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Dopo
l'esibizione, Desdemona si sentiva una stella: venne a casa mia e
acconsentì a fare l'amore, ma con una degnazione nemmeno tanto
celata. Nuda e distesa sul letto, non aveva smesso di recitare; anzi si dava
insopportabili arie da prima donna. L'accompagnai a casa sua,
provando rancore per lei e per me stesso che continuavo ad amare
tale donna. Tornando a
casa cantavo con dolorosa ironia: “Non son degno di te, non ti merito più” e
via cantando. Il fatto era
che con lei oramai non funzionavo bene. Il giorno
seguente, sabato trenta maggio, la ragazza passò la giornata a
concentrarsi sull'esame finale, io a riflettere sulla
decadenza e rovina del nostro rapporto. Mancavano meno di due
settimane e altre peripezie alla catastrofe tragica. Trascrivo i
pensieri di quel giorno lontano, inconditi come li trovo nel diario. "Ecco
perché il secondo anno ho smesso di amarla: vedevo già i segni
dell'egoismo volgare che ora sta dispiegando in tutta la sua piatta,
ottusa e volgare bassezza. Adesso mi sfrutta apertamente, non
dissimula nemmeno i sentimenti cattivi, non nasconde l'illusione
ridicola di valere molto più di me, e di avere migliori possibilità
che stare con me. Prende tutto come se le fosse dovuto, senza
apprezzare il tempo che ho impiegato
per il suo esame, anche a
discapito del mio lavoro scolastico. E' un prodotto tipico di quest'età
superba e vuota. Maggior mi sento 1. Già era egoista e superficiale di sua
natura, poi il mondo istrionico ha esercitato un'influenza funesta sul suo
carattere. Una seduzione cattiva che non riesco a
controbattere. Ho usato tutte le forze di cui dispongo.
Non le ho sprecate però. Quello che non ho insegnato a lei (onestà,
giustizia e così via), l'ho imparato per me e per la
prossima femmina umana, chiunque ella sia. Ora prova fastidio della mia serietà, del rigore che lei stessa mi consigliava
quando ci teneva - e come! - a stare con me, poiché voleva
essere aiutata prima a insegnare poi a recitare; quando le ero utile,
aspirava a essere la mia unica donna, non sopportava di condividermi con
altre, mentre io facevo l'esteta, il seduttore insofferente di impegni morali, incapace di
scelte radicali e definitive. Mi atteggiavo a diverso e strano dalla
marmaglia. Invero le assomigliavo assai, forse addirittura in peggio. “Laudata
sii, Diversità/delle creature, sirena/del mondo! Talor non elessi/perché
parvemi che eleggendo/io t’escludessi,/o Diversità, meraviglia/sempiterna” 2, ripetevo allora. Ora però le
nostre situazioni si sono capovolte:
Ifigenia sguazza nella corruzione, nell'ingiustizia e nell'estetismo
mediocre; io tendo a diventare morale: a
scegliere il bene. In questo tempo doloroso ho reso
migliore me stesso, non lei. Oramai è meglio perderla: il suo comportamento
rozzo e cattivo versa nell'anima mia un veleno composto di
noia e dolore. Ho ancora meno in comune con quella che con una
borghese soddisfatta e convinta: tale persona conosce almeno le buone
maniere. Ifigenia non ha una passione autentica per l’arte,
altrimenti la studierebbe; per il teatro non possiede un talento sicuro, né
un interesse profondo; se non fosse
così, non punterebbe sull'offerta del
corpo a maestri
famosi; esperienze di vita con me non ha voluto farne, tranne il
sesso, la bicicletta e quel paio di viaggi dove del resto si è comportata
da parassita mentale. Oramai è invasa dalla smania del
successo, da afferrare con lo strumento della sua potenza fisica disposta a
correre rischi di ogni natura: un mezzo valutato troppo, per il fatto
che con me ha funzionato, ma è inadeguato al nuovo scopo:
quello di ottenere un lasciapassare da maschi
famosi, più cattivi che buoni, più mistificatori che altro.
Eppure è su costoro che la disgraziata
punta tutto. Probabilmente
la useranno senza esaudirla, senza scoprire niente altro che la sua carne di cui si pasceranno: materia
scambiata con una speranza
di applausi e lustrini. Da quando ha
fatto questa puntata folle su un destino di gran rinomanza,
mi ha escluso dal suo amore e dalla sua intimità spirituale.
