Alessandro |
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Arriano. Eracle
(sono tre) e Dioniso (due)
A Tiro venerano un
Eracle più antico di quello argivo figlio di Alcmena, fin da molte generazioni
prima di Cadmo (2, 16, 1). L’Eracle argivo invece è dell’età di Edipo figlio di
Laio, di Labdaco, di Polidoro, di Cadmo, di Agenore[1]. L’Eracle di Tiro è quello
venerato a Tartesso sulle colonne d’Eracle perché Tartesso è una colonia
fenicia (Arriano, 2, 16, 4).
Quanto
a Gerione custode delle vacche, era un re dell’Epiro come afferma Ecateo (2,
16, 6).
C’è pure un terzo Eracle egiziano (2, 16, 2).
Arriano menziona Erodoto il quale sostiene che gli Egiziani venerano Eracle tra
i dodici dèi (2, 16, 3). In II, 43 Erodoto considera Anfitrione e Alcmena
originari dell’Egitto, ed Eracle una divinità antica cui giustamente i Greci
dedicano culti diversi (II, 44). In effetti le funzioni di Eracle differiscono
in diverse letture del mito.
Allo
stesso modo gli Ateniesi venerano un altro Dioniso, figlio di Zeus e di Core, e
il canto Iacco dei misteri viene intonato a questo Dioniso, non a quello tebano
(Arriano, 2, 16, 3). Può essere che Euripide abbia voluto sconsacrare quello
tebano appunto.
Così
forse si spiega la differenza tra il Dioniso feroce delle Baccanti e quello di Omero, un dio impaurito (Iliade, VI, 135 Diwvnuso" de; fobhqeiv" ) e
infantile, che, minacciato da Licurgo, si getta in mare dove Tetide lo accolse
in seno spaventato e tremante per le grida dell’uomo. Poi c’è quello ridicolo
delle Rane di Aristofane. Aristofane nelle Rane rappresenta Dioniso che fugge terrorizzato da Empusa tra
le braccia del suo sacerdote (v. 297) e che viene apostrofato dal servo Xantia con:"
w\
deilovtate qew`n su; kajnqrwvpwn"(v. 486), oh tu, davvero il più
vigliacco degli dèi e degli uomini. Il dio se l'era voluta, cacandosi addosso
dalla paura (v. 479).
“Dioniso
viene rappresentato nelle Rane come
un vilissimo poltrone che il suo stesso schiavo minaccia di prendere a botte.
La città fondata dagli uccelli blocca la via alle avventure amorose degli dèi e
intercetta il fumo delle vittime offerte dagli uomini, così che alla fine
quelli, costretti dalla fame, devono capitolare. Da quando Pluto, dio della
ricchezza, che Zeus per invidia aveva fatto cieco, ha riacquistato la vista,
nessuno fa più sacrifici. Aristofane fa strazio dei sofisti, ma era anche lui
figlio del suo tempo e sapeva quel che poteva offrire al uo pubblico, e quando
con le sue caricature alla Offenbach[2] si
attaccò agli dèi, non s’accorse che egli dava all’antica pietà il colpo di
grazia”[3].
Il mito infatti può avere sottolineature diverse ed essere usato con
significati vari, come una parola del vocabolario.
Eratostene di Cirene[4] sostiene che tutto quanto collegava la loro
impresa al divino fu gonfiato all’eccesso dai Macedoni pro;~ cavrin th;n
jAlexavdrou, per compiacere Alessandro
(Anabasi, 5, 3, 1). Avendo trovato
una grotta nel Parapamiso, dissero che era proprio Promhqevw~ to; a[ntron
i{na ejdedeto (5, 3, 2), la
grotta di Prometeo, dove era stato legato con tanto di aquila e di Eracle che
la uccise. Dunque spostarono il Caucaso dal Ponto all’Indo. Eratostene non ci
crede.
Per me, conclude Arriano, restino pure
nell’incertezza i discorsi su questi fatti ( ejn mevsw/ keivsqwn oiJ uJpe;r touvtwn lovgoi, 5, 3, 4).
Curzio Rufo racconta
che l’esercito
di Alessandro tra grandi sofferenze valicò il Caucaso (Parapamiso - Hindu
Kush), una catena che taglia tutta l’Asia e si congiunge al Tauro. Nel Caucaso
c’è una rupe dalla circonferenza di 10 stadi e alta più di quattro in qua vinctum Promethea fuisse traditur
(7, 3, 22). Alle falde del monte venne fondata un’altra Alessandria.
