Epicuro |
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Epicuro: tra i desideri (tw'n
ejpiqumiw'n) alcuni sono solo naturali (fusikaiv),
altri anche necessari (ajnagkai'ai).
Altri sono vani (kenaiv).
Tutto ciò che è naturale richiede solo quanto è facilmente
procurabile (eujpovriston) Epistola
a Meneceo (127-130). Ciò che è vano
invece è difficile da procacciarsi: to; de;
keno;n duspovriston.
Cicerone nei Paradoxa Stoicorum[1]
aveva scritto più sinteticamente: "non esse emacem vectigal est"
(VI, 51)
Un altro antidoto al veleno pubblicitario, a ogni veleno,
può essere la natura: osservare il cielo splendente.
Nelle Baccanti di
Euripide, Cadmo suggerisce alla figlia Agàve impazzita di guardare il cielo: “ej~ tovnd j aijqevr j o[mma so;n mevqe~”
(v. 1264), lascia il tuo occhio aperto qui al cielo.
Guardare il cielo apre gli occhi dell’anima a Bill Loman, il
figlio di Willy Loman, il commesso
viaggiatore di Arthur Miller. Il padre, infuriato in seguito a un aspro
diverbio, gli dice: “E allora impiccati! Fammi quest’ultimo dispetto!
Impiccati!” e il giovane risponde: “No, Willy, nessuno s’impicca! Oggi mi sono
precipitato per dodici piani con una penna in mano. E tutt’a un tratto mi sono
fermato, capisci? In mezzo alle scale mi sono fermato e ho visto il cielo. Ho
visto le cose che mi piace fare a questo mondo. Lavorare e mangiare e
sdraiarmi, fumare una sigaretta. E stavo lì con questa penna in mano e mi sono
detto: ma che Cristo l’ho rubata a fare?”[2].
Guardare le sorgenti dei fiumi, notare l’innumerevole sorriso delle onde marine e
amare la terra madre di tutti noi[3].
Il mito
Erodoto ha raccontato un mito: ebbene i miti sono quasi sempre racconti sulle origini e
spesso danno forma, per dirla con Nietzsche a “un’immagine concentrata del mondo”[4],
un’immagine che può essere spiegata e attualizzata fino a darci chiarimenti su
eventi cui assistiamo o partecipiamo ogni giorno.
C. Pavese: “Il mito greco insegna che si combatte sempre
contro una parte di sé, quella che si è superata. Zeus contro Tifone, Apollo
contro Pitone (…) chi non ha grandi ripugnanze non combatte”[5].
Il mito fa parte della nostra vita, realmente: Pasolini nel
film Medea fa dire al Centauro il
quale istruisce il piccolo Giasone che dovrà andare in cerca del vello d’oro
“in un paese lontano al di là del mare. Qui farai esperienze di un mondo che è
ben lontano dall’uso della nostra ragione, la sua vita è molto realistica come
vedrai perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico”[6].
A proposito della pubblicità, il più effimero degli eventi,
anche questa è collegabile al mito: la prima réclame scritta è quella di inviata da Aconzio a Cidippe.
Bettini afferma che
"anche i pubblicitari sono degli Aconzi"[7].
Il giovane Aconzio obbligò Cidippe a sposarlo scrivendo delle parole e
facendole leggere alla ragazza che era sul punto di maritarsi con un altro.
"La scrittura di
Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi
alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[8].
Nella festa di Apollo a Delo, Aconzio di
Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e la vincola a sé gettandole un pomo su cui
aveva scritto: “Lo giuro per Artemide: io sposerò Aconzio”.
Questo racconto si trova negli Aitia di Callimaco. Febo rivelò a Ceuce, il padre di Cidippe che la
ragazza in procinto di sposare il fidanzato si ammalava a morte poiché un
giuramento grave (baru;~ o{rko~, Aitia fr. 75 Pf., v. 22) impediva le
nozze alla fanciulla la quale fu sentita da Artemide in visita a Delo quando
giurò che avrebbe avuto come sposo Aconzio e non altri ( jAkovntion oJppovte sh; pai`~-w[mosen, oujk
a[llon, numfivon ejxemevnai[9] (vv. 26-27).
La storia è narrata anche da Ovidio nelle Heroides. Aconzio scrive a Cidippe e le
ricorda “volubile malum-verba ferens
doctis insidiosa notis” (211-212), la mela che rotolava portando parole
insidiose in formule dotte. Queste furono lette nella sacra presenza di Diana e
la fides di Cidippe ne rimase vincta.
Cidippe risponde ad
Aconzio che sta morendo, si sente sballottata come una nave, ipsa velut navis iactor (v. 43), veneficiis tuis (54) per le tue parole
avvelenate. Ricorda che navigava verso Delo impaziente di arrivare. Aconzio ne
vide la semplicità e gli sembrò che potesse essere facile preda: “visaque simplicitas est mea posse capi”
(v. 106). Le venne gettata davanti ai piedi una mela con quei versi che Cidippe
non vuole ripetere “mittitur ante pedes
malum cum carmine tali ” (v. 109). La
nutrice raccolse l’ingannevole frutto e lo fece leggere alla ragazza: “insidias legi, magne poeta, tuas” (112). Aconzio non deve essere fiero di avere
preso con ‘inganno una fanciulla poco esperta :“ sumque parum prudens capta puella dolis” (v. 124). E’ stata ingannata come Atalanta da Ippòmene.
