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mercoledì 13 aprile 2016

"Il Prometeo incatenato". Parte X

George Orwell

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Nel De ira Seneca consiglia di prendere tempo per combattere la tendenza a questa forma di brevis insania: "Dandum semper est tempus: veritatem dies aperit " (II, 22), bisogna sempre concedersi del tempo: i giorni svelano la verità. E ancora: "Maximum remedium irae mora est" (II, 29), massimo rimedio dell'ira è il differire.
 Il tempo come rivelatore viene invocato pure da Cordelia, la figlia buona di Re Lear :" Time shall unfold what plaited[1] cunning hides", il tempo spiegherà ciò che l' attorcigliata astuzia nasconde (I, 1).
Altrettanto in La tragedia spagnola [2]dove Isabella, la moglie di Hieronimo (quello che "è pazzo di nuovo"[3] ), dice al marito:"l'assassinio non può essere nascosto: il tempo è autore insieme della verità e della giustizia, e il tempo porterà alla luce questo tradimento" (II, 6).
Altro segno topicamente positivo è quello della semplicità (v. 975): nelle Fenicie di Euripide Polinice afferma che il discorso della verità è semplice: " aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva" e[fu" (v. 469) e una causa giusta non ha bisogno di spiegazioni maculate (kouj pokivlwn dei' ta[ndic j eJrmhneumavtwn, v. 470).
"Veritatis simplex oratio est" traduce Seneca (Ep. 49, 12).
Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[4], il più giusto dei Centauri, "nodrì Achille"[5] insegnandogli quella naturalezza e semplicità di costumi che è la quintessenza dell'educazione sana. Il figlio di Peleo nell' Ifigenia in Aulide riconosce tale alta paideia all'uomo piissimo che l'ha allevato:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926 - 927), ho imparato ad avere semplici i costumi. In tal modo il figlio di Peleo imparò a non apprendere gli usi degli uomini malvagi (v. 709).

Prometeo ribadisce ancora che non si piegherà.
Ermes replica accusandolo di violenza e narcisismo con debole ragione:"aujqadiva ga;r tw/' fronou'nti mh; kalw'" - aujth; kaq j aujth;n oujdeno;" mei'on sqevnei" (vv. 1012 - 1013) il narcisismo infatti per chi non ragiona bene, di per sé ha meno forza del nulla.
 Questo invece è un segno negativo. Prometeo è davvero un personaggio composito.

Nelle tragedie di Sofocle il despota riceve l’accusa di narcisismo stupido mentre corre incontro alla propria rovina. Nell' Edipo re è Creonte, accusato da Edipo di complotto, ad accusare il tiranno di narcisismo:" Se davvero pensi che sia un bene il narcisismo (th;n aujqadivan[6])/ separato dall'intelligenza, non pensi in modo retto" (vv. 549 - 550). Nell' Antigone è Tiresia che, per spingere Creonte alla resipiscenza, gli suggerisce di ascoltarlo evitando di arroccarsi nel proprio potere:"aujqadiva toi skaiovtht j jofliskavnei", il narcisismo davvero merita accusa di stoltezza (v.1028).

Atteggiamento dispotico dunque è quello di Prometeo narcisista.

Presto, minaccia Ermes, sarai subissato da una tempesta, poi : “il cane alato di Zeus, l'aquila sanguinaria farà voracemente a brani il grande straccio del tuo corpo (swvmato~ mevga rJavko~) (vv.1021 - 1022), quindi"divorerà il tuo fegato, nero pasto "(v.1025).

Prometeo è avvisato.

Ma, almeno per il momento, non dà segni di resipiscenza, anzi leva la voce ripetendo la sfida con l’evocare il Caos:"ora il ricciolo di fuoco a due tagli (puro;" ajmfhvkh" bovstruco")/sia scagliato pure contro di me, e l'etere/sia irritato dal tuono e dalla convulsione/dei venti selvaggi; i soffi scuotano/la terra dalle fondamenta con le stesse radici,/l'onda del mare con aspro fragore/copra le vie degli/astri del cielo; e getti il mio corpo/dopo averlo alzato, nel buio Tartaro/tra i vortici duri della necessità (ajnavgkh~ sterrai`~ divnai~ );/ non mi farà morire del tutto"(vv. 1043 - 1053). Infatti, non bisogna dimenticarlo, Prometeo non è un uomo ma un dio.
Il fuoco che il titano ha rubato è invitato a sconvolgere il mondo nella confusione universale.

