NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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martedì 19 aprile 2016

Incontri linguistici del lunedì. Parte III

Epicuro

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Epicuro: tra i desideri (tw'n ejpiqumiw'n) alcuni sono solo naturali (fusikaiv), altri anche necessari (ajnagkai'ai). Altri sono vani (kenaiv).
Tutto ciò che è naturale richiede solo quanto è facilmente procurabile (eujpovriston) Epistola a Meneceo  (127-130). Ciò che è vano invece è difficile da procacciarsi: to; de; keno;n duspovriston.
Cicerone nei Paradoxa Stoicorum[1] aveva scritto più sinteticamente: "non esse emacem vectigal est" (VI, 51)
Un altro antidoto al veleno pubblicitario, a ogni veleno, può essere la natura: osservare il cielo splendente.
Nelle Baccanti di Euripide, Cadmo suggerisce alla figlia Agàve impazzita di guardare il cielo: “ej~ tovnd j aijqevr j o[mma so;n mevqe~” (v. 1264), lascia il tuo occhio aperto qui al cielo.
Guardare il cielo apre gli occhi dell’anima a Bill Loman, il figlio  di Willy Loman, il commesso viaggiatore di Arthur Miller. Il padre, infuriato in seguito a un aspro diverbio, gli dice: “E allora impiccati! Fammi quest’ultimo dispetto! Impiccati!” e il giovane risponde: “No, Willy, nessuno s’impicca! Oggi mi sono precipitato per dodici piani con una penna in mano. E tutt’a un tratto mi sono fermato, capisci? In mezzo alle scale mi sono fermato e ho visto il cielo. Ho visto le cose che mi piace fare a questo mondo. Lavorare e mangiare e sdraiarmi, fumare una sigaretta. E stavo lì con questa penna in mano e mi sono detto: ma che Cristo l’ho rubata a fare?”[2].

Guardare le sorgenti dei fiumi, notare l’innumerevole sorriso delle onde marine e amare la terra madre di tutti noi[3].


Il mito
Erodoto ha raccontato un mito: ebbene i miti  sono quasi sempre racconti sulle origini e spesso danno forma, per dirla con Nietzsche a “un’immagine concentrata  del mondo”[4], un’immagine che può essere spiegata e attualizzata fino a darci chiarimenti su eventi cui assistiamo o partecipiamo ogni giorno.
C. Pavese: “Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata. Zeus contro Tifone, Apollo contro Pitone (…) chi non ha grandi ripugnanze non combatte”[5].
Il mito fa parte della nostra vita, realmente: Pasolini nel film Medea fa dire al Centauro il quale istruisce il piccolo Giasone che dovrà andare in cerca del vello d’oro “in un paese lontano al di là del mare. Qui farai esperienze di un mondo che è ben lontano dall’uso della nostra ragione, la sua vita è molto realistica come vedrai perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico”[6].  

A proposito della pubblicità, il più effimero degli eventi, anche questa è collegabile al mito: la prima réclame scritta è quella di inviata da Aconzio a Cidippe.

Bettini  afferma che "anche i pubblicitari sono degli Aconzi"[7]. Il giovane Aconzio obbligò Cidippe a sposarlo scrivendo delle parole e facendole leggere alla ragazza che era sul punto di maritarsi con un altro.
 "La scrittura di Aconzio è il seme di tutte le scritture astute, e l'unico modo per sottrarsi alla sua trappola sarebbe quello di non leggerla. Ma è possibile?"[8]. Nella festa di Apollo a Delo,  Aconzio di Ceo si innamora di Cidippe di Nasso e la vincola a sé gettandole un pomo su cui aveva scritto: “Lo giuro per Artemide: io sposerò Aconzio”.
Questo racconto si trova negli Aitia di Callimaco. Febo rivelò a Ceuce, il padre di Cidippe che la ragazza in procinto di sposare il fidanzato si ammalava a morte poiché un giuramento grave (baru;~ o{rko~, Aitia fr. 75 Pf., v. 22) impediva le nozze alla fanciulla la quale fu sentita da Artemide in visita a Delo quando giurò che avrebbe avuto come sposo Aconzio e non altri  (  jAkovntion oJppovte sh; pai`~-w[mosen, oujk a[llon, numfivon ejxemevnai[9] (vv. 26-27).  
La storia è narrata anche da Ovidio nelle Heroides. Aconzio scrive a Cidippe e le ricorda “volubile malum-verba ferens doctis insidiosa notis” (211-212), la mela che rotolava portando parole insidiose in formule dotte. Queste furono lette nella sacra presenza di Diana e la fides di Cidippe ne rimase vincta.
 Cidippe risponde ad Aconzio che sta morendo, si sente sballottata come una nave, ipsa velut navis iactor (v. 43), veneficiis tuis (54) per le tue parole avvelenate. Ricorda che navigava verso Delo impaziente di arrivare. Aconzio ne vide la semplicità e gli sembrò che potesse essere facile preda: “visaque simplicitas est mea posse capi” (v. 106). Le venne gettata davanti ai piedi una mela con quei versi che Cidippe non vuole ripetere “mittitur ante pedes malum cum carmine tali ” (v. 109). La nutrice raccolse l’ingannevole frutto e lo fece leggere alla ragazza: “insidias legi, magne poeta, tuas” (112). Aconzio non deve essere fiero di avere preso con ‘inganno una fanciulla poco esperta :“ sumque parum prudens capta puella dolis” (v. 124). E’ stata ingannata come Atalanta da Ippòmene. Aconzio avrebbe dovuto convincerla more bonis solito (v. 129), come fanno i galantuomini, non ingannarla costringendola a proferire sine pectore vocem (143), una voce senza anima. Ora, invece della fiaccola di nozze  c’è quella di morte: “et face pro thalami fax mihi mortis adest” (v. 174).  “mirabar quare tibi nomen Acontius esset” (v. 211), mi domandavo con stupore perché ti chiamassi Aconzio , ora lo so[10]: “quod faciat longe vulnus, acumen habes” (v. 212), hai una punta che provoca ferite anche da lontano. La ragazza ferita sta morendo: “concidimus macie, color est sine sanguine, qualem/in pomo refero mente fuisse tuo” (vv. 217-218), sono estenuata dalla magrezza, il colore è senza sangue, quale, come ricordo, era il tuo pomo.
Ecco dunque il paradigma mitico del tossico pubblicitario delle parole  ingannevoli e velenose continuamente scagliate dalla pubblicità

