NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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domenica 10 aprile 2016

"Il Prometeo incatenato". Parte VIII

Prometeo legato alla colonna
con Atlante che regge il cielo (VI sec. a.C.)

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Il Prometeo antico, al pari quello moderno, fornisce all'umanità dei mezzi che non le procurano la felicità né incrementano la vita. Lo racconta Platone nel Protagora dove c'è il mito di Prometeo che per rimediare agli errori commessi dal fratello Epimeteo rubò la sapienza tecnica di Efesto e di Atena con il fuoco "th;n e[ntecnon sofivan su;n puriv" (321d), poiché era impossibile che questa sapienza tecnica venisse acquisita o impiegata da qualcuno senza il fuoco.
 Così Prometeo rubò la tecnica dell'uso del fuoco ("th;n te e[mpuron tevcnhn", 321e) e la donò alla stirpe umana. Da questa provennero agli uomini le risorse necessarie per vivere ("eujporiva me;n ajnqrwvpw/ tou' bivou givgnetai"). Quindi l'uomo credette negli dèi, innalzò loro altari e statue, articolò con tecnica voci e parole, e inventò abitazioni, vesti, calzature, coperte e gli alimenti dalla terra ("kai; oijkhvsei" kai; ejsqh'ta" kai; uJpodevsei" kai; strwmna;" kai; ta;" ejk gh'" trofa;" hu{reto", 322a). Eppure gli uomini continuavano a morire poiché non possedevano ancora l'arte politica ("politikh;n ga;r tevcnhn ou[pw ei\con", 322b) senza la quale commettevano ingiustizie reciproche ("hjdivkoun ajllhvlou""), e non potevano coesistere né sussistere. Allora Zeus, temendo l'estinzione della nostra specie, mandò Ermes dagli uomini a portare rispetto e giustizia ("J Ermh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn", 322c) e gli ordinò di distribuirli a tutti poiché non esisterebbero città se pochi uomini partecipassero di rispetto e giustizia. Quindi impose per legge che quanti non fossero in grado di partecipare di rispetto e giustizia venisse ucciso "wJ" novson povlew"", (322d) come malattia della città.
Di nuovo la malattia che abbiamo visto nel Serse di Eschilo e nell’Aiace di Sofocle. Ancora: nell' Antigone Tiresia accusa Creonte di essere la sorgente inquinata del male della città:" kai; tau'ta th'" sh'" ejk freno;" nosei' poli"" (v. 1015) e la città è ammalata di questo per la tua disposizione mentale. Ogni tiranno ignora la giustizia ed è una malattia per la sua città.
E' l'antica concezione già presente in Esiodo secondo la quale non ci sarà scampo dal male "kakou' d j oujk e[ssetai ajlkhv" quando dalla terra spaziosa se ne andranno sull'Olimpo Aijdw;" kai; Nevmesi"" (Opere , vv. 196 - 201).
Giustamente dunque Zeus punisce Prometeo, tanto più che il suo potere è recente, l'ordine dato al mondo è ancora poco sicuro e questo rischia di tornare nel Caos, il guazzabuglio universale invocato dalla “effera… Erictho” (Pharsalia, VI, 508) "et Chaos innumeros avidum confundere mundos", avido di confondere innumerevoli mondi ( v. 696).

Una forma di ottimismo pedagogico troviamo nel Protagora di Platone.
Il sofista, personaggio del dialogo, sostiene che alcuni aspetti naturali degli uomini (piccoli, brutti o deboli, p. e.) non si possono correggere, e dunque non suscitano irritazione e non provocano punizioni; mentre l’assenza delle qualità che derivano all’uomo dall’esercizio, provoca ire, ammonimenti e sanzioni. Ingiustizia, empietà e assenza di virtù politica vengono punite “o[ti ge oi{ ge a[nqrwpoi hjgou'ntai paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn” (324), poiché gli uomini pensano che la virtù sia acquisibile. Si punisce per correggere e distogliere dal commettere ingiustizia: “kai; toiauvthn diavnoian e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn” (324b), e chi la pensa in questo modo crede che la virtù sia insegnabile. Se gli Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli di ingiustizia, ciò significa che anche loro sono tra quelli i quali considerano la virtù acquisibile e insegnabile.

