con
l'intelligenza (gnwvmh/
kurhvsa"
) e senza avere imparato nulla dagli uccelli" (vv. 396 - 398). La sapienza
fasulla di Edipo viene smontata dagli eventi nel corso del dramma.
“Gradualmente i
personaggi prendono a parlare con una tale esibizione di sagacia, di lucidità,
di acutezza che a leggere una tragedia di Sofocle c’è veramente di che restare
confusi. Per noi è come se tutte quelle figure andassero in rovina non in base
al tragico, ma per una sorta di superfetazione dell’elemento logico”[7].
Nietzsche sarebbe,
secondo H. Hesse, il tipico intellettuale tedesco.
"L'intellettuale tedesco è sempre stato
un frondista contro la parola e contro la ragione e ha fatto l'occhiolino alla
musica"[8].
“La
punta della sapienza si rivolge contro il sapiente, la sapienza è un delitto
contro la natura”[9].
La
sapienza fasulla di Edipo viene smontata dagli eventi nel corso del dramma.
Questa presunzione di Edipo viene
anticipata da Ettore quando dice:"uno solo è l'auspicio ottimo: combattere
difendendo la patria" ( ei|~ oijwno;~ a[risto~ ajmuvnesqai peri; pavtrh~, Iliade , XII, 243).
Con
queste parole Ettore risponde, guardandolo bieco (uJpovdra ijdwvn, v. 230), a Polidamante il consigliere
che gli ha indicato un segno: un’aquila che aveva afferrato un serpente, ma
poi, morsa da quella preda, l’aveva lasciato cadere strillando. Ebbene, Ettore
risponde: tu mi consigli di dare retta agli uccelli dalle ali spiegate, ma di
loro io non mi curo in alcun modo, né mi do pensiero (tw'n ou[ ti metaprevpom
j oujd j ajlegivzw, 238).
Il
sospetto nei riguardi dell’intelligenza umana si trova anche in Dante che, come
giunge nell’ottava bolgia dell’VIII cerchio, quella dei consiglieri
fraudolenti, esclama:
“Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando
drizzo la mente a ciò ch’io vidi,
e
più lo ‘ngegno affreno ch’io non soglio,
perché
non corra che virtù nol guidi;
sì
che, se stella bona o miglior cosa
Una conseguenza
catastrofica delle tevcnai nate dalla
scoperta di questo agente terribile viene prevista nell'ultima pagina del
maggior romanzo di Svevo:"Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta
dagli ordigni torneremo in salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un
uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo,
inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi
attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro
uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un pò più ammalato[11], ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al
centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere massimo.
Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma
di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie"[12].
Il male della navigazione e della cultura pragmatica
in genere.
La
considerazione del mare amaro si trova già in Omero: nell'Odissea un figlio di Alcinoo, Laodamante, nota
che le fatiche marine hanno messo a dura prova la tempra di Ulisse:" ouj ga;r ejgwv gev tiv fhmi
kakwvteron a[llo qalavssh" - a[ndra ge sugceu'ai, eij kai; mavla
kartero;" ei[h",
(VIII, vv. 138 - 139), io infatti dico che non c'è altro peggiore del mare per
demolire un uomo, anche se è molto forte.
Eppure Odisseo è il re navigatore, il re di
tempeste[13].
Livio Andronico (III sec. a. C.) traduce i due esametri
omerici nella sua Odusia con tre saturni:"Namque nullum peius
macerat humanum/quamde mare saevum: vires cui sunt magnae/ (…) topper
confringent importunae undae" (fr. 20 Morel), infatti nulla di peggio
tormenta l'uomo che il mare crudele: anche quello di grandi forze presto
spezzeranno le onde contrarie.
Esiodo
nelle Opere consiglia di limitare la navigazione a due periodi brevi (in
agosto e in aprile) poiché :"deino;n[14]
d j ejsti; qanei'n meta; kuvmasin" (v. 687), è terribile morire in
mezzo alle onde.
Il mare è indicato anche da Eraclito come immensa quantità di acqua
ostile all'uomo:"qavlassa
uJvdwr kaqarwvtaton kai; miarwvtaton, ijcquvsi me;n povtimon kai; swthvrion,
ajnqrwvpoi" de; a[poton kai; ojlevqrion" (fr.
34 Diano), il mare è l'acqua più pura e la più contaminata, per i pesci è
potabile e li tiene in vita, per gli uomini è imbevibile e letale.
continua
[1] Nelle Eumenidi compare lo
spettro di Clitennestra, nell’Ecuba
di Euripide lo spettro di Polidoro recita il prologo.
[2] E nell’Oreste ndr.
[3] Guidorizzi, Euripide Baccanti,
p. 35.
[4] Veramente sono due donne: una in
vesti doriche, l'altra persiane (n.d. r.).
[5] M. Cacciari, Geofilosofia
dell'Europa, p. 27.
[6] Del 1609.
[7] Nietzsche, Socrate e la
tragedia, p. 61
[8] H. Hesse, Il lupo della
steppa, p. 181.
[9] La nascita della tragedia, p. 66.
[10] Inferno, XXVI, 19 - 24.
[12] La coscienza di Zeno.
[13] Così lo chiama D’Annunzio:
“odimi, o Re di tempeste!” in Laus vitae del
1903. Così invece lo ridicolizza Gozzano: “Il Re di Tempeste era un tale / che
diede col vivere scempio / un ben deplorevole esempio / d’infedeltà maritale, /
che visse a bordo d’un yacht / toccando
tra liete brigate / le spiagge più frequentate / dalle famose cocottes” (L’ipotesi, del 1908, vv. 111 - 118).
Nessun commento:
Posta un commento