Ermes replica denunciando la pazzia deleteria di Prometeo e la compassione mal riposta, fuori luogo delle Oceanine, le quali tuttavia ribadiscono la loro solidarietà al Titano.
Allora il messo di Zeus le minaccia: “Ricordate però le cose che io predìco/e, braccate dall'accecamento (pro;" a[th" qhraqei'sai), non/biasimate la sorte, e non dite mai/che Zeus vi cacciò in una sofferenza/imprevista; no certo, ma voi/vi ci siete cacciate da sole. Infatti sapendolo/e non all'improvviso né di nascosto/sarete implicate per dissennatezza/nella inestricabile rete dell'accecamento (eij" ajpevranton divktuon a[th", vv.1071 - 1079).
Le metafore venatorie vengono applicate topicamente ai colpevoli destinati a diventare farmakoiv. Ciò è molto evidente nell' Edipo re di Sofocle:" Infatti va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi (petrai'o" oJ tau'ro")/inutile con inutile piede[7] bandito in solitudine/ cercando di allontanare i vaticini (mantei'a)/dell'ombelico della terra; ma questi sempre/vivi gli volano addosso" (vv. 477 - 482).
Del resto lo zoppicante Riccardo III non viene chiamato "the boar "?[8] .

L' a[th è una smisurata forza irrazionale che quando si impadronisce di un anima umana la porta alla rovina.
Essa si alza minaccioso anche nel finale dei Sette a Tebe
"si erge il trofeo dell'accecamento (e{stake [Ata~ trovpaion) sulle porte/dove andavano a sbattere, e,/impadronitosi dei due, il demone cessò"(vv.958 - 960).
Le ultime parole del Prometeo incatenato sono pronunciate dal Titano che descrive la tempesta già scoppiata, "correlativo oggettivo" della sua anima sconvolta, ed emblema del Caos , il disordine cosmico e umano, che egli ha cercato di ripristinare confutando l'autorità e l'ordine di Zeus:"certo di fatto e non più soltanto a parole/la terra si è messa ad ondeggiare,/e mugghia il profondo rimbombo/del tuono, e le spire del lampo/brillano (e{like~ d j ejklavmpousi steroph`~[9]) ardenti, e i turbini fanno girare/la polvere (strovmboi de; kovnin[10] - eiJlivssousi), e saltano i soffi/di tutti i venti dichiarandosi/una guerra (stavsin[11]) reciprocamente contraria/e sono sconvolti insieme il cielo e il mare ( xuntetavraktai d j aijqh;r povntw/",vv. 1080 - 1088).
Ci sono rimandi alla sterilità della polvere, alla guerra civile, alla confusione.
Tale assalto che vuole creare paura/avanza chiaramente da Zeus contro di me./O maestà della madre mia, o etere/che fai girare la luce comune a tutti (koino;n favo~ eiJlivsswn)/tu vedi come ingiustamente io soffro" (vv. 1089 - 1093).
La tempesta marina che minaccia di ripristinare il caos, significativo del disordine umano, viene descritta anche dall'araldo Euribate nell'Agamennone di Seneca:"Mundum revelli sedibus totum suis/ipsosque rupto crederes caelo deos/decidere et atrum rebus induci chaos./Vento restitit aestus et ventus retro/aestum revolvit; non capit sese mare:/in astra pontus tollitur, caelum perit/undasque miscent imber et fluctus suas" (vv. 484 - 490), avresti creduto che l'intero universo fosse strappato dalle fondamenta, e che gli stessi dei cadessero dal cielo squarciato, e che il tenebroso caos si stendesse sul mondo. La mareggiata si oppone al vento e il vento risospinge indietro le onde: il mare non sta più dentro se stesso: il ponto è sollevato fino alle stelle, il cielo sparisce, la pioggia e i flutti mescolano le loro acque.
 La regola è una sola: la confusione. Nel penultimo verso del Prometeo incatenato c’è un segno positivo: la luce (favo~, 1092) che l’etere fa girare. E’ un segno di resurrezione: “un augurio di più sereno dì”
Concludo mettendo in evidenza un arcanum imperii: per sottomettere il ribelle, qualsiasi ribelle, la regola è quella di farlo soffrire.
La resistenza al dolore a sua volta viene dalla fiducia nella vita.
Nel romanzo di Orwell 1984 la vittima Winston risponde in questa maniera alla domanda del carnefice O' Brien:"Come fa un uomo ad affermare il suo potere su un altro uomo. Winston ci pensò un pò su. "Facendolo soffrire" (by making him suffer) disse infine. "Esattamente. Facendolo soffrire. L'obbedienza non basta. Se non soffre, come si fa a essere sicuri che egli non obbedisca alla sua volontà, anziché alla tua? Il potere consiste appunto nell'infliggere la sofferenza e la mortificazione (power is in inflicting pain and humiliation). Il potere consiste nel fare a pezzi i cervelli degli uomini e nel ricomporli in nuove forme e combinazioni di nostro gradimento." (p. 280).
 Il potere di questo regime tirannico non è potere sulle cose ma sugli uomini. Il partito del Grande Fratello sta creando: " un mondo di paura, di tradimenti e di torture, un mondo di gente che calpesta e di gente che è calpestata, un mondo che diventerà non meno, ma più spietato, man mano che si perfezionerà...Abbiamo abolito i legami tra figli e genitori, tra uomo e uomo, e tra uomo e donna...L'istinto sessuale verrà sradicato. La procreazione diventerà una formalità annuale come il rinnovo della tessera annonaria. Noi aboliremo lo stesso piacere sessuale. I nostri neurologi stanno facendo ricerche in proposito. Non esisterà più il concetto di lealtà, a meno che non si tratti di lealtà verso il partito. Non ci sarà più amore eccetto l'amore per il Grande Fratello...Se vuoi un simbolo figurato del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano - per sempre (p. 281)” If you want a picture of the future, imagin a boot stamping on a human face - for ever” .
Splendida è la risposta di Winston al suo carnefice: "in qualche modo verrete sconfitti. Qualche cosa vi sconfiggerà. La vita vi sconfiggerà (p. 282 Something will defeat you. Life will defeat you)... Io so che alla fine sarete sconfitti. C'è qualche cosa, nell'universo... non so, un qualche spirito, un qualche principio... che non riuscirete mai a sopraffare."
"Credi in Dio, Winston?"
"No."
"E allora quale può essere questo principio che ci annienterà?"
"Non lo so. Lo spirito dell'Uomo"( The spirit of Man p. 283).


