Prometeo legato alla colonna con Atlante che regge il cielo (VI sec. a.C.) |
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Il Prometeo antico,
al pari quello moderno, fornisce all'umanità dei mezzi che non le procurano la
felicità né incrementano la vita. Lo racconta Platone nel Protagora dove
c'è
il mito di Prometeo che per rimediare agli errori commessi dal fratello Epimeteo
rubò la sapienza tecnica di Efesto e di Atena con il fuoco "th;n e[ntecnon sofivan
su;n puriv"
(321d), poiché era impossibile che questa sapienza tecnica venisse acquisita o
impiegata da qualcuno senza il fuoco.
Così Prometeo rubò la tecnica dell'uso del
fuoco ("th;n
te e[mpuron tevcnhn", 321e) e la donò alla stirpe umana. Da questa
provennero agli uomini le risorse necessarie per vivere ("eujporiva me;n
ajnqrwvpw/ tou' bivou givgnetai"). Quindi l'uomo credette negli
dèi, innalzò loro altari e statue, articolò con tecnica voci e parole, e
inventò abitazioni, vesti, calzature, coperte e gli alimenti dalla terra
("kai;
oijkhvsei" kai; ejsqh'ta" kai; uJpodevsei" kai; strwmna;"
kai; ta;" ejk gh'" trofa;" hu{reto", 322a). Eppure gli uomini
continuavano a morire poiché non possedevano ancora l'arte politica ("politikh;n ga;r tevcnhn
ou[pw ei\con",
322b) senza la quale commettevano ingiustizie reciproche ("hjdivkoun
ajllhvlou""),
e non potevano coesistere né sussistere. Allora Zeus, temendo l'estinzione
della nostra specie, mandò Ermes dagli uomini a portare rispetto e giustizia
("J
Ermh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn",
322c) e gli ordinò di distribuirli a tutti poiché non esisterebbero città se
pochi uomini partecipassero di rispetto e giustizia. Quindi impose per legge
che quanti non fossero in grado di partecipare di rispetto e giustizia venisse
ucciso "wJ"
novson povlew"", (322d) come malattia della città.
Di
nuovo la malattia che abbiamo visto nel Serse di Eschilo e nell’Aiace di Sofocle. Ancora: nell' Antigone Tiresia accusa Creonte
di essere la sorgente inquinata del male della città:" kai; tau'ta th'"
sh'" ejk freno;" nosei' poli"" (v. 1015) e la città è ammalata di questo per la tua
disposizione mentale. Ogni tiranno ignora la giustizia ed è una malattia per la
sua città.
E'
l'antica concezione già presente in Esiodo secondo la quale non ci sarà scampo
dal male "kakou'
d j oujk e[ssetai ajlkhv" quando dalla terra spaziosa se ne
andranno sull'Olimpo Aijdw;" kai; Nevmesi"" (Opere , vv. 196 - 201).
Giustamente dunque
Zeus punisce Prometeo, tanto più che il suo potere è recente, l'ordine dato al
mondo è ancora poco sicuro e questo rischia di tornare nel Caos, il
guazzabuglio universale invocato dalla “effera…
Erictho” (Pharsalia, VI, 508) "et Chaos innumeros avidum confundere
mundos", avido di confondere innumerevoli mondi ( v. 696).
Una
forma di ottimismo pedagogico troviamo nel Protagora di
Platone.
Il
sofista, personaggio del dialogo, sostiene che alcuni aspetti naturali degli
uomini (piccoli, brutti o deboli, p. e.) non si possono correggere, e dunque
non suscitano irritazione e non provocano punizioni; mentre l’assenza delle
qualità che derivano all’uomo dall’esercizio, provoca ire, ammonimenti e
sanzioni. Ingiustizia, empietà e assenza di virtù politica vengono punite “o[ti ge oi{ ge
a[nqrwpoi hjgou'ntai paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn”
(324), poiché gli uomini pensano che la virtù sia acquisibile. Si punisce per
correggere e distogliere dal commettere ingiustizia: “kai; toiauvthn
diavnoian e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn”
(324b), e chi la pensa in questo modo crede che la virtù sia insegnabile. Se
gli Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli di ingiustizia, ciò
significa che anche loro sono tra quelli i quali considerano la virtù
acquisibile e insegnabile.
