mercoledì 30 luglio 2025

Grecia 1981 Capitolo X. Il bagno di Ifigenia nell’acqua monda. La doppia ascesa sulla strada della pietà. La comunione. Il Mecenate di Pesaro.

La mattina del 21 agosto, andavamo verso Egion, uno avanti l’altra dietro come i frati minori vanno per via.
Ci arrivammo presto e senza eccessiva fatica perché un vento propizio ci spingeva alla meta soffiando con forza sopra gli zaini che coprivano le nostre spalle. Al porto di Egion salimmo con le biciclette sul battello che attraversa il golfo di Corinto e approda a San Nicolas, sul lato nord. Ci mettemmo subito a pedalare di buona lena in direzione di Itea dove il Parnaso si bagna nell’acqua del golfo. Il vento era ancora soffiato da dèi propizi, sicché, nonostante i saliscendi continui anche ripidi, procedevamo abbastanza spediti.
Ma non voglio fare la cronaca perché nel raccontarla mi accorgo che non è interessante nemmeno per me. Quando scrivo, o parlo, capisco che se annoio me stesso, a maggior ragione tedio chi mi legge o mi ascolta.
Annoiare è il crimine diffusissimo dei troppi imbecilli il cui parlare non accresce né emoziona chi ascolta. Il rispetto e la simpatia che provo per i miei simili mi induce a mettermi nei loro panni e non mi consente di dare noia invadendoli con parole insignificanti dette magari con atteggiamento elocutorio. L’ho sentito dire e fare ai cretini: esempi negativi per me: contromodelli osservati a casa, a scuola, un po’ dappertutto. Sono ubiqui.
Gli aspetti degni di nota di quella mattina dunque furono il vento benevolo che ci spingeva, letteralmente, al luogo delle nostre preghiere e dei voti, poi il sentimento di frustrazione che mi invase quando la bella compagna di viaggio e dei mille tripudi trascorsi insieme, mentre si cambiava per fare il bagno e si  riparava dietro il mio corpo dagli sguardi degli uomini che passavano in automobile sulla strada vicina, disse: “Voltati, non voglio farmi vedere nuda nemmeno da te!” Poi si mise a nuotare nell’acqua translucida tanto era monda: ogni sasso sommerso si poteva contare, mentre la carne di Ifigenia, sciolta la polvere che la opacizzava, mandava bagliori di una fiamma che incendiava il mio desiderio angosciato da rimpianti e rimorsi.
 
Nel pomeriggio feci due volte la scalata ciclistica da Itea a Delfi: la prima con lo zaino mio sulle spalle, mentre la ragazza stanca si era fermata al porto e mi aspettava distesa su una panchina del molo. Giunsi anelo sul sacro ombelico del mondo. Mi ero impegnato con grande dispendio di forze per arrivarci il più presto possibile: entro il tramonto volevo, quindi dovevo, avere fissato una stanza sulla strada di Apollo, averci depositato lo zaino, essere tornato a Itea, essermi sobbarcato lo zaino di Ifigenia, avere ripetuto la salita con lei ed essere di nuovo lassù.
Tutto questo aveva un significato morale e quai religioso per me.
Arrivai a Delfi da solo verso le cinque, trovai subito la camera nella via di Apollo, vi lasciai lo zaino, mi bagnai la testa sotto un rubinetto e mi precipitai giù per la discesa fendendo l’aria talmente calda che i capelli grondanti, dopo un paio di chilometri, si erano asciugati del tutto.
Ifigenia era ancora stesa su quella panchina. Dormiva, magari sognava, chissà che cosa. La svegliai, le presi lo zaino che aveva usato come guanciale, poi iniziammo a scalare la salita non troppo erta, ma piuttosto lunga: una decina di chilometri circa, tipo quella del passo Pordoi fate conto, solo un poco più lieve come pendenza, ma appesantita da un’aria ancora assai calda nonostante il già deciso declinare del sole e dell’estate. Ifigenia, che non ha mai amato la calura si lamentava. “Quanto  manca?” domandava ogni tanto come fanno molti bambini portati in viaggio.
Quando ebbe finito l’acqua della borraccia, le passai la mia come Coppi a Bartali, o Bartali a Coppi che fosse, quella volta famosa.
Ifigenia comunque era brava: sbuffava, ma non voleva mettere piede a terra prima di essere giunta alla meta che era importante anche per lei: si vedeva e ne ero contento. Pedalavo al suo fianco sinistro, le davo consigli sui rapporti da usare via via, le facevo coraggio, ma non la spingevo materialmente. Voleva farcela da sola. Ce la metteva tutta. Accettava i suggerimenti e li eseguiva con precisione poiché si sentiva spronata. Insomma, c’era ancora qualche cosa di buono tra noi. In generale la bicicletta rende le persone meno cattive. Ha un significato morale oltre che salutare.
Raggiungemmo la meta al tramonto del sole che si annidava tra i monti poco prima delle otto di sera, le sette dell’ora reale. Sembrava significarci che la stagione meno dolente stava finendo e che non dovevamo affrontare le prossime brume autunnali con la nebbia fredda dell’odio nel cuore. Bene avevo fatto ad aiutare Ifigenia a giungere lassù prima che la santa faccia di luce fosse già sparita del tutto tra i monti.
Bevemmo una birra per festeggiare l’impresa. Maneggiavamo  i bicchieri come se fossero stati calici benedetti da sacerdoti santi, siccome quella bevuta ci parve del tutto rituale. Poi completammo l’eucarestia andando a mangiare la solita, sana insalata greca con un poco di pane. Il corpo di Cristo? Forse. Eravamo pagani sì, ma non scristianizzati del tutto. Il Nuovo Testamento è un libro assai bello.
Al termine della cena pensai che con lo scorrere delle stagioni, anche per decenni, avrei potuto forse dimenticare Ifigenia, ma non scordarla come non avevo mai scordato Elena. Dalla mente queste due donne supreme potevano forse cadere con la decadenza mentale ma dal cuore non sarebbero mai uscite perché hanno contribuito a formarne la parte più viva e più cara.
Non potevo scordarle.
“Perché dimenticare significa togliere dalla mente, ma scordare significa togliere dal cuore”. Copio queste parole dal libro[1] di un amico pesarese. Questa persona, nobile di fatto, fa del bene gratuito a Pesaro offrendo alla nostra città gioielli di cultura rari e preziosi.  
 

Villa Fastiggi,   3130 luglio  2025 ore 18, 36 
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Alessandro-F. Marcucci Pinoli di Valfesina, Dialoghi tra e con le parole, 8 Dimenticare e Scordare, p. 33, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2022.   

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