Nel
film Alexander (2004) Tolomeo, che da
vecchio racconta, assimila Alessandro a Prometeo: entrambi hanno cambiato il
mondo.
Alessandro
stesso più avanti dice: liberare i popoli del mondo è un’impresa da Prometeo
che è sempre stato un amico degli uomini.
Sulla
confusione
Callistene disapprovò
la confusione tra uomini e dèi e le timaiv, gli onori,
devono restare ajpokekrimevnai, distinti (4, 11, 4).
Alessandro per
rappresaglia convocò l’assemblea dei soldati non Macedoni e li elogiò. Ricordò
di avere sposato la figlia di Oxiarte e quella di Dario ut hoc sacro foedere omne discrimen victi et victoris excluderem
(10, 3, 12).
Asiae et Europae unum atque idem
regnum est (13). In fondo ha realizzato il
progetto di Serse. Oramai Persiani e Macedoni non si distinguono più: “omnia eundem ducunt colorem” (10, 3,
14). Devono avere la stessa legge quelli che vivranno sotto lo stesso re. E’
però la confusione.
Ode I 3[5] di Orazio: "nil mortalibus ardui
est;/caelum ipsum petimus stultitiā".
Dario mandò ad Alessandro
un’altra lettera: gli offriva la figlia Statira e la Lidia in dote. La fortuna è
mutevole e attira l’invidia, scriveva. Temeva che Alessandro facesse avium modo (4, 5, 3) e salisse troppo in
alto.
I soldati si
lamentavano anche molto realisticamente e razionalmente invero: “in unius hominis iactationem tot milium
sanguinem impendi” (4, 10, 3) per la vanagloria di un solo uomo si spendeva
il sangue di tante migliaia. Uno che rinnegava il padre, la patria e caelum vanis cogitationibus petere,
mirava al cielo con vane fantasie.
A proposito di cieche speranze:
“La ragione è nemica d’ogni grandezza: la ragione è nemica della natura: la
natura è grande, la ragione è piccola. Voglio dire che un uomo tanto meno o tanto
più difficilmente sarà grande quanto più sarà dominato dalla ragione: che pochi
possono esser grandi (e nelle arti e nella poesia forse nessuno) se non son
dominati dalle illusioni… Esempio: l’impresa d’Alessandro: tutta illusione”
(Leopardi, Zibaldone, 14).
Fine
Bibliografia
su Prometeo
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it. Bompiani, Milano, 2000.
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G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo stile 'filosofico'
del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981.
M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, Adelphi, Milano, 1994.
B. Croce, Storia d'Europa nel secolo XIX,
Laterza, Bari, 1965.
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traduzione di L. Canali, Rizzoli, Milano, 1999.
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , trad. it. Bietti,
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Mursia, Milano, 1990.
H.Hesse Il giuoco
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J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, trad. it. Adelphi, Milano, 2002.
F. Nietzsche, La nascita della tragedia , trad. it.
Adelphi, Milano, 1977.
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P. P. Pasolini, Scritti corsari , Garzanti, Milano, 1975.
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione
, trad. it., Laterza, Bari, 1979.
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2003.
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trad. it. Rizzoli, 1994.
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B. Snell, Eschilo e l'azione drammatica , trad.
it. Lampugnani Nigri, Milano 1969.
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Coscienza di Zeno
, Dall'Oglio, Milano, 1938.
Tirso de Molina, L’ingannatore di Siviglia, trad. it.
Garzanti, Milano, 1991.
G. Verga, I
Malavoglia, Mondadori, Milano, 1969
[1] Cfr. Edipo re vv. 266 - 268:"cercando di
prendere l'autore manuale della strage/per il figlio di Labdaco, di Polidoro e
anche/ di Cadmo che li precedeva e dell'antico Agenore".
[2] Compositore di operette quali Orfeo all’inferno (1858), La bella Elena (1864) e altre. Ndr
[3] Nilsson, Religiosità greca, p.
105.
[4] Geografo e cartografo che nel
III sec. A. C. misurò la circonferenza della terra sbagliando solo di 300 km .
[5] In sistema asclepiadeo IV.
come sempre,bello e interessante. Giovanna Tocco
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