Del resto, per fare questo esame ha avuto bisogno di me, perciò, se dovrà
farne un altro, continuerà a
strumentalizzarmi e a lasciarmi usare la sua bellezza ancora per un po’.
Veramente Ifigenia è un simbolo dell'epoca
nostra: egoista e nichilista, senza alcun bersaglio nel suo mirino a parte l'utile.
Fa come Poppea: “Unde utilitas
ostenderetur, illuc libidinem transferebat” 3. Che se ne vada è cosa soltanto buona. Io devo
restare solo, indagare me stesso, tentare la rivoluzione morale. Da questo
dolore devo ricavare un messaggio di eticità autentica, del tutto diverso dal
farfugliare truffaldino di certi politici obesi che quando aprono le bocche
voraci simulano competenze inesistenti
mentre dissimulano tutta la vergognosa avidità che nutrono i loro corpi
deformi. E corrompono il popolo, soprattutto i
giovani. Quella ragazza, come tanti coetanei suoi, è peggiorata con il clima politico e
con i costumi dissoluti. La scelleratezza massima di questo
regime di ladri è il cattivo esempio che dà alla gente. Dalla nostra
miserabile storia, rappresentativa del triennio nel quale si è svolta, devo
trarre la luce e i semi di una nascita nuova. Potrebbe essere una
tragedia neoclassica: eschilea per la presenza della Giustizia,
sofoclea per lo scavo psicologico dei personaggi, euripidea
per la descrizione del decadere di una civiltà. Un'opera che
ponga la questione morale in termini inquietanti per tutti. Partendo
dal nostro rapporto infelice, siccome immorale, devo
comunicare il messaggio che non può darsi felicità senza morale.
Potrebbe esserci un coro di giovani desiderosi del Bene. Ragazzi che
rifiutano non solo i professori incolti, ma tutti i cattivi maestri di
questa era guasta. Lo schema
può essere questo: I Atto. Ci
conosciamo a scuola. Parliamo delle nostre vite di edonisti-esteti,
dediti al piacere e al culto della bellezza. II Atto a
Debrecen. Miei sospetti e angosce. Un'occhiata all'Europa,
con una retrospettiva fino al 1966.
L'infelicità sessuale di quella
fase della mia vita. Dialoghi con le finniche dei primi anni '70 per mostrare i
rapporti umani di quel triennio felice. Gli amori nell’università estiva.
Peggioramento già dal 1974. III Atto. A
Pesaro. Colloqui con le zie pretificate. Arriva Ifigenia.
Serie difficoltà. IV Atto. Mia
emozione per la supplente Lucia, simbolo della gioventù opportunista
che sta dilagando. Dialoghi a scuola. V Atto.
Emozione di Ifigenia per il ballerino. Loro colloqui. Lui le parla
del mondo dello spettacolo e la affascina. Epilogo e soluzione
ancora da trovare".
Appena ebbi
finito di buttare giù programma, sentii suonare le campane di una
chiesa vicina. Poteva essere l'assenso divino al mio piano. Anche quando
Ifigenia arrivò sul monte delle formiche, i rintocchi
del santuario diedero un segno. A vederla era una creatura carica
di tensione erotica. Dovevo fare un altro tentativo
per considerarla e indurla a considerarsi una persona morale e
razionale. Potevo spiegarle quanto
avevo pensato e progettato.
Se l'idea del secondo dramma le fosse piaciuta, se ne avesse
provato interesse, forse saremmo risaliti dal pantano dove eravamo
caduti infangandoci, anche perché da tanto tempo oramai non avevamo più
progetti ma solo ricordi comuni. Se avesse collaborato,
ce l'avrei fatta. Mi aveva detto che dovevo continuare a
scrivere, che ne ero capace. Finalmente avevo qualcosa di
propositivo da presentarle. Poteva darmi un'altra volta un compito
impegnativo, difficile: ci avrei messo il meglio delle mie forze, non
avrei più avuto l'angoscia. Il fine nobile e universale, era educare
il popolo, massime i giovani; quello più personale e pratico,
competere con i registi, gli attori e tutti i maschi di prestigio
che Ifigenia avrebbe incontrato facendo l'attrice. Per emularli e
batterli, dovevo creare una grande opera d'arte, un dramma, oppure un romanzo epico sul tipo dell’Odissea di Omero, o dell’Ulisse di Joyce, o della Ricerca di Proust, costruirmi una fama più vasta e duratura di
quella che loro, i già famosi, avrebbero potuto sbattere in faccia alla donna
mia per portarsela a letto. "Se
voglio continuare a fare l'amore con lei, devo avere successo attraverso
lo scrivere. In fondo per arrivare a
lei, nel '78, ho dovuto
compiere un'impresa che tre anni prima mi sarebbe sembrata irrealizzabile.