Torniamo
al prologo della tragedia, quando
Efesto, pur riluttante per compassione, deve incatenare il ribelle nella
deserta solitudine della Scizia: infatti è Zeus che lo vuole e la sua mente è
inesorabile: "a{pa" de; tracu;" o{sti"
a}n nevon krath'/" (v. 35), chiunque comandi da poco tempo è duro.
Di questo verso si
ricorderà Virgilio quando la sua Didone si giustifica con Enea: "res dura et regni novitas me talia cogunt
/moliri et late fines custode tueri " (Eneide , I, 563 - 564), la dura condizione e la novità del
regno mi costringono a tali precauzioni e a fare vigilare per lungo tratto i
confini dalle guardie.
Didone e Zeus sono
duri per difendere i loro regni nuovi dalle tante insidie che li minacciano.
Machiavelli cita
questi versi di Virgilio per avallare e autorizzare questa sua
affermazione:"Et infra tutti e' principi, al principe nuovo è impossibile
fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli"[1]. Insomma è un arcanum imperii che, svelato, diventa lex.
Zeus non ha creato
il mondo: è un dio della terza generazione che ha messo ordine cosmizzando gli
orrori della prima (Urano e Gea) e della seconda (Crono, Rea, mostri e Titani).
Il Cronìde e i suoi fratelli hanno liberato l'universo dai bruti che cercano
sempre di rioccuparlo.
La lotta dell’ordine
contro il caos è il tema di tutta la cultura greca arcaica e classica: non solo
di quella letteraria, ma pure dell'arte figurativa: le sculture del maestro di
Olimpia con la lotta tra Centauri e Lapiti del frontone occidentale del tempio
di Zeus; le metope del Partenone con centauromachia, amazzonomachia,
gigantomachia, ora in gran parte nel British
Museum di Londra; la gigantomachia, fregio dell'altare di Pergamo[2] che ora si trova a Berlino, esprimono la
stessa idea . Infatti "non esiste…una vita nobile ed elevata senza la
conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la continua battaglia contro di
essi"[3], contro "giganti e titani, miticamente,
gli eterni nemici della cultura"[4].
“Non siamo noi a
immettere nel mondo la bellezza o l’amore o l’ordine. Li troviamo già nel
mondo, e rispondiamo ad essi in quanto siamo, nel nostro piccolo, corrispettivi
di quelle potenze più grandi”[5]. Questo vale anche per il disordine che ha,
pure esso, i suoi paradigmi storici e i suoi archetipi mitici.
Prometeo, se da un lato è inventore di una
tecnologia falsamente benefica, dall'altra fa parte di quelle creature caotiche
le quali formavano il corteggio della Magna
Mater mediterranea, che infatti viene invocata spesso nella tragedia di
Eschilo dal titano sofferente. Secondo M. Untersteiner anzi egli è uno dei
Pramatas, i demoni che nel Mahabarata
fanno parte del seguito di Siva, il dio distruttivo degli Indiani il quale può
corrispondere a Crono. Prometeo dunque sarebbe il simbolo delle civiltà
orientali arrivate attraverso il Caucaso dove si trova incatenato appunto
perché la sua patria di origine è l'India preariana e matriarcale. Con il
trionfo della religione olimpica questo figlio della Magna Mater viene sconfitto e l'implacabile logica indoeuropea del
potere prevale sulla non logica della pietà. Del resto Eschilo crede che il
progresso si attui nella fusione delle due civiltà.
Quando i suoi aguzzini
si allontanano, l'incatenato invoca le forze della natura a comprenderlo e
compiangerlo: “o etere divino e venti
dalle ali veloci,/e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso/delle onde
marine (pontivwn
te kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma), e terra madre di tutte le cose (pammh'tovr te gh'),/e il disco del sole che
vede tutto, invoco:/vedete quali pene soffro, io che sono un dio, da parte
degli dèi”(88 - 92). La natura ridente e
soleggiata contiene una promessa di riconciliazione. Cfr. per converso il luogo
infernale dell'Oedipus di Seneca dove non c'è luce[6]
né speranza:" Tristis sub illa lucis et Phoebi inscius/restagnat humor,
frigore aeterno rigens;/limosa pigrum circumit fontem palus" (vv. 545
- 547), sotto la quercia ristagna un'acqua cupa, che non conosce la luce del
sole, irrigidita dal freddo eterno; una palude limacciosa circonda la morta
sorgente.
