Cesare Pavese |
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Restare bambini, dal punto di vista del pensiero, non è cosa
buona.
Leopardi trova che nella sua età prevalgano queste “creature”, giovani
e anziane, infantilmente insensate[2]: "Amico mio, questo secolo è un secolo
di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere
per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi
buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno
fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza altre fatiche
preparatorie"[3].
Nel Satyricon, il retore
Agamennone dice: "Nunc pueri in
scholis ludunt, iuvenes ridentur in foro, et quod utroque turpius est, quod
quisque puer perperam didicit, in senectute confiteri non vult" (4,
4), ora i ragazzi nelle scuole giocano, da giovani adulti vengono derisi nel
foro, e quello che è peggio dell'una e dell'altra cosa, è il fatto che quanto
ciasccuno ha imparato male, nella vecchiaia non vuole ammetterlo.
Si dice che oggi la scuola è decaduta rispetto a quella selettiva del
buon tempo antico. In parte è vero. Ma, come sempre, c'è un rovescio della
medaglia, c'è una possibilità di sostenere il contrario, secondo una logica
aperta al contrasto che divenne metodica
con i Dissoì lògoi [4] i
“Discorsi in contrasto”, presenti nelle Antilogie
perdute di Protagora[5] il quale "fu il primo a sostenere che
intorno ad ogni argomento ci sono due asserzioni contrapposte tra loro"
come ricorda Diogene Laerzio[6].
La logica dei Greci è aperta al contrasto, come si vede in vari testi (p.
e. in Eschilo (Coefore, Eumenidi)[7].
Con alcune ragioni si può
sostenere che la scuola è peggiorata, ma con altre che è diventata migliore.
Il bello della scuola dei miei tempi era che lo studente arrivato alla
laurea trovava il lavoro, subito, o quasi subito, ed era un impiego a tempo
indeterminato.
Il brutto di quella scuola era che imponeva uno studio mnemonico,
generalmente acritico e dogmatico di alcuni aspetti delle materie, talora
nemmeno i più rilevanti.
Il greco e il latino, erano studiati prevalentemente su grammatiche e
sintassi, in minima sugli autori dei quali si imparavano a memoria le vite e le
opere attraverso dei manuali privi anche di brani antologizzati. La storia
sembrava fatta solo dalle battaglie dei grandi condottieri. Le lingue europèe
si studiavano poco e male. Ora i giovani hanno maggiori opportunità e vie per
informarsi.
L'attuale formazione dell'Europa
che porta con sé non pochi sconvolgimenti da una parte, dall'altra può indurci
a prendere coscienza di appartenere a
una civiltà nobile e antica, di sentire "il benessere dell'albero per le
sue radici, la felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di
crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo
scusati, anzi giustificati nella propria esistenza. E' questo ciò che oggi si
designa di preferenza come il vero e proprio senso storico"[8].
Togliere il latino e il greco dalla scuola significa, a parer mio,
disanimarla.
Vero è che in troppe scuole, da parte di tanti professori, le lingue
classiche sono state insegnate male, e chi lo faceva bene, ossia mostrando
l'albero ramificato della cultura europea cresciuto sulle radici e il tronco
del greco e del latino, è stato magari molto amato e seguito dai ragazzi, ma
spesso poco capito e benvoluto, talora addirittura ostacolato da colleghi e da
presidi. Ne scrivo per esperienza.
Facevo del comparativismo
quando non era ancora di moda: il preside Magnani del liceo Galvani chiamò in
tre anni due ispezioni contro di me. Per fortuna gli ispettori ministeriali,
Adelelmo Campana e Antonio Portolano, erano più aggiornati e preparati di lui e
sbugiardarono quel burocrate ottuso, messo su da colleghi ottusi.
Questo corsivo si può togliere se non dà lumi.
Il difetto dell'insegnamento tradizionale, quello impartito a noi che
frequentavamo i licei classici nei primi anni Sessanta, era che riduceva il
classico a una serie di tecnicismi. Non dico che la morfologia e la sintassi
non siano necessarie, ma ho sempre sostenuto che devono essere, i primi
gradini, non i punti d'arrivo. Comunque
sempre corredati dal lessico, cioè da molti esempi.
"Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle cause dello
scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si
esprimeva:"Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello
scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in
qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra sui fiori
immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal
liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni linea,
si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno
sbadiglio"[9].
Contro questo studio sbagliato, "morboso" dei
classici si era già schierato Seneca: "Graecorum
iste morbus fuit quaerere quam numerum Ulixes remigum habuisset, prius scripta
esset Ilias an Odyssia …(De brevitate
vitae, 13).
E ancora: "Itane
est? annales evolvam omnium gentium et quis primus carmina scripserit quaeram?
quantum temporis inter Orphea intersit et Homerum, cum fastos non habeam,
computabo? et Aristarchi notas quibus aliena carmina conpunxit recognoscam, et
aetetem in syllabis conteram? (…) adeo
mihi praeceptum illud salutare excidit: “tempori parce”? Haec sciam? Et quid
ignorem?” " (Ep., 88, 39)
Davvero? dovrò srotolare gli annali di
tutti i popoli e indagare su chi abbia scritto versi per primo? calcolerò
quanto tempo ci sia tra Orfeo e Omero mentre non ho i documenti? e dovrò
esaminare i segni diacritici di Aristarco con cui egli infilzò i versi
interpolati e consumerò la vita a contare le sillabe? (...) davvero mi è
sfuggito quel sano precetto: risparmia il tempo? Dovrei sapere queste
pedanterie? E che cosa ignorare?
La “pedanteria” dei filologi alessandrini, è stata colpita
da Luciano “con le armi del ridicolo” appunto. Nella Storia vera l’autore immagina di avere incontrato Omero che
gli aveva detto di essere un Babilonese,
di chiamarsi Tigrane e che i versi atetizzati dai filologi erano tutti suoi “kategivgnwskon ou\n tw`n ajmfi; to;n Zhnovdoton
kai; j Arivstarcon grammatikw`n pollh;n th;n yucrologivan” (20), allora
io accusai la grande pedanteria dei filologi Zenodoto e Atristarco.
All’Università diedi due esami di greco, leggendo non pochi
versi invero (tutta l’Odissea e sette
tragedie di Euripide). Imparai un poco di lingua ma nessun insegnante mi diede
una visione d’insieme, non dico della civiltà greca, ma nemmeno della letteratura
né della storia. Neanche di un singolo autore ebbi la sinossi.
I testi degli ottimi
autori greci e latini inducono a pensare e non possono essere ridotti a
raccolte di formule o di ricette:“ ‘Qua leggiamo Omero’ riprese, in tono
beffardo, ‘come se l’Odissea fosse un
libro di cucina. Due versi all’ora, che vengono sminuzzati e rimasticati parola
per parola, fino alla nausea. Ma alla fine di ogni lezione ci dicono: vedete
come il poeta ha saputo esprimere questo? Avete potuto intuire il mistero della
creazione poetica! Così ci inzuccherano prefissi e aoristi, tanto per farceli
ingoiare senza restare strozzati. In questo modo mi rubano tutto Omero’ ”[10].
Ora
sentiamo lo scholasticus Encolpio: “Nondum iuvenes declamationibus continebantur
cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui. Nondum
umbraticus doctor ingenia deleverat, cum Pindarus novemque lyrici Homericis
versibus canere timuerunt” (Satyricon
, 2-3), non ancora i giovani erano
rinchiusi nelle declamazioni, quando Sofocle o Euripide trovarono le parole con
cui dovevano parlare. Un maestro chiuso nell’ombra non aveva ancora distrutto
gli ingegni, quando Pindaro e i nove lirici, si peritarono di cantare in versi
omerici.
Sentiamo
anche Nietzsche: ““Guardatevi anche dai dotti! Essi vi odiano: perché
sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti, davanti a loro ogni uccello
giace spennato”[11].
“Di fronte al genio, cioè ad un essere che crea o che dà alla luce…il dotto, l’uomo medio della scienza, ha sempre
qualcosa della vecchia zitella: in quanto, come quest’ultima, non ha la minima
idea di queste due funzioni umane, che sono le più preziose…il suo occhio
assomiglia allora ad un lago liscio e odioso, la cui onda non si increspa a
nessun entusiasmo, a nessuna simpatia. Ma le cose peggiori di cui un dotto è
capace, gli provengono dall’istinto della mediocrità, propria della sua razza;
da quel gesuitismo della mediocrità che incosciamente lavora alla demolizione
dell’uomo eccezionale e tende a spezzare ogni arco teso o, meglio ancora, ad
allentarne la tensione.”[12].