continua



[1] L'astuzia è, come l'incesto, contorta.
[2] di Thomas Kyd (del 1585)
[3] Hieronymo's mad again ( T. S. Eliot, The waste land, v. 437)
[4] Odissea XI, 832.
[5] Dante, Inferno, XII, 71.
[6] Formato da aujtov" e aJndavnw, "piaccio".
[7] melevw/ podiv;: allude al piede gonfio di Edipo identificato con la vittima espiatoria. Ricorda i versi 877 - 879 già citati: "precipita nella necessità scoscesa dove non si avvale di valido piede, e[nq' ouj podi; crhsivmw/ crh'tai". Il soggetto è l'u[[bri" di quella monarchia claudicante che è la tirannide.
[8] Il cinghiale. Riccardo III, 3, 2.
[9] Ecco l’elettricità, un altro “di quegli agenti terribili” menzionati da Leopardi nello Zibaldone (p. 3645).
[10] La polvere, come la cenere, nei drammi Greci è spesso un simbolo negativo di sterilità e morte. Nell' Antigone, per esempio, il segno positivo della luce viene contrapposto a quelli negativi della polvere, del sangue e della pazzia: "Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599 - 603). La polvere fa paura forse perché prefigura l'inevitabile esito della nostra vita:"what is this quintessence of dust? " (Amleto, 2, 2), che cosa è per me questa quintessenza di polvere? domanda il principe di Danimarca. Naturalmente l'uomo, e pure la donna, dei quali Amleto non si prende alcun piacere. Insomma:"I will shaw you fear in a handful of dust" ( The waste land, v.30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.
[11] E’ la guerra civile che confonde i ruoli, come fa l’incesto, trasformando i fratelli in nemici. Secondo Tucidide cambia anche il significato delle parole. Lo afferma a proposito della guerra civile (stavsi") di Corcira (427 - 425): "Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. “Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)”, M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p.43

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