NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 3 aprile 2016

Tullio De Mauro, "Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni"

Recensione di:
Tullio De Mauro
Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni.
Editori Laterza, Roma- Bari, 2014


II, 2. Eterogeneità idiomatiche persistenti
“In età moderna e ancora a metà Novecento, in Italia, ben più che negli altri paesi europei, assetto linguistico e confini idiomatici sono stati il riflesso di condizioni e partizioni linguistiche del I millennio a. C.” (p, 26).
 Persistenze di analoga antichità si trovano nel greco in Grecia, pur con “la cancellazione quasi completa degli antichi confini tra le diálektoi preellenistiche; il basco, con le sue antiche aree preromane, pur ridotte, in Spagna e Francia; le aree e parlate celtiche in Gran Bretagna”.
Nelle altre aree “L’europa linguistica riflette oggi, nel complesso, gli assetti che raggiunse nel tardo Medioevo”.
L’Italia linguistica del 1946 “aveva una configurazione che rifletteva non solo la latinizzazione, realizzatasi molto lentamente, e mai del tutto compiutasi, tra III sec. a. C. e inizi dell’età imperiale, ma anche condizioni più antiche”.
Rimangono “condizioni linguistiche non solo dell’Italia romana, ma anche di quella preromana (…). A metà del primo millennio a. C. l’Italia era occupata da popolazioni di assai varia provenienza e inserimento nel territorio, e quindi da una selva di idiomi eterogenei, indoeuropei e non indoeuropei, alcuni di più remoto radicamento sul suolo italiano, come l’etrusco e il sardo, altri importati in fasi più recenti da oltre le Alpi e attraverso l’Adriatico e il Mediterraneo centrale, come il messapico, il greco o il punico.” (p. 26).
Segue un elenco, lungo e completo delle parlate degli Italici antichi.
“Il latino era parlato solo dalle popolazioni di una piccola area compresa tra Monti Tiburtini, Colli Albani e foce del Tevere, contornate e incalzate da popolazioni che parlavano etrusco, osco- umbro e greco, quest’ultimo portato nel cuore della città dai mercanti”.

E’ interessante ricordare come Giovenale , fustigando i costumi e le mode della Roma degli inizi del I sec. d. C. , colpisca con sarcasmo l’affettazione nell’uso della lingua greca da parte di persone, soprattutto donne che non conoscono bene neppure il latino.
Un poco come avviene ora con la lingua franca chiamata impropriamente inglese:
 “Nam quid rancidius, quam quod se non putat ulla
formosam nisi quae de Tusca Graecula facta est,
de Sulmonensi mera Cecropis? Omnia graece,
cum sit turpe magis nostris nescire latine;
hoc semone pavent, hoc iram, gaudia, curas,
hoc cuncta effundunt animi secreta. Quid ultra?
Concumbunt graece. Dones tamen ista puellis:
tune etiam, quam sextus et octogesimus annus
pulsat, adhuc graece? Non est hic sermo pudicus
in vetula: quotiens lascivum intervenit illud
zwh; kai; yuchv ! Modo sub lodice relictis
uteris in turba? Quod enim non excitet inguen
vox blanda et nequam? Digitos habet. Ut tamen omnes
sbsidant pennae: dicas haec mollius Haemo
quamquam et Carpophoro, facies tua computat annos (VI, 185-199).
infatti che cosa c’è di più disgustoso, del fatto che nessuna si crede bella se da Etrusca non è diventata Greca, da Sulmonese, Ateniese pura?  Mentre è più vergognoso per le nostre non sapere il latino, dicono tutto in greco; in questo idioma hanno paura, con questo tirano fuori l’ira, le gioie, le preoccupazioni, con questo i segreti dell’animo. Che cosa di più? Fanno l’amore in greco. Magari passi per le ragazze: pure tu che senti suonare ottantasei anni, ancora grecheggi? Non è questo idioma pudico in una vecchietta!  Quante volte intervienw quel lascivo zwh; kai; yuchv ! Lasciate poco fa sotto le coltri, ora lo usi in pubblico?
Quale inguine non ecciterebbe una voce carezzevole e perversa? Ha le dita. Tuttavia perché tutte le penne  si affloscino: anche se tu le pronunci più morbidamente di Emo e di Carpoforo, la tua faccia fa il conto degli anni.

Ma torniamo a De Mauro
“Nell’Italia moderna la sola diretta sopravvivenza di tanti idiomi diversi dal latino è il greco, che nel Medioevo continuò a essere parlato estesamente in Sicilia, nel Sud e nella stessa città di Roma e, secondo una tesi accreditata, sopravviverebbe ancora nelle parlate neogreche della Calabri e del Salento” (p. 26)
Per il resto “dominano “le continuazioni del latino, o meglio le sopravvivenze di ciò che il latino era andato diventando sulle bocche delle varie popolazioni di diverso idioma”.
Dunque: “Le radici dell’Italia linguistica moderna e del Novecento stanno ancora nell’assetto linguistico dell’Italia alla fine del I millennio a. C., e nella persistenza, per quanto indiretta, della politica linguistica della Romana res publica.
Mal si intende il presente senza almeno rievocare quelle radici”.


giovanni ghiselli

p. s.
inserirò questo richiamo alle radici e al benessere che proviamo riconoscendole e sentendone l’efficacia nutritiva,  nella conferenza indicata sotto


18 aprile 2016: Giovanni Ghiselli (Bologna), Come e perché cercare tracce antiche nelle letterature moderne
Incontri linguistici del lunedì 

Gli incontri si svolgono a Roma il lunedì, tolti i periodi di vacanza e le eventuali coincidenze con feste nazionali, presso la sede della Fondazione Leusso, in viale Regina Margherita 1 (portone d’angolo con via Salaria), IV piano. L’orario è 17-19.


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2 commenti:

  1. Togliere il latino dalle scuole medie è stato un errore madornale ...Giovanna Tocco

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