Dotti sono considerati i filologi: una razza disprezzata da
Nietzsche: “L’antichità è stata scoperta in tutte le cose principali da
artisti, uomini politici e filosofi, non da filologi, e ciò fino al giorno
d’oggi”[13].
“I filologi non sono se non liceali invecchiati”[14].
A volte addirittura dei ginnasiali ammuffiti.
L’insegnante bravo è quello che non solo ha studiato molto
ma ha vissuto, gioito e sofferto e amato molto. A lui molto
sarà perdonato.
Sentiamo i ricordi di Fellini studente: "La scoperta,
la conoscenza del mondo pagano che si acquisisce a scuola, ad esempio, è di
tipo catastale, nomenclativo, favorisce con quel mondo un rapporto fatto di
diffidenza, di noia, di disinteresse, al massimo di una curiosità casermesca,
abietta, un po' razzistica, comunque di cosa che non ti riguarda"[15].
In un altro libro il regista riminese racconta di un insegnante impreparato che
si riempiva di ridicolo:" Il professore era comicissimo quando pretendeva
che dei mascalzoni di sedici anni fossero presi da entusiasmo perché lui
declamava con la sua vocina l'unico verso rimasto di un poeta:"Bevo
appoggiato sulla lancia"[16];
e io allora mi facevo promotore di ilarità sgangherate inventando tutta una
serie di frammenti che andavamo sfacciatamente a riproporgli"[17].
La chiave è questa:
far capire e sentire ai giovani che quel "mondo pagano" li riguarda.
Certamente l'attenzione degli studenti ha un prezzo molto alto, quello della
nostra preparazione, e il loro consenso non va cercato a tutti i costi. Josef
Knecht durante il suo apprendistato nel mondo spirituale della Castalia
"imparò che un po' di questa capacità di attirare e d'influenzare gli
altri è parte essenziale delle doti di un insegnante e di un educatore, e che
nasconde pericoli e impone certe responsabilità"[18].
continua
[2]Al capitolo 58 ricorderemo l'attardato bambino pargoleggiante dell’età
d’argento di Esiodo.
[3] Dialogo di
Tristano e di un amico (1832). E’
una delle Operette morali delle quali
l’autore scrive:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi
troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394) . Al capitolo 66 citerò altre parole di
Tristano all’amico.
[4] " Un testo che può definirsi la formulazione
"relativistica" del pensiero dei sofisti…Gli "agoni di
discorsi" tucididei echeggiano questa problematica, pur a mezzo secolo di
distanza dai Dissoì lògoi… uno
scritto sofistico redatto verso il 450 o al più tardi 440" (S. Mazzarino, Il
pensiero storico classico, 1 pp. 258 ss.).
[5] Nato nella ionica Abdera intorno al 485 a . C., all'incirca
coetaneo di Euripide dunque.
[6] Vite dei
filosofi IX, 51
[7] Coefore 461:" [Arh" [Arei
xumbalei', Divka/ Divka, Ares
si scontrerà con Ares, Diche con Diche. Nelle Eumenidi la visione patriarcale
delle Erinni si scontra con quella patriarcale di Apollo e Atena.
[8] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia
per la vita, in Considerazioni
inattuali II, cap. 3..
[9] A. Giordano Rampioni, op. cit., p. 49.
[11] Così parlò
Zarathustra, Dell’uomo superiore, 9
[12] Di là dal bene e dal male, Noi dotti.
[13] Frammenti postumi ottobre 1876 (4).
[14] Op. cit (6)
[15] F. Fellini, Fare
un film, p. 101.
[16] Si tratta di
una parte del pentametro del fr. 2D. di
Archiloco costituito da un distico elegiaco. Non è "l'unico verso
rimasto" del poeta vissuto nel VII
secolo a. C..
[17] F. Fellini, intervista
sul cinema, p. 136.
[18] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p.
155.
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