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giovedì 28 aprile 2016

Essere cittadino. Merano, 23 aprile 2016. Parte I

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Giovanni Ghiselli, membro del direttivo del Centrum Latinitatis Europae
Conferenza tenuta a Merano il 23 aprile 2016 nell’ambito del convegno Polis Europa


Sommario

Essere cittadino (polivth~) significa avere una cultura politica, vuole dire essere educato alla vita democratica della polis.
 La tirannide è associata alla prepotenza e all’ignoranza del bene comune.
Il dibattito costituzionale nelle Storie di Erodoto.
Il tiranno non deve rendere conto ai suoi sudditi dei propri atti spesso criminosi.
Il tuvranno~ nella storiografia greca, in quella latina, nella tragedia greca e in Platone.
Critiche alla dhmokrativa. Anche il popolo può gestire il potere con prepotenza, ossia non sottostando alle leggi (Senofonte, Polibio, Platone, Aristotele).
I discorsi di Pericle nelle Storie di Tucidide. La politeiva ateniese e la nostra costituzione: analogie e differenze.

Paideia si può identificare, in un certo senso, con formazione politica: “Uso questo termine non nel suo senso contemporaneo di istruzione scolastica formale ma nel senso antiquato, nell’antico senso greco: per paideia i greci intendevano l’educazione, la “formazione” (la Bildung tedesca),
lo sviluppo delle virtù morali, il senso della responsabilità civica, della cosciente identificazione con la comunità, i suoi valori e le sue tradizioni”[1].
Già l’Odisseo dell’Iliade possiede l’arte politica[2] che “consiste essenzialmente nel maneggiare il linguaggio”[3].

Povliς e a[stu
Odissea VI, vv. 178-179: Odisseo parla a Nausicaa"Fammi vedere la rocca (a[stu dev moi deĩxon), e dammi uno straccio da buttarmi addosso/se mai venendo qui avevi un telo dei panni".
-a[stu: secondo Hainsworth (op. cit., p. 205) questo vocabolo in Omero è sinonimo di povli"; secondo Valgimigli (op. cit., p. 41) "a[stu è la città propriamente detta, la città nel suo centro, con reggia templi fortificazioni; povli" è il complesso dell'abitato, fino nei sobborghi, gai'a, e più specificamente dh'mo" (cfr. 3) è il territorio". In effetti con la radice ajstu- si forma ajstei'o", "cittadino" che, contrapposto ad a[groiko", "rozzo", viene a significare anche "urbano, elegante, cortese".

Benveniste in Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee afferma che povli~ significa “cittadella”. Ricorda che Tucidide afferma che l’attuale acropoli era una volta la città insieme con la parte sottostante rivolta a sud. Kai; hJ ajkrovpoli~ mevcri tou`de e[ti kalei`tai uJp j j Aqhnaivwn poli~ (Storie, II, 15, 6) e l’acropoli fino a ora è chiamata polis dagli Ateniesi.
Dunque polis è il nucleo, e la parte istituzionale, il luogo del potere dello Stato.

Ad a[stu invece corrisponde il latino urbs e urbanus ad ajstei`o~, rusticus corrisponde ad a[groiko~.

“In greco povli~ denuncia ancora in epoca storica il senso di ‘fortezza, cittadella’, come nota Tucidide: “L’akrópolis (‘cittadella’) è ancora chiamata fino ad oggi dagli Ateniesi pólis” (II 15)[4]. Questo era il senso preistorico della parola, secondo i suoi corrispondenti ved. pūr ‘cittadella’ e lit. pilìs ‘fortezza’. Si tratta quindi di un antico termine indoeuropeo, che ha assunto in greco-e solo in greco-il senso di ‘città’ poi di ‘Stato’. Le cose sono diverse in latino. Il nome della ‘città’, urbs, è di origine sconosciuta; si è congetturato-senza prove comunque- che derivasse dall’etrusco. Il fatto è in ogni caso che urbs, designando la ‘città’ non è correlativo del gr. pólis, ma di ástu, di cui ricalca le sfumature di senso nei suoi derivati: urbanus ‘della città’ (opposto a rusticus ‘della campagna’, da cui ‘fine, raffinato’ sul modello del gr. asteîos. Per corrispondere al gr. pólis, il latino ha il termine secondario ciuitas, che indica alla lettera l’insieme dei ciues ‘concittadini’. Ne segue che il rapporto che il latino stabilisce tra ciuis e ciuitas è l’inverso di quello che ci mostra il greco tra pólis ‘città’ e polítēs ‘cittadini’ “[5].

Nel Protagora di Platone (321D), il personaggio del sofista racconta che a Prometeo non era consentito ancora (oujkevti ejnecwvrei) di entrare nell’acropoli abitazione di Zeus (ei~ me;n th;n ajkrovpolin th;n tou` Dio;~ oi[khsin), mentre potè entrare a rubare la tecnica del fuoco nell’officina comune di Efesto e Atena.