Aconzio avrebbe dovuto convincerla more
bonis solito (v. 129), come fanno i galantuomini, non ingannarla
costringendola a proferire sine pectore
vocem (143), una voce senza anima. Ora, invece della fiaccola di nozze c’è quella di morte: “et face pro thalami fax mihi mortis adest” (v. 174). “mirabar
quare tibi nomen Acontius esset” (v. 211), mi domandavo con stupore perché
ti chiamassi Aconzio , ora lo so[10]:
“quod faciat longe vulnus, acumen habes”
(v. 212), hai una punta che provoca ferite anche da lontano. La ragazza ferita
sta morendo: “concidimus macie, color est
sine sanguine, qualem/in pomo refero mente fuisse tuo” (vv. 217-218), sono
estenuata dalla magrezza, il colore è senza sangue, quale, come ricordo, era il
tuo pomo.
Ecco dunque il paradigma mitico del tossico pubblicitario
delle parole ingannevoli e velenose
continuamente scagliate dalla pubblicità
Le voci di questi auctores,
veri e propri accrescitori della nostra
anima, della nostra capacità di intendere il mondo, conservano la loro eco
attraverso i secoli e tutta la letteratura europea forma un corpo, del quale,
come scrisse T. S, Eliot, il latino e il greco sono il sangue.
"Il latino e il greco[11]
costituiscono la corrente sanguigna della letteratura europea: e come un solo,
non già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che
possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia "[12].
Il fatto è che se non saliamo sulle spalle dei classici e ci lasciamo confondere dal frastuono
ignorandoli, rimane assai limitata la nostra visione, non solo quella esterna
del mondo, ma anche quella interiore, di
noi stessi.
A questo proposito ricordo un aforisma che Giovanni di
Salysbury (XII secolo[13])
attribuisce a Bernardo di Chartres[14]:"Dicebat
Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut
possīmus plura eis et remotiora videre, non utĭque proprii visus acumine, aut
eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine
gigantēa" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di
Chartres che noi siamo come dei nani che
stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di
loro e più lontane, senza dubbio non per
l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati in alto ed elevati da quella grandezza
gigantesca.
Del resto la coscienza di non
dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo[15]
diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" … o}" ta;"
auJtou' tragw/diva" temavch[16]
ei\nai e[legen tw'n JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[17]);
e Callimaco[18]
afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"[19],
non canto nulla che non sia testimoniato.
Necessità della conoscenza della storia
Un grave difetto, un’altra carenza capitale è quella della
conoscenza della storia.
L’ignoranza del passato è una limitazione mentale che
impedisce di progettare il futuro
Lo afferma Cicerone nell'Orator [20]:
"Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse
puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum
superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa
sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che
cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli
venuti prima, attraverso la memoria storica?
“Maturità della mente: a questa occorre la storia e la
consapevolezza della storia”[21].
Il senso storico e
quello letterario di T. S. Eliot
impongono una visione d’insieme e costringono a scrivere: "with
a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it
the whole of the literature of is own country has a simultaneous existence and
composes a simultaneous order[22],
con la sensazione che tutta la
letteratura europea da Omero, e, all'interno di essa, tutta la letteratura del
proprio paese, ha un'esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo.
continua
[2], Morte di un
commesso viaggiatore, in A.
Miller, Teatro, trad. it. Einaudi,
Torino, 1959, p. 294.
[3] Cfr. Eschilo, Prometeo
incatenato, vv-88-90 pontivwn
te kumavtwn- ajnhvriqmon gevlasma. Cfr. anche
D’Annunzio, Elettra: “Il riso
innumerevole delle onde marine”.
[4] La nascita
della tragedia, cap.22.
[5] Il mestiere di
vivere, 28 dicembre 1947.
[6] P. P. Pasolini, Medea in Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, p. 545-
[8]M. Bettini, op.
cit., p. 10.
[11] Io metterei
prima il greco.
[12] Che cos’è un classico? (del 1944) In T. S. Eliot, Opere, p. 975.
[13] Scrisse un Metalogicon
che non ci è arrivato.
[14] Filosofo scolastico francese morto nel 1130. Scrisse
un’opera su Porfirio.
[15] 525-455 a . C.
[17] Ateneo (II-III sec. d. C.) I Deipnosofisti,
VIII, 39.
[18]305 ca-240ca a.
C.
[19] Fr. 612
Pfeiffer.
[21] T. S. Eliot, Che
cos’è un classico? (del 1944) In T.
S. Eliot, Opere, p. 965.
[23] La Scienza Nuova Pruove filologiche, III.
Giovanna Tocco
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