Torniamo al prologo della tragedia, quando Efesto, pur riluttante per compassione, deve incatenare il ribelle nella deserta solitudine della Scizia: infatti è Zeus che lo vuole e la sua mente è inesorabile: "a{pa" de; tracu;" o{sti" a}n nevon krath'/" (v. 35), chiunque comandi da poco tempo è duro.
Di questo verso si ricorderà Virgilio quando la sua Didone si giustifica con Enea: "res dura et regni novitas me talia cogunt /moliri et late fines custode tueri " (Eneide , I, 563 - 564), la dura condizione e la novità del regno mi costringono a tali precauzioni e a fare vigilare per lungo tratto i confini dalle guardie.
Didone e Zeus sono duri per difendere i loro regni nuovi dalle tante insidie che li minacciano.
Machiavelli cita questi versi di Virgilio per avallare e autorizzare questa sua affermazione:"Et infra tutti e' principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli"[1]. Insomma è un arcanum imperii che, svelato, diventa lex.

Zeus non ha creato il mondo: è un dio della terza generazione che ha messo ordine cosmizzando gli orrori della prima (Urano e Gea) e della seconda (Crono, Rea, mostri e Titani). Il Cronìde e i suoi fratelli hanno liberato l'universo dai bruti che cercano sempre di rioccuparlo.
La lotta dell’ordine contro il caos è il tema di tutta la cultura greca arcaica e classica: non solo di quella letteraria, ma pure dell'arte figurativa: le sculture del maestro di Olimpia con la lotta tra Centauri e Lapiti del frontone occidentale del tempio di Zeus; le metope del Partenone con centauromachia, amazzonomachia, gigantomachia, ora in gran parte nel British Museum di Londra; la gigantomachia, fregio dell'altare di Pergamo[2] che ora si trova a Berlino, esprimono la stessa idea . Infatti "non esiste…una vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la continua battaglia contro di essi"[3], contro "giganti e titani, miticamente, gli eterni nemici della cultura"[4].
“Non siamo noi a immettere nel mondo la bellezza o l’amore o l’ordine. Li troviamo già nel mondo, e rispondiamo ad essi in quanto siamo, nel nostro piccolo, corrispettivi di quelle potenze più grandi”[5]. Questo vale anche per il disordine che ha, pure esso, i suoi paradigmi storici e i suoi archetipi mitici.
 Prometeo, se da un lato è inventore di una tecnologia falsamente benefica, dall'altra fa parte di quelle creature caotiche le quali formavano il corteggio della Magna Mater mediterranea, che infatti viene invocata spesso nella tragedia di Eschilo dal titano sofferente. Secondo M. Untersteiner anzi egli è uno dei Pramatas, i demoni che nel Mahabarata fanno parte del seguito di Siva, il dio distruttivo degli Indiani il quale può corrispondere a Crono. Prometeo dunque sarebbe il simbolo delle civiltà orientali arrivate attraverso il Caucaso dove si trova incatenato appunto perché la sua patria di origine è l'India preariana e matriarcale. Con il trionfo della religione olimpica questo figlio della Magna Mater viene sconfitto e l'implacabile logica indoeuropea del potere prevale sulla non logica della pietà. Del resto Eschilo crede che il progresso si attui nella fusione delle due civiltà.
Quando i suoi aguzzini si allontanano, l'incatenato invoca le forze della natura a comprenderlo e compiangerlo: “o etere divino e venti dalle ali veloci,/e sorgenti dei fiumi, e innumerevole sorriso/delle onde marine (pontivwn te kumavtwn - ajnhvriqmon gevlasma), e terra madre di tutte le cose (pammh'tovr te gh'),/e il disco del sole che vede tutto, invoco:/vedete quali pene soffro, io che sono un dio, da parte degli dèi”(88 - 92). La natura ridente e soleggiata contiene una promessa di riconciliazione. Cfr. per converso il luogo infernale dell'Oedipus di Seneca dove non c'è luce[6] né speranza:" Tristis sub illa lucis et Phoebi inscius/restagnat humor, frigore aeterno rigens;/limosa pigrum circumit fontem palus" (vv. 545 - 547), sotto la quercia ristagna un'acqua cupa, che non conosce la luce del sole, irrigidita dal freddo eterno; una palude limacciosa circonda la morta sorgente.