Prometeo si lamenta
ma rivendica a sé la capacità di prevedere[7] e la volontà di favorire i mortali: "Eppure che dico? Conosco in anticipo tutto (pavnta proujxepivstamai)/esattamente come accadrà, né alcuna pena
mi/raggiungerà inaspettata (oujdev moi potaivnion - ph'm j oujde;n h{xei): ma il destino
assegnato è necessario/ sopportarlo il più facilmente possibile, sapendo che/la
forza della necessità è ineluttabile (to; th`~ ajnavgkh~ e[st
j ajdhvriton sqeno~)"(vv.101 - 105).
Il doloroso grido "io ho presofferto
tutto" sarà ricorrente nella letteratura europea: dall'Eneide dove il pio eroe risponde così
alla Sibilla che gli ha preconizzato disgrazie:"non ulla laborum,/o virgo, nova mi facies inopinave surgit;/omnia
praecepi atque animo mecum ante peregi "(VI, 103 - 105), nessun
aspetto delle fatiche, vergine, mi si presenta nuovo o inaspettato: io ho
presofferto tutto e ho compiuto in anticipo dentro di me con la mente.
In Curzio Rufo Dario dice all’eunuco che gli portava la brutta notizia
della morte della moglie Statira: “ cave
miseri hominis auribus parcas: didici
esse infelix, et saepe calamitatis solacium est nosse sortem suam” (4, 10,
26), non risparmiare le orecchie di un pover’uomo.
Infine il Tiresia di Eliot:"and I Tiresias have foresuffered all ",
ed io Tiresia ho presofferto tutto (La
terra desolata , 243).
Dunque Prometeo è anche una figura profetica e
rivelatrice: tanto è vero che Zeus, nel terzo dramma a noi non pervenuto, Il Prometeo liberato[8], sarà costretto a venire a patti con lui per
sapere che cosa dovrà evitare: ché neppure l'arbitrio del primo tra gli dèi è
illimitato.
“Eschilo applica a Zeus l’insegnamento delle
Eumenidi: la vittoria, da sola, non è sufficiente: perché sia una vittoria
totale deve prima sopravvenire la riconciliazione con i vinti…Con ciò avviene
qualcosa di estremamente ardito: il sommo degli dèi viene ad avere una
storia…Il regime di Zeus acquista durata soltanto attraverso la moderazione, la
disponibilità alla conciliazione ed evidentemente anche la giustizia”[9].
continua
[1] Il Principe, XVII
[2] 180 - 160 a. C.
[3] H. Hesse, Il giuoco delle
perle di vetro, p. 293.
[4] J. Hillman, L'anima del mondo
e il pensiero del cuore , p. 144.
[5] J. Hillman, La forza del carattere, p. 253.
[6] "La luce è
la più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo di tutto ciò che è buono e
salutare. In tutte le religioni indica l’ eterna salvezza, mentre l'oscurità
indica dannazione" (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione , p. 274). Infatti all'inizio delle Metamorfosi Ovidio
mette in rilievo che durante l'era del Caos l'aria mancava di luce e le cose
non avevano aspetto stabile:"lucis egens aër: nulli sua forma
manebat " (I, v. 17). Anche qui c'è il motivo della confusione.
[7] Il suo nome
significa quello che pensa in anticipo, al contrario del fratello Epimeteo
che"non era saggio per
niente" secondo il Protagora
di Platone, 321b - c, e favoriva gli animali privi di ragione.
[8] Il primo era il Prometeo portatore di fuoco.
[9] C. Meier, L’arte politica della tragedia greca, p. 194.
intriscai-kaBuffalo Melissa Anderson link
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