Tullio De Mauro
Storia linguistica
dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni.
Editori Laterza, Roma- Bari, 2014
II, 2. Eterogeneità idiomatiche persistenti
“In età moderna e ancora a metà Novecento, in Italia, ben più che negli
altri paesi europei, assetto linguistico e confini idiomatici sono stati il
riflesso di condizioni e partizioni linguistiche del I millennio a. C.” (p,
26).
Persistenze di analoga antichità
si trovano nel greco in Grecia, pur con “la cancellazione quasi completa degli
antichi confini tra le diálektoi
preellenistiche; il basco, con le sue antiche aree preromane, pur ridotte, in
Spagna e Francia; le aree e parlate celtiche in Gran Bretagna”.
Nelle altre aree “L’europa linguistica riflette oggi, nel complesso, gli
assetti che raggiunse nel tardo Medioevo”.
L’Italia linguistica del 1946 “aveva una configurazione che rifletteva
non solo la latinizzazione, realizzatasi molto lentamente, e mai del tutto
compiutasi, tra III sec. a. C. e inizi dell’età imperiale, ma anche condizioni
più antiche”.
Rimangono “condizioni linguistiche non solo dell’Italia romana, ma anche
di quella preromana (…). A metà del primo millennio a. C. l’Italia era occupata
da popolazioni di assai varia provenienza e inserimento nel territorio, e
quindi da una selva di idiomi eterogenei, indoeuropei e non indoeuropei, alcuni
di più remoto radicamento sul suolo italiano, come l’etrusco e il sardo, altri
importati in fasi più recenti da oltre le Alpi e attraverso l’Adriatico e il
Mediterraneo centrale, come il messapico, il greco o il punico.” (p. 26).
Segue un elenco, lungo e completo delle parlate degli Italici antichi.
“Il latino era parlato solo dalle popolazioni di una piccola area
compresa tra Monti Tiburtini, Colli Albani e foce del Tevere, contornate e incalzate
da popolazioni che parlavano etrusco, osco- umbro e greco, quest’ultimo portato
nel cuore della città dai mercanti”.
E’ interessante ricordare come Giovenale , fustigando i costumi e le mode
della Roma degli inizi del I sec. d. C. , colpisca con sarcasmo l’affettazione
nell’uso della lingua greca da parte di persone, soprattutto donne che non
conoscono bene neppure il latino.
Un poco come avviene ora con la lingua franca chiamata impropriamente
inglese:
“Nam quid rancidius, quam quod se non putat ulla
formosam nisi quae de Tusca
Graecula facta est,
de Sulmonensi mera Cecropis?
Omnia graece,
cum sit turpe magis nostris
nescire latine;
hoc semone pavent, hoc iram,
gaudia, curas,
hoc cuncta effundunt animi
secreta. Quid ultra?
Concumbunt graece. Dones tamen ista puellis:
tune etiam, quam sextus et octogesimus annus
pulsat, adhuc graece? Non
est hic sermo pudicus
in vetula: quotiens lascivum
intervenit illud
zwh;
kai; yuchv ! Modo sub lodice relictis
uteris in turba? Quod enim
non excitet inguen
vox blanda et nequam?
Digitos habet. Ut tamen omnes
sbsidant pennae: dicas haec
mollius Haemo
quamquam et Carpophoro,
facies tua computat annos (VI, 185-199).
infatti che cosa c’è di più disgustoso, del fatto che nessuna si crede
bella se da Etrusca non è diventata Greca, da Sulmonese, Ateniese pura? Mentre è più vergognoso per le nostre non
sapere il latino, dicono tutto in greco; in questo idioma hanno paura, con
questo tirano fuori l’ira, le gioie, le preoccupazioni, con questo i segreti
dell’animo. Che cosa di più? Fanno l’amore in greco. Magari passi per le
ragazze: pure tu che senti suonare ottantasei anni, ancora grecheggi? Non è
questo idioma pudico in una vecchietta!
Quante volte intervienw quel lascivo zwh; kai; yuchv ! Lasciate poco fa sotto le
coltri, ora lo usi in pubblico?
Quale inguine non ecciterebbe una voce carezzevole e perversa? Ha le
dita. Tuttavia perché tutte le penne si affloscino:
anche se tu le pronunci più morbidamente di Emo e di Carpoforo, la tua faccia
fa il conto degli anni.
Ma torniamo a De Mauro
“Nell’Italia moderna la sola diretta sopravvivenza di tanti idiomi
diversi dal latino è il greco, che nel Medioevo continuò a essere parlato
estesamente in Sicilia, nel Sud e nella stessa città di Roma e, secondo una
tesi accreditata, sopravviverebbe ancora nelle parlate neogreche della Calabri
e del Salento” (p. 26)
Per il resto “dominano “le continuazioni del latino, o meglio le
sopravvivenze di ciò che il latino era andato diventando sulle bocche delle
varie popolazioni di diverso idioma”.
Dunque: “Le radici
dell’Italia linguistica moderna e del Novecento stanno ancora nell’assetto
linguistico dell’Italia alla fine del I millennio a. C., e nella persistenza,
per quanto indiretta, della politica linguistica della Romana res publica.
Mal si intende il
presente senza almeno rievocare quelle radici”.
giovanni ghiselli
p. s.
inserirò questo
richiamo alle radici e al benessere che proviamo riconoscendole e sentendone
l’efficacia nutritiva, nella conferenza
indicata sotto
18 aprile 2016: Giovanni Ghiselli
(Bologna), Come e perché cercare tracce
antiche nelle letterature moderne
Incontri linguistici del lunedì
Gli incontri si svolgono a Roma il lunedì, tolti i periodi
di vacanza e le eventuali coincidenze con feste nazionali, presso la sede della
Fondazione Leusso, in viale Regina Margherita 1 (portone d’angolo con via
Salaria), IV piano. L’orario è 17-19.
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Giovanna Tocco
RispondiEliminaTogliere il latino dalle scuole medie è stato un errore madornale ...Giovanna Tocco
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