La mattina
seguente ero contento, o mi accontentavo: non ricordo. La vidi in via Rizzoli mentre tornavo a casa
da scuola. Mi corse
incontro avvampando di gioia come ai tempi belli, o almeno così mi sembrò. Oggi credo
che sia cosa saggia dare credito alla gioia anche se apparente, poiché il dolore
è quasi sempre concreto reale. Tutt’al più lo puoi utilizzare a fin di bene,
posto che non ti annienti. Ci
complimentammo e festeggiammo a vicenda davanti a gente stupita siccome non è
facile vedere due persone contente. Il
pomeriggio andai a pedalare sui colli fioriti, dove splendeva il sole che pareva dissolvere la nube di strazio incombente sulla mia povera testa
da mesi. La sera a letto però non raggiunsi la sufficienza
sessuale. Stavo cercando una giustificazione, con aria afflitta, quando
Ifigenia, accortamente, volle salvare il corso di buonumore
che avevamo deciso e iniziato il giorno prima, dicendo parole di
tolleranza e comprensione inusuali per lei: "Non te la prendere: il
numero tre non è essenziale alla
nostra felicità; importante è
che ci vogliamo bene. Adesso abbiamo sofferto, capito e possiamo comprenderci a vicenda assai di più rispetto al tempo
comunque bellissimo nel quale facevamo l'amore tante volte che era difficile tenerne il conto, e con veemenza tale da spezzare le
gambe del letto". Quando ebbi
ascoltato queste parole buone, riebbi la grazia di Priapo. Così,
ragionando di amore, raggiunsi la sufficienza sperata. Nei due
giorni seguenti, Ifigenia seguitò a manifestarmi un'ottima
disposizione: a momenti mostrando una comprensione equilibrata
e matura dei nostri problemi e del futuro che sembrava volere
affrontare con me, a tratti prendendo quell'aspetto fiammeggiante
e gioioso che mi infondeva simpatia per la vita. Il 28 le
feci lezione su Shakespeare. C'era anche un suo compagno della scuola di
recitazione. Prendevano appunti. Dopo un paio di ore conclusi il lavoro
mirato al suo esame. Il ragazzo andò via, e noi due ci stendemmo
sul letto vestiti: Ifigenia sotto, io sopra. Osservata in quella
posizione appariva molto più piccola dei suoi ventisei anni e mezzo: sembrava
la mia bambina che mi guardava piena di ammirazione
filiale, con gli occhi lucenti e umidi, i denti superiori che
sporgevano appena dal labbro un poco rialzato. Era commossa e contenta
del fatto che mi dessi tanto da fare per lei. In fondo aveva deciso
di restare con me soprattutto per avere un aiuto in vista della temuta
prova, e io glielo davo impiegando gran parte
del tempo mio. A un tratto
disse: "Gianni, io sono molto ignorante: non studio, non faccio,
non so! Tu invece sai tante cose!" "Anche
io so poco creatura; quasi niente. Ma voglio imparare, e non solo dai
libri; anche da te, e con te, se tu vuoi". Annuì. Quando si
recuperava l'orientamento educativo e produttivo, la ragazza
tornava a essermi cara; le volevo bene, la amavo, e pensavo: "Ecco,
Ifigenia ti spinge a imparare, ad agire, con la sua bellezza; e ti traina,
con la vitalità della sua gioventù; in cambio si aspetta la solidità
mentale e morale, la disciplina, il metodo di cui ha bisogno per
non disperdere le proprie energie, per diventare il meglio di
quello che è. Perciò tu con lei non puoi essere insicuro, incoerente e
contorto, altrimenti le cose andranno male di nuovo: ti
disprezzerebbe, giustamente e ti pianterà un'altra volta, per sempre”. In quel
momento non volevo pensare che il mio essere poco chiaro e
diretto dipendeva in gran parte da lei, dalla sua ambiguità, dai capricci, dagli
sbalzi di umore conseguenti al conflitto tra l'opportunismo, derivato
dall'imitazione di persone mediocri e volgari, però o perciò di successo, e
il suo bisogno di amore e di verità foriera della coscienza, pur oscura e intermittente, che io
non meritavo di essere usato senza stima, né simpatia né
compassione. D'altra
parte non era soltanto il mio stato emotivo a essere condizionato da lei,
bensì tutto quanto facevo: oramai Ifigenia era la sola creatura che potesse assegnarmi i compiti di cui
avevo bisogno per vivere.
Villa Fastiggi,
22 luglio 2025 ore 17, 33 giovanni ghiselli |
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