Prometeo si lamenta ma rivendica a sé la capacità di prevedere[7] e la volontà di favorire i mortali: "Eppure che dico? Conosco in anticipo tutto (pavnta proujxepivstamai)/esattamente come accadrà, né alcuna pena mi/raggiungerà inaspettata (oujdev moi potaivnion - ph'm j oujde;n h{xei): ma il destino assegnato è necessario/ sopportarlo il più facilmente possibile, sapendo che/la forza della necessità è ineluttabile (to; th`~ ajnavgkh~ e[st j ajdhvriton sqeno~)"(vv.101 - 105).
 Il doloroso grido "io ho presofferto tutto" sarà ricorrente nella letteratura europea: dall'Eneide dove il pio eroe risponde così alla Sibilla che gli ha preconizzato disgrazie:"non ulla laborum,/o virgo, nova mi facies inopinave surgit;/omnia praecepi atque animo mecum ante peregi "(VI, 103 - 105), nessun aspetto delle fatiche, vergine, mi si presenta nuovo o inaspettato: io ho presofferto tutto e ho compiuto in anticipo dentro di me con la mente.
In Curzio Rufo Dario dice all’eunuco che gli portava la brutta notizia della morte della moglie Statira: “ cave miseri hominis auribus parcas: didici esse infelix, et saepe calamitatis solacium est nosse sortem suam” (4, 10, 26), non risparmiare le orecchie di un pover’uomo.
 Infine il Tiresia di Eliot:"and I Tiresias have foresuffered all ", ed io Tiresia ho presofferto tutto (La terra desolata , 243).
 Dunque Prometeo è anche una figura profetica e rivelatrice: tanto è vero che Zeus, nel terzo dramma a noi non pervenuto, Il Prometeo liberato[8], sarà costretto a venire a patti con lui per sapere che cosa dovrà evitare: ché neppure l'arbitrio del primo tra gli dèi è illimitato.
 “Eschilo applica a Zeus l’insegnamento delle Eumenidi: la vittoria, da sola, non è sufficiente: perché sia una vittoria totale deve prima sopravvenire la riconciliazione con i vinti…Con ciò avviene qualcosa di estremamente ardito: il sommo degli dèi viene ad avere una storia…Il regime di Zeus acquista durata soltanto attraverso la moderazione, la disponibilità alla conciliazione ed evidentemente anche la giustizia”[9].


continua



[1] Il Principe, XVII
[2] 180 - 160 a. C.
[3] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 293.
[4] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore , p. 144.
[5] J. Hillman, La forza del carattere, p. 253.
[6] "La luce è la più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo di tutto ciò che è buono e salutare. In tutte le religioni indica l’ eterna salvezza, mentre l'oscurità indica dannazione" (A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione , p. 274). Infatti all'inizio delle Metamorfosi Ovidio mette in rilievo che durante l'era del Caos l'aria mancava di luce e le cose non avevano aspetto stabile:"lucis egens aër: nulli sua forma manebat " (I, v. 17). Anche qui c'è il motivo della confusione.
[7] Il suo nome significa quello che pensa in anticipo, al contrario del fratello Epimeteo che"non era saggio per niente" secondo il Protagora di Platone, 321b - c, e favoriva gli animali privi di ragione.
[8] Il primo era il Prometeo portatore di fuoco.
[9] C. Meier, L’arte politica della tragedia greca, p. 194.

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