Nell'autunno del '75 infatti ero un velleitario
piuttosto rozzo. Sciupavo il mio tempo in chiacchiere vane. La mia
preparazione professionale era fatta più che altro di manuali, paradigmi e
giornali. Sicché quando ho avuto l'incarico di latino e greco al
Rambaldi di Imola, quasi nulla sapevo. Meno dei ragazzi più bravi, sapevo. Avevo di buono che non sapevo simulare. Né
lo volevo. Per sopravvivere ho dovuto contare sulla loro
pazienza, e non vergognarmi troppo della loro pietà. Bravo come ero
stato sui banchi del liceo Mamiani di
Pesaro in competizione con la ragazza più brava Marisa, allora ammirata, oggi
compianta, quando cominciai da insegnante liceale, dovetti accettare il fatto
che molti ragazzi e, quel che è
peggio, ragazze, non mi ascoltassero, e che alcuni addirittura
leggessero un libro o un giornale mentre facevo lezione. Non mi cacciarono per
compassione, credo. Fino a Natale in terza liceo facevo lezione tremando. A
casa studiavo, studiavo sempre. Per ogni venti versi di
traduzione mi leggevo un libro di critica. In gennaio dai banchi sparirono
tutti i giornali, e in primavera diversi allievi prendevano appunti. Il
secondo anno, al Minghetti, fin dal primo giorno, erano molti quelli
che scrivevano quanto dicevo su Edipo, su Penteo o su Lisistrata. Avevo
studiato pure d'estate. Il terzo anno raggiunsi il successo. Poi, all'inizio
del quarto, il premio sperato: la
super ragazza supplente. Ce l'ho fatta - mi dissi - oh Dio, ce l'ho fatta a
prendere la borsa di studio! Dovrà andare
così un'altra volta. Qualche
anno, due, tre, anche dieci o più, di sacrifici, inumani se necessario,
poi il capolavoro, la gloria, la fama. Se ti riesce, lei ti ama di
nuovo. O magari trovi di meglio. Un amore morale. Una di stile
elevato e di anima nobile. Insomma una grande donna, bella e fine quale
Elena Augusta". A questo
punto mi feci due obiezioni: "Che gusto c'è nel fare l'amore con una che
ti ama soltanto nel caso che tu abbia successo?" Poi: "Se
Ifigenia invece di aspirare al teatro, avesse mirato a studiare con
serietà, non sarebbe stato tutto più semplice e bello?" Non mi diedi
risposta: non ne potevo più di pensare; inoltre erano già le sette
di sera, e se volevo fare un giro in bicicletta prima di andare a
vedere l'esame, dovevo sbrigarmi. Anche tu lettore, suppongo,
sarai stanco di una ruminazione mentale che aveva stremato
perfino uno come me, allenatissimo all'almanaccare per salvarmi la vita e
l’identità, fin da bambino. Andai a cronometro su per via Siepelunga
fino al Monte Donato. Feci un buon tempo con un rapporto
più duro del solito. "La
marcia in più - pensai - che riesco a usare quando il pensiero di lei mi mette
alla prova". Avevo pedalato con leggerezza e potenza; così avrei
scritto il mio capolavoro; così avrei superato tutti i registi e
gli attori famosi nella sua stima. Il sole tramontò vicino a S. Luca alle 20 e 34. Gli chiesi il successo per la mia compagna e per me.
Quindi tornai velocemente a casa, feci la doccia e mi avviai verso
l'Antoniano. Avevo indossato un vestito di lino azzurro su
una camicia bianca e mocassini rossicci. Ero teso.
Villa
Fastiggi, 26 luglio 2025 ore 9, 51 giovanni ghiselli
p. s.
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del blog
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Note 1 Cfr. Leopardi, Il pensiero dominante: "Di questa età superba,/che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede,/maggior mi sento" vv. 59-65. 2 D’Annunzio, Laus Vitae, vv. 46-52. La Sirena del Mondo. 3 Tacito, Annales, XIII, 45, volgeva la libidine là dove si mostrava l’utile.
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