A Povliς si associa politeuvw “vivo da cittadino”, polivthς, “cittadino”, politeiva, “cittadinanza e costituzione”, politikhv (tevcnh) arte politica.
In latino a polis corrisponde civitas, l’insieme dei cives. Civitas è la comunità dei cittadini organizzata politicamente.

Nel De repubblica di Cicerone, Scipione Emiliano dice a Lelio che terrà un discorso de optimo civitatis statu, sulla migliore costituzione di uno Stato che è poi una constitutio iuncta moderateque permixta, complessa e moderatamente mista (I, 69 e 70)
Civitas dunque è la comunità dei cittadini organizzata politicamente.
Marsilio Ficino traduce i dialoghi di Platone dal 1464. Rende il politikov~ del Politico con civilis vir.
Nel De civitate Dei di Agostino, la civitas è una moltitudine di uomini collegata da vincoli sociali e dall’amore: amor sui nella città terrena, amor Dei in quella celeste-
Il vescovo Isidoro di Siviglia nelle Etymologiae (VII sec.), un repertorio enciclopedico cui si attinse per secoli anche per il lessico politico, fa derivare la parola civis dal fatto che i cittadini convergevano nella civitas per fondare la vita comune. La civitas nasce dal rapporto tra i cives.

Dunque povli~ è la città come istituzione e come comunanza di cittadini.
In Tucidide VII, 77, lo stratego Nicia dopo avere perso la flotta a Siracusa dice all’esercito, per rincuorarlo: “a[ndre~ ga;r povli~ kai; ouj teivch oujde; nhve~ ajndrw`n kenaiv”, gli uomini sono la polis, non le mura né le navi vuote di uomini.

Non molto diverse sono le parole che Cassio Dione (II-III sec. d. C.) fa dire ad Augusto preoccupato per il calo demografico della classe dirigente.
L’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi degli ammogliati. Voi, disse in sostanza, siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta: “a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv" (LVI, 4, 1), gli uomini infatti in qualche misura costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini.

Nel secondo stasimo dell’ Edipo re di Sofocle, il Coro prega gli dèi di conservare “la nobile gara benefica per la città” (to; kalw`~ d j e[con- povlei pavlaisma, 866-867). Credo che alluda alla competizione politica.
All’inizio del dramma la povli~ è flagellata dalla peste e dalla sterilità, e ondeggia come una nave sul mare in tempesta (povli~ saleuvei, 22), e il mare è cruento: la città non è più capace di sollevare la testa dai gorghi del vortice insanguinato.(vv. 23-24).
Al v. 50 il sacerdote chiede al re: “ajnovrqwson povlin”, raddrizza la città.
Tebe infatti si consuma (povli~ ga;r fqivnousa) nella sterilità della terra e delle femmine.

Polivth~ è dunque“cittadino” politeuvw “vivo da cittadino” e “governo” , politeiva è “costituzione”, “governo”, “cittadinanza”.
Politikh; tevcnh è “arte politica”, indispensabile se si vuole vivere da uomini.

 Nel dialogo Protagora di Platone, il personaggio del sofista racconta che gli uomini ricevettero da Prometeo i mezzi per vivere ma non avendo l’arte politica commettevano ingiustizie reciproche (oujk e[conte~ th;n politikh;n tevcnhn hjdivkoun ajllhvlou~, 322B). Senza l’arte politica infatti non c’era rispetto né giustizia e gli uomini si uccidevano a vicenda. Allora Zeus mandò Ermes a imporre aijdw` te kai; divkhn i{n j ei\en povlewn kovsmoi (322D) “rispetto e giustizia, perché costituissero gli ordini delle città”.
L’arte politica dunque è presupposto e fondamento di rispetto e giustizia.


continua




[1] M.Finley, La democrazia degli antichi e dei moderni, p. 30.
[2] Nel secondo canto del poema più antico, Odisseo, simile a Zeus per intelligenza (Διὶ μῆτιν ἀτάλαντον, v. 169) riceve da Atena il compito di trattenere la fuga dell’esercito acheo da Troia con blande parole (ἀγανοῖς ἐπέεσσιν, v. 180). La dea per rivolgersi all’eroe utilizza un epiteto formulare (πολυμήχανος, v. 173, ricco di risorse) il quale lo caratterizza come uomo intelligente e capace.
[3] J. P. Vernant, Le origini del pensiero greco, p. 48.
[4] Kalei`tai  de; dia; th;n palaia;n tauvth/ katoivkhsin kai; hj ajkrovpoli~ tou`de e[ti uJp j  jAqhnaivwn povl~ (II, 15, 6), l’acropoli è chiamata ancora dagli Ateniesi “città” per l’antico abitato in questa zona. Ndr.
[5] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, p. 281.

1 commento:

  1. Lo leggerò in classe,anche se i miei alunni sono ancora piccoli è un messaggio veramente importante. Giovanna Tocco

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