Le voci di questi auctores, veri e propri  accrescitori della nostra anima, della nostra capacità di intendere il mondo, conservano la loro eco attraverso i secoli e tutta la letteratura europea forma un corpo, del quale, come scrisse T. S, Eliot, il latino e il greco sono il sangue.
"Il latino e il greco[11] costituiscono la corrente sanguigna della letteratura europea: e come un solo, non già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia"[12].

Il fatto è che se non saliamo sulle spalle dei classici  e ci lasciamo confondere dal frastuono ignorandoli, rimane assai limitata la nostra visione, non solo quella esterna del mondo, ma anche quella interiore,  di noi stessi.
A questo proposito ricordo un aforisma che Giovanni di Salysbury (XII secolo[13]) attribuisce a Bernardo di Chartres[14]:"Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantum humeris insidentes, ut possīmus plura eis et remotiora videre, non utĭque proprii visus acumine, aut eminentia corporis, sed quia in altum subvehimur et extollimur magnitudine gigantēa" (Metalogicon III, 4), diceva Bernardo di Chartres  che noi siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti, in modo tale che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, senza dubbio  non per l'acume della nostra vista o la statura del corpo ma poiché siamo portati  in alto ed elevati da quella grandezza gigantesca.

Del resto la coscienza di non dire nulla di completamente nuovo si trova già negli autori antichi: Eschilo[15] diceva che le sue tragedie erano fette del grande banchetto omerico (Aijscuvlo" o}" ta;" auJtou' tragw/diva" temavch[16] ei\nai e[legen tw'n   JOmhvrou megavlwn deivpnwn"[17]); e Callimaco[18] afferma: "ajmavrturon oujde;n ajeivdw"[19], non canto nulla che non sia testimoniato.


Necessità della conoscenza della storia
Un grave difetto, un’altra carenza capitale è quella della conoscenza della storia.
L’ignoranza del passato è una limitazione mentale che impedisce di progettare il futuro
Lo afferma Cicerone nell'Orator [20]: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli venuti prima, attraverso la memoria storica?
“Maturità della mente: a questa occorre la storia e la consapevolezza della storia”[21].

 Il senso storico e quello letterario di T. S. Eliot  impongono una visione d’insieme e costringono a scrivere: "with a feeling that the whole of the literature of Europe from Homer and within it the whole of the literature of is own country has a simultaneous existence and composes a simultaneous order[22],  con la sensazione che tutta la letteratura europea da Omero, e, all'interno di essa, tutta la letteratura del proprio paese, ha un'esistenza simultanea e compone un ordine simultaneo.

La Memoria è madre delle Muse e la perdita della Memoria significa anche la rinuncia alla bellezza e alla poesia. Del resto la poesia è a sua volta madre della storia.
La "La storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", afferma Giambattista Vico[23].    


continua



[1] Del 46 a. C.
[2], Morte di un commesso viaggiatore, in A. Miller,  Teatro, trad. it. Einaudi, Torino, 1959, p. 294.
[3] Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, vv-88-90 pontivwn te kumavtwn- ajnhvriqmon gevlasma. Cfr. anche D’Annunzio, Elettra: “Il riso innumerevole delle onde marine”.
[4] La nascita della tragedia, cap.22.
[5] Il mestiere di vivere, 28 dicembre 1947.
[6] P. P. Pasolini, Medea in Il vangelo secondo Matteo, Edipo re, Medea, p. 545-
[7]Con i libri , p. 9.
[8]M. Bettini, op. cit., p. 10.
[9] Infinito futuro epico di e[cw.
[10] ajkovntion significa dardo
[11] Io metterei prima il greco.
[12] Che cos’è un classico?  (del 1944)  In T. S. Eliot, Opere, p. 975.
[13] Scrisse un Metalogicon che non ci è arrivato.
[14] Filosofo scolastico francese morto nel 1130. Scrisse un’opera su Porfirio.
[15] 525-455 a. C.
[16] Cfr. tevmnw. “taglio”.
[17] Ateneo (II-III sec. d. C.) I Deipnosofisti, VIII, 39.
[18]305 ca-240ca a. C.
[19] Fr. 612 Pfeiffer.  
[20] Del 46 a. C.
[21] T. S. Eliot, Che cos’è un classico? (del 1944)  In T. S. Eliot, Opere, p. 965.
[22] Tradition and the Individual Talent (del 1919),
[23] La Scienza Nuova  Pruove